Archive pour juin, 2018

X DOMENICA DEL T.O. (… parenti di Gesù che si muovono per andarlo a prendere perché lo vogliono far passare per pazzo)

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X DOMENICA DEL T.O. (… parenti di Gesù che si muovono per andarlo a prendere perché lo vogliono far passare per pazzo)

Gn 3,9-15; Sal 129; 2 Cor 4,13-5,1; Mc 3,20-35.

Ricomincia il Tempo ordinario; un tempo che non è un tempo vuoto ma è il tempo in cui vivere davvero ciò che nei cosiddetti tempi forti abbiamo celebrato. La liturgia di queste domeniche ci accompagna dandoci degli imput fecondi per questo quotidiano; il colore verde dei paramenti ci dice che in questo cammino di ogni giorno siamo accompagnati da una grande speranza: tutto sarà possibile perché Gesù è con noi fino alla fine dei secoli (cfr Mt 28, 20).
La pagina di Marco che oggi è il cuore di questa liturgia è pagina complessa ma certo colma di una luce che bisogna saper individuare.
La prima cosa da dire è che qui Marco usa una sua tecnica narrativa, una tecnica che possiamo definire “a sandwich”; il paragone pare un po’ irrispettoso ma ci fa capire il modo di procedere di Marco; è un modo di narrare fatto così: ci sono due elementi simili che racchiudono al centro un alro elemento; esempio chiarissimo o è il racconto della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5) che inizia ad essere narrata, poi è interrotta dall’episodio della donna con perdite di sangue, e si conclude con il seguito del racconto della risurrezione della bambina.
Qui è lo stesso: la pagina inizia con il racconto terribile dei parenti di Gesù che si muovono per andarlo a prendere perché lo vogliono far passare per pazzo e, dopo la polemica con gli scribi, si conclude ancora con dei parenti di Gesù che vanno a cercarlo.
Il cosiddetto schema “a sandwich” rivela dove andare a cercare il cuore della narrazione e questo è dato dall’intima connessione tra cornice e centro (per esempio nel racconto della figlia di Giairo e dell’emorroissa il problema è quello dell’impurità che Gesù è venuto a prendere su di sé). Qui mi pare che lo schema voglia dirci che tutto si deve inquadrare e comprendere all’interno della relazione con Gesù. È il tipo di relazione con Gesù che salva e dona senso. Il rifiuto di una vera relazione di fiducia con Gesù è luogo abissale di morte.
La polemica tra Gesù r gli scribi contiene una di quelle parole di Gesù che sempre ha sollevato interrogativi, che sempre ha impressionato i lettori dell’Evangelo. Perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno? Che cosa è? Marco la risposta ce la dà: poiché dicevano: è posseduto da uno spirito immondo. Se l’Evangelo, come dice di continuo, è annunzio di perdono di tutte le miserie, vergogne e abiezioni dell’uomo, cosa è mai questo peccato che non può essere perdonato? Gesù qui dice che c’è una barriera che si eleva, una barriera che non sta in Dio perché il suo desiderio di perdono è infinito, una barriera che è nell’uomo e nella sua ostinazione. È l’ostinazione a vedere il bene operato da Gesù, è cogliere la via di liberazione dal male che Lui offre, conoscere lo Spirito di salvezza che Lui mette nei cuori degli uomini e, per motivi egoistici, di interesse, di autotutela del proprio potere o per gelosia, si chiama l’opera di Dio male e frutto diabolico e le proprie vie di morte luogo di bene! Il peccato contro lo Spirito Santo è di chi scarta Dio dalla propria vita sapendo di scartare Dio. È un po’ il peccato del Grande Inquisitore nel celbre racconto di Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”. Ivàn Karamàzov espone dunque al fratello Aleksej (Alëša) un racconto allegorico di sua invenzione, ambientato in Spagna ai tempi della Santa Inquisizione.
