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una preghiera

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Publié dans:immagini sacre |on 25 janvier, 2017 |Pas de commentaires »

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO (2006)

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2006/01/25/0048/00129.html

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO,

A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI, 25.01.2006

Alle 17.30 di questo pomeriggio, nella Patriarcale Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: « Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ».
Pendono parte alla celebrazione Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso del rito:

OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
In questo giorno, nel quale si celebra la conversione dell’apostolo Paolo, concludiamo, riuniti in fraterna assemblea liturgica, l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. E’ significativo che la memoria della conversione dell’Apostolo delle genti coincida con la giornata finale di questa importante Settimana, in cui con particolare intensità domandiamo a Dio il dono prezioso dell’unità tra tutti i cristiani, facendo nostra l’invocazione che Gesù stesso elevò al Padre per i suoi discepoli: « perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17,21). L’aspirazione di ogni Comunità cristiana e di ogni singolo fedele all’unità e la forza per realizzarla sono un dono dello Spirito Santo e vanno di pari passo con una sempre più profonda e radicale fedeltà al Vangelo (cfr Enc. Ut unum sint, 15). Ci rendiamo conto che alla base dell’impegno ecumenico c’è la conversione del cuore, come afferma chiaramente il Concilio Vaticano II: « Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dalla liberissima effusione della carità » (Decr. Unitatis redintegratio, 7).
Deus caritas est (1 Gv 4,8.16), Dio è amore. Su questa solida roccia poggia tutta intera la fede della Chiesa. In particolare, si basa su di essa la paziente ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo: fissando lo sguardo su questa verità, culmine della divina rivelazione, le divisioni, pur mantenendo la loro dolorosa gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano. Il Signore Gesù, che con il sangue della sua Passione ha abbattuto « il muro di separazione » dell’ »inimicizia » (Ef 2,14), non mancherà di concedere a quanti lo invocano con fede la forza per rimarginare ogni lacerazione. Ma occorre sempre ripartire da qui: Deus caritas est. Al tema dell’amore ho voluto dedicare la mia prima Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma, ben più in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell’amore di Dio, dell’Amore che è Dio. Se già sotto il profilo umano l’amore si manifesta come una forza invincibile, che cosa dobbiamo dire noi, che « abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi » (1 Gv 4,16)? L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme. E’ il mistero della comunione, che come unisce l’uomo e la donna in quella comunità d’amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d’amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d’amore è posta la Chiesa di Roma che, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia, « presiede alla carità » (Ad Rom 1,1). Davanti a voi, cari fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l’affidamento a Dio del mio peculiare ministero petrino, invocando su di esso la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti i cristiani.
Il tema dell’amore lega in profondità le due brevi letture bibliche dell’odierna liturgia vespertina. Nella prima, la carità divina è la forza che trasforma la vita di Saulo di Tarso e ne fa l’Apostolo delle genti. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san Paolo confessa che la grazia di Dio ha operato in lui l’evento straordinario della conversione: « Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana » (1 Cor 15,10). Da una parte sente il peso di essere stato di ostacolo alla diffusione del messaggio di Cristo, ma nel contempo vive nella gioia di avere incontrato il Signore risorto e di essere stato illuminato e trasformato dalla sua luce. Egli conserva una costante memoria di quell’evento che ha cambiato la sua esistenza, evento talmente importante per la Chiesa intera che negli Atti degli Apostoli vi si fa riferimento ben tre volte (cfr At 9,3-9; 22,6-11; 26,12-18). Sulla via di Damasco, Saulo sentì lo sconvolgente interrogativo: « Perché mi perseguiti? ». Caduto a terra e interiormente turbato, domandò: « Chi sei, o Signore? », ottenendo quella risposta che è alla base della sua conversione: « Io sono Gesù, che tu perseguiti » (At 9,4-5). Paolo comprese in un istante ciò che avrebbe espresso poi nei suoi scritti, che la Chiesa forma un corpo unico di cui Cristo è il Capo. Così, da persecutore dei cristiani diventò l’Apostolo delle genti.
Nel brano evangelico di Matteo, che poc’anzi abbiamo ascoltato, l’amore opera come principio che unisce i cristiani e fa sì che la loro preghiera unanime venga esaudita dal Padre celeste. Dice Gesù: « Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà » (Mt 18,19). Il verbo che l’evangelista usa per « si accorderanno » è synphonesosin: c’è il riferimento ad una « sinfonia » dei cuori. E’ questo che ha presa sul cuore di Dio. L’accordo nella preghiera risulta dunque importante ai fini del suo accoglimento da parte del Padre celeste. Il chiedere insieme segna già un passo verso l’unità tra coloro che chiedono. Ciò non significa certamente che la risposta di Dio venga in qualche modo determinata dalla nostra domanda. Lo sappiamo bene: l’auspicato compimento dell’unità dipende in primo luogo dalla volontà di Dio, il cui disegno e la cui generosità superano la comprensione dell’uomo e le sue stesse richieste ed attese. Contando proprio sulla bontà divina, intensifichiamo la nostra preghiera comune per l’unità, che è un mezzo necessario e quanto mai efficace, come ha ricordato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint: « Sulla via ecumenica verso l’unità, il primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso » (n. 22).
Analizzando poi più profondamente questi versetti evangelici, comprendiamo meglio la ragione per cui il Padre risponderà positivamente alla domanda della comunità cristiana: « Perché – dice Gesù – dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ». E’ la presenza di Cristo che rende efficace la preghiera comune di coloro che sono riuniti nel suo nome. Quando i cristiani si raccolgono per pregare, Gesù stesso è in mezzo a loro. Essi sono uno con Colui che è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: « Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20) » (Sacrosanctum Concilium, 7).
Commentando questo testo dell’evangelista Matteo, san Giovanni Crisostomo si chiede: « Ebbene, non ci sono due o tre che si riuniscono nel suo nome? Ci sono – egli risponde – ma raramente » (Omelie sul Vangelo di Matteo, 60, 3). Questa sera provo un’immensa gioia nel vedere una così nutrita ed orante assemblea, che implora in modo « sinfonico » il dono dell’unità. A tutti e a ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto con particolare affetto i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di questa Città, uniti nell’unico battesimo, che ci fa membra dell’unico Corpo mistico di Cristo. Sono appena trascorsi 40 anni da quando, proprio in questa Basilica, il 5 dicembre del 1965, il Servo di Dio Paolo VI, di felice memoria, celebrò la prima preghiera comune, a conclusione del Concilio Vaticano II, con la solenne presenza dei Padri conciliari e la partecipazione attiva degli Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. In seguito, l’amato Giovanni Paolo II ha continuato con perseveranza la tradizione di concludere qui la Settimana di preghiera. Sono certo che questa sera entrambi ci guardano dal Cielo e si uniscono alla nostra preghiera.
Fra coloro che prendono parte a questa nostra assemblea vorrei specialmente salutare e ringraziare il gruppo dei delegati di Chiese, di Conferenze Episcopali, di Comunità cristiane e di organismi ecumenici che avviano la preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea, in programma a Sìbiu, in Romania, nel settembre del 2007, sul tema: « La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa ». Sì, cari fratelli e sorelle, noi cristiani abbiamo il compito di essere, in Europa e tra tutti i popoli, « luce del mondo » (Mt 5,14). Voglia Iddio concederci di raggiungere presto l’auspicata piena comunione. La ricomposizione della nostra unità darà maggiore efficacia all’evangelizzazione. L’unità è la nostra comune missione; è la condizione perché la luce di Cristo si diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati. Quanta strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna. Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell’unità e della pace.

