CATECHESI DI BENEDETTO XVI 9 – L’ATTESA DELLA « PARUSIA » DI GESÙ E L’IMPEGNO IN QUESTO MONDO

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CATECHESI DI BENEDETTO XVI 9 – L’ATTESA DELLA « PARUSIA » DI GESÙ E L’IMPEGNO IN QUESTO MONDO

Il Papa ha concluso le illuminate catechesi su San Paolo parlando della « parusia », ossia dell’avvento definitivo di Cristo che si manifesterà alla fine dei tempi.
Riprendiamo i temi della catechesi paolina che Benedetto XVI ha svolto nelle udienze generali della prima parte dell’Anno Paolino, terminando con questo numero di Giugno, che è pure il mese conclusivo dell’anno in onore dell’Apostolo delle genti.
Il Papa ha trattato della parusia secondo l’insegnamento di San Paolo, partendo dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, dove l’Apostolo «parla di questo ritorno di Gesù, chiamato parusia, avvento, nuova e definitiva e manifesta presenza del Cristo (cfr 1Ts 4,13-18)».

La parusia, ragione di salda speranza
«Ogni discorso cristiano – affermava Benedetto XVI – parte sempre dall’evento della Risurrezione» il quale è in stretto rapporto sia con il tempo presente, nel quale si costruisce il Regno di Dio, sia con il futuro, quando « Cristo consegnerà il Regno al Padre ». San Paolo, osservava il Papa, spiega che « la parusia – all’inizio ritenuta imminente dai primi Cristiani – è un motivo di salda speranza », così come lo è per noi, cristiani di venti secoli dopo.
«Alla fine saremo sempre con il Signore. È questo, al di là delle immagini, il messaggio essenziale: il nostro futuro è ‘essere con il Signore’; in quanto credenti, nella nostra vita noi siamo già con il Signore; il nostro futuro, la vita eterna, è già cominciata».
Il Cristo giudice della fine dei tempi è insieme il Salvatore misericordioso. (Abside, Basilica di San Paolo, Roma).
Il Cristo giudice della fine dei tempi è insieme il Salvatore misericordioso.
(Abside, Basilica di San Paolo, Roma).
Tuttavia, ha proseguito il Pontefice: «L’attesa della parusia di Gesù non dispensa dall’impegno in questo mondo, ma al contrario crea responsabilità davanti al Giudice divino circa il nostro agire nel mondo. Proprio così cresce la nostra responsabilità di lavorare in e per questo mondo».
In definitiva, ha concluso Benedetto XVI, dagli insegnamenti di San Paolo si deducono alcuni punti fissi, a partire dall’ »universalità della chiamata alla fede » alla certezza che il cristiano risorgerà « con Cristo »: una certezza, questa, che vince ogni tipo di paura, compresa quella della morte: «In Cristo il mondo futuro è già cominciato, questo dà anche certezza della speranza. Il futuro non è un buio nel quale nessuno si orienta. Non è così. Senza Cristo, anche oggi per il mondo il futuro è buio, c’è tanta paura del futuro. Il cristiano sa che la luce di Cristo è più forte e perciò vive in una speranza non vaga, in una speranza che dà certezza e dà coraggio per affrontare il futuro».

