Archive pour novembre, 2016

Saint Paul Outside the Walls, The apse mosaic

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APERTURA ANNO PAOLINO – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

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APERTURA ANNO PAOLINO – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

S. Paolo fuori le Muro, 28 giugno 2008

[Omelia del Patriarca Bartolomieo I]

Santità e Delegati fraterni,
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle,

siamo riuniti presso la tomba di san Paolo, il quale nacque, duemila anni fa, a Tarso di Cilicia, nell’odierna Turchia.
Chi era questo Paolo? Nel tempio di Gerusalemme, davanti alla folla agitata che voleva ucciderlo, egli presenta se stesso con queste parole: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città [Gerusalemme], formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio…» (At 22,3).
Alla fine del suo cammino dirà di sé: «Sono stato fatto… maestro delle genti nella fede e nella verità» (1Tm 2,7; cfr 2Tm 1,11). Maestro delle genti, apostolo e banditore di Gesù Cristo, così egli caratterizza se stesso in uno sguardo retrospettivo al percorso della sua vita.
Ma con ciò lo sguardo non va soltanto verso il passato. «Maestro delle genti» – questa parola si apre al futuro, verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, apostolo e banditore di Gesù Cristo anche per noi.
Siamo quindi riuniti non per riflettere su una storia passata, irrevocabilmente superata. Paolo vuole parlare con noi – oggi. Per questo ho voluto indire questo speciale “Anno Paolino”: per ascoltarlo e per apprendere ora da lui, quale nostro maestro, «la fede e la verità», in cui sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.
In questa prospettiva ho voluto accendere, per questo bimillenario della nascita dell’Apostolo, una speciale “Fiamma Paolina”, che resterà accesa durante tutto l’anno in uno speciale braciere posto nel quadriportico della Basilica. Per solennizzare questa ricorrenza ho anche inaugurato la cosiddetta “Porta Paolina”, attraverso la quale sono entrato nella Basilica accompagnato dal Patriarca di Costantinopoli, dal Cardinale Arciprete e da altre Autorità religiose.
È per me motivo di intima gioia che l’apertura dell’“Anno Paolino” assuma un particolare carattere ecumenico per la presenza di numerosi delegati e rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che accolgo con cuore aperto. Saluto in primo luogo Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I e i membri della Delegazione che lo accompagna, come pure il folto gruppo di laici che da varie parti del mondo sono venuti a Roma per vivere con Lui e con tutti noi questi momenti di preghiera e di riflessione. Saluto i Delegati Fraterni delle Chiese che hanno un vincolo particolare con l’apostolo Paolo – Gerusalemme, Antiochia, Cipro, Grecia – e che formano l’ambiente geografico della vita dell’Apostolo prima del suo arrivo a Roma. Saluto cordialmente i Fratelli delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente ed Occidente, insieme a tutti voi che avete voluto prendere parte a questo solemne inizio dell’“Anno” dedicato all’Apostolo delle Genti.
Siamo dunque qui raccolti per interrogarci sul grande Apostolo delle genti. Ci chiediamo non soltanto: Chi era Paolo? Ci chiediamo soprattutto: Chi è Paolo? Che cosa dice a me? In questa ora, all’inizio dell’“Anno Paolino” che stiamo inaugurando, vorrei scegliere dalla ricca testimonianza del Nuovo Testamento tre testi, in cui appare la sua fisionomia interiore, lo specifico del suo carattere.
Nella Lettera ai Galati egli ci ha donato una professione di FEDE molto personale, in cui apre il suo cuore davanti ai lettori di tutti i tempi e rivela quale sia la molla più intima della sua vita. «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro.
La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; è la coscienza del fatto che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di anonimo, ma per amore di lui – di Paolo – e che, come Risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo si è donato per lui. La sua fede è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo. La sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore. E così questa stessa fede è amore per Gesù Cristo.
Da molti Paolo viene presentato come uomo combattivo che sa maneggiare la spada della parola. Di fatto, sul suo cammino di apostolo non sono mancate le dispute. Non ha cercato un’armonia superficiale. Nella prima delle sue Lettere, quella rivolta ai Tessalonicesi, egli stesso dice: «Abbiamo avuto il coraggio … di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte…
Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete» (1Ts 2,2.5). La verità era per lui troppo grande per essere disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno. La verità che aveva sperimentato nell‘incontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza.
Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era l’essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore. Paolo era uno capace di ama, e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro. I concetti fondanti del suo annuncio si comprendono unicamente in base ad esso.
Prendiamo soltanto una delle sue parole-chiave: la libertà. L’esperienza dell’essere amato fino in fondo da Cristo gli aveva aperto gli occhi sulla verità e sulla via dell’esistenza umana – quell’esperienza abbracciava tutto. Paolo era libero come uomo amato da Dio che, in virtù di Dio, era in grado di amare insieme con Lui. Questo amore è ora la «legge» della sua vita e proprio così è la libertà della sua vita. Egli parla ed agisce mosso dalla responsabilità dell’amore. Libertà e responsabilità sono qui uniti in modo inscindibile. Poiché sta nella responsabilità dell’amore, egli è libero; poiché è uno che ama, egli vive totalmente nella responsabilità di questo amore e non prende la libertà come pretesto per l’arbitrio e l’egoismo.
