LA GIUSTIFICAZIONE PER MEZZO DELLA FEDE – 2 – DI JOACHIM JEREMIAS
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LA GIUSTIFICAZIONE PER MEZZO DELLA FEDE – 2 – DI JOACHIM JEREMIAS
Testo tratto da J. Jeremias, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, trad. it. Paideia, Brescia 1968 (ed. or. Stuttgart 1962), pp. 57-81.
Giustificazione e nuova creazione
Se facciamo un elenco dei passi paolini in cui ricorre la formula della giustificazione, ci imbattiamo in un fatto sorprendente e spesso trascurato: la dottrina della giustificazione manca completamente nella maggior parte delle epistole paoline. Se prendiamo le più antiche tra esse, le due lettere ai Tessalonicesi, non ne troviamo traccia.
Nella prima lettera, l’avverbio dikaíos indica il comportamento irreprensibile dell’apostolo (1Ts 2,10). Nella seconda, il giudizio di Dio è chiamato “giusto giudizio”, e Dio è chiamato “giusto” perché il suo giudizio è imparziale (2Ts 1,5 s.). Questi giudizi non hanno nulla che fare con la dottrina della giustificazione.
In Gal, che cronologicamente è la lettera successiva, la formula completa “giustificazione dalla fede” o “essere giustificato dalla fede” appare improvvisamente per la prima volta. Nelle due lettere ai Corinzi, dikaiosyne ha il senso di “salvezza”, ed “essere giustificato” appare almeno una volta (1Cor 6,11) nel senso specificamente paolino: ma in nessun luogo di queste due lettere appare la formula completa di “giustificazione dalla fede”.
Quindi troviamo la formula completa, con grande frequenza, nella lettera ai Romani. Ma, di nuovo, essa è assente nelle epistole della cattività e cioè nelle lettere ai Filippesi, agli Efesini, ai Colossesi, a Filemone, eccetto che in Fil 3,9, dove la dikaiosyne (salvezza) per mezzo della Legge è contrapposta alla dikaiosyne (salvezza) di Dio mediante la fede. Le epistole pastorali non contengono la formula completa, benché Tit 3,7 usi la variante seguente: “giustificato mediante la sua grazia”.
Così la formula completa “giustificazione dalla fede” o “esser giustificato dalla fede” è limitata alle tre epistole ai Galati, Romani e Filippesi (e nell’ultima a un versetto soltanto), a cui si può aggiungere Tit 3,7. Questo è un fatto molto singolare. Come lo si può spiegare?
La risposta è che la dottrina ricorre esclusivamente là dove Paolo polemizza col giudaismo. Certamente W. Wrede [1] aveva ragione quando concludeva che la dottrina della giustificazione era una dottrina polemica, originata dalla disputa con l’ebraismo e la sua teologia nomistica. Ma il Wrede andò oltre e, dall’uso limitato della formula, concludeva che la dottrina della giustificazione non era il centro della teologia paolina. A. Schweitzer [2] lo seguì con la frase divenuta ora famosa: la dottrina della giustificazione è soltanto un “cratere sussidiario, formatosi entro l’alveo del cratere principale” della mistica vista in Cristo, esperimentata da Paolo. Ma è proprio vero questo? Io non lo penso.
Sia Wrede che Schweitzer si sono lasciati fuorviare per non essersi posti la seguente domanda: come viene concessa la giustificazione? Come fa Dio ad accettare l’empio? Su questo punto noi ora siamo in grado di vedere meglio, perché negli ultimi decenni abbiamo appreso che tale dono divino viene concesso nel battesimo. Ciò è deducibile, per es., da 1Cor 6,11, ove il verbo “esser giustificato” è accompagnato da termini e formule battesimali: «Ma foste lavati, santificati, giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (cf. inoltre Gal 3,24-27; Rm 6,7; Tit 3,5-7).
Paolo non accentua in modo esplicito il legame tra giustificazione e battesimo per il semplice motivo che l’espressione «per la fede», inclusa nelle formule ove ricorre il termine di giustificazione, comprende già il battesimo, perché, come ha dimostrato in modo convincente R. Schnackenburg [3], essa è l’abbreviazione di un’espressione più lunga. Il legame tra giustificazione e battesimo è così pacifico per Paolo che egli non ritiene necessario spendere molte parole per affermare che è proprio nel battesimo che Dio salva chi crede in Cristo Gesù.
