19 GIUGNO 2016 | 12A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | APPUNTI PER LA LECTIO
19 GIUGNO 2016 | 12A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | APPUNTI PER LA LECTIO
« Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro… »
Sia la prima che la terza lettura sono caratterizzate da scene di « sequela », con evidenti differenziazioni nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Così, ad esempio, il profeta Elia potrà permettere a Eliseo di andare a « baciare » suo padre e sua madre prima di « seguirlo » (1 Re 19,20), mentre Gesù sarà molto più esigente con quelli che egli chiama alla sua sequela, fino a proibire di andare a « congedarsi » da quelli di casa, perché « nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio » (Lc 9,61-62). Perché tutto questo? Gesù è soltanto più rigoroso degli antichi Profeti? Oppure ciò che egli propone è molto più ricco e urgente, per cui non si può perdere neppure un briciolo di tempo? È ciò che ci dirà il brano di Vangelo che ci accingiamo a commentare. Prima però, dato che non ci possiamo dilungare sulla prima lettura che, del resto, è di immediata comprensione, vorrei richiamare l’attenzione sulla generosità di Eliseo che, non appena si sente chiamato da Dio mediante la imposizione del mantello profetico, « si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio » (1 Re 19,21). Anche il gesto di distruggere l’aratro e di uccidere un paio di buoi, per distribuirne la carne alla gente, esprime la « disponibilità » radicale del profeta, che rompe con il suo passato, e il senso di gioia con cui egli accetta la chiamata che, in un certo senso, intende « condividere » con gli altri.
« Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo… » Il Vangelo odierno, anche se termina con le tre scene di « sequela » che esamineremo tra poco (Lc 9,57-62), di fatto è preceduto da due altre brevi pericopi, intimamente legate fra di loro e che danno anche significato a ciò che segue: si tratta della « decisione » di Gesù di dirigersi verso Gerusalemme (vv. 51-52) e del rifiuto opposto dai Samaritani a che egli attraversasse il loro territorio (vv. 52b-56). Con il v. 51 di questo capitolo ha inizio quella che gli studiosi chiamano la « grande inserzione » lucana che ci descrive il lento ma progressivo « camminare » di Gesù verso Gerusalemme (9,51-19,28). Qui Luca usa materiale letterario che il più delle volte gli è proprio e altre volte è comune con Matteo. Più normalmente Gesù vi appare come « maestro »: pochi sono infatti gli episodi, molti invece i suoi insegnamenti. Le parabole più belle del Vangelo ricorrono proprio in questa parte (quella del buon Samaritano, del figliol prodigo, del ricco epulone e del povero Lazzaro, ecc.). « Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri » (vv. 51-52). Gesù ci appare dunque nel momento di « decidere » la sua andata verso Gerusalemme. Però non è questo, per Luca, un momento qualsiasi, ma particolarmente solenne e sofferto: infatti il testo greco dice letteralmente « indurò la sua faccia » (ebraismo), cioè « decise fermamente » di andare a Gerusalemme. Si è che questo viaggio è per Gesù il viaggio della morte e della sua immolazione di croce, proprio perché Gerusalemme è la città del tempio e dei sacrifici, e per questo « non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme » (13,33). Del resto, è quanto Luca dice espressamente all’inizio: « Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo ». L’espressione greca, corrispondente a queste ultime parole, letteralmente dovrebbe tradursi così: « i giorni della sua assunzione » (= análempsis), volendosi con ciò intendere la « totalità » del mistero pasquale, che va dalla passione e morte fino alla risurrezione e ascensione al cielo, che si consumeranno tutte in Gerusalemme. Di qui l’importanza « teologica » di questo « libero » incamminarsi di Gesù verso la città della Redenzione, che è mistero di sofferenza e di gloria nello stesso tempo. Anche l’ostilità che i suoi « messaggeri » (certamente alcuni dei suoi Apostoli) incontrano presso i Samaritani sta a dimostrare, come in anticipo, il rigetto violento che gli uomini faranno nei riguardi di Cristo, il quale però li ripaga con ben altra moneta. Infatti, davanti alla richiesta di vendetta da parte di Giacomo e Giovanni, che invocano addirittura « fuoco dal cielo », Gesù « si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio » (v. 50). Che senso avrebbe infatti la Redenzione se, invece che espressione di amore, fosse espressione di collera punitiva e di dominazione oppressiva? Veramente, in quel momento gli Apostoli « non sapevano di quale spirito fossero. Poiché il Figlio dell’uomo non è venuto per giudicare le anime degli uomini ma per salvarle », aggiungono a questo punto alcuni codici di secondaria importanza.
