Archive pour avril, 2016

Romani 8 28

Romani 8 28 dans immagini sacre Romani58-vi

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Publié dans:immagini sacre |on 5 avril, 2016 |Pas de commentaires »

DAL DISCORSO SULL’ADORAZIONE DELLA CROCE DI SAN TEODORO STUDITA

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DAL DISCORSO SULL’ADORAZIONE DELLA CROCE DI SAN TEODORO STUDITA

PG 99, 691-694, 695. 698-699

O dono preziosissimo della croce! Quale splendore appare alla vista! Tutta bellezza e tutta magnificenza. Albero meraviglioso all’occhio e al gusto e non immagine parziale di bene e di male come quello dell’Eden. È un albero che dona la vita, non la morte, illumina e non ottenebra, apre l’udito al paradiso, non espelle da esso. Su quel legno sale Cristo, come un re sul carro trionfale. Sconfigge il diavolo padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del tiranno. Su quel legno sale il Signore, come un valoroso combattente. Viene ferito in battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato. Ma con quel sangue guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso. Prima venimmo uccisi dal legno, ora invece per il legno recuperiamo la vita. Prima fummo ingannati dal legno, ora invece con il legno scacciamo l’astuto serpente. Nuovi e straordinari mutamenti! Al posto della morte ci viene data la vita, invece della corruzione l’immortalità , invece del disonore la gloria. Perciò non senza ragione esclama il santo Apostolo: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo (Gal 6, 14). Quella somma sapienza che fiorì dalla croce rese vana la superba sapienza del mondo e la sua arrogante stoltezza. I beni di ogni genere, che ci vennero dalla croce, hanno eliminato i germi della cattiveria e della malizia. All’inizio del mondo solo figure e segni premonitori di questo legno notificavano ed indicavano i grandi eventi del mondo. Stai attento, infatti tu, chiunque tu sia, che hai grande brama di conoscere. Noè non ha forse evitato per sé, per tutti i suoi familiari ed anche per il bestiame, la catastrofe del diluvio, decretata da Dio, in virtù di un piccolo legno? Pensa alla verga di Mosè. Non fu forse un simbolo della croce? Cambiò l’acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi, percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse poi le acque del mare al loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece coloro che erano il popolo legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne, simbolo della croce, che fiorì in un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo. Anche Abramo prefigurò la croce quando legò il figlio sulla catasta di legna. La morte fu uccisa dalla croce e Adamo fu restituito alla vita. Della croce tutti gli apostoli si sono gloriati, ogni martire ne venne coronato, e ogni santo santificato. Con la croce abbiamo rivestito Cristo e ci siamo spogliati dell’uomo vecchio. Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore.

 

Publié dans:CHIESA ORTODOSSA, MEDITAZIONI |on 5 avril, 2016 |Pas de commentaires »

LA CROCE SIA LA TUA GIOIA ANCHE IN TEMPO DI PERSECUZIONE -SAN CIRILLO DI GERUSALEMME, VESCOVO

http://www.collevalenza.it/Riviste/2004/Riv0304/Riv0304_04.htm

DALLE “CATECHESI” DI SAN CIRILLO DI GERUSALEMME, VESCOVO

(Catech. 13, 1. 3. 6. 23; PG 33, 771-774. 779. 799. 802)