È necessario a questo punto ricordare a noi stessi che Paolo parla e scrive come un missionario. Nella attività missionaria, il battesimo era l’atto decisivo, attraverso il quale chi, gentile o giudeo che fosse, aveva aderito alla buona novella ed era deciso di entrare nella comunità cristiana, era inserito fra coloro che appartenevano a Gesù come loro Signore. Per questo Paolo sottolinea costantemente l’importanza del battesimo e ricorre ad una moltitudine di immagini per illustrare ai neo-convertiti che cosa significhi per loro questo rito. Egli dice loro: «Quando siete battezzati voi venite lavati; siete purificati, santificati; venite sepolti nell’acqua e con questa sepoltura siete associati alla morte e alla resurrezione di Cristo; vi siete rivestiti di Cristo e incorporati nel suo corpo; siete adottati e diventate figli di Dio; siete circoncisi, ma con una circoncisione non fatta da mano d’uomo, in altre parole, diventate membri del popolo di Dio; in breve, venite introdotti nel regno».
La formula “giustificazione per la fede” è appunto una di queste molteplici espressioni illustrative. Essa descrive la grazia che Dio accorda nel battesimo col ricorso ad un’immagine che originariamente apparteneva al dominio giuridico, e significa: la grazia che Dio accorda nel battesimo consiste nel suo perdono gratuito. Ed è in contrasto col giudaismo che Paolo offre questa presentazione della grazia del battesimo. Non si tratta, perciò, di un “cratere sussidiario”, ma di un’immagine che ha la stessa importanza delle altre usate per descrivere la grazia del battesimo. Si veda di nuovo 1Cor 6,11: «Ma voi siete lavati, siete santificati, siete giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio».
Questa precisazione ha una conseguenza di grande portata, e cioè che la dottrina della giustificazione per la fede non dovrebbe restare isolata. Essa può essere compresa soltanto se connessa con tutte le altre affermazioni sul battesimo. La grazia che Dio ci dà per mezzo del battesimo è così ricca che Paolo usa i vari paragoni ed immagini per esprimerne di volta in volta i singoli aspetti. Se egli parla di abluzioni, l’accento è posto sulla rimozione delle impurità dell’esistenza precedente. Se egli usa l’immagine del “rivestirsi di Cristo” presa a prestito dal linguaggio mistico, viene sottolineata la comunione, e persino unità, col Signore risorto. Lo stesso concetto con la nota addizionale dell’unità dei cristiani tra di loro, è espresso dall’immagine dell’incorporazione nel corpo di Cristo. Se egli adopera l’espressione “la circoncisione di Cristo” vuole indicare l’aggregazione al nuovo popolo di Dio. Infine, quando egli adotta il vocabolario della giustificazione, di origine forense, intende affermare che chi agisce è Dio solo. L’uomo non fa nulla: Dio fa tutto.
Ancora una volta nessuna immagine singola può esaurire la ricchezza senza limiti della grazia di Dio. Piuttosto, ognuna di esse è solo una pars pro toto, un’illustrazione particolare che sta in funzione dell’intero dono. Perciò l’isolare l’immagine forense potrebbe condurre alla conclusione errata che farebbe consistere la grazia concessa da Dio nel battesimo in una entità puramente giuridica, riducendola ad un semplice “come se”: Iddio accoglie l’empio e lo tratta come se egli fosse giusto.
Ciò risultò molto chiaramente nel 1924 in una interessante controversia tra R. Bultmann e H. Windisch, in un’epoca in cui la teologia dialettica era di moda. Il Bultmann scrisse sul “Problema dell’etica in Paolo” [4]. Il suo argomento era il problema dell’apparente contraddizione tra indicativo e imperativo, cioè l’antinomia paradossale che troviamo ad esempio in 1Cor 5,7: «Purificatevi dal vecchio lievito così che diveniate un impasto nuovo, come in realtà siete azzimi (non-lievitati)», o in Gal 5,25: «Se noi viviamo per mezzo dello Spirito cerchiamo, anche, di camminare per lo Spirito».