« Lascia che i morti seppelliscano i loro morti! » Nello sfondo di questa andata di Gesù a Gerusalemme per compiere la sua passione si capiscono anche meglio le tre scene di « sequela », che vengono narrate immediatamente dopo: non ci può essere invito e volontà di « seguire » Gesù che non sia orientato verso Gerusalemme! A differenza di Matteo (8,19-22), che pure ci riferisce le scene della « sequela », in Luca abbiamo l’aggiunta del terzo quadretto. È dall’insieme di questi tre quadretti che emergono le « condizioni » per seguire Gesù: Luca infatti non intende qui riferire solo degli episodi, ma proporre delle « istanze » e degli inviti validi per tutti i lettori del suo Vangelo, quindi anche per noi. La prima condizione per seguire Gesù è quella di abbandonare ogni sicurezza umana, qualsiasi punto di riferimento che non sia la semplice volontà di Dio: « Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: « Ti seguirò dovunque tu vada ». Gesù gli rispose: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare la testa »" (vv. 57-58). Giovanni, a cui molte volte Luca è assai vicino, adopera quasi alla lettera l’ultima espressione per indicare la morte di Gesù sulla croce: « E chinata la testa, spirò » (19,30). Cristo di suo non ha nulla: anche la croce, su cui troverà l’ultimo riposo, gliel’hanno « regalata » gli altri! D’altra parte, è estremamente interessante notare che l’idea stessa del « seguire » (= akouluthéin) rimanda a un concetto di mobilità, di spostamento, proprio perché si tratta di « seguire » in senso vero, e non translato, una persona concreta che è Cristo in quanto annunciatore del regno, e non una dottrina o un qualsiasi movimento religioso. La prima condizione della sequela, perciò, è l’apertura all’incerto, al provvisorio, al rischio stesso della vita, che vale solo nella misura in cui avremo il coraggio di « perderla » (cf Lc 9,24). La seconda condizione, poi, è quella del distacco radicale perfino dalle persone più care, oltre che dalle cose: « A un altro disse: « Seguimi ». E costui rispose: « Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre ». Gesù replicò: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio »" (vv. 59-60). Evidentemente i « morti », di cui qui si parla, sono coloro che ancora non sono entrati spiritualmente nel « regno », e perciò la loro vita appartiene al vecchio mondo e non partecipa ancora alla novità della risurrezione (cf Rm 6,13). La « vita », però, si comunica agli uomini mediante l’annuncio del Vangelo: « Tu va’ e annunzia il regno di Dio » (v. 60). Il che significa che l’annunzio del regno è per il cristiano talmente urgente, che non si può perdere nessuna frazione di tempo: ogni attimo, infatti, può essere per noi e per gli altri il momento decisivo, dopo il quale non ce n’è un altro. Come si vede, la pretesa di Gesù è quella di chi sa di essere il Valore assoluto, davanti al quale tutto il resto è secondario, anche gli affetti familiari. È chiaro che qui non si vogliono mettere in contrasto le due cose, ma affermare la « priorità » assoluta della sequela di Cristo e dell’annuncio del regno. Ed è altrettanto chiaro che ogni chiamata di Cristo è una chiamata all’annuncio del « regno »: non si segue Gesù per un gusto personale, ma per « annunciarlo sui tetti » (cf Mt 10,27)! La terza condizione per « seguire » Gesù, infine, è quella della costanza, senza ripensamenti o nostalgie per quello che ormai è dietro le nostre spalle: « Un altro disse: « Ti seguirò, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa ». Ma Gesù gli rispose: « Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio »" (vv. 61-62). L’immagine è ripresa dal mondo agricolo e dice la difficoltà di tracciare dei solchi diritti nell’impervio e sassoso terreno di Palestina senza una grande applicazione e attenzione: guai a voltarsi indietro, anche solo per misurare il lavoro già fatto o per riprendere semplicemente fiato! C’è il rischio di fare un solco sbagliato proprio sul più bello e di perdere il merito di tanto lavoro. Abbiamo detto, al principio, che Gesù è più esigente del profeta Elia nel chiamare alla sua sequela. La ragione è duplice: prima di tutto è lui che si pone al centro della chiamata (« seguimi »: v. 59), e lui è « più grande » di Elia; in secondo luogo, con Gesù ha fatto irruzione nel mondo la « pienezza » escatologica e perciò gli uomini debbono decidersi, o per lui o contro di lui. In ultima analisi, dobbiamo dire che nessuno dei tre, che Gesù ha chiamato a seguirlo o che si sono proposti di seguirlo, costituisce l’ideale perfetto del discepolo, perché ognuno di loro ha presentato delle riserve, o posto delle condizioni. È ancora una parte del « vecchio » mondo che si vuol far sopravvivere a ogni costo; e questo impedisce di guardare al « nuovo » e all’inatteso che Cristo vuol creare in noi. « Seguire significa compiere determinati passi. Già il primo passo fatto dopo la chiamata separa colui che segue Gesù dalla sua vita passata. Così la chiamata a seguire crea subito una nuova situazione. Restare nella posizione di prima e seguire sono due posizioni che si escludono a vicenda ».
Lasciarsi « guidare dallo Spirito » Proprio per questo ogni discepolo di Cristo ha bisogno di educarsi continuamente a quella « libertà » interiore, di cui ci parla S. Paolo nella lettera ai Galati: « Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà » (4,13). Libertà, che solo la forza dello Spirito può far sprigionare e custodire in noi: « Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge » (v. 18). Soltanto chi è veramente e totalmente libero, può « seguire » il Signore dovunque egli lo chiami!
Settimio CIPRIANI (+)
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