SUI PASSI DI PAOLO IN TURCHIA, « CULLA » DEL CRISTIANESIMO (2008)

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_brogi3.htm

SUI PASSI DI PAOLO IN TURCHIA, « CULLA » DEL CRISTIANESIMO (2008)

Antiochia, Efeso, Tarso, Iconio, Cesarea di Cappadocia…
A pochi giorni dall’apertura dell’ »Anno Paolino », il 29 giugno,
ecco cosa resta del passaggio dell’ »Apostolo delle Genti » in Asia Minore.
Là dove sbocciò la Chiesa, e oggi dominano « islam » e « laicismo atatürkiano ».

Dal nostro inviato in Turchia, Anna Maria Brogi
(« Avvenire », 8/6/’08)

Sventola la bandiera con la mezzaluna e la stella su fondo rosso, davanti alla Chiesa di San Pietro ad Antiochia. Sventola per affermare il primato statale. Da questa balconata naturale sulla città e sul Mediterraneo, più che a una Chiesa si accede a una grotta, scavata dall’acqua nel Monte Staurino. O meglio a un sito « museale », come rivela la biglietteria. Per entrare sul « sagrato-terrazza », con i pini e gli olivi, ci vogliono cinque lire turche (due euro e mezzo).
Il panorama le vale. Nella Chiesa solo un altare spoglio, una statuetta di Pietro e il « trono » del Santo. Collocati negli anni Trenta, sono posteriori alla facciata di marmo ricamata sul grigio del calcare nel 1863. Dal basso sale l’odore della polvere. Un « caos » senza rumore, attutito dalla distanza e dal vento. Questa è Antiochia di Siria, sull’Oronte, dove fuggirono molti ebrei cristiani al tempo delle prime persecuzioni. Qui arrivò Paolo, chiamato da Barnaba, intorno all’anno 46. E qui avvenne l’incontro con Pietro, narrato nella « Lettera ai Galati ». Forse fu proprio in questa cavità naturale: quale rifugio più amico per una comunità di profughi?
Oggi la Chiesetta torna a vivere di tanto in tanto grazie ai pellegrini, che con un permesso vi celebrano Messa. Diventa la casa di tutti il 29 giugno, festività dei Santi Pietro e Paolo, quando accoglie i cristiani locali (un migliaio di differenti riti e confessioni) insieme con le comunità di ebrei e musulmani.
Dal porto di Antiochia Paolo salpò per i suoi tre viaggi, che lo portarono nel Mediterraneo orientale su un percorso di 25mila chilometri.
Non sembra ricordarsene la città, che pure è « crocevia » dei tre « monoteismi ». Aleppo, in Siria, dista appena ottanta chilometri; ancora meno i resti, sempre oltre frontiera, della Basilica di San Simeone lo Stilita.
Di tanta eredità « paleocristiana », in Turchia sembrano riecheggiare quasi solo i « toponimi ».
Antiochia, Efeso, Tarso, Iconio, Cesarea di Cappadocia (le odierne Konya e Kayseri). Bastano a evocare personaggi e vicende dei primi secoli di evangelizzazione. In quest’ »Anno Paolino », che si aprirà ufficialmente il 29 giugno, si è deciso di valorizzare questi luoghi, per farne bandiera di benvenuto ai pellegrini d’Europa. E dunque a Tarso uno striscione proclama « St. Paul Yili 2008″, in turco e in inglese (« The Pauline Year »).
Sono già arrivati i venditori di « gadget », dalle « iconcine segnalibro » ai cappellini di tela. Ma è l’unico indizio di qualcosa nell’aria. Nelle « viuzze » dell’antico quartiere ebraico, dove Paolo nacque e dove restano le fondamenta della tradizionale « casa », si respira un’atmosfera giovanile da anni Settanta. La zona « pullula » di caffè e « narghilé bar »: nei freschi interni e nei cortili ombreggiati i ragazzi « strimpellano » la chitarra e le ragazze improvvisano cori, tra un tiro e l’altro della pipa ad acqua. Un cartello racconta la storia di Paolo.