Il Bultmann rigettava assai energicamente e convincentemente alcuni tentativi fatti in precedenza di trovare una soluzione meramente psicologica di questo problema. In contrasto, egli accentuava il carattere escatologico della giustificazione divina. Egli insisteva giustamente sul fatto che la giustificazione non è un cambiamento nelle qualità morali degli uomini, che non è un’esperienza simile alle esperienze mistiche, e che può essere percepita solo per mezzo della fede. Ma penso che egli si sbagliasse quando aggiungeva che la continuità tra il vecchio e il nuovo uomo non è interrotta, che cioè il credente non cessa di essere empio e che egli viene sempre giustificato solo in quanto persona empia.
Il Bultmann stesso confessava che in Paolo non si trovava una simile affermazione. Ma egli sosteneva che Paolo non aveva dedotto tutte le conclusioni dei principi che aveva posto e che era uno dei compiti dell’esegesi moderna di rendere esplicito quanto Paolo aveva sottaciuto. Il Windisch contraddisse il Bultmann nello stesso 1924 in un articolo intitolato “II problema dell’imperativo paolino” [5]. Il Windisch era un esponente della vecchia scuola liberale, come dimostrano chiaramente parecchie delle sue asserzioni. Egli seppe, tuttavia, rilevare il punto debole della tesi del Bultmann. Egli notò ironicamente che Paolo evidentemente aveva urgente bisogno di seguire le lezioni di Karl Barth e, forse, di Rudolf Bultmann (p. 278). Contro il Bultmann egli insistette che stando al pensiero dell’apostolo la continuità tra il vecchio e il nuovo è completamente spezzata, così radicalmente come succede nella morte e risurrezione. 2Cor 5,17 afferma: «Se uno è in Cristo, egli è una nuova creazione». Per dirla in breve, il pneûma è una realtà che prende possesso del battezzato e spezza la continuità tra la vecchia e la nuova esistenza.
Questa controversia è istruttiva in quanto la posizione del Bultmann (che tra l’altro, abbandonò nella sua Theology of the New Testament) mostra quanto sia pericoloso isolare la dottrina della giustificazione. Se noi sosteniamo che il credente non cessa di essere empio e se la giustificazione consiste semplicemente in un cambiamento del giudizio di Dio, allora ci avviciniamo pericolosamente all’equivoco che la giustificazione sia solo un “come se”. Tale non era certamente l’intenzione di Paolo.
Abbiamo visto che per lui la giustificazione era solo uno dei molti tentativi di descrivere l’inesauribile e inesprimibile ricchezza della grazia di Dio e che, se vogliamo metterla nel suo giusto contesto, dobbiamo inserire la giustificazione nel complesso dei detti che interpretano il battesimo. Ora il comune denominatore di tutte le affermazioni sul battesimo è che esse descrivono l’azione gratuita di Dio in quanto produce una nuova creazione («Se alcuno è in Cristo, egli è una nuova creazione»). E questa nuova creazione, continua Paolo, ha due facce: «La vecchia è scomparsa, ecco, la nuova è apparsa» (2Cor 5,17). La vecchia esistenza è giunta alla fine; il peccato è lavato via; la schiavitù della carne e delle forze delle tenebre, Legge compresa, è spezzato. Una nuova vita comincia: il dono dello Spirito di Dio è concesso e si manifesta effettivamente come una forza. Chiunque è incorporato in Cristo non resta immutato. Cristo è la sua vita (Col 3,4); Cristo è la sua pace (Ef 2,14). Troviamo sempre i due aspetti: Dio ci ha liberato dal potere delle tenebre e ci ha trasferito nel regno del suo amato Figlio (Col 1,13).
Ciò è vero anche della giustificazione. Benché sia assolutamente certo che la giustificazione è e rimane un’azione giuridica, un’amnistia di Dio, tuttavia il riferimento forense è superato. L’assoluzione di Dio non è soltanto declaratoria, non è un “come se”, non una pura parola, ma è la parola di Dio che opera e crea la vita. La parola di Dio è sempre una parola effettiva. Il perdono, la benevolenza che Dio concede, non è soltanto negativa, cioè una cancellazione del passato, ma è una antedonazione del dono finale di Dio (la parola “anticipazione”, che ci si potrebbe aspettare di vedere usata qui, è una espressione infelice, perché deriva dal latino anticipere che significa “prendere prima”. Il senso di questo punto sembra esser reso assai meglio dal termine “ante donazione”, che significa una “donazione fatta prima”).