Attendiamo la sua venuta
Ma ecco una sintesi della catechesi pronunziata da Papa Benedetto: « (…) il tema della Risurrezione (…) apre una nuova prospettiva, quella dell’attesa del ritorno del Signore, e perciò ci porta a riflettere sul rapporto tra il tempo presente, tempo della Chiesa e del Regno di Cristo, e il futuro (éschaton) che ci attende, quando Cristo consegnerà il Regno al Padre (cfr 1Cor 15,24). Ogni discorso cristiano sulle cose ultime, chiamato escatologia, parte sempre dall’evento della Risurrezione: in questo avvenimento le cose ultime sono già incominciate e, in un certo senso, già presenti.
Probabilmente nell’anno 52, San Paolo ha scritto la prima delle sue Lettere, la Prima Lettera ai Tessalonicesi, «dove parla di questo ritorno di Gesù, chiamato parusia, avvento, nuova e definitiva e manifesta presenza (cfr 4,13-18)».
Ai Tessalonicesi, che hanno i loro dubbi e i loro problemi, l’Apostolo scrive così: « Se infatti crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti » (ibid. 4,14). E continua: « Prima risorgeranno i morti in Cristo, quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così saremo sempre con i l Signore » ( ibid. 4,1617). Paolo descrive la parusia di Cristo con accenti quanto mai vivi e con immagini simboliche, che trasmettono però un messaggio semplice e profondo: alla fine saremo sempre con il Signore.
Nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi Paolo cambia la prospettiva: parla di eventi negativi, che dovranno precedere quello finale e conclusivo. Non bisogna lasciarsi ingannare, ci avverte, come se il giorno del Signore fosse davvero imminente, secondo un calcolo cronologico: « Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! » (ibid. 2,13).
Il prosieguo di questo testo annuncia che prima dell’arrivo del Signore vi sarà l’apostasia e dovrà essere rivelato un non meglio identificato ‘uomo iniquo’, il ‘figlio della perdizione’ (ibid. 2,3), che la tradizione chiamerà poi l’Anticristo.
Ma l’intenzione di questa Lettera di San Paolo è innanzitutto pratica; egli scrive: « Quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuol lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni tra di voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità » (ibid. 3,1012). In altre parole, l’attesa della parusia di Gesù non dispensa dall’impegno in questo mondo, ma al contrario crea responsabilità davanti al Giudice divino circa il nostro agire in questo mondo.
La stessa cosa e lo stesso nesso tra parusia – ritorno del Giudice/ Salvatore – e impegno nostro nella nostra vita appare in un altro contesto e con nuovi aspetti nella Lettera ai Filippesi. Paolo è in carcere e aspetta la sentenza che può essere di condanna a morte. In questa situazione pensa al suo futuro essere con il Signore, ma pensa anche alla Comunità di Filippi che ha bisogno del proprio padre, di Paolo, e scrive: « Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti tra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede, affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno tra voi » (Fil 1,2126).

Atteggiamenti fondamentali del cristiano per il futuro
Papa Benedetto XVI ha così proseguito: «Ma quali sono gli atteggiamenti fondamentali del cristiano riguardo alle ‘cose ultime’: la morte, la fine del mondo? Il primo atteggiamento è la certezza che Gesù è risorto, è col Padre, e proprio così è con noi, per sempre. E nessuno è più forte di Cristo, perché Egli è col Padre, è con noi. Siamo perciò sicuri, liberati dalla paura (…). Cristo vive, ha vinto la morte e ha vinto tutti i poteri del male. In questa certezza, in questa libertà, in questa gioia viviamo. Questo è il primo aspetto del nostro vivere riguardo al futuro.
In secondo luogo, la certezza che Cristo è con me. E come in Cristo il mondo futuro è già cominciato, questo dà anche certezza della speranza. (…) Senza Cristo, anche oggi per il mondo il futuro è buio, c’è tanta paura del futuro (…).
Infine, il terzo atteggiamento. Il Giudice che ritorna – Cristo è giudice e salvatore insieme –, ci ha lasciato l’impegno di vivere in questo mondo secondo il suo modo di vivere. Ci ha consegnato i suoi talenti. Perciò il nostro terzo atteggiamento è: responsabilità per il mondo, per i fratelli davanti a Cristo, e nello stesso tempo anche certezza della sua misericordia. Ambedue le cose sono importanti. Non viviamo come se il bene e il male fossero uguali, perché Dio può essere solo misericordioso. Questo sarebbe un inganno. In realtà, viviamo in una grande responsabilità. Abbiamo i talenti, siamo incaricati di lavorare perché questo mondo si apra a Cristo, sia rinnovato (…).
Infine, un ultimo punto che forse appare un po’ difficile per noi. San Paolo, alla conclusione della sua Seconda Lettera ai Corinzi, ripete e mette in bocca anche ai Cristiani di Corinto una preghiera nata nelle prime Comunità cristiane dell’area palestinese: « Maranà, thà! », che letteralmente significa: « Signore nostro, vieni! » (ibid 16,22). Era la preghiera della prima Cristianità; e anche l’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, si chiude con questa preghiera: « Signore, vieni! ». Possiamo pregare anche noi così? Mi sembra che per noi oggi, nella nostra vita, nel nostro mondo, al di là di tante situazioni contrastanti, anche noi possiamo dire, con la prima Cristianità: « Vieni, Signore Gesù! »».

Olinto Crespi

 

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