È scritto in inglese e l’ha posto, nel 1988, la municipalità. Di stranieri, ne arrivano: la regione, stretta tra i monti Tauro e il Mediterraneo, costellata di torrenti e cascate, ha una forte vocazione turistica e richiama gli appassionati delle attività all’aria aperta. Nel Medioevo qui passavano i pellegrini sulla via di Gerusalemme.
Oggi come allora, si può sostare al pozzo di San Paolo e berne l’acqua in segno di benedizione: è stato ripulito e l’acqua è tornata potabile. Di Paolo a Tarso resta anche una Chiesa, costruita nell’Ottocento dai cristiani armeni. Non più in uso, è un sito « museale ». In attesa di rianimarsi.
Musei all’aperto, fin troppo animati, sono la Cappadocia ed Efeso, mete obbligate del turismo culturale. Accomunate dal cristianesimo delle origini, mantengono pallida traccia di quel loro passato. Nel Parco di Göreme, con le Chiese rupestri, un affresco lascia intuire il volto di Paolo. E nella valle dei « camini delle fate », la più famosa della Cappadocia, le guide raccontano ai pellegrini del passaggio dell’Apostolo da una Chiesetta scavata in quei coni di tufo. Di certo c’è che qui Paolo è transitato, poiché vi si trovava una comunità cristiana, e nel primo secolo la cavità esisteva, pur non essendo Chiesa. Ma la bellezza del sito e la « bizzarria » geologica bastano a soddisfare le aspettative di chi va di fretta.
Chi invece sia disposto a ricalcare a passo lento le orme dell’Apostolo può muoversi lungo il « Cammino di San Paolo » (« St. Paul Trail »), un percorso di « trekking » di montagna segnato su sentiero dal 2004: cinquecento chilometri da Perge, vicino ad Antalya, fino a Yalvaç (Antiochia di Pisidia), con un ramo che parte da Aspendos per raggiungere il sito romano di Adada. Fuori dalle rotte del turismo di massa, Antiochia di Pisidia fu sede episcopale e uno dei centri principali del cristianesimo in Asia Minore.
Distrutta dalle invasioni arabe nel settimo secolo, conserva le fondamenta della sinagoga dove predicò Paolo, poi trasformata in Basilica.
Se il sito non è paragonabile alle glorie di Efeso, ha il pregio del silenzio e invita alla meditazione.
A Efeso poco resta di archeologia cristiana.
Splendide le vie « colonnate » e le terme, le case del pendio con affreschi e mosaici, la biblioteca di Celso. Mirabilmente intatta la struttura urbanistica. E il Teatro, dove andò in scena quella « rivolta degli orefici » che costrinse l’Apostolo a lasciare la città. Oggi gli studenti vi improvvisano recite e ha ospitato un concerto di Sting. La città di marmo bianco continua a dare spettacolo della propria opulenza. Anche qui, l’impronta cristiana rischia di sfuggire e va inseguita: San Paolo vi abitò per due anni e mezzo, ma l’unico riferimento archeologico certo è il Teatro. Non c’è neanche un cartello, poi, a indicare i resti della Basilica del Concilio. Si trovano subito dopo l’ingresso della « città bassa » (o prima dell’uscita per chi entra dall’alto), prendendo il sentiero sulla destra. Si arriva in un campo e, in mezzo all’erba, stanno quelle pietre così poco sontuose ma che delimitano il luogo dove si riunirono nel 431 i « padri conciliari » e dove proclamarono il « dogma » della « Madre di Dio ». Una targa ricorda che qui pregò Paolo VI il 26 luglio del 1962. Ai turisti non interessa, dicono le guide: «Qui vengono solo i pellegrini».