Dopo quindici secoli dalla morte, Cristo fa ritorno sulla terra. Non viene mai menzionato per nome, ma sempre chiamato indirettamente. Pur comparendo furtivamente, viene misteriosamente riconosciuto da tutti, il popolo lo riconosce e lo acclama come salvatore, tuttavia egli viene subito incarcerato per ordine del Grande Inquisitore, proprio mentre ha appena realizzato la resurrezione di una bambina di sette anni, nella bara bianca ancora aperta, pronunziando le sue uniche parole di tutta la narrazione: “Thalità kum”.
L’Inquisitore « è un vecchio di quasi novant’anni, alto e diritto, con il viso scarno e gli occhi infossati, nei quali però riluce una scintilla di fuoco… »
È lo stesso Inquisitore a fare arrestare Gesù e subito dopo a recarsi presso di lui nella prigione in cui è stato rinchiuso esordendo con queste parole:
« “Sei tu? Sei tu?” Non Ricevendo risposta, aggiunge rapido: “Non Rispondere, taci! E poi, che cosa potresti dire? So anche troppo bene quel che diresti. Ma tu non hai il diritto di aggiungere nulla a quel che già dicesti una volta. Perché sei venuto a infastidirci? Perché sai anche tu che sei venuto a infastidirci. Ma sai cosa accadrà domani? Io non so chi tu sia ne voglio sapere se sia proprio lui o se gli somigli, ma domani ti condannerò ti brucerò sul rogo come il più empio degli eretici…” » È cecità voluta e cosciente, è una menzogna professata sapendo di professare una menzogna, è dire che il giudizio di Dio è errato e il proprio è quello giusto, è dire che il male è bene e che il bene è male; già Isaia (5,20) aveva condannato con veemenza atteggiamenti come questi. Questa polemica, con queste parole durissime di Gesù, come dicevo, è racchiusa tra due scene in cui appaiono dei parenti di Gesù … se nella prima si dice semplicemente che “i suoi” volevano andare a catturarlo perché lo dicevano fuori di sé, nella seconda si dice che a Gesù viene annunziata la visita di sua madre e dei suoi fratelli; Gesù reagisce con fastidio a questa richiesta di incontrare la madre e i fratelli: Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Ancora parole dure, parole che certo devono aver colpito Maria e il suo amore materno; parole in cui però Gesù desidera delineare l’identità della “vera parentela” con Lui e lo fa con estrema chiarezza: Chi fa la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre. Non bastano titoli di appartenenza, fossero anche di sangue, quello che conta è che tipo di relazione si è instaurata con Lui; è una relazione che passa per la stessa via che Lui persegue? Passa per la via del fare la volontà di Dio? Notiamo che qui Gesù usa il verbo greco “poièo” che ha in sé l’idea di qualcosa di molto fattuale, concreto, di qualcosa da produrre costruendolo, plasmandolo; qualcosa, direi, che si fa “artigianalmente”, sporcandosi le mani! Insomma la vera pietra di paragone è la vita! La parola che Gesù pronunzia – come dicevo – deve aver colpito Maria nella sua maternità carnale ma che certo anche a lei ha insegnato qualcosa … Maria comprende ancora più che ciò che più è importante per lei non è l’averlo generato nella carne ma l’essere sua discepola, il mettersi davvero sulle sue orme … e Maria lo farà fino alla croce … lì ancora farà la volontà del Padre. Una pagina dura dunque questa, una pagina colma di rifiuti e aggressioni, colma dell’incomprensione e dell’ostilità della gente … una pagina in cui Gesù ci fa cogliere che solo nella piena e vera accoglienza di Lui e della sua parola si può fuggire il terribile rischio di mettere noi davanti a Dio, le nostre idee e i nostri desideri davanti all’Evangelo! Solo se si vive in un ascolto mite e obbediente si riesce a cogliere come Lui sia vera libertà da ogni potere demoniaco che vuole inchiodare l’uomo su se stesso e sulle vie meschine dei propri orizzonti ristretti!