La croce sia la tua gioia anche in tempo di persecuzione

Senza dubbio ogni azione di Cristo è fonte di gloria per la Chiesa cattolica; ma la croce è la gloria delle glorie. È proprio questo che diceva Paolo: Lungi da me il gloriarmi se non nella croce di Cristo (cfr. Gal 6, 14). Fu certo una cosa straordinaria che quel povero cieco nato riacquistasse la vista presso la piscina di Siloe: ma cos’è questo in paragone dei ciechi di tutto il mondo? Cosa eccezionale e fuori dell’ordine naturale che Lazzaro, morto da ben quattro giorni, ritornasse in vita. Ma questa fortuna toccò a lui e a lui soltanto. Che cosa è mai se pensiamo a tutti quelli che, sparsi nel mondo intero, erano morti per i peccati? Stupendo fu il prodigio che moltiplicò i cinque pani fornendo il cibo a cinquemila uomini con l’abbondanza di una sorgente. Ma che cosa è questo miracolo quando pensiamo a tutti coloro che sulla faccia della terra erano tormentati dalla fame dell’ignoranza? Così pure fu degno di ammirazione il miracolo che in un attimo liberò dalla sua infermità quella donna che Satana aveva tenuta legata da ben diciotto anni. Ma anche questo che cos`è mai in confronto della liberazione di tutti noi, carichi di tante catene di peccati? La gloria della croce ha illuminato tutti coloro che erano ciechi per la loro ignoranza, ha sciolto tutti coloro che erano legati sotto la tirannide del peccato e ha redento il mondo intero. Non dobbiamo vergognarci dunque della croce del Salvatore, anzi gloriamocene. Perché se è vero che la parola “croce” è scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, per noi è fonte di salvezza. Se per quelli che vanno in perdizione è stoltezza, per noi, che siamo stati salvati, è fortezza di Dio. Infatti non era un semplice uomo colui che diede la vita per noi, bensì il Figlio di Dio, Dio stesso, fattosi uomo. Se una volta quell’agnello, immolato secondo la prescrizione di Mosé, teneva lontano l’Angelo sterminatore, non dovrebbe avere maggiore efficacia per liberarci dai peccati l’Agnello che toglie il peccato del mondo? Se il sangue di un animale irragionevole garantiva la salvezza, il sangue dell’Unigenito di Dio non dovrebbe recarci la salvezza nel vero senso della parola? Egli non morì contro la sua volontà, né fu la violenza a sacrificarlo, ma si offrì di propria volontà. Ascolta quello che dice: Io ho il potere di dare la mia vita e il potere di riprenderla (cfr. Gv 10, 18). Egli dunque andò incontro alla sua passione di propria volontà, lieto di un’opera così sublime, pieno di gioia dentro di sé per il frutto che avrebbe dato, cioè la salvezza degli uomini. Non arrossiva della croce, perché procurava la redenzione al mondo. Né era un uomo da nulla colui che soffriva, bensì Dio fatto uomo, e come uomo tutto proteso a conseguire la vittoria nell’obbedienza. Perciò la croce non sia per te fonte di gaudio soltanto in tempo di tranquillità, ma confida che lo sarà parimenti nel tempo della persecuzione. Non ti avvenga di essere amico di Gesù solo in tempo di pace e poi nemico in tempo di guerra. Ora ricevi il perdono dei tuoi peccati e i grandi benefici della donazione spirituale del tuo re e così, quando si avvicinerà la guerra, combatterai da prode per il tuo re. È stato crocifisso per te Gesù, che nulla aveva fatto di male: e tu non ti lasceresti crocifiggere per lui che fu inchiodato sulla croce per te? Non sei tu a fare un dono, ma a riceverlo prima ancora di essere in grado di farlo, e in seguito, quando vieni a ciò abilitato, tu rendi semplicemente il contraccambio della gratitudine, sciogliendo il tuo debito a colui che per tuo amore fu crocifisso sul Golgota.

Annunciation by Paolo de Matteis, 1712

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Publié dans:immagini sacre |on 4 avril, 2016 |Pas de commentaires »

