XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – OMELIA “COSA VUOI CHE IO FACCIA PER TE?”
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XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – OMELIA “COSA VUOI CHE IO FACCIA PER TE?”
Carissimi fratelli e sorelle,
la Liturgia oggi accosta la guarigione di Bartimeo, il cieco di Gerico, al canto gioioso di Geremia – lui classicamente conosciuto come il profeta delle amare lamentazioni e della sventura – che profetizza il ritorno di un piccolo resto di esuli a Gerusalemme, resto formato da persone umili, povere, malate per le quali la bontà di Dio, a loro gioia, apre una strada nel deserto perché possano ritornare nella loro patria,.
La lettura continua che stiamo facendo in queste domeniche della Lettera agli Ebrei oggi ci regala questo passo in cui l’Autore, riflettendo sull’essenzialità del sacerdozio del Vecchio Testamento, ci parla della compassione che doveva avere il sacerdote verso il popolo perché rivestito lui stesso di debolezza in quanto povero uomo come tutti bisognoso anche lui della misericordia di Dio.
La compassione di Dio dunque che si manifesta oggi anche attraverso il miracolo di Bartimeo.
Quella di Bartimeo è una pagina importante di Marco, per comprenderla in pieno e nella sua giusta luce dobbiamo inquadrarla bene nell’insieme di tutto il suo Vangelo. Marco ha raccolto tutto il materiale riguardante la vita di Gesù e poi lo struttura, l’organizza in base a una sua idea teologica che sta alla base stessa di tutta la sua opera evangelica. Vedete, è come se ogni evangelista volesse comunicarci una foto di Gesù scattata da un’angolazione diversa, la visione globale delle quattro foto dei quattro evangelisti ci darà poi una visione piena, completa di Gesù. Ora, per comprendere questo miracolo di Bartimeo, dobbiamo entrare bene nell’angolo di visuale di Marco, nel suo intento teologico con cui tenta di comunicarci il mistero di Gesù, il Figlio di Dio.
Marco distende il suo Vangelo su un “viaggio”, un solo viaggio di Gesù da Nazareth a Gerusalemme, si tratta di una struttura letteraria più che storica in quanto ben sappiamo da Giovanni che Gesù fece più viaggi a Gerusalemme. Questo viaggio rappresenta anche il “viaggio della fede”, cioè attraverso le tappe fondamentali di questo viaggio siamo messi davanti al cammino di fede che Marco propone ai suoi lettori. Ora, in esso ci sono tre tappe fondamentali che segnano il cammino del credente. L’episodio di Bartimeo segna la conclusione della seconda tappa del cammino di fede del credente, per questo è un episodio molto importante, episodio chiave e simbolico, nel senso che il fatto storico del miracolo viene ad assumere anche altri significati nel quadro complessivo di questo Vangelo.
Vediamo insieme, velocemente, queste tappe. La prima parte di svolge dalla predicazione di Giovanni il Battista alla guarigione del cieco di Betsaida (Mc 1,1- 8,26), in essa assistiamo al racconto di come questo Gesù di Nazareth si fa conoscere, si manifesti come Messia forte e potente: parla con autorità, caccia i demoni, guarisce i malati, comanda alle forze della natura e fa risorgere anche i morti. Emerge qui quello che gli esegeti chiamano “il segreto messianico”: Gesù opera tutti questi portenti, ma c’è come un suo ritornello alquanto misterioso: “State zitti… non parlate di quello che ho fatto… non ditelo a nessuno…”. Perché se da una parte si manifesta con potenza di miracoli, dall’altra impone un silenzio che poi nessuno osserva? La risposta dovreste ormai saperla perché ne abbiamo già parlato in altre omelie (vedi omelie della IV e XXIV domenica del tempo ordinario). Gesù, infatti, è il Messia, sì, ma non quel Messia che tutti attendevano, glorioso e potente liberatore sociale e politico. Imponendo il silenzio dopo i suoi prodigi Gesù cerca di non incoraggiare quella visione sbagliata che avevano di Lui.
Dunque nella prima parte del Vangelo di Marco, Lui si fa conoscere, si manifesta e questa sua manifestazione si chiude con il racconto di uno strano miracolo, quello del cieco di Betsaida (Mc 8,22-26), vi ricordate? Quel cieco che viene guarito con due successivi tocchi di Gesù perché dopo il primo tocco non vedeva ancora bene: vedeva gli uomini come alberi che camminavano… di questo miracolato non si sa nulla oltre il fatto della guarigione difficoltosa: non si dice il suo nome, ma si dice che Gesù “lo rimandò a casa”, non seguì Gesù, se ne tornò a casa…Questo cieco guarito, ha un valore simbolico, egli rappresenta il cammino di fede del discepolo di Gesù che dopo averlo incontrato e conosciuto incomincia a vederci, cioè a credere, ma questa fede è ancora iniziale, incipiente, non è ancora una fede matura e forte: è la prima tappa del cammino di fede.