P. Fabrizio Cristarella Orestano

San Paolo Apostolo

imm paolo

Publié dans:immagini sacre |on 5 juin, 2018 |Pas de commentaires »

SAN PAOLO: L’UNITÀ INTERIORE, SEGRETO DI SANTITÀ E FECONDITÀ APOSTOLICA

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SAN PAOLO: L’UNITÀ INTERIORE, SEGRETO DI SANTITÀ E FECONDITÀ APOSTOLICA

Il beato Giacomo Alberione, interprete attuale dell’Apostolo delle genti

LUGLIO 04, 2012 00:00

REDAZIONECHIESA E RELIGIONE

di padre José Antonio Pérez, ssp

ROMA, mercoledì, 4 luglio 2012 (ZENIT.org).- Una persona si realizza nella misura in cui ha un principio interiore che si rivela in tutto il suo modo di essere, donandogli una fisionomia inconfon­dibile e un’unità d’azione. Nel credente, l’unità inte­riore dipende da un principio dinamico ricevuto da Dio stesso, vissuto in tutta la sua esigenza e portato alle ultime conseguenze. Tutto ciò che egli realizza, porterà il sigillo della sorgente profonda da cui pro­viene.
Coscienza e affermazione dell’unità personale
La scoperta dell’apostolo Paolo da parte del beato Giacomo Alberione risale al primo contatto con gli studi teologici. San Paolo sapeva che in Gesù Cristo abita corporalmente la pienezza della divini­tà e che tutto abbiamo pienamente in lui (cf. Col 2,9-10); di conseguenza, non si può servire Gesù Cristo se non con una risposta di grande «pie­nezza» e sforzandosi perché tutti acquistino la piena intelligenza del mistero di Dio, che è Cristo (cf. Col 2,2-3); e in questo ministero impegnò tutte le risorse personali di natura e di grazia (cf. Col 1,28-29). Tutto questo colpì profondamente l’animo delgiovane ed inquieto Alberione.
«L’ammirazione e la devozione – scriveva nel 1954 – cominciarono specialmente dallo studio e dalla meditazione della Lettera ai Romani. Da allora la personalità, la santità, il cuore, l’intimità con Gesù, la sua opera nella dogmatica e nella morale, l’impronta lasciata nell’organizzazione della Chiesa, il suo zelo per tutti i popoli, furono soggetti di meditazione. Egli parve veramente l’Apostolo: dunque ogni apostolo ed ogni apostolato potevano prendere da lui». Da allora la conoscenza andò sviluppandosi e divenne «devozione», con tutta la carica che questa parola comporta: conoscenza sempre più approfondita, amore e volontà di identificazione, confronto continuo sul piano del pensare e dell’agire, decisione di far conoscere, amare, seguire e imitare l’Apostolo.
Questa «devozione» andò intensificandosi quando la figura dell’Apostolo fu associata alla nuova forma di apostolato che il giovane Alberione avviava con le sue fondazioni. «Tutte le anime che presero gusto agli scritti di San Paolo, divennero anime robuste», affermava. Ed esortava: «Preghiamo san Paolo che formi anche noi persone di carattere, che non si scoraggiano…, che sanno dare un valore giusto alle cose. Gente pratica che sa giocare il “tutto per tutto”, cioè dando tutto a Dio per riceve in cambio Dio stesso. E questo avviene quando vi è un grande amore, la convinzione che aveva san Paolo da farlo esclamare: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”».
L’unità in Gesù Cristo, ricevuto da san Paolo
Per garantire l’unità di ispi­razione e di azione, Don Alberione si riporta sempre al punto essenziale, e così lo offre alla sua Famiglia: «L’unio­ne di spirito: questa è la parte sostanziale… vivere nel Divin Mae­stro in quanto egli è via, verità e vita; viverlo come lo ha compreso ilsuo discepolo san Paolo. Questo spirito forma l’anima della Famiglia Paolina, nonostante che i membri sia­no diversi ed operanti variamente… “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”», diceva nel 1960.