PAOLO DI TARSO E MARIA DI NAZARET – STEFANO DE FIORES, SMM

http://www.stpauls.it/madre/1003md/1003md08.htm

PAOLO DI TARSO E MARIA DI NAZARET – STEFANO DE FIORES, SMM  

Si affronta in questo testo, un vero saggio, la dottrina dell’Apostolo per la mariologia.   È raro trovare l’accostamento di Paolo di Tarso a Maria di Nazaret, due figure bibliche senza evidente legame o necessario richiamo. Basti consultare il Dizionario di Paolo e delle sue lettere (G.F. Hawthorne, C.R. Martin e D. Reid, a cura di R. Penna, San Paolo 2000, pp. 1.886, € 61,97), per accorgersi che il nome di Maria è completamente ignorato, anche come donna che ha generato il Figlio di Dio (Gal 4,4), passo saltato perfino nella voce Lettera ai Galati. A prima vista sembra che in realtà non ci sia niente di comune tra i due personaggi di rilievo nella Chiesa delle origini. Paolo è il missionario teologo, l’apostolo delle genti e il rappresentante di un cristianesimo libero dalla legge di Mosè e aperto all’ellenismo; Maria è una donna tenuta in grande considerazione come madre di Cristo, ma professante come Pietro e Giacomo un giudeo-cristianesimo fedele alle prescrizioni legali in seno alla comunità di Gerusalemme. Eppure il legame tra Paolo e Maria esiste, dal momento che dobbiamo all’Apostolo il primo testo del Nuovo Testamento dove si parla di Cristo come «nato da donna» (Gal 4,4). Riflettendo sul piano della salvezza e in particolare sull’incarnazione, Paolo non può fare a meno di riferirsi a quella donna d’Israele che ha generato il Messia. Il quadro normativo per l’annuncio di Maria nella Chiesa. Come è risaputo, i discorsi kerigmatici di Pietro (At 2,14-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-46) e di Paolo (At 13,16-30; 17,22-31), mirano a comunicare il contenuto essenziale della storia della salvezza: Cristo morto e risorto. Solo una volta si fa riferimento all’attività sanatrice ed esorcistica di Gesù dopo il battesimo di Giovanni (At 10,38) e solo una volta si menziona la discendenza davidica di Cristo: «Dalla discendenza di lui [Davide], secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore» (At 13,23). In questa prima fase non si nomina mai Maria. La ragione di questo silenzio sulla Madre di Gesù è comprensibile: essa rientra nel più vasto silenzio circa l’intero arco della vicenda storica di Cristo (che sarà oggetto di considerazione accurata da parte degli evangelisti), perché il centro d’interesse degli apostoli è l’annuncio del mistero pasquale. Paolo rompe il silenzio su Maria offrendo in Gal 4,4 la più antica testimonianza mariana del Nuovo Testamento, che risale al 49 o al massimo al 57 dopo Cristo, cioè una ventina d’anni dopo l’Ascensione. Occasione della lettera ai Galati è l’infiltrazione nelle comunità della Galazia in Asia Minore (attuale Turchia) di alcuni cristiani giudaizzanti, che insegnavano la validità della legge giudaica per nulla abolita da Cristo. A questi Paolo oppone il suo Vangelo, ossia la salvezza mediante la fede in Cristo. Da autentico teologo, Paolo pone il dilemma: chi ci salva, Cristo o la legge? Se la salvezza viene dalla legge, allora «Cristo è morto invano» (Gal 2,21). Ma se Cristo è il salvatore, allora la legge perde la sua funzione e necessità, sicché le genti possono credere ed essere battezzate senza passare dall’obbedienza alle prescrizioni mosaiche. Con questa soluzione, che raccoglie l’accordo degli apostoli e comunità, il cristianesimo cessa di essere un semplice gruppo ebraico (pur mantenendone la fede monoteistica e la profonda spiritualità), e diviene una comunità universale. In tale contesto polemico contro i giudaizzanti, Paolo introduce il testo di alto interesse cristologico in cui si fa menzione «tangenzialmente e in forma anonima» di Maria, la «donna» dalla quale nacque Gesù: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4). Nonostante la sua laconicità, tale testo è considerato di altissimo interesse mariano, quasi «una mariologia in germe», in quanto «nucleo germinale» aperto «alle successive acquisizioni del Nuovo Testamento». Lo storico dei dogmi mariani Georg Söll giunge ad affermare: «Dal punto di vista dogmatico l’enunciato di Gal 4,4 è il testo mariologicamente più significativo del NT, anche se la sua importanza non fu pienamente avvertita da certi teologi di ieri e di oggi. Con Paolo ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato». L’importanza del testo paolino è data dal fatto che esso ha una struttura trinitaria ed insieme storico-salvifica. Paolo ricorre chiaramente allo schema di invio. Il soggetto della frase è il Padre, che determina la pienezza del tempo, cioè il tempo propizio alla salvezza dopo il periodo di sudditanza e di maturazione (Gal 4,1-2), e decide l’invio di suo Figlio. Questi, che preesiste per poter essere inviato, viene nel tempo secondo due modalità e finalità intimamente connesse e contrapposte: nasce in condizione di fragilità (nato da donna) edi schiavitù (nato sotto la legge) in vista della liberazione dalla schiavitù (per riscattare coloro che erano sotto la legge) e del dono della figliolanza divina reso possibile dallo Spirito (perché ricevessimo l’adozione a figli, Gal 4,6). Maria è la