Nello stesso spirito Agostino ha formulato la frase diventata poi famosa: Dilige et quod vis fac (Tract. in 1Jo 7 ,7-8) – ama e fa’ quello che vuoi.
Chi ama Cristo come lo ha amato Paolo, può veramente fare quello che vuole, perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo e così alla volontà di Dio; perché la sua volontà è ancorata alla verità e perché la sua volontà non è più semplicemente volontà sua, arbitrio dell’io autonomo, ma è integrata nella libertà di Dio e da essa riceve la strada da percorrere.
Nella ricerca della fisionomia interiore di san Paolo vorrei, in secondo luogo, ricordare la parola che il Cristo risorto gli rivolse sulla strada verso Damasco.
Prima il Signore gli chiede: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Alla domanda: «Chi sei, o Signore?» vien data la risposta: «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9,4s). Perseguitando la Chiesa, Paolo perseguita lo stesso Gesù. «Tu perseguiti me». Gesù si identifica con la Chiesa in un solo soggetto. In questa esclamazione del Risorto, che trasformò la vita di Saulo, in fondo ormai è contenuta l’intera dottrina sulla Chiesa come Corpo di Cristo.
Cristo non si è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti «la sua causa». La Chiesa non è un’associazione che vuole promuovere una certa causa. In essa non si tratta di una causa. In essa si tratta della persona di Gesù Cristo, che anche da Risorto è rimasto «carne». Egli ha «carne e ossa» (Lc 24,39), lo afferma in Luca il Risorto davanti ai discepoli che lo avevano considerato un fantasma.
Egli ha un corpo. È personalmente presente nella sua Chiesa, «Capo e Corpo» formano un unico soggetto, dirà Agostino. «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?», scrivePaolo ai Corinzi (1Cor 6,15). E aggiunge: come, secondo il Libro della Genesi, l’uomo e la donna diventano una carne sola, così Cristo con i suoi diventa un solo spirito, cioè un unico soggetto nel mondo nuovo della risurrezione (cfr 1Cor 6,16ss). In tutto ciò traspare il mistero eucaristico, nel quale Cristo dona continuamente il suo Corpo e fa di noi il suo Corpo: «Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16s).
Con queste parole si rivolge a noi, in quest’ora, non soltanto Paolo, ma il Signore stesso: Come avete potuto lacerare il mio Corpo? Davanti al volto di Cristo, questa parola diventa al contempo una richiesta urgente: Riportaci insieme da tutte le divisioni. Fa’ che oggi diventi nuevamente realtà: C’è un solo pane, perciò noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Per Paolo la parola sulla Chiesa come Corpo di Cristo non è un qualsiasi paragone. Va ben oltre un paragone.
«Perché mi perseguiti?» Continuamente Cristo ci attrae dentro il suo Corpo, edifica il suo Corpo a partire dal centro eucaristico, che per Paolo è il centro dell’esistenza cristiana, in virtù del quale tutti, come anche ogni singolo può in modo tutto personale sperimentare: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Vorrei concludere con una parola tarda di san Paolo, una esortazione a Timoteo dalla prigione, di fronte alla morte. «Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo», dice l’apostolo al suo discepolo (2Tm 1,8). Questa parola, che sta alla fine delle vie percorse dall’apostolo come un testamento, rimanda indietro all’inizio della sua missione. Mentre, dopo il suo incontro con il Risorto, Paolo si trovava cieco nella sua abitazione a Damasco, Anania ricevette l’incarico di andare dal persecutore temuto e di imporgli le mani, perché riavesse la vista. All’obiezione di Anania che questo Saulo era un persecutore pericoloso dei cristiani, viene la risposta: Quest’uomo deve portare il mio nome dinanzi ai popoli e ai re. «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15s). L’incarico dell’annuncio e la chiamata alla sofferenza per Cristo vanno inscindibilmente insieme. La chiamata a diventare il maestro delle genti è al contempo e intrinsecamente una chiamata alla sofferenza nella comunione con Cristo, che ci ha redenti mediante la sua Passione.
In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza – senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà.
Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore. L’Eucaristia – il centro del nostro essere cristiani – si fonda nel sacrificio di Gesù per noi, è nata dalla sofferenza dell’amore, che nella Croce ha trovato il suo culmine. Di questo amore che si dona noi viviamo. Esso ci dà il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera. Alla luce di tutte le lettere di san Paolo vediamo come nel suo cammino di maestro delle genti si sia compiuta la profezia fatta ad Anania nell’ora della chiamata: «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». La sua sofferenza lo rende credibile come maestro di verità, che non cerca il proprio tornaconto, la propria gloria, l’appagamento personale, ma si impegna per Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per tutti noi.
In questa ora ringraziamo il Signore, perché ha chiamato Paolo, rendendolo luce delle genti e maestro di tutti noi, e lo preghiamo: Donaci anche oggi testimoni della risurrezione, colpiti dal tuo amore e capaci di portare la luce del Vangelo nel nostro tempo. San Paolo, prega per noi!
Amen.

OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I
Santità, amato Fratello in Cristo,
e voi tutti, i fedeli nel Signore,
Animati da una gioia colma di solennità, ci troviamo, per la preghiera dei Vespri, in questo antico e splendido tempio di San Paolo fuori le Mura, in presenza di numerosi e devoti pellegrini venuti da tutto il mondo, per la lieta inaugurazione formale dell’Anno di San Paolo, Apostolo dei Gentili.
La radicale conversione ed il kerygma apostolico di Saulo di Tarso hanno “scosso” la storia nel senso letterale del termine ed hanno scolpito l’identità stessa della cristianità. Questo grande uomo ha esercitato un influsso profondo sui Padri classici della Chiesa, come San Giovanni Crisostomo, in Oriente, e Sant’Agostino di Ippona, in Occidente. Sebbene non avesse mai incontrato Gesù di Nazaret, San Paolo ricevette direttamente il Vangelo «per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1, 11S12).
Questo sacro luogo fuori le Mura è senza dubbio quanto mai appropriato per commemorare e celebrare un uomo che stabilì un connubio tra lingua greca e mentalità romana del suo tempo, spogliando la cristianità, una volta per tutte, da ogni ristrettezza mentale, e forgiando per sempre il fondamento cattolico della Chiesa ecumenica.
Auspichiamo che la vita e le Lettere di San Paolo continuino ad essere per noi fonte di ispirazione «affinché tutte le genti obbediscano alla fede in Cristo» (cfr. Rom 16,27).