L’unità si trova dunque in Gesù Cristo, ricevuto da san Paolo. Per dono di Dio, don Alberione ha sentito a fondo la Parola rivela­ta circa la pienezza apostolica di san Paolo ed è stato mosso dallo Spiri­to all’impegno di riprodurlo, oggi, nella totalità del suo carisma aposto­lico. È questa la sorgente e l’unità profonda della Famiglia Paolina. È di qui che emanano le differenti fisionomie dei dieci gruppi che la costitui­scono.
Afferma don Silvio Sassi, Superiore generale della Società San Paolo, nella sua lettera annuale, “Ravviva il dono che hai ricevuto”, che per essere fedeli oggi in modo creativo a Don Alberione, occorre interpretare san Paolo per le urgenze della nuova evangelizzazione del nostro tempo: una profonda esperienza di Cristo, che si trasforma in fede missionaria nella comunicazione attuale, in contemplazione nella liturgia, in laboriosità nella pastorale parrocchiale, nel suscitare vocazioni, nel vivere lo stato di vita laicale in stile paolino e nella cooperazione alle opere di bene paoline. Sono questi, appunto, i vari raggruppamenti che debbo­no trovare in san Paolo il loro vincolo di unità e il loro dinamismo contemplativo-attivo verso Dio e verso gli uomini.
Unità, santità e fecondità apostolica
Il beato Giacomo Alberione considera san Paolo non solo padre e ispiratore, ma addirittura «fondatore», «forma» sulla quale la Famiglia Paolina deve riprodurre Gesù Cristo per essere «san Paolo vivo oggi»: «Gesù Cristo è il perfetto originale. Paolo fu fatto e si fece per noi forma: onde in lui veniamo forgiati, per riprodurre Gesù Cristo. San Paolo è forma non per una riproduzione fisica di sembianze corporali, ma per comunicare al massimo la sua personalità… tutto. La Famiglia Paolina, composta da molti membri, sia Paolo-vivente in un corpo sociale».
Il motivo dell’elezione di san Paolo è stata la sintesi che l’Apostolo ha saputo realizzare in se stesso di tutte le dimensioni della sua personalità:
Santità e apostolato: «Si voleva un santo che eccellesse in santità e nello stesso tempo fosse esempio di apostolato. San Paolo ha unito in se la santità e l’apostolato».
Amore a Dio e amore alle anime: «Se san Paolo oggi vivesse… adempirebbe i due grandi precetti come ha saputo adempierli: amare Iddio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la mente; e amare il prossimo senza nulla risparmiarsi».
Attività e preghiera: «Sovente si dà risalto all’attività di san Paolo; ma prima bisogna mettere in risalto la sua pietà».
Il segreto: la vita interiore: «Perché san Paolo è così grande? Perché compì tante opere meravigliose? Perché anno per anno la sua dottrina, il suo apostolato, la sua missione nella Chiesa di Gesù Cristo vengono sempre più conosciuti, ammirati e celebrati?… Il perché va ricercato nella sua vita interiore. È qui il segreto», affermava il Fondatore.
E concludeva costatando come la santità consiste appunto nella sintesi dello sviluppo armonico di tutte le dimensioni umane: «Per san Paolo la santità è la maturità piena dell’uomo, l’uomo perfetto. Il santo non si involve, ma si svolge… La santità è vita, movimento, nobiltà, effervescenza… Ma lo sarà solo e sempre in proporzione dello spirito di fede e della buona volontà».
Segreto per raggiungere la realizzazione personale, la santità, e la fecondità apostolica è dunque l’unità interiore. San Paolo ne è il maestro.