donna che inserisce il Figlio di Dio nella storia in una condizione di abbassamento, ma ella è situata nella pienezza del tempo e si trova coinvolta nel disegno storico-salvifico della trasformazione degli uomini in figli di Dio. Nei due versetti (Gal 4,4-6) sono presenti le persone della Trinità in un orizzonte storico-salvifico, sicché si può giustamente osservare che la donna da cui nasce Cristo è incomprensibile al di fuori della sua relazione con le tre persone divine e con la storia della salvezza. Il «mistero» della donna in Gal 4,4ss è totalmente inserito in un disegno cristologico-trinitario-ecclesiale e posto a garanzia dell’effettiva libertà dei figli di Dio. La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna la Trinità intera ed è a vantaggio di tutti gli uomini. Potremmo dire che Maria è coinvolta nel «complotto» di Dio, meglio nel suo misterioso e sorprendente «disegno», per la salvezza degli esseri umani: «[Maria] è colei che porta in sé Gesù Cristo; ma non vuole conservarlo per sé, perché infine è colei che lo porta al mondo: in questo senso partecipa – come la Chiesa – a quello che si potrebbe chiamare il « complotto » di Dio per salvare il mondo, e si può celebrarla come quella che ha introdotto segretamente tra gli uomini il Cristo, nel quale il regno di Dio è presente». Il genere paradossale per parlare della Madre di Cristo. Nello stesso breve passo di Gal 4,4 Paolo ricorre al genere paradossale, a lui caro (1Cor 1,21-31; 2Cor 5,21; 8,9; Rm 8,3-4), mettendo insieme realtà contrastanti (paradosso, dal greco pará dóxa = a lato dell’opinione): schiavitù-redenzione, fragilità-figliolanza divina. Esiste in realtà un rapporto antitetico tra la modalità con cui il Figlio di Dio si presenta al mondo e la finalità della stessa sua venuta. In pratica Paolo applica all’invio del Verbo nella condizione umana la legge storico-salvifica dell’abbassamento-esaltazione che lega la prima alleanza al definitivo Testamento. Il ribaltamento delle sorti è il messaggio del libro di Ester, dove questa è intronizzata e Vasti ripudiata, Mardocheo è esaltato e Amman ucciso. Soprattutto nel Servo di JHWH si realizza l’antitesi abbassamento-esaltazione: egli è umiliato con la persecuzione e la sofferenza, ma poi viene «esaltato e molto innalzato» (Is 50,6; 52,13). Quando la comunità cristiana cerca un principio che renda comprensibile la vicenda di Gesù, lo trova nello schema del giusto sofferente ed esaltato. In questa linea si svolge il celebre inno cristologico pre-paolino di Fil 2,6-11, dove si passa dalla fase di umiliazione che raggiunge il climax nella morte di croce all’esaltazione di Gesù come Signore. Di fronte al testo di Paolo sorgono spontaneamente alcuni interrogativi: come può Cristo «sottomesso alla legge» liberare quanti attendono di esserne affrancati? E come può un «nato da donna» come tutti gli esseri umani conferire la dignità di figli di Dio? Paolo non scioglie questi enigmi, ma lascia aperto il discorso circa il modo con cui Cristo viene al mondo (per es. verginalmente e nella potenza dello Spirito, come specificheranno i Vangeli dell’infanzia) o è sottoposto alla legge (cioè volontariamente, senza essere obbligato). Il discorso rimane aperto anche circa il tempo, quando si passerà dall’umiliazione all’esaltazione; tale passaggio avverrà sicuramente per Paolo nel mistero pasquale, ma nel passo di Gal 4,4 esso rimane implicito. Maria è accomunata alla kenosi del Figlio, cioè alla sua incarnazione in stato di svuotamento e di debolezza, di cui lei diviene elemento indispensabile. Quattro secoli più tardi Agostino riconoscerà in Maria la madre della «debolezza» di Cristo, «non della sua divinità», avendolo generato nella condizione umana. Del resto gli studi biblici e teologici nel Novecento contestualizzeranno la Vergine di Nazaret nella storia spirituale del suo popolo piccolo, disprezzato e calpestato dalle grandi potenze. Ella fa parte dei «poveri di JHWH», apice spirituale d’Israele, come donna in ascolto di Dio che si rivela, al quale fa il dono totale di sé. Pur avendo generato il Signore dell’universo, ella conduce una vita senza privilegi terreni, in situazione di povertà e di assenza di qualsiasi potere e influsso. La sua suprema kenosi è raggiunta sul Calvario quando sperimenta la spada del dolore. Tuttavia il principio kenotico «sarebbe monco e incompleto qualora non venisse attribuita alla Madre di Gesù anche la sua necessaria conseguenza che è l’esaltazione». La kenosi di Cristo, cui partecipa Maria, non è che il primo pannello di un dittico che contempla anche la condizione glorificata di entrambi. Il theologumeno storico-salvifico dell’abbassamento-esaltazione che la Vergine applica alla sua vicenda nel Magnificat (Lc 1,47-48), può tradursi oggi con emarginazione-promozione, passività-inserimento attivo nella storia, vuoto di valori-pienezza di significato: Dio ha trasformato la sua insignificanza in momento di salvezza messianica. L’immagine kenotica di Maria controbilancia la tendenza glorificatrice di lei, che la privava della sua consistenza concreta di donna inserita nella storia dell’ebraismo, giungendo ad una certa disumanizzazione della sua figura.