Luke 20, 38

 Luke 20, 38 dans immagini sacre large

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Publié dans:immagini sacre |on 4 novembre, 2016 |Pas de commentaires »

COMMENTI MARIE-NOËLLE THABUT, TESSALONICESI 2, 16 – 3, 5

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COMMENTI MARIE-NOËLLE THABUT, TESSALONICESI 2, 16 – 3, 5

(traduzione Google dal francese)

Domenica, 6 novembre 2016

A volte siamo a corto di idee per comporre le nostre preghiere universali, questo è un buon modello! C’è tutto: prima, è una preghiera per l’altro, i Tessalonicesi pregano per Paolo e Paolo ai Tessalonicesi.
Poi quello che prega ha un solo obiettivo: « La parola di Dio continua la sua gara.  » Qui troviamo la passione di Paolo per annunciare la Parola a tutte le nazioni; sappiamo che gli piace l’immagine della corsa; nel mondo greco, molto affezionato dei giochi circensi, era una vista familiare. È possibile immaginare un corridore che porta la parola come una torcia per accendere il mondo, per quanto possibile. L’apostolo è un portavoce (si potrebbe dire che la « speaker »), la semplice testimonianza di una parola che precede e supera gli sopravviverà. Questo suggerisce un altro paragone: il musicista che interpreta un’opera di risuona per tutto il tempo della sua carriera; egli è conosciuto e amato; Partizione a sopravvivere. Il nome della performer essere dimenticata, il nome dell’autore sarà ricordato. E applausi vanno molto di più al lavoro che l’interprete. I nomi di Bach o Mozart o Beethoven rimasti, i nomi dei loro interpreti sono stati dimenticati.
Ma questo è solo un confronto, per fortuna, la partizione di cui siamo responsabili, la Parola di Dio non ha bisogno artisti di talento, dobbiamo solo essere appassionato.
St. Paul dice ancora: « Pregate perché la parola di Dio continua il suo corso, e che lo rende gloria ovunque a casa. » Paul cerca la gloria della Parola di Dio, non per lui. Ed è vero che tra la Parola di Dio, la Tessalonicesi è stato ricevuto in modo esemplare: ricordiamo che Paolo rimase solo tre settimane a Tessalonica e in tre settimane già una comunità cristiana è nato, a cui egli può già dire « abbiamo fiducia in voi: che si fa e si continuerà a fare quello che si ordina. » Questo ci ricorda la prima lettera a Timoteo (abbiamo letto di recente) in cui Paolo si meravigliò che Cristo aveva fiducia in lui quando non aveva fatto nulla per meritare questa fiducia: « Sono pieno di gratitudine colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù, nostro Signore; è lui che mi ha contato degno di fiducia, portandomi al suo servizio, io che ero un ex bestemmiatore, persecutore e violento « . A sua volta, Paul fiducia il giovane battezzati tutti Salonicco che ha avuto poco tempo per provare se stessi ancora. Ma in realtà, non è solo a loro si fida, è a loro assistita dalla grazia di Dio … In sostanza, a fidarsi degli altri semplicemente ricordare che la grazia di Dio è . al lavoro in essi
Infine, la preghiera di Paolo è guidato da una sola certezza: « il Signore è fedele; egli vi confermerà e vi protegga dal male « ; il male che vuole proteggere il Tessalonicesi, non è la persecuzione in sé; egli sa che è parte della vita cristiana; e sappiamo che se egli stesso è rimasto a Salonicco che tre settimane è perché la persecuzione degli ebrei fu costretto a lasciare. Ma ciò che i Tessalonicesi hanno bisogno è il conforto del Signore per affrontare la persecuzione e tenere nel corso del tempo. Paolo insiste: «Prego che possiamo sfuggire alle persone perversi e il male, perché non tutti hanno la fede … » Fuggire qui, non vuol dire evitare: se voleva evitare la persecuzione, sarebbe cambiato lavoro ! Fuga significa « superare », avere il coraggio di stare fermo; l’unico obiettivo, ancora una volta, è che la diffusione del Vangelo (la gara, come dice lui), non è ostacolata.
E questo comfort, egli sa di poter contare su; la fedeltà è il nome di Dio « , il Dio di tenerezza e di fedeltà »; fu sotto questo nome che Dio ha rivelato a Mosè. Questa fedeltà di Dio, Paolo stesso ha sperimentato; per dimostrare la sua superba inizio frase: « Consolatevi da nostro Signore Gesù Cristo stesso e Dio nostro Padre, che ci ha amati e nella sua grazia ci sempre dato conforto e speranza gioiosa » . Comfort e gioiosa speranza, sembra che è sinonimo per lui. Lì ci fa dito come la speranza è radicata nel passato, o meglio in un esperimento. Per la speranza non è una questione di immaginazione; come se avessimo inventato giorni migliori, perché oggi è difficile; al contrario, la speranza è una questione di memoria (è la virtù della memoria), è la fede (o memoria) accoppiato con il futuro. Abbiamo visto, per esempio, con la storia dei sette martiri dei Maccabei: se fossero in grado di scoprire la fede nella risurrezione, perché hanno avuto l’esperienza della fedeltà di Dio.
deve ancora essere amichevole per la presenza di Dio; Questo è il motivo per cui Paolo ai Tessalonicesi suggerisce di lasciare « confortati dal Signore nostro Gesù Cristo » … abbiamo trovato ancora una volta qui la lezione del fariseo e del pubblicano nel fariseo, pieno di sé, non c’era posto per Dio; Il pubblicano invece, fu in grado di essere riempito perché il suo cuore era aperto.

