INNO CRISTOLOGICO: Col 1,3-12-20 – PAPA BENEDETTO
INNO CRISTOLOGICO: Col 1,3-12-20 – PAPA BENEDETTO
Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.
Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
Ci soffermiamo a meditare il celebre inno cristologico contenuto nella Lettera ai Colossesi, che è quasi il solenne portale d’ingresso di questo ricco scritto paolino. L’Inno proposto alla nostra riflessione, recitato ai Vespri del Mercoledì della quarta settimana, è incorniciato da un’ampia formula di ringraziamento (cf vv. 3.12-14). Essa ci aiuta a creare l’atmosfera spirituale per vivere bene questi giorni pasquali, come pure il nostro cammino lungo l’intero anno liturgico (cf vv. 15-20).
La lode sale a «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (v. 3), sorgente di quella salvezza che è descritta in negativo come «liberazione dal potere delle tenebre» (v. 13), cioè come «redenzione e remissione dei peccati» (v. 14). Essa è poi riproposta in positivo come «partecipazione alla sorte dei santi nella luce» (v. 12) e come ingresso «nel regno del Figlio diletto» (v. 13).
Gesù rende visibile il Padre
A questo punto si schiude il grande e denso Inno, che ha al centro il Cristo, del quale è esaltato il primato e l’opera sia nella creazione sia nella storia della redenzione (cf vv. 15-20). Due sono, quindi, i movimenti del canto. Nel primo è presentato il primogenito di tutta la creazione, Cristo, «generato prima di ogni creatura» (v. 15). Egli è, infatti, l’«immagine del Dio invisibile», e questa espressione ha tutta la carica che l’«icona» ha nella cultura d’Oriente: si sottolinea non tanto la somiglianza, ma l’intimità profonda col soggetto rappresentato.
Cristo ripropone in mezzo a noi in modo visibile il «Dio invisibile», attraverso la comune natura che li unisce. Cristo per questa sua altissima dignità precede «tutte le cose» non solo a causa della sua eternità, ma anche e soprattutto con la sua opera creatrice e provvidente: «per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… e tutte sussistono in lui» (vv. 16-17). Anzi, esse sono state create anche «in vista di lui» (v. 16).
Cristo è la pienezza della vita
Il secondo movimento dell’Inno (cf Col 1,18-20) è dominato dalla figura di Cristo salvatore all’interno della storia della salvezza. La sua opera si rivela innanzitutto nell’essere «capo del corpo, cioè della Chiesa» (v. 18): è questo l’orizzonte salvifico privilegiato nel quale si manifestano in pienezza la liberazione e la redenzione, la comunione vitale che intercorre tra il Capo e le membra del corpo, ossia tra Cristo e i cristiani. Lo sguardo dell’Apostolo si protende alla meta ultima verso cui converge la storia: Cristo è «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (v. 18), è colui che dischiude le porte alla vita eterna, strappandoci dal limite della morte e del male.
Ecco, infatti, quel pleroma, quella «pienezza» di vita e di grazia che è in Cristo stesso e che è a noi donata e comunicata (cf v. 19). Con questa presenza vitale, che ci rende partecipi della divinità, siamo trasformati interiormente, riconciliati, rappacificati: è, questa, un’armonia di tutto l’essere redento nel quale ormai Dio è «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).
Salvati nella carne di Cristo
A questo mistero grandioso della redenzione dedichiamo ora uno sguardo contemplativo e lo facciamo con le parole di San Proclo di Costantinopoli, morto nel 446. Egli nella sua Prima omelia sulla Madre di Dio Maria ripropone il mistero della Redenzione come conseguenza dell’Incarnazione.
Dio, infatti, ricorda il Vescovo, si è fatto uomo per salvarci e così strapparci dal potere delle tenebre e ricondurci nel regno del Figlio diletto, come ricorda appunto l’inno della Lettera ai Colossesi. «Chi ci ha redento non è un puro uomo: – osserva Proclo – tutto il genere umano infatti era asservito al peccato; ma neppure era un Dio privo di natura umana: aveva infatti un corpo. Che, se non si fosse rivestito di me, non m’avrebbe salvato. Apparso nel seno della Vergine, Egli si vestì del condannato. Lì avvenne il tremendo commercio, diede lo spirito, prese la carne» (8: Testi mariani del primo millennio, I, Roma 1988, p. 561).
Siamo, quindi, davanti all’opera di Dio, che ha compiuto la Redenzione proprio perché anche uomo. Egli è contemporaneamente il Figlio di Dio, salvatore ma è anche nostro fratello ed è con questa prossimità che Egli effonde in noi il dono divino.
Benedetto XVI – L’Osservatore Romano, 05-01-2006
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