La seconda parte inizia con l’inchiesta che Gesù fa ai suoi discepoli (Mc 8,27), ricordate: “Chi dice la gente che io sia… e voi chi dite che io sia?” Da quel momento Gesù inizia a rivelarsi ai suoi più intimi, gli Apostoli, come il Messia sofferente. Questa parte viene scandita dai suoi tre annunci della prossima passione, ad ogni annuncio segue un atteggiamento negativo degli Apostoli che non capiscono questo linguaggio di Gesù perché sono tutti presi dalla loro idea di Messia glorioso e potente.
Bartimeo entra in scena subito dopo il terzo annunzio della Passione e chiude la seconda parte di questo Vangelo, come il cieco di Betsaida aveva chiuso la prima parte. Bartimeo rappresenta la controparte degli Apostoli che non capiscono e continuano a fare brutte figure. Egli rappresenta il discepolo che ha capito, il discepolo che di fronte ai tre annunci della passione del suo Signore ha capito che Lui è un Messia umile e mansueto e che seguirLo significa andare a morire con Lui! Quanta ricchezza nasconde questo Bartimeo, cerchiamo di entrarvi dentro.
Innanzi tutto il fatto che Marco dica il suo nome, è importante che venga ricordato per nome, del cieco di Betsaida invece non si diceva il nome, qui sì. Il nome della persona racchiude tutta la sua dignità e vocazione.
Il cieco di Betsaida fu condotto a Gesù da altre persone che pregarono Questi di guarirlo. Bartimeo, no, tutt’altro, nessuno lo porta da Gesù: è lui che grida a Gesù e quando lo vogliono zittire, lui grida più forte. Il discepolo di Gesù è una persona che ha con Gesù un rapporto personale, intimo: è chiamato per nome da Gesù e chiama per nome Gesù: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Non possiamo dirci discepoli di Gesù senza questo intimo e personale rapporto, non possiamo essere solo persone portate da Gesù e non coinvolte in questo intimo e personale rapporto con Gesù, portate da una certa cultura, portate da un certo ambiente in cui si fanno cose scontate che però scontate non dovrebbero essere, come è scontato che quando il bimbo nasce lo si battezza, quando cresce gli si fa fare la Prima Comunione e la Cresima, quando è ora un bel matrimonio in Chiesa e quando è un’altra ora si cerca il parroco per il suo funerale…
Bartimeo è li a terra lungo la strada, cieco, senza nessuno che possa aiutarlo a vederci. Ecco la condizione fondamentale per diventare discepoli del Salvatore: essere qualcuno che sa di essere bisognoso di salvezza, bisognoso di redenzione. Bartimeo si mise a gridare aiuto a Gesù perché lo salvasse, l’esperienza di essere salvati nasce dall’esperienza del bisogno di un Salvatore. Quante volte mi sono chiesto perché aspettare di essere sul fondo, perché aspettare di naufragare, perché aspettare di essere travolto dagli eventi della vita per capire che abbiamo bisogno di “Uno” che ci salvi? Perché quando stiamo bene e tutto ci va bene ci dimentichiamo di gridare a Gesù e di dirgli: “Gesù, salvami”? Ci sentiamo autosufficienti, autonomi, crediamo di non aver bisogno di nessuno, perché ci sentiamo forti, sani, belli e tutto ci va bene…, ma poi basta un piccolo male al pancino e ci ricordiamo che non siamo noi a darci la forza, la salute e la bellezza e ci mettiamo a gridare aiuto…mentre basterebbe un pizzico di buon senso per capire che sempre abbiamo bisogno di Lui, non solo quando stiamo male!
Bartimeo grida e vorrebbero farlo tacere perché disturba, ma Lui grida più forte… Cosa vorrà mai dire questo? Mi sembra di leggere un rimando alle nostre vite ordinarie di comunità cristiana, quanti alle volte vorrebbero avvicinarsi alla comunità, a Gesù, ma sono proprio quelle persone più vicine a Gesù ad impedirglielo? Alle volte noi di Chiesa formiamo come una muraglia cinese che impedisce a tanti ad avvicinarsi a Gesù perché con la nostra persona nascondiamo Gesù agli altri e li allontaniamo da Gesù, mentre Gesù li vorrebbe vicino, noi li allontaniamo. Questo con tutte le buone intenzioni, senza malizia, senza cattiveria, con buona coscienza ma con effetti deleteri.
Non erano forse in buona coscienza quelli che volevano far star zitto Bartimeo? “Sta disturbando il Maestro, facciamolo star zitto, così non lo disturberà più!” Ma Gesù desiderava essere disturbato, questo non l’avevano capito. Alle volte le nostre pastorali sono tranquille e serenamente chiuse, non prevedono dei disturbi, non prevedono dei fuori programma, chi segue veramente Gesù non può mai mettersi un programma in tasca, Gesù infatti è tutto un Fuori Programma e un Fuori Schema, perché Lui è essenzialmente Amore e l’Amore non si fa chiudere da niente perché trascende tutto.