VIA I CRITERI MONDANI DALLA VITA PIENA – OMELIA XXXII – T.O.

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VIA I CRITERI MONDANI DALLA VITA PIENA – OMELIA XXXII – T.O.

padre Gian Franco Scarpitta

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/11/2016)

Nel mondo giudaico vigeva la cosiddetta « Legge del Levirato (ebraico Levir = cognato) per la quale, quando una donna restava vedova senza aver avuto figli, era tenuta a sposare il fratello del coniuge estinto per garantire la continuità nella discendenza e pacificare ogni situazione relativa all’eredità (Cfr Dt 25, 5-10). Anche il fratello del defunto era tenuto ad accettare che la vedova diventasse sua consorte e in caso di rifiuto veniva sottoposto a un rito punitivo alla presenza dei sacerdoti. Il primogenito che scaturiva dalla nuova unione sponsale prendeva il nome del trapassato.
Su questa normativa fanno leva i Sadducei, movimento teologico religioso che nega la risurrezione dei morti e la vita eterna: vogliono tendere un tranello a Gesù per coglierlo in fallo e gli pongono una questione assai spinosa e delicata. Gli pongono un caso deprecabile e inverosimile, ai limiti dell’assurdo, che solamente in occasioni straordinarie si sarebbe potuto verificare: se una donna è stata sposa di sette fratelli e tutti quanti sono morti senza lasciarle prole, al momento della resurrezione finale questa donna di chi sarà moglie? » E’ appunto inverosimile e fantasioso che possa verificarsi un caso di matrimonio con ben sette fratelli e che tutti quanti muoiano senza lasciarle figli. Impossibile a pensarsi. Eppure i sottili ragionatori miscredenti nella vita eterna lo espongono a Gesù per avere argomento sul quale poter obiettare e porre ostacoli e difficoltà.
Ma ciò che è ancora più assurdo è che questi Sadducei tendano ad equiparare i parametri degli sposalizi terreni con la nuova dimensione di gloria nella quale ci si troverà al momento della risurrezione. Non appena ciascuno di noi si troverà nella nuova dimensione di gloria definitiva di pace e di comunione piena con il Signore che è il paradiso, la perfezione sarà talmente totalizzante che scompariranno le barriere e le differenziazioni della vita presente e decaderanno tutti i limiti spazio temporali. Nel paradiso ci attende la comunione piena con tutti coloro che abbiamo conosciuto in questa vita e con tutti quanti gli altri che non avremo conosciuto, i quali familiarizzeranno immediatamente con noi nella forza dell’amore riconciliante di Dio Padre. Saremo tutti quanti un Uno. A Karl Barth venne chiesto se in paradiso avremmo rivisto i nostri cari, ed egli rispose: « Non soltanto i nostri cari… » Nella pienezza della vita tutto sarà all’insegna dell’amore e della perfezione, per cui non vi saranno le differenziazioni che adesso ci dividono. Pertanto non si potrà pretendere che in paradiso troveremo le stesse differenziazioni che vigono in questo mondo e che intercorrono nella nostra società e nei nostri rapporti. E va da sé che le suddette diversificazioni e barriere di divisione non potranno sussistere neppure al momento della resurrezione finale. Anche in quel determinato istante persisteranno i parametri propriamente paradisiaci, per cui non vi saranno limitazione di cultura, di etnia, nazionalità o parentela. La vita eterna non si misura con il metro della vita umana terrena.
Il problema della conciliabilità fra la resurrezione e la prescrizione del Levirato di conseguenza non si pone, perché al momento finale incontreremo un mondo rinnovato e scevro dalle intemperanze di cui il presente storico è caratterizzato, vivremo una dimensione che avrà del nuovo, dell’universalmente valido e del meraviglioso per la quale ci si dischiuderanno « cieli nuovi e terra nuova » (2 Pt 3, 13) che richiamano le promesse di Isaia e che delineano una situazione di benessere nella piena comunione con Dio che noi vedremo faccia a faccia e con cui instaureremo una comunione e una familiarità illimitata che sarà la nostra salvezza. Quindi non sussisteranno più le differenziazioni sociali che adesso ci distinguono e ci separano, non avranno più motivo di esistere legami di parentela e situazioni di comunicazione e di relazioni legali, ma tutti quanti saremo uno e ci riconosceremo gli uni gli altri, e anche coloro con i quali adesso non coltiviamo alcun contatto saranno a noi vicini e familiari. Ragion per cui nessuno porrà il problema del Levirato o di altra legge scritta e neppure vi saranno normative o legiferazioni orali o di altro stampo: al massimo saremo tutti fratelli.
Nella nuova terra scompariranno i criteri di divisione e di sezionamento che caratterizzano la nostra vita attuale; saranno superate tutte le barriere fra uomo e uomo e non avremo necessità di distinguerci neppure nei gradi di parentela e di consanguineità: davanti alla gloria di Dio tutti saremo simili a lui e fra i noi e ci riconosceremo immediatamente non più come marito, moglie, cognato, cugino, amico ecc ma semplicemente come figli di Dio.
Cosicché la risposta di Gesù oltre che a lasciare interdetti i miscredenti Sadducei, ci ragguaglia un’altra volta sull’amore di Dio che supera tutti i limiti perché prevarica le limitazioni che ci siamo costruiti, elude tutte le barriere perché pone come unica barriera la possibilità dell’odio che si oppone all’amore e alla gioia piena e allo stesso tempo ci interpella perché anche il nostro presente possa svolgersi tutto in direzione della gloria finale della resurrezione.
Certo, come illustra a suo modo il brano odierno tratto dal libro dei Maccabei, la resurrezione finale non necessariamente avverrà per la vita: coloro che avranno operato il male risusciteranno infatti per un giudizio di condanna e agli empi spetterà la giusta retribuzione per aver vissuto contro Dio e lontani dalle aspettative dell’Amore, ma nella volontà di amore salvifico divino si pone sempre l’obiettivo della salvezza e della gioia infinita per la quale la nostra speranza attende di diventare certezza e procura intanto di incamminarsi verso il medesimo traguardo di gloria.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 4 novembre, 2016 |Pas de commentaires »