 

L’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE NELLA CELEBRAZIONE DELLA CHIESA

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L’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE NELLA CELEBRAZIONE DELLA CHIESA

Da Sergio Gaspari, Celebrare con Maria l’anno di grazia del Signore, Edizioni Monfortane, Roma, pp.91-110.

SIGNIFICATO BIBLICO – SPIRITUALE

È lo Spirito che annuncia il Signore a Maria (Lc 1, 26-38). Luca lascia emergere con sufficiente evidenza l’analogia tra la discesa dello Spirito su Maria all’Annunciazione e sulla Chiesa apostolica a Pentecoste. Del resto l’Annunciazione è giustamente detta « la Pentecoste di Maria » (S. Bulgakov) o la proto-Pentecoste della Chiesa. È l’inizio dell’Oméga, l’inaugurazione della Alleanza Nuova nel Sangue del Dio-Uomo, l’inizio del Giudizio escatologico. Perciò l’Annunciazione è la Parte del Tutto, la radice e l’inizio cronologico e salvifico dell’evento pasquale. Vi è una discreta analogia tra l’Annunciazione a Maria e la Pentecoste della Chiesa apostolica. Basta confrontare Le 1,35.46.49a con Le 24,49; At 1,8; 2,4.6.7.11. Adombrata dallo Spirito nell’intimo della sua persona (Le 1,35), la Figlia di Sion erompe quasi all’esterno, sulle montagne della Giudea (Le 1,39) per annunziare le grandi opere compiute in lei dall’Onnipotente (Le 1,46.49). Dall’altra parte la Chiesa apostolica di Gerusalemme, corroborata dal vigore dello Spirito (Le 24,49; At 1,8) – mentre erano radunati all’interno della casa (At 2,2) – lascia il suo ritiro per proclamare pubblicamente le grandi opere del Signore (At 2, 4.6.7.11). L’Annuncio a Maria supera ogni vecchio schema delle annunciazioni dell’Antico Testamento. I temi narrati qui sono completamente nuovi: il concepimento verginale del Figlio di Dio, la compartecipazione della Madre ai Misteri salvifici, la Maternità divina e perciò Maternità verginale, propria ed esclusiva dei tempi messianici. Anche le Promesse dell’Antico Testamento si compiono in un modo del tutto inatteso, nella novità che è Cristo Signore. Nella radicale novità inaugurata con l’Annunciazione trovano attuazione i tratti originali dei tempi escatologici e apocalittici. Il Fiat della Vergine – che riecheggia quello di Israele alle falde del Sinai (Es 24, 3.7), ma mai pienamente compiuto – conclude l’Alleanza escatologica. Ritroviamo qui gli elementi teofanici caratteristici: la manifestazione della Gloria (Sékinàh) e della Presenza di Dio, il segno della nube. La presenza dello Spirito, Forza (Dynamis) divina per il concepimento verginale del Figlio di Dio, prelude la gloria del Battesimo del Signore (Lc 3, 21-22), della sua gloriosa Trasfigurazione (Lc 9, 29-35), del Giudizio del mondo (Lc 22, 69-70) e della Resurrezione (cfr Rm 1, 3-4). La Novità del Figlio di Dio che trasforma i modelli preesistenti è unicamente quella della Resurrezione; una novità che passa attraverso la Croce gloriosa, tanto che l’Annunciazione è spiegata anche con la Croce, radice dell’Annuncio del Signore. Il Fiat della Madre di Dio esprime il suo desiderio di entrare in comunicazione filiale e nuziale con Dio e con il Verbo; è un’offerta sacrificale, e ogni sacrificio è celebrazione della Pasqua, Ingresso liturgico in Dio Padre, crescita dei fedeli del Signore nella Vita Nuova (cfr Eb 10, 4-10; Sal 39, 7-9). Come altrove, Luca, nel riferire l’annunciazione alla Vergine, va controcorrente rispetto agli slogan del suo tempo, secondo i quali la donna in genere sarebbe caratterizzata per la passività e l’uomo per l’attività. L’autore usa un suo metodo originale: presenta il turbamento sia di Zaccaria che di Maria. Ma Zaccaria è turbato dalla visione dell’angelo (Lc 1,12), Maria « per tali parole rimane molto turbata » (Lc 1,29): il suo turbamento è a causa dell’audizione dell’invito alla gioia messianica e all’elogio insolito. Il sacerdote rimane passivo e quasi paralizzato. La Vergine invece è in situazione attiva: riflette per aderire.

TITOLI E CONTENUTI PASQUALI DELL’ANNUNCIO L’Annunciazione