In quanto antedonazione dell’assoluzione finale di Dio, la giustificazione è perdono nel senso più pieno. Essa è il principio di una nuova vita, una nuova esistenza: è una nuova creazione mediante il dono dello Spirito Santo. Come fu detto da Lutero: «Dov’è la remissione del peccato, là è la vita e la salvezza».
La nuova vita in Cristo, data nel battesimo, è rinnovata continuamente nell’Eucarestia. È vero che il verbo “essere giustificato” non appare quando Paolo parla della Cena del Signore. Ma ciò non deve destar meraviglia, se si considera che Paolo parla lungamente ma incidentalmente, dell’Eucarestia soltanto nei capitoli 10 e 11 di 1Cor che trattano di questioni pratiche, cioè del sacrificio offerto agli idoli e della spartizione del pasto con i fratelli poveri. Entrambe queste sezioni, specialmente 1Cor 10,16, mostrano che secondo Paolo l’Eucarestia trasmette lo stesso dono del battesimo: una partecipazione alla morte vicaria di Cristo e alla comunione del suo corpo. Così, l’Eucarestia rinnova la grazia di Dio data nel battesimo. Di questa grazia, la giustificazione è solo una delle tante descrizioni.
In quanto antedonazione della salvezza finale di Dio, la giustificazione è proiettata verso il futuro. Essa partecipa della duplice natura di tutti i doni di Dio: essi sono possesso presente e tuttavia oggetti di speranza. La giustificazione è un solido possesso presente (Rm 5,1, etc.) e ciononostante si colloca nello stesso tempo nel futuro, come è messo in rilievo, ad esempio, in Gal 5,5: «Perché mediante lo Spirito, per fede, noi attendiamo la speranza della salvezza (dikaiosyne)».
La giustificazione, quindi, è l’inizio di un moto verso un fine, e precisamente verso l’ora della giustificazione definitiva, dell’assoluzione nel giorno del giudizio, quando si realizzerà la piena donazione. Per questa ragione, la giustificazione del peccatore da parte di Dio non è possesso inerte, ma piuttosto impone un’obbligazione. Il dono di Dio può andar perduto. Il giustificato sta ancora nel timore di Dio. La giustificazione ha luogo nella tensione tra possesso e speranza. Ma è speranza fondata su solide fondamenta.
In Rm 5,8 s. leggiamo: «Dio mostra il suo amore per noi in questo, che mentre eravamo ancora peccatori Cristo morì per noi. Poiché, quindi, noi siamo ora giustificati dal suo sangue, assai più saremo salvati da lui dalla collera di Dio». Questa non è una conclusione a minori ad maius bensì a maiori ad minus. Dio ha fatto la cosa più grande: Cristo è morto per noi mentre noi eravamo peccatori – quanto più quindi, essendo giustificati, possiamo esser certi che egli ci concederà la salvezza finale.
Per riassumere: resta vero che la giustificazione è perdono, null’altro che perdono. Ma la giustificazione è perdono nel senso più pieno. Non è soltanto un ricoprire semplicemente il passato. È piuttosto una antedonazione della salvezza piena; è una nuova creazione dallo Spirito di Dio; è Cristo che prende possesso della vita già ora, già quaggiù.
Note
[1] W. Wrede, Paulus, Tübingen 1904 (trad. ingl. Paul, London 1907).
[2] A. Schweitzer, Die Mystik des Apostels Paulus, Tübingen 1930, p. 220 (trad. ingl. The Mysticism of Paul the Apostle, London 1931, p. 225).
[3] R. Schnackenburg, Das Heilgeschehen bei der Taufe nach dem Apostel Paulus, München 1950, p. 120.
[4] R. Bultmann, Das Problem der Ethik bei Paulus, “Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft” 23 (1924), pp. 123-140.
[5] H. Windisch, Das Problem des paulinischen Imperativs, “Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft” 23 (1924), pp. 265-281.
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