his picture shows a winner at the Games receiving his prize of palm branches.

his picture shows a winner at the Games receiving his prize of palm branches. dans immagini g_drinking_cup_victory

http://www.bbc.co.uk/schools/primaryhistory/ancient_greeks/the_olympic_games/

Publié dans:immagini |on 3 novembre, 2016 |Pas de commentaires »

LA GARA, LA LOTTA E LA BATTAGLIA – IN EBREI 12:1-2 NOI LEGGIAMO:

http://www.christianarticles.it/La-gara-la-lotta-e-la-battaglia.htm

LA GARA, LA LOTTA E LA BATTAGLIA – IN EBREI 12:1-2 NOI LEGGIAMO:

Ebrei 12:1-2
“Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio.”
In questo passaggio noi siamo chiamati a correre con perseveranza questa gara che ci è proposta. Questo passaggio presenta il nostro cammino Cristiano, la nostra vita Cristiana, come una gara che abbiamo bisogno di correre:

1. con perseveranza
2. fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta.
Paolo in un altro posto, in Filippesi questa volta, parla di nuovo a proposito di questa gara. Là noi leggiamo:

Filippesi 3:12-14“Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo {Gesù}. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.”
Paolo non si conta se stesso come avendo già ottenuto il premio. Invece egli una cosa faceva: dimenticava le cose che stavano dietro e si protendeva verso quelle che stavano davanti, per ottenere il premio della vocazione celeste di Dio in Cristo Gesù. C’era una meta da raggiungere, un premio da ricevere. Paolo con considerava il premio come avendolo già ottenuto. Invece egli focalizzò la sua vita per ricevere questo premio. Egli era ad obiettivo orientato con lo scopo di ottenere il premio della vocazione celeste di Dio in Cristo Gesù.
1 Corinzi 9:24-27
“Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile. Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato.”
Paolo stava correndo una corsa mirando ad una corona incorruttibile. La sua vita era orientata verso un obiettivo ed il suo obiettivo era di ricevere la corona incorruttibile dalle mani del Signore. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di interferire con questo scopo. Egli non stava correndo in un modo incerto. Egli sapeva il Suo scopo ed egli era sicuro per il premio che lo stava aspettando. Come gli atleti disciplinano se stessi avendo in mente il loro scopo di vincere la loro gara, così anche Paolo disciplinava il suo corpo, ponendo attenzione che non fosse disqualificato. Però la gara che Paolo stava correndo non era solo per Paolo. Anche noi corriamo nello stesso stadio. La stessa corona, lo spesso premio, ci sta aspettando.
Andando avanti, la corsa che stiamo correndo è anche presentata come una lotta nel passaggio di sopra di 1 Corinzi. Paolo ne parla anche in altri posti. Uno di loro è 1 Timoteo, dove Paolo, dando istruzioni a Timoteo scrive il seguente;
1 Timoteo 6:12
“Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato e in vista della quale hai fatto quella bella confessione di fede in presenza di molti testimoni.”
C’è un buon combattimento – il buon combattimento della fede – che dobbiamo combattere. Anche nella sua lettera ai Galati, Paolo chiedendosi quale fosse il loro stato della fede, scrive:
Galati 5:7-10
“Voi correvate bene; chi vi ha fermati perché non ubbidiate alla verità? Una tale persuasione non viene da colui che vi chiama. Un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta. Riguardo a voi, io ho questa fiducia nel Signore, che non la penserete diversamente; ma colui che vi turba ne subirà la condanna, chiunque egli sia.”
Essi correvano bene ma non più. Qualcuno li ostacolò, li turbò. Sembra anche che in questa corsa ci sia anche un competitore, qualcuno che non vuole che noi corriamo, se possibile, non correre affatto.
Paolo parla di nuovo a proposito della gara e del combattimento in 2 Timoteo 2:3-5
1 Timoteo 2:3-5
“Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Nessuno, prestando servizio come soldato, s’immischia nelle faccende della vita, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato. Allo stesso modo quando uno lotta come atleta non riceve la corona, se non ha lottato secondo le regole.”
La corsa diventa un combattimento e il combattimento diventa una guerra. L’atleta è anche come un soldato ed il soldato è anche un lottatore. E come un buon soldato deve sopportare le sofferenze.
Riassumendo quanto sopra possiamo fare le seguenti conclusioni di un buon corridore della gara, o di un buon soldato:
Quindi, un buon soldato o corridore:
i) corre la gara con perseveranza. Come Barnes nel suo commentario spiega:
“La parola perseveranza in questo posto vuol dire che: dobbiamo correre la gara senza permettere a noi stessi di essere ostacolati da nessun impedimento, e senza abbandonare o indebolirsi lungo la strada. Incoraggiati da molti esempi di quelli che hanno corso la stessa gara prima di noi, dobbiamo perseverare come essi fecero fino alla fine.”
ii) Egli non corre in un modo incerto. Egli non batte l’aria. Di fronte i suoi occhi ha il suo scopo, il premio, la corona imperitura. Come Barnes di nuovo spiega;
In un modo incerto – (ουκ αδήλως ouk adelos). Questa parola non viene utilizzata in nessuna altra parte del Nuovo Testamento. Nella letteratura classica solitamente vuol dire “oscuramente”. Qui vuol dire che egli non sapeva a quale scopo stava correndo. “Io non corro a casaccio; io non mi esercito per niente; Io so a cosa mirare e tengo i miei occhi fissati sull’oggetto; Io ho lo scopo e la corona in vista.”
iii) Egli si disciplina e sa molto bene che anch’egli può essere disqualificato. Per quanto riguarda il pericolo di squalifica, Paolo ci dice in 2 Corinzi:
2 Corinzi 13:5
“Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l’esito della prova sia negativo.”
Il buon corridore, esamina se stesso, controlla per vedere se è nella fede. Egli testa e disciplina se stesso.
Continuando, il buon soldato non s’immischia nelle faccende della vita. Fa così per poter piacere a colui che l’ha scelto. Noi non possiamo essere soldati di Gesù Cristo e nello stesso tempo avere pieno interesse nei nostri affari. Quando c’è la chiamata per i soldati, essi lasciano indietro i loro affari, le fattorie, negozi e vanno alla guerra. Ora questo non vuol dire che perché siamo soldati di Gesù Cristo dobbiamo lasciare la nostra occupazione. Paolo stesso faceva tende per guadagnarsi da vivere. Ma non dobbiamo essere “immischiati”, preoccupati con esso. Come il “Matthew Henry’s commentary of the whole Bible” dice:
“La più grande preoccupazione di un soldato dovrebbe essere di piacere al suo generale; quindi la grande preoccupazione di un Cristiano dovrebbe essere piacere a Cristo, per essere approvato da lui. Il modo per compiacere a lui che ci ha scelto ad essere soldati è di non immischiarsi con gli affari di questa vita, ma libero da tali aggrovigliamenti poiché potrebbero ostacolarci nella nostra santa guerra.”