25.000 chilometri di Vangelo e persecuzioni
Il primo dei tre viaggi missionari di Paolo in Anatolia risale agli anni 46-47. L’Apostolo era accompagnato da Barnaba e dal cugino di lui, Giovanni Marco. Salparono da Antiochia alla volta di Cipro, sbarcando a Salamina.
All’altro capo dell’isola, nella città di Pafo, furono testimoni della conversione del governatore romano Sergio Paolo. Da Pafo si imbarcarono di nuovo, raggiungendo Perge nei pressi dell’attuale Antalya.
Da lì si inoltrarono nell’entroterra, spingendosi nel cuore dell’Anatolia centrale, e predicarono il Vangelo ad Antiochia di Pisidia, Iconio, Listri e Derbe. Più tardi, nelle « Lettere », Paolo racconterà le fatiche e le difficoltà di questo primo viaggio, che suscitò molte conversioni ma anche frequenti persecuzioni e ostilità da parte sia degli ebrei sia dei pagani. Paolo ritornò ad Antiochia lungo la stessa strada, salpando da Attaleia (oggi Antalya).
Nel 49 l’Apostolo ripartì, accompagnato da Sila. Visitò i cristiani di Derbe, Listra, Iconio e Antiochia di Pisidia. Dall’Anatolia centrale si spostò poi nella regione nord-occidentale, la Misia. Da lì passò in Macedonia e in Grecia e, sulla via del ritorno verso la « Terra Santa », si fermò per breve tempo a Efeso.
Nel terzo viaggio, tra il 53 e il 57, passò per Derbe, Listri, Iconio e Antiochia di Pisidia. Da qui si recò a Efeso, dove visse quasi tre anni. A quel periodo risalgono molte delle « Lettere » e forse un breve viaggio a Corinto. Costretto a lasciare Efeso in seguito alla rivolta degli « argentieri » – i quali si ritenevano minacciati dal diffondersi del nuovo culto, che avrebbe « soppiantato » quello della dea Artemide, della quale vendevano statuette d’oro – si recò nella Troade e da lì a Mileto. Proprio a Mileto Paolo convocò gli « anziani » della comunità cristiana di Efeso, ammonendoli a guardarsi non solo dai nemici ma anche dalle insidie interne. Durante il viaggio di ritorno, via mare, in « Terra Santa » fece tappa a Patara in Licia. Al termine del terzo viaggio missionario, l’Apostolo rientrò a Gerusalemme dove nel 59 fu arrestato e, in quanto cittadino romano che si « appellava » all’imperatore, imbarcato alla volta di Roma.

