Archive pour juillet, 2016

Chagall, me vuelve loca. ‘The Circus Rider’

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Publié dans:immagini varie |on 4 juillet, 2016 |Pas de commentaires »

ANDARE « CONTROCORRENTE », LA SFIDA DEL NOSTRO TEMPO

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_matino19.htm

ANDARE « CONTROCORRENTE »,  LA SFIDA DEL NOSTRO TEMPO

Aiutiamo i giovani a non lasciarsi « ingabbiare » dalle mode correnti e dai piaceri « effimeri ».

Gennaro Matino (« Avvenire », 15/7/’08)

«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo». Paolo di Tarso sapeva provocare il mondo del suo tempo e la sua parola, forte del Vangelo che aveva ricevuto, non concedeva « sconti » alla verità. In difesa della giustizia e della dignità della persona umana, invitava i cristiani a prendere atto della « metamorfosi » operata dallo Spirito per guardare oltre gli orizzonti limitati e frustranti del mondo materiale. L’umanità, finalmente liberata dalla morte e da ogni morte dall’evento « Cristo », è chiamata ad andare più in là di una realtà esistenziale legata alla terra. È infatti la speranza in « cieli nuovi » che libera l’uomo da una mentalità « edonistica », in cui il bene individuale pare costituire il bene più alto e il fondamento della vita morale.«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo» è, quindi, una provocazione quanto mai attuale e nell’anno dedicato all’ »Apostolo delle Genti » risuona come un grido di senso nel silenzio di significati dei nostri giorni. Se la mentalità del nostro secolo sembra essere strutturata sulla ricerca del piacere fine a se stesso, allora la speranza di rinnovare l’uomo dal di dentro passa attraverso il coraggioso « monito » di Paolo, «trasformatevi rinnovando la vostra mente». Mai come oggi, la mentalità di questo mondo ha fondato su valori « effimeri » e sull’egoismo i canoni interpretativi della vita, provocando danni tali che è necessaria più di un’impresa eroica per poterli superare. Per trasformare la mentalità di questo secolo bisogna intraprendere una via « tortuosa »: annunciare una proposta che sappia coniugare la felicità individuale con la giustizia universale, il bene del singolo con quello collettivo, la generosità con la soddisfazione personale, per liberare soprattutto i più giovani da una mentalità che tutto sacrifica alla ragione economica. Svuotati della loro coscienza, « ingabbiati » nella cultura del benessere, o « annebbiati » dalle droghe e dagli « sballi » del sabato sera, i giovani, più degli altri, sono vittime ignare di una mentalità che li vuole tutti uguali. Eppure proprio nei giovani ho sempre trovato terreno fertile per trasformare la mentalità del secolo. Insegno da quando io ero giovane e nel corso degli anni molti ragazzi mi hanno scritto confidandomi le loro paure e i loro sogni. Un denominatore comune è sempre emerso dalle loro lettere: la solitudine di chi non vuole lasciarsi « omologare » dagli « standard » imposti dal mercato; il disagio interiore di chi prova ad essere se stesso, anziché fare ciò che gli altri vogliono che faccia; il sogno di chi vuol costruire il mondo sul dialogo e non sulla violenza; la volontà di conoscere proposte concrete per la realizzazione di una economia alternativa che rispecchi i principi « etici » universali; l’entusiasmo nel prendere atto che è possibile non conformarsi alla mentalità di un secolo che in nome del profitto continua a generare i « mostri » della guerra e della fame. Ogni anno alla fine dei corsi sono ancora più convinto che i giovani siano sempre la « terra » migliore per seminare la giustizia, la pace, l’amore e convertire i cuori, a patto di operare un nostro radicale cambiamento di mentalità, un cambiamento di linguaggi per passare nuovi e coraggiosi stili di vita, un cambiamento di modalità di annuncio per inaugurare « frontiere » inesplorate di incontri tra diversi. Sono convinto che nessuno sarà mai operatore di pace e di giustizia, capace di costruire un mondo migliore, se non aiutiamo i giovani a prendere coscienza della « strumentalizzazione » operata dal circolo vizioso dell’economia « diabolica ». Proprio per questo è necessario gridare con forza ai nostri ragazzi quello che Paolo annunciava ai Romani: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente» o sarà la mentalità di questo mondo ad avere ragione del nostro futuro.