In altre parole direi, di certo abbiamo occupazioni nella quale operiamo o obbligazioni che hanno bisogno delle nostre attenzioni. MA non dobbiamo essere aggrovigliati, intrappolati, stressati, con tutto questo. Queste non sono le mete che noi abbiamo qui. Noi siamo qui per piacere al nostro Generale, essere buoni soldati di GESÙ CRISTO. Noi siamo in una battaglia e non dobbiamo sistemarci come se non lo fossimo!
Prolungandomi su questo soggetto, vorrei citare cosa il Signore Gesù disse nella parabola del seminatore: le ansietà di questo mondo, gli inganni della vita ed i piaceri della vita – vale a dire i grovigli con le cose del mondo, Paolo parla di questo – rendono la Parola di Dio infruttuosa. In questa parabola molti cominciano bene. La Parola di Dio fu seminata e spuntò in molti cuori. Pertanto solo l’ultima categoria diede frutto. Questo mostra anche che il numero di quelli che finiscono la gara fruttuosa non è necessariamente uguale al numero che la cominciò. Andiamo a vedere l’ interpretazione che il Signore diede a questa parabola:
Luca 8:11-15“Or questo è il significato della parabola: il seme è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, affinché non credano e non siano salvati. Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando ascoltano la parola, la ricevono con gioia; ma costoro non hanno radice, credono per un certo tempo ma, quando viene la prova, si tirano indietro. Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità. E quello che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono e portano frutto con perseveranza.”
La seconda e terza categoria cominciarono bene ma essi non finirono bene. Cominciare la gara non è quindi la sola cosa importante. Dopo aver cominciato la gara, quello che è importante è di continuare a correre. Ed il solo modo per continuare a correre con perseveranza è guardando a Gesù colui che crea la fede e la rende perfetta; combattendo la battaglia, con lo scopo di piacere al Generale e non aggrovigliarsi con gli affari della vita. C’è l’ idea sbagliata che diventare Cristiano vuol dire un biglietto per una vita facile, piena di piaceri. La parola “benedizioni” è arrivata a significare che Dio concede qualsiasi cosa che ti fa piacere. Una vita facile in molti casi diventa la meta. Noi dobbiamo fare attenzione che questo non diventi il nostro scopo. La nostra meta qui è di servire il Signore Gesù Cristo e l’aggrovigliarsi, l’attenzione sulle cose di questo mondo può fare una cosa sola: rendere il seme seminato nei nostri cuori infruttuoso.
La nostra meta in questa vita non è soddisfare la definizione della società di un uomo di successo. Se Paolo e Pietro e l’altra gente fedele fossero viventi oggi non sarebbero stati valutati molto dalla società. Paolo lascio tutti i privilegi terrestri che aveva, tutto quello che la sua società riconosceva come valori, al fine di acquisire Cristo. Come egli ci dice in Filippesi 3:4-11
Filippesi 3:4-11
“benché io avessi motivo di confidarmi anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti.”
Ci sono molte cose che Paolo aveva conseguito prima di diventare Cristiano. Paolo era qualcuno che la sua società onorava. Egli era un uomo “di successo”, secondo le definizioni della sua società, del mondo. Tuttavia egli considerò queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo.
Per diventare fruttuoso in Cristo, noi dobbiamo sopportare le difficoltà, dobbiamo sopportare le tentazioni e dobbiamo lasciar perdere di avere confidenza nelle ricchezze o nel nostro potere. Se diventiamo Cristiani solo per diventare un po’ più ricchi o un po meglio del nostro vicino o per evitare questa o quella difficoltà, o per ottenere alcuni “benedizioni” allora abbiamo capito male. Come Paolo dice in 1 Corinzi 15:19:
1 Corinzi 15:19
“Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini.”
Se noi abbiamo fiducia in Cristo solo in questa vita, se il nostro obbiettivo di fiducia è solo in questa vita, allora noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Invece lo scopo in questa vita, è di piacere a Colui che ci ha chiamati:il Signore Gesù Cristo. Egli è il nostro Generale, colui che crea la fede e la rende perfetta in noi e noi correremo la gara solo se corriamo con perseveranza, avendo gli occhi fissi SU DI LUI.
Gesù Cristo non promise “tu avrai tutto” nella vita. Egli ci invitò a prendere la nostra croce (Marco 8:34). Egli veramente promise benedizioni, ma egli parla anche di difficoltà. C’è un premio ma anche una gara. Una corona ma anche una lotta. E lì che abbiamo bisogno di perseveranza e del giusto obiettivo. È molto facile correre giù dalla collina che di correre su la collina. Per correre giù abbiamo bisogno di molto poco obiettivo di orientamento: le gambe ti porteranno giù. Ma correre su abbiamo bisogno di perseveranza e di essere focalizzati nell’obbiettivo. Senza di questo tu potrai, dopo che ti senti stanco, abbandonare la gara e sederti lungo il sentiero e spendere la tua vita là. Le tre categorie della parabola del seminatore cominciarono bene, ma solo l’ultima categoria scelse di andare avanti sulla collina. Essi erano quelli in cui “[il seme] che è caduto in un buon terreno ……, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono e portano frutto con perseveranza.” (Luca 8:15). Essi portarono frutto con perseveranza dopo aver ascoltato la parola con un cuore onesto e buono. Imposta come obiettivo il premio della alta vocazione di Dio in Cristo Gesù. Imposta come il tuo obiettivo di piacere a Dio, di essere un buon soldato di Gesù Cristo, qualunque cosa questo potrebbe richiedere. Avete provato e visto che Dio è buono. Concentrate quindi la vostra vita su di Lui
La gara: il competitore
Come abbiamo visto precedentemente, la vita Cristiana è presentata come una lotta. Anche leggendo Galati precedentemente, noi abbiamo visto che essi correvano bene ma qualcuno ha ostacolato la loro corsa. Abbiamo anche visto la tentazione, l’inganno delle ricchezze, le preoccupazioni di questo mondo ed i piaceri della vita che resero la seconda e la terza categoria della parabola del seminatore infruttuosa. Abbiamo anche visto nella stessa parabola che la prima categoria perse la Parola di Dio seminata in loro perché il diavolo venne e la prese via. Deve essere ovvio da quanto sopra che la gara non è una gara corsa da soli. C’è un competitore nella gara. C’è qualcuno che non vuole che noi finiamo la gara con successo. Egli si oppone al nostro obiettivo, egli vuole che ci fermiamo per non raggiungere la nostra meta. In altre parole, c’è un nemico!