PAPA FRANCESCO – UN CUORE NUOVO

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2017/documents/papa-francesco-cotidie_20170120_cambio-totale.html

PAPA FRANCESCO – UN CUORE NUOVO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Venerdì, 20 gennaio 2017

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.16, 21/01/2017)

«La debolezza di Dio» è che, perdonandoci, arriva a dimenticare i nostri peccati. E così è sempre pronto a farci radicalmente «cambiare vita, non solo mentalità e cuore». Da parte nostra, però, ci dev’essere l’impegno a vivere fino in fondo questa «nuova alleanza», questa «ri-creazione», mettendo da parte la tentazione di condannare e le stupidaggini della mondanità, e ravvivando sempre la nostra «appartenenza» al Signore. Ecco le indicazioni pratiche suggerite dal Papa nella messa celebrata venerdì mattina, 20 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta.
La liturgia, ha subito fatto notare Francesco, «ha un’orazione, una preghiera molto bella, che ci fa capire la profondità dell’opera di Gesù Cristo: “O Dio, tu che hai creato meravigliosamente il mondo, ma più meravigliosamente lo hai ricreato”, cioè con il sangue di Gesù, con la redenzione». Proprio «questo rinnovamento, questa ri-creazione è ciò di cui si parla oggi nella prima lettura», tratta dalla lettera agli Ebrei (8, 6-13). Siamo di fronte, ha affermato, alla promessa del Signore: «Ecco: vengono giorni, quando io concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri». È «un’alleanza nuova», dunque, «e l’alleanza nuova che Dio fa in Gesù Cristo è la ri-creazione: rinnova tutto». Questo vuol dire «rinnovare tutto dalle radici, non soltanto nell’apparenza».
«Questa alleanza nuova — ha spiegato il Papa — ha le sue proprie caratteristiche». Si legge ancora nella lettera agli Ebrei: «E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori». Ciò significa, ha affermato Francesco, che «la legge del Signore non è solo un modo di agire esterno», perché «l’alleanza che lui farà è di mettere la legge proprio nella mente nostra e nel cuore: ci cambia la mentalità». Perciò «nella nuova alleanza c’è un cambio di mentalità, c’è un cambio di cuore, un cambio di sentire, di modo di agire: è un modo diverso di vedere le cose».
Per far comprendere questo punto, il Pontefice ha fatto ricorso a un esempio: «io posso vedere l’opera di una persona, pensiamo a un architetto», e valutarla «con un atteggiamento freddo, tecnico, oggettivo», dicendo: «sta bene, tecnicamente sta bene». Oppure, ha proseguito il Papa, «posso vederlo con invidia perché ha fatto una cosa bella che io non sono capace di fare», e questo è «un altro atteggiamento». Ma, ancora, «posso vederlo con benevolenza, anche con gioia», dicendo: «complimenti, sei stato bravo, questo mi piace tanto, anch’io sono felice!». Sono dunque «tre atteggiamenti diversi».
«La nuova alleanza — ha fatto presente Francesco — ci cambia il cuore e ci fa vedere la legge del Signore con questo nuovo cuore, con questa nuova mente». Riferendosi, poi, «ai dottori della legge che perseguitavano Gesù», il Papa ha ricordato che «facevano tutto quello che era prescritto dalla legge, avevano il diritto in mano, tutto, tutto, tutto. Ma la loro mentalità era una mentalità lontana da Dio, era una mentalità egoista, centrata su loro stessi: il loro cuore era un cuore che condannava». Vivevano, insomma, «sempre condannando». Ma ecco che «la nuova alleanza ci cambia il cuore e ci cambia la mente: c’è un cambio di mentalità».
Riprendendo il passo della lettera agli Ebrei, il Pontefice ha messo in evidenza come «poi il Signore va avanti: “Porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori. Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati”».