 

Publié dans:MEDITAZIONI |on 4 juillet, 2016 |Pas de commentaires »

LA SCIENZA E LA SAPIENZA – AGOSTINO DI IPPONA – DE TRINITATE, DAI LIBRI XII E XIII (LETTERE PAOLINE)

http://disf.org/agostino-ippona-scienza-sapienza

LA SCIENZA E LA SAPIENZA – AGOSTINO DI IPPONA – DE TRINITATE, DAI LIBRI XII E XIII (LETTERE PAOLINE)

Se la scienza è conoscenza delle cose temporali, la sapienza è conoscenza delle cose eterne. Ambedue, però, sono rivelate in pienezza in Cristo, nostra scienza e nostra sapienza. XII, 14. Perché anche la scienza è benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole gonfiare è dominato dall’amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come sappiamo, edifica (1Cor 8, 1). Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere quella eterna, che è veramente beata. 14, 22. C’è tuttavia una differenza tra la contemplazione delle cose eterne e l’azione con la quale facciamo buon uso delle cose temporali: quella si attribuisce alla sapienza, questa alla scienza. Sebbene infatti anche la sapienza possa venir chiamata scienza, come lo mostra l’affermazione dell’Apostolo, che dice: “Ora conosco parzialmente, allora conoscerò come sono conosciuto” (1Cor13, 12), per questa scienza egli intende certamente la contemplazione di Dio, che sarà il premio supremo dei santi; tuttavia dove l’Apostolo dice: “Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito” (1Cor 12, 8), distingue, senza dubbio, l’una dall’altra, benché non spieghi la natura della loro differenza, e i caratteri che permettano di distinguerle. Ma dopo aver scrutato le molteplici ricchezze delle sante Scritture, trovo scritta nel libro di Giobbe questa sentenza del santo uomo: “Ecco, la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza” (Gb 28, 28). Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la contemplazione, la scienza l’azione. In questo passo Giobbe identifica la pietà con il culto di Dio, che in greco si dice qeosbeia . È questa la parola che si trova presso i codici greci in questo passo. E fra le cose eterne che vi è di più eccellente di Dio, che solo possiede una natura immutabile? E che è il culto di Dio, se non l’amore di lui, amore che ci fa desiderare di vederlo, che ci fa credere e sperare che lo vedremo, perché nella misura in cui progrediamo lo vediamo ora per mezzo di uno specchio, in enigma, ma un giorno lo vedremo nella sua piena manifestazione? È ciò che dice l’apostolo Paolo quando parla della «visione» faccia a faccia (1Cor 13, 12), è anche quello che dice l’apostolo Giovanni: “Carissimi, ora siamo figli di Dio, e ciò che saremo un giorno non è stato ancora manifestato; ma sappiamo che al momento di questa manifestazione saremo simili a lui, perché lo vedremo come è” (1Gv 3, 2). In questi passi e in passi simili si tratta proprio, mi pare, della sapienza (1Cor 12, 8). Astenersi invece dal male (Gb 28, 28), ciò che Giobbe chiama scienza, appartiene certamente all’ordine delle cose temporali. Perché è in quanto siamo nel tempo che siamo soggetti al male, che dobbiamo evitare, per giungere ai beni eterni. Perciò tutto quanto compiamo con prudenza, forza, temperanza e giustizia, appartiene a quella scienza o regola di condotta, che guida la nostra azione nell’evitare il male e nel desiderare il bene e le appartiene pure tutto ciò che, come esempio da evitare o da imitare e come conoscenza necessaria tratta da avvenimenti adatti ad illuminare la nostra vita, raccogliamo attraverso la conoscenza della storia […]. XIII, 19. 24. Tutto ciò che il Verbo fatto carne (Gv 1, 14) ha fatto e sofferto per noi nel tempo e nello spazio appartiene, secondo la distinzione che abbiamo cominciato a chiarire, alla scienza, non alla sapienza (cf. 1Cor 12, 8; Col 2, 3). Invece ciò che il Verbo è al di fuori del tempo e dello spazio, è coeterno al Padre e tutto intero in ogni luogo; di questo, se qualcuno può, per quanto gli è possibile, parlare secondo verità, ciò che dirà apparterrà alla sapienza (1Cor 12, 8); per questo motivo il Verbo fatto carne, Cristo Gesù, possiede i tesori della sapienza e della scienza (Gv 1, 14; Col 2, 2-3). Ecco perché l’Apostolo scrive ai Colossesi: “Voglio infatti che voi sappiate quanto grande sia la