*Postulatore generale della Famiglia Paolina

Publié dans:Paolo: studi |on 5 juin, 2018 |Pas de commentaires »

Stained glass (non trovo il tema anche se è sicuramente biblico)

imm paolo

Publié dans:immagini sacre |on 4 juin, 2018 |Pas de commentaires »

IL RISCATTO DELLE EMOZIONI DELL’UOMO REDENTO – OPERA DELLO SPIRITO SANTO

https://www.evangelici.info/il-riscatto-delle-emozioni-dell-uomo-redento-opera-dello-spirito-santo

IL RISCATTO DELLE EMOZIONI DELL’UOMO REDENTO – OPERA DELLO SPIRITO SANTO

(sito Evangelico)

Inviato da alex il Lun, 24/08/2015

TOZER A.W.
Spirito Santo

Un’altra qualità del Fuoco che abita in noi è l’emozione. Questa espressione deve essere compresa alla luce di ciò che è stato detto avanti intorno alla imperscrutabilità di Dio. Ciò che Dio è nella sua essenza non può essere scoperto e non può essere espresso con un linguaggio umano, ma quelle qualità di Dio che si possono considerare razionali, e che perciò possono essere ricevute dall’intelletto, sono state liberamente espresse nelle Sacre Scritture. Queste non ci dicono ciò che Dio è, ma ciò a cui Egli assomiglia, e la somma di queste qualità costituisce un quadro ideale dell’Essere Divino visto come in lontananza ed attraverso ad un vetro iannebbiato.
Ora la Bibbia ci insegna che in Dio vi è qualche cosa di simile all’emozione. Egli prova qualche cosa che assomiglia al nostro amore, qualche cosa che assomiglia al nostro dolore ed alla nostra gioia. E non dobbiamo avere timore di proseguire in questa concezione di ciò a cui Dio assomiglia. La fede potrebbe facilmente dedurre che dato che noi siamo stati creati a Sua immagine, Egli dovrebbe avere qualità simili alle nostre. Ma tale deduzione, anche se può soddisfare la nostra mente, non è la base della nostra fede.
Dio ha detto certe cose intorno a se stesso, e queste forniscono tutte le basi di cui noi abbiamo bisogno.
« L’Eterno, il tuo Dio, è in mezzo a te come un Potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per via di te, si acqueterà nell’amor suo, esulterà, per via di te, con gridi di gioia » ( Sofonia 3. 17).
Questo è solo un versetto fra i mille che ci serve a formare il quadro razionale di ciò a cui Dio è simile; esso afferma che Dio prova qualche cosa somigliante al nostro amore e alla nostra gioia e che ciò che Egli sente lo spinge ad agire in maniera assai vicina a quella in cui agiremmo noi in simili circostanze. Egli si rallegra di coloro che ama con gioia e con canti. Questa è un’emozione collocata sul piano più elevato possibile, perchè sgorga dal cuore stesso di Do.Il sentimento, quindi, non è un figlio degenere dell incredulità, quale viene spesso dipinto da alcuni che insegnano la Bibbia. La nostra capacità di provare dei
sentimenti è uno dei contrassegni della nostra origine divina. Non dobbiamo vergognarci nè delle nostre lacrime nè del nostro riso. Il cristiano stoico che ha soffocato i suoi sentimenti è uomo solo per due terzi: una terza parte assai importante è stata ripudiata.
I sentimenti santi ebbero sempre una parte molto importante nella vita del nostro Signore. Per la letizia che gli era posta innanzi » sofferse la croce e sopporto il vituperio ». Egli si descrive in atto di esclamare: « Rallegratevi meco, poichè ho ritrovato la mia pecora che era perduta ». Nella notte della Sua agonia Egli « cantò un inno » prima uscire per recarsi al Monte degli Ulivi. Dopo la resurrezione Egli canta in mezzo ai Suoi fratelli (Salmo 22.22) nell assemblea. E se il Cantico dei Cantici si riferisce a Cristo (come la maggioranza dei cristiani crede) come possiamo fare a meno di sentire il suono della Sua gioia mentre
porta la Sua sposa a casa alla fine della notte e dopo che le tenebre si sono dissipate?
Una delle più grandi calamità che il peccato ci ha procurate è la degradazione delle nostre normali emozioni. Ridiamo di cose che non sono buffe; ci compiacciamo di atti che sono contrari alla nostra dignità umana; e ci rallegriamo di oggetti che non
dovrebbero avere alcun posto nelle nostre affezioni. L’obiezione ai « piaceri del peccato » che ha sempre caratterizzato i veri santi, è in fondo semplicemente una protesta contro la degradazione delle nostre emozioni di uomini. Ad esempio, il fatto che il giuoco possa assorbire gli interessi di uomini fatti ad immagine di Dio, è sembrato una orribile perversione delle nobili possibilità dell’uomo; che lalcool debba essere necessario per stimolare i sentimenti del piacere è stato considerato una specie di prostituzione: che gli uomm1 debbano volgersi ad un teatro costruito dall’uomo per trovarvi godimento è sembrato un affronto a Dio che ci ha posti al centro dell’universo con il compito di rappresentarvi la più alta opera drammatica.
I piaceri artificiali del mondo sono tutti la dimostrazione che la razza umana ha in gran parte perduto la capacità di godere i veri piaceri della vita ed è forzata a sostituirli con gioie false e spesso degradanti.
L’opera dello Spirito Santo, fra laltro, consiste nel riscattare le emozioni dell’uomo redento, nel rimettere le corde alla sua arpa e nel riaprire le fonti della gioia santa che sono state occluse dal peccato.
E che Egli compie questa opera ne rendono unanime testimonianza tutti i santi. Questo é perfettamente coerente con tutta la condotta tenuta da Dio nella Sua creazione. Il piacere puro è una parte della vita, una parte tanto importante che è difficile vedere come la vita umana potrebbe essere giustificata se dovesse essere vuota di sentimenti piacevoli.
Lo Spirito Santo colloca un’arpa eolia alla finestra della nostra anima, affinchè i venti del cielo la possano far vibrare in una dolce melodia, capace di accompagnare armoniosamente i compiti umili ai quali potremo essere chiamati. L’amore spirituale di Cristo farà risuonare continuamente la Sua musica nei nostri cuori e ci darà la possibilità di rallegrarci anche nei nostri dolori.