Ma se il rapporto con Gesù è intimo e personale, non è mai intimistico, esso matura e cresce nella comunità, l’incontro personale con Gesù, il rapporto personale con Gesù si realizza nella comunità, e attraverso la comunità, Gesù infatti manda a chiamare Bartimeo: “Chiamatelo!” Ecco il compito della comunità cristiana, aiutare le persone a sentire la voce di Gesù che chiama, non portarle o trascinarle da Gesù, ma invitarle ad alzarsi dalle proprie situazioni di miseria per andare da Gesù.
Perché l’incontro con Gesù sia salvifico occorre però lasciare il mantello, cos’era il mantello per un povero al tempo di Gesù? Era la sua casa e il suo rifugio, era la sua unica sicurezza. Gesù non ci salva se abbiamo nascosti dei mantelli… Gesù non ci salva dal naufragio della nostra vita se noi stiamo attaccati a qualche spezzone di barca o a qualche salvagente… Gesù non ci salva se noi pensiamo di poter nuotare con le nostre forze…Gesù mi salva solo quando io ho ben capito che non so nuotare e che non ho salvagente, allora e solo allora, appena sentirà il mio grido di aiuto – “Signore salvami!” (Mt 14,30) – Lui mi afferrerà la mano e mi tirerà fuori da qualunque mare che voglia sommergermi, ma la sua mano non si stenderà verso di me se vedrà che io faccio affidamento – anche minimo – a qualcos’altro o a qualcun altro a cui aggrapparmi!
Lasciato il mantello, Bartimeo, si presenta da Gesù e questi gli chiede: “Cosa vuoi che io faccia per te?”
Poche righe prima di questa domanda a Bartimeo, Marco, ci aveva riportato la stessa identica domanda di Gesù fatta a Giovanni e Giacomo: “Cosa volete che io faccia per voi?” (Mc 10,36) – conosciamo la risposta: Sedere uno a destra e uno a sinistra nel suo regno. Bartimeo dà invece la risposta giusta: “Fa’ ch’io veda, Signore!” Ma – voi direte – che cosa avrebbe dovuto chiedere un cieco se non di vedere? Carissimi fratelli e sorelle quante volte nell’incontro sacramentale con le persone, il sacerdote si accorge, percepisce come non è proprio scontata questa risposta! Quante volte si va da Gesù nel sacramento della confessione a chiedere perdono per cose insignificanti che ci creano però enormi sensi di colpa e non si chiede perdono invece per enormi peccati che si son fatti e facciamo senza alcun senso di colpa o scrupolo?
Saper entrare dentro noi stessi con sincerità per scoprire qual è il nostro vero male, qual è la nostra cecità più profonda e presentarla a Gesù perché io ci veda! Gesù non guarisce se non quello che noi chiediamo che ci guarisca, Egli infatti è discreto e ci lascia nelle nostre cecità se a noi ci piacciono tanto, non ci forza, non ci viòla, Lui è sempre lì che ci invita a lasciare il mantello e ad andare da Lui per essere guariti da tutti i nostri mali, ma dobbiamo presentarglieli con fiducia e con consapevolezza.
“La tua fede ti ha salvato!” Bartimeo ha avuto fiducia in Gesù, Gli ha presentato la propria cecità ed è stato guarito, e – cosa importantissima! – ora “segue Gesù lungo la via”. Il cieco di Betsaida fu rimandato a casa, non seguì Gesù, Bartimeo sì, segue Gesù lungo la via. Ma dove porta quella via? A Gerusalemme, al Calvario a una Croce, ecco dove porterà quella via.
Ecco perché Bartimeo è una grande figura, un grande personaggio, perché lui ha capito quello che non avevano capito gli Apostoli e diventa quindi il simbolo d’ogni persona che capisce il linguaggio di Gesù, il cuore di Gesù, l’animo di Gesù e accetta nella propria esistenza l’Amore misterioso del Padre che c’invita ad entrare con Gesù nel mistero della sua Croce morendo con Lui per poter risorgere con Lui.
Bartimeo rappresenta quindi la figura del cristiano adulto, del discepolo fedele e maturo che è tale perché ha creduto in Gesù e si è lasciato guarire da Lui, ora Bartimeo non può riprendere la vecchia strada, ora ha capito qual è la sua strada: seguire Gesù “lungo la via”, la sua via è quella della Croce. Bartimeo è il fedele maturo che ha ben capito gli insegnamenti del Maestro, che non chiede di sedere con Lui nella gloria, ma di morire con Lui sulla Croce perché solo morendo con Lui si vive con Lui. Bartimeo quindi ci introduce alla terza definitiva tappa del “viaggio della fede” che Marco ci propone: Gesù che si rivela come Figlio di Dio sul trono della Croce, trono ben diverso di quello che si attendevano gli Apostoli per sedervici accanto! E sarà poi un centurione romano, non un Apostolo, a cogliere per primo come “Costui veramente era figlio di Dio!” (Mc 15,39)
La Vergine Maria ci aiuti in questa settimana a seguire Gesù come tanti Bartimei che hanno avuto la gioia di essere stati chiamati e salvati dal suo Figlio Divino.
Amen. j.m.