XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) (30/07/2017)
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L’abbraccio che trasforma
dom Luigi Gioia
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) (30/07/2017)
Le parabole del vangelo odierno ci invitano a interrogarci su una delle espressioni che vi ricorrono più frequentemente, vale a dire regno dei cieli. Dimora, nel vangelo di Matteo, qualcosa della tendenza della pietà ebraica a non nominare il nome di Dio invano. Quando dunque parla del ‘regno dei cieli’ vuole dire ‘regno di Dio’. Quindi l’espressione ‘regno dei cieli’ indica l’atto attraverso il quale Dio regna, l’intervento del Signore nella storia e nella vita di ognuno di noi. È come se all’inizio di ognuna di queste parabole Matteo dicesse: “Ecco come il Signore interviene nella storia. Ecco come agisce in ognuna delle nostre vite”.
Cerchiamo cosa questo voglia dire nel caso dell’ultima di queste piccole parabole: Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. È una immagine ispirata al lavoro degli apostoli ed affronta uno degli aspetti spinosi dell’azione del Signore: se Dio è presente e attivo nella storia, perché c’è così tanto male? Perché facciamo così tanto e così spesso l’esperienza della sofferenza? Perché ci succedono cose che sembrano senza senso? Perché l’assurdità del trionfo di coloro che fanno il male? Perché la malattia? Perché la morte?
La risposta di questa parabola è che il Signore non interviene nella storia forzandola, ma abbracciandola. Come questa rete gettata nel mare, il Signore avvolge tutto, assume tutto, buoni e cattivi, il bene e il male. Il Signore circonda ciascuno di noi non solo con il bene che generiamo, ma anche con il male che causiamo, purtroppo spesso eco di quello che abbiamo subito.
Il Signore non prende il nostro posto. Restiamo responsabili delle nostre scelte, delle nostre decisioni. Quando commettiamo il male non possiamo dire che è il Signore che lo fa o che lo permette: ne siamo noi i soli responsabili. Allo stesso modo, quando subiamo il male, non possiamo dire che è Dio che ce lo manda o che è Dio che lo permette: sono le altre persone che commettono il male. Il Signore odia questo male e lo combatte non eliminandolo ma, come abbiamo visto, assumendolo, abbracciandolo, trasformandolo.
La rete, di cui parla la parabola del regno dei cieli, è stata lanciata quando Gesù ha steso le sue braccia sul legno della croce. Noi pensavamo di starlo inchiodando, di starlo immobilizzando, di starlo eliminando, ed invece lui trasformava queste braccia tese e inchiodate in un abbraccio che si estendeva a tutta l’umanità, a cominciare dalle persone che lo stavano uccidendo. Questo senso è espresso eloquentemente nei crocifissi giotteschi dove si vede un Gesù crocifisso molto sereno, con le braccia distese, non tanto inchiodate sulla croce, quanto aperte in questa stretta universale che circonda tutto il mondo e ciascuno di noi. La rete con la quale egli cattura la storia e le nostre vite è il suo amore, la sua misericordia, la sua pazienza, la sua mitezza, il suo perdono.
La stessa verità è espressa con altre parole da Paolo nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, quando dice: Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene di quelli che amano Dio, – tutto vi concorre, sia il bene che il male – di coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Un tale atto di fede di Paolo riposa sulla promessa di Gesù secondo la quale: Tutti i capelli del nostro capo sono contati, tutte le nostre lacrime il Signore le vede, e come dice il libro dell’Apocalisse, tutte queste lacrime lui stesso, il Signore, le asciugherà nel giorno nel quale ci accoglierà nel regno dei cieli.
Il modo nel quale il Signore trasforma la storia è questo. Se già ora il eliminasse il male, se prendesse solo i pesci buoni nella sua rete, nessuno di noi si salverebbe. Se l’abbraccio del crocifisso avvolgesse solo i giusti, saremmo tutti fuori, perché il male è nel cuore di ognuno di noi. Per questo il Signore preferisce prendere il male su di sé lasciandosi crocefiggere. Per questo non elimina il male, la sofferenza che ciascuno di noi quotidianamente subisce e quotidianamente – a volte anche involontariamente – infligge: perché il suo modo di vincere il male non è di farlo scomparire magicamente, ma di trasformarlo con la potenza del suo amore, della sua mitezza, della sua pazienza e del suo perdono.
Questo è il modo nel quale anche noi, nelle nostre vite, siamo invitati a trasformare il male, sia quello che subiamo che quello che infliggiamo, in bene. Il Vangelo, lo sappiamo, vuol dire ‘buona novella’, ‘buona notizia’. La buona notizia per ciascuno di noi oggi è che tanto il male che subiamo quanto quello che facciamo può, grazie all’amore del Signore, essere riparato, trasformato, convertito e così contribuire al bene. Possiamo così lasciarci consolare dalla promessa di Paolo e ripetercela per farne lo strumento della consolazione dello Spirito: Nella fede e nella speranza tutto concorre al bene di coloro che Dio ama, di coloro che amano Dio.
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