Tratto dal libro:
La conquista divina di A.W. Tozer

Corpus Domini

imm paolo

Publié dans:immagini sacre |on 2 juin, 2018 |Pas de commentaires »

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – IL SUO SANGUE NELLE NOSTRE VENE. COSÌ L’EUCARESTIA CI TRASFORMA

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SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – IL SUO SANGUE NELLE NOSTRE VENE. COSÌ L’EUCARESTIA CI TRASFORMA

padre Ermes Ronchi

Prendete, questo è il mio corpo. Il verbo è preciso e nitido come un ordine: prendete. Stringente e senza alibi. Gesù non chiede agli Apostoli di adorare, contemplare, venerare quel Pane, dice molto di più: io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita. Vi prego, prendete e dentro risuona tutto il bisogno di Dio di realizzare con noi una comunione senza ostacoli, senza paure, senza secondi fini
«Stringiti in me, stringimi in te» (G. Testori): il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo esprime con una celebre formula Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo. Che possiamo tutti diventare ciò che riceviamo: anche noi corpo di Cristo.E allora capiamo che Dio non è venuto nel mondo con il semplice obiettivo di perdonare i nostri peccati. Sarebbe una visione riduttiva, sia di Dio che dell’uomo.Il suo progetto è molto più grande, alto, potente: portare cielo nella terra, Dio nell’uomo, vita immensa in questa vita piccola. Molto più del perdono dei peccati: è venuto a portare se stesso. Siamo abituati a pensare Dio come Padre, portatore di quell’amore che ci è necessario per venire alla vita; ma Dio è anche Madre, che nutre di sé i suoi figli, li nutre al suo petto, con il suo corpo.
Ed è anche Sposo, amore esuberante che cerca risposta. Dice Gesù: i miei discepoli non digiunano finché lo sposo è con loro. E l’incontro con lui è come per gli amanti del Cantico: dono e gioia, intensità e tenerezza, fecondità e fedeltà. Nel suo corpo Gesù ci dà tutta la sua storia, di come amava, come piangeva, come gioiva, ciò che lo univa agli altri: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore.Prendete questo corpo, vuol dire: fate vostro questo mio modo di stare nel mondo, il mio modo libero e regale di avere cura e passione per ogni forma di vita.Con il suo corpo Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago, volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo passaggio.
Con il suo sangue, ci comunica il rosso della passione, la fedeltà fino all’estremo. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio. Che si estende fino ad abbracciare tutto ciò che vive quaggiù sotto il sole, i poveri, gli scartati, e poi i nostri fratelli minori, le piccole creature, il filo d’erba, l’insetto con il suo misterioso servizio alla vita, in un rapporto non più alterato dal verbo prendere o possedere, ma illuminato dal più generoso, dal più divino dei verbi: donare.

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