lotta che io sostengo per voi e per questi che sono a Laodicea e per tutti coloro che non mi hanno mai veduto di persona, affinché siano consolati i loro cuori e, intimamente uniti in carità, possano essere del tutto arricchiti d’una pienezza d’intelligenza, per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2, 1-3). Chi può sapere in quel misura l’Apostolo conosceva questi tesori, quanto era penetrato in essi, quali misteri aveva scoperto? Da parte mia tuttavia, secondo ciò che sta scritto: “La manifestazione dello Spirito è data a ciascuno di noi per utilità: infatti ad uno è dato dallo Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, secondo lo stesso Spirito” (1Cor 12, 7-8), se la differenza tra la sapienza e la scienza risiede in questo: che la sapienza si riferisce alle cose divine, la scienza a quelle umane, riconosco l’una e l’altra in Cristo e con me la riconosce ogni fedele di Cristo. E quando leggo: “Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi” (Gv 1, 14), nel Verbo vedo con l’intelligenza il vero Figlio di Dio (2Cor 1, 19), nella carne riconosco il vero figlio dell’uomo (Dan 7, 13; Mt 9, 6; Mc 2, 10; Lc 5, 24; Gv 5, 27), l’uno e l’altro uniti nella sola persona del Dio-uomo, per un dono ineffabile della grazia. Per questo l’Evangelista aggiunge: “E abbiamo contemplato la sua gloria, gloria uguale a quella dell’Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità (Gv 2, 14). Se riferiamo la grazia alla scienza, la verità alla sapienza (cf. 1Cor 12, 8), penso che non andiamo contro la distinzione tra scienza e sapienza, che abbiamo proposto. Infatti, nell’ordine delle cose che traggono la loro origine nel tempo, la grazia più alta è l’unione dell’uomo con Dio nell’unità della stessa persona, nell’ordine delle cose eterne la più alta verità è, a ragione, attribuita al Verbo di Dio. Ora, quello stesso che è l’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1, 14), l’incarnazione fa sì che egli sia pure quello stesso il quale agisce per noi nel tempo affinché, purificati per mezzo della fede in lui, lo contempliamo per sempre nell’eternità. I più grandi filosofi pagani poterono, per mezzo della creazione, contemplare con l’intelligenza le perfezioni invisibili di Dio (Rm 1, 20); tuttavia poiché filosofarono senza il Mediatore, cioè senza il Cristo uomo e non hanno creduto ai Profeti che vaticinarono la sua venuta, né agli Apostoli che proclamarono tale venuta, hanno tenuta imprigionata la verità, come sta scritto di loro, nell’ingiustizia (Rm 1, 18). Posti in quest’ultimo grado della creazione, non poterono infatti che cercare dei mezzi per giungere a quelle realtà di cui avevamo compreso la grandezza; così facendo sono caduti negli inganni dei demoni che hanno fatto loro scambiare la gloria di Dio incorruttibile con delle immagini rappresentanti l’uomo corruttibile, uccelli, quadrupedi e rettili ( Rm 1, 23). Infatti sotto tali forme hanno costruito degli idoli e hanno reso loro culto (cf. Rm 1, 25). Dunque la nostra scienza è Cristo (cf. 1Cor 12, 8); la nostra sapienza è ancora lo stesso Cristo. È Lui che introduce in noi la fede che concerne le cose temporali, Lui che ci rivela la verità concernente le cose eterne. Per mezzo di Lui andiamo a Lui, per mezzo della scienza tendiamo alla sapienza; senza tuttavia allontanarci dal solo e medesimo Cristo in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2, 3). Ma ora parliamo della scienza, riservandoci di parlare in seguito della sapienza, per quanto Egli ci donerà di farlo. Tuttavia guardiamoci dal prendere queste parole in un’accezione così precisa che ci impedisca di parlare di sapienza a riguardo delle cose umane, e di scienza a riguardo delle cose divine. In senso lato si può parlare di sapienza in ambedue i casi ed in ambo i casi si può parlare di scienza. Tuttavia l’Apostolo non avrebbe scritto mai: “ad uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza (1Cor 12, 8), se ciascuna di queste parole non avesse un’accezione propria. La Trinità, XII, 14,22 e XIII, 19,24, in “Opere di Sant’Agostino”, tr. it. di Giuseppe Beschin, Città Nuova, Roma 1987, vol. IV, pp. 491-492 e 551-555.

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