Efesini 6 ci parla a proposito della nostra lotta con il nemico:
Efesini 6:10-12
“Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti.”
Questo passaggio, come tutti i versi che lo seguono, descrive la lotta tra noi ed il nemico. Paolo non comincia subito con la descrizione della lotta. Invece egli la comincia con un invito: l’invito a fortificarsi nel Signore e nella forza della sua potenza. Non c’è nessuno come il Signore. Non è il nostro potere che può sopraffare il nostro nemico. È nel potere del Sua potenza e noi dobbiamo fortificarci in questo potere. E l’invito continua chiamandoci a mettere tutta la corazza di Dio. I lottatori hanno una corazza e noi anche soldati di Gesù Cristo ne abbiamo una. E l’armatura ha uno scopo: di restare saldi contro le insidie del diavolo. Il nemico è il diavolo ed egli è vile. Ed il passaggio continua a dirci con chi lottiamo: no contro gli uomini, no contro sangue e carne ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre. Noi lottiamo contro le forze spirituali della malvagità che sono nei luoghi celesti. C’è un nemico quindi a cui dobbiamo resistere, una lotta che dobbiamo lottare indossando un’ armatura.
Versi 14-18 descrive questa armatura:
Efesini 6:14-18
“State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio; pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi.”
Dio ci ha dato questa armatura ed abbiamo bisogno di metterla. Affinché siamo capaci di lottare la lotta contro il nemico. Più descrizioni ed istruzioni riguardo il competitore nella gara sono anche date in 1 Pietro 5:8-11. Là leggiamo:
1 Pietro 5:8-11
“Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. Ora il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo {Gesù}, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, in eterno. Amen.”
Il diavolo è il nostro avversario, il nostro opponente. Egli cammina attorno e il suo scopo è brutale: egli ci vuole divorare. Ecco perché la Parola di Dio ci dice di essere sobri, vigilanti. Come Matthew Henry’s commentary of the Bible commenta su queste due parole:
“È il loro dovere ( Cristiano ), 1. Di essere sobri, e governare il dentro ed il fuori dell’interno dell’uomo con le regole di temperanza, modestia, e mortificazione. 2. Essere vigilanti: non sicuro o negligente, ma piuttosto sospettosi del costante pericolo dal nemico spirituale, e, sotto quella apprensione, essere vigilante e diligenti prevenendo i suoi disegni e salvare la nostra anima.”
Noi dobbiamo essere focalizzati nella giusta direzione. Sebbene dobbiamo essere vigilanti ed attenti, il nostro obiettivo non deve essere sul diavolo ma sul Signore Gesù Cristo. Noi dobbiamo correre la gara restando focalizzati, guardando a Lui, ed allo stesso tempo essere sobri e vigilanti a causa del nemico. Noi dobbiamo resistere il nemico, fermi nella fede. Questo forse vuol dire che dobbiamo soffrire per un po’. Da ciò diventa evidente ed anche da altri passaggi che abbiamo visto in Timoteo, che la vita Cristiana involve veramente sofferenza, difficoltà. Essa infatti comporta una lotta e richiede fermezza. Esso vuol dire che durante il nostro cammino Cristiano a volte soffriremo. Perché dico tutto ciò? Mi sto concentrando su quelli che per qualche motivo sono scoraggiati nel loro cammino Cristiano; su quelli che soffrono e su quelli che cosa si aspettano da Dio non sembra essere lì. Tu sei nel mezzo di una battaglia ma Dio è CON TE. Come Pietro disse:“ma se uno soffre come cristiano non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome.”(1 Pietro 4:16). Anche Giacomo dice: “Beato l’uomo che sopporta la prova.” ( Giacomo 1:12). Oggi io voglio incoraggiarti a superare la prova. Questo non vuol dire di pretendere che non è successo niente! Possiamo essere feriti nei sentimenti, possiamo aver domande e ci si può chiedere perché Dio permette tutto ciò. Noi dobbiamo esprimere i nostri sentimenti, apertamente a Dio. Dovremmo porgli le nostre domande e dirgli come ci sentiamo. Noi non siamo tenuti a pretendere che siamo incontaminati ed andare avanti, mentre i nostri cuori sono pieni di delusioni. Giobbe era un uomo che visse rettamente e pertanto tutto ad un tratto la distruzione venne su di lui. La sua salute fu danneggiata molto rapidamente. I suoi figli morirono. Egli perse tutte le sue proprietà e sua moglie si beffava di lui riguardo la sua fede. In più i suoi amici, lo incolparono per quello che gli era successo. Chi avrebbe mai immaginato una situazione peggio di questa? Egli non pretese di essere forte ne tanto meno maledì Dio, come sua moglie gli incoraggiò di fare. Invece egli gridò al Signore, aprendogli il cuore ed allo stesso tempo questionandolo. Il suo libro è pieno di perché e domande rivolte a Dio. Tu forse hai sofferto molto e tu forse hai molti perché. Cose che ti aspettavi non sono accadute. Poche cose sono peggiori che di una speranza insoddisfatta. Sperare che Dio lo farà, eppure non lo fa. Forse può essere un lavoro che non hai ottenuto, una moglie che non è venuta, la salute che non è stata ristorata; speranza che non è stata soddisfatta. Qualunque essa sia è una prova. Qualunque cosa sia in te NON dovete chiudere il cuore. Qualunque esso sia parlatene a Dio. Chiedi a Lui; grida a Lui, comunica con Lui. In tutte le sofferenze Giobbe non bestemmiò Dio come la sua moglie gli disse di fare. Poiché disse: “Ecco, mi uccida pure! Oh, continuerò a sperare.”(Giobbe 13:15). In tutte queste orribili sofferenze e in tutto il suo dibattito con Dio, Giobbe era fedele. Una cosa è domandare a Dio essendo in comunione ed un’altra cosa è rigettarlo. Giobbe era pieno di dolore ma sopportò la prova. Sua moglie, la quale non so se aveva la fede all’inizio o no, era anche piena di dolore ma non resistette. Forse aveva la speranza in Dio nei giorni felici ma nei giorni della sofferenza ella si smarrì……seconda categoria della parabola del seminatore. Ma Giobbe disse: “Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?” (Giobbe 2:10). Giobbe era preparato e devi esserlo anche tu. Tu ti devi preparare e prendere una decisione costi quel che costi, qualunque sofferenza, qualunque speranza insoddisfatta, o qualsiasi altra cosa necessaria, tu resterai fedele fino alla fine. Fedeltà non è un’idea…..ma fedele a Dio che ha rivelato Se Stesso a te. Prendi la decisione di correre la gara fino alla fine, qualunque cosa sia necessaria, e corri con perseveranza fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta! Come Pietro dice:
“Ora il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo {Gesù}, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, in eterno. Amen.”

Anastasio Kioulachoglou

Publié dans:Lettera agli Ebrei |on 3 novembre, 2016 |Pas de commentaires »
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