Proprio riflettendo su queste parole, ha aggiunto Francesco, «a volte a me piace pensare, un po’ scherzando col Signore: “Tu non hai una buona memoria!”». Questa «è la debolezza di Dio: quando Dio perdona, dimentica, dimentica». Tanto che «il Signore non dirà mai “me la pagherai!”: lui dimentica, perché perdona». Davanti «a un cuore pentito, perdona e dimentica: “Io dimenticherò, non ricorderò i loro peccati”». E «anche questo è un invito a non far ricordare al Signore i peccati, cioè a non peccare più: “Tu mi hai perdonato, tu hai dimenticato, ma io devo…”». Si tratta, appunto, di un vero «cambio di vita: la nuova alleanza mi rinnova e mi fa cambiare la vita, non solo la mentalità e il cuore, ma la vita». Essa spinge a «vivere così, senza peccato, lontano dal peccato». E «questa è la ri-creazione: così il Signore ricrea noi tutti».
Il passo della lettera agli Ebrei propone poi «un terzo tratto, un cambiamento di appartenenza». Si legge infatti: «Sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo». È «quell’appartenenza» che porta a dire: «Tu sei l’unico Dio per me, gli altri dèi non esistono». Perché, ha aggiunto Francesco, «gli altri dei, come diceva un anziano che ho conosciuto, sono stupidaggini: “tu solo sei il mio Dio e io sono tuo, questo popolo è tuo”».
Dunque, ha insistito il Pontefice, «cambio di mentalità, cambio di cuore, cambio di vita e cambio di appartenenza: questa è la ri-creazione che il Signore fa più meravigliosamente che la prima creazione».
In conclusione, Francesco ha suggerito di chiedere «al Signore di andare avanti in questa alleanza, di essere fedeli; il sigillo di questa alleanza, di questa fedeltà, essere fedele a questo lavoro che il Signore fa per cambiarci la mentalità, per cambiarci il cuore». Ricordando sempre che «i profeti dicevano: “Il Signore cambierà il tuo cuore di pietra in cuore di carne”». Ecco allora, ha riaffermato il Papa, l’impegno a «cambiare il cuore, cambiare la vita, non peccare più e non fare ricordare al Signore quello che ha dimenticato con i nostri peccati di oggi, e cambiare l’appartenenza: mai appartenere alla mondanità, allo spirito del mondo, alle stupidaggini del mondo, soltanto al Signore».

Icon of the conversion of Saint Paul

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L’ITINERARIO SPIRITUALE DI PAOLO E DELLA SUA SCUOLA

http://www.gliscritti.it/approf/2006/saggi/epistolario/epistolario3.htm

25 GENNAIO CONVERSIONE DI SAN PAOLO

L’ITINERARIO SPIRITUALE DI PAOLO E DELLA SUA SCUOLA

Indice

a. L’itinerario spirituale di Paolo
b. Raggruppamento delle lettere paoline in sei gruppi tematici

a. L’itinerario spirituale di Paolo
J. A. Fitzmyer ha usato l’espressione: «Spiritual journey of the Apostle Paul» per il titolo del capitolo introduttivo di According to Paul. Studies in the Theology of the Apostle (New York – Mahwah, NJ, 1993), 1. Con quell’espressione Fitzmyer intende parlare del viaggio spirituale che Paolo ha compiuto per passare dal farisaismo alla fede in Gesù e al servizio di lui come apostolo. Invece L. Cerfaux († 1968), richiesto di riassumere in forma divulgativa la sua trilogia paolina sul Cristo (Paris 1954, Roma 1969), sul cristiano (Paris 1962, Roma 1969), sulla Chiesa (Paris 1965, Roma 1968), ha dato a quel libro riassuntivo lo stesso titolo: «L’itinéraire spirituel de Saint Paul». Ma con la stessa espressione Cerfaux ha inteso dire una cosa diversa. Nell’introduzione, egli spiega quel titolo: «Itinerario perché ci sforziamo (…) di accompagnare Paolo lungo le vie romane o per le rotte marittime che dall’oriente portavano verso la capitale dell’impero di Augusto (…) in funzione delle esperienze apostoliche di Paolo in Macedonia, a Corinto, in Asia Minore e poi a Roma. Spirituale è preso nel senso più estensivo, che abbraccia cioè tutta l’attività umana fino al pensiero, teologia compresa, azione e pensiero vivificati da una profonda unione con Dio» (traduzione italiana, Torino 1976, p. 7). La vera spiegazione di “itinerario spirituale” però è data da Cerfaux quando precisa che, invece di riassumere davvero i suoi tre libri, ha preferito presentare “lo sviluppo del pensiero paolino” (p. 7). Il pensiero e la teologia di Paolo infatti sono stati in continua evoluzione perché, nella necessità di adattarsi ai suoi interlocutori, egli ha esplicitato conseguenze sempre nuove dal mistero del Cristo che gli è stato rivelato a Damasco.
Il senso dato da L. Cerfaux a “itinerario spirituale” è utile per mettere in successione le lettere di Paolo: non secondo l’ordine (= ordine di importanza e di lunghezza) che esse hanno nella lista canonica di Trento (Enchiridion Biblicum n. 59) e nelle nostre bibbie, ma secondo l’evoluzione teologico-pastorale di Paolo. Seguendo dunque lo sviluppo del pensiero di Paolo e della sua scuola -a scopo didattico e non senza approssimazioni -, si possono organizzare le lettere dell’epistolario paolino in sei blocchi, in base ai temi in esse dominanti.

b. Raggruppamento delle lettere paoline in sei gruppi tematici
Le lettere più antiche, quelle ai Tessalonicesi, sono dominate dal tema dell’escatologia (primo gruppo). La comunità di Corinto ha poi però costretto Paolo a fare i conti con il desiderio diffuso anche a livello popolare di quella sapienza che egli chiama “sapienza umana”, “sapienza di questo mondo”. Si trattava probabilmente di un platonismo popolare che portava ad accogliere entusiasticamente la resurrezione del Cristo, ma a respingere la sua croce: nelle lettere ai Corinzi, Paolo sviluppa allora il tema della “sapienza della croce” annunciando il Cristo crocefisso e parlando della debolezza dell’apostolo come condizione della sua vera forza (secondo gruppo). Dopo avere confrontato la morte e resurrezione del Cristo con la sapienza greca, Paolo ha poi dovuto confrontarla con la legge mosaica. Così nelle lettere ai Galati, ai Romani e ai Filippesi ha approfondito nel suo annuncio evangelico il tema della giustificazione e della salvezza che Dio dona gratuitamente non in base alle opere delle Legge ma in base alla fede nel Cristo e nella sua Pasqua (terzo gruppo). La lettera ai Colossesi (alla quale per altri motivi dev’essere unita anche quella a Filemone) e soprattutto la lettera agli Efesini sviluppano il tema della chiesa come corpo del Cristo suo capo (quarto gruppo). Della chiesa parlano anche le lettere chiamate “pastorali”, ma più dal punto di vista istituzionale che non da quello del mistero cristologico, essendo dettate dal bisogno di equipaggiare il cristianesimo e la chiesa in vista di un lungo cammino nella storia attraverso l’organizzazione ministeriale e la difesa del depositum fidei (quinto gruppo). Anche se non contiene il nome di Paolo e anche se è solo vagamente paolina, la lettera agli Ebrei è stata tradizionalmente collegata con l’epistolario paolino: il suo tema, che non ha sviluppi paralleli in nessuno degli altri documenti neotestamentari, è quello del sacerdozio e del sacrificio del Cristo (sesto gruppo).
Paolo ha dunque cominciato «sotto l’impronta dominante della tradizione arcaica della chiesa di Gerusalemme e della visione di Damasco, annunciando l’intervento escatologico di Dio anticipato nella resurrezione del Cristo» (CERFAUX, L’itinerario, 8). Alla fine del suo epistolario invece, nelle Pastorali, è come se a lasciare il segno ci sia il diritto romano: c’è «una teologia [che] si è semplificata ed ha preso un tono più pratico, adatto ai bisogni di una chiesa di cui è necessario consolidare l’organizzazione e prevedere la stabilità, rafforzandone la fedeltà alla tradizione» (CERFAUX, L’itinerario, 136). Creativo e capace di rispondere a ogni esigenza e provocazione, prima personalmente e poi attraverso la sua scuola di pensiero, Paolo ha spaziato dall’escatologia, alla soteriologia, all’ecclesiologia, alla chiesa nella storia, al sacerdozio di Cristo.

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) – E LASCIARONO TUTTO PER GESÙ, COME CHI TROVA UN TESORO

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padre Ermes Ronchi

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) – E LASCIARONO TUTTO PER GESÙ, COME CHI TROVA UN TESORO

Il Battista è appena stato arrestato, un’ombra minacciosa cala su tutto il suo movimento. Ma questo, anziché rendere prudente Gesù, aumenta l’urgenza del suo ministero, lo fa uscire allo scoperto, ora tocca a lui. Abbandona famiglia, casa, lavoro, lascia Nazaret per Cafarnao, non porta niente con sé, solo una parola: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. È l’annuncio generativo del Vangelo.
Convertitevi è l’invito a rivoluzionare la vita: cambiate visione delle cose e di Dio, cambiate direzione, la strada che vi hanno fatto imboccare porta tristezza e buio. Gesù intende offrire lungo tutto il Vangelo una via che conduca al cuore caldo della vita, sotto un cielo più azzurro, un sole più luminoso, e la mostrerà realizzata nella sua vita, una vita buona bella e beata.
Ed ecco il perché della conversione: il regno si è fatto vicino. Che cos’è il regno dei cieli, o di Dio? «Il regno di Dio verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Giovanni Vannucci). Il regno è la storia, la terra come Dio la sogna.
Gesù annuncia: è possibile vivere meglio, per tutti, e io ne conosco la via; è possibile la felicità. Nel discorso sul monte dirà: Dio procura gioia a chi produce amore. È il senso delle Beatitudini, Vangelo del Vangelo.
Questo regno si è fatto vicino. È come se Gesù dicesse: è possibile una vita buona, bella e gioiosa; anzi, è vicina. Dio è venuto, è qui, vicinissimo a te, come una forza potente e benefica, come un lievito, un seme, un fermento. Che nulla arresterà.
E subito Gesù convoca persone a condividere la sua strada: vi farò pescatori di uomini. Ascolta, Qualcuno ha una cosa bellissima da dirti, così bella che appare incredibile, così affascinante che i pescatori ne sono sedotti, abbandonano tutto, come chi trova un tesoro. La notizia bellissima è questa: la felicità è possibile e vicina. E il Vangelo ne possiede la chiave. E la chiave è questa: la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore (Evangelii gaudium).
Il Vangelo ne possiede il segreto, la sua parola risponde alle necessità più profonde delle persone. Quando è narrato adeguatamente e con bellezza, il Vangelo offre risposte ai bisogni più profondi e mette a disposizione un tesoro di vita e di forza, che non inganna, che non delude.
La conclusione del brano è una sintesi affascinante della vita di Gesù. Camminava e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita. Gesù cammina verso di noi, gente delle strade, cammina di volto in volto e mostra con ogni suo gesto che Dio è qui, con amore, il solo capace di guarire il cuore. Questo sarà anche il mio annuncio: Dio è con te, con amore. E guarirà la tua vita.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 21 janvier, 2017 |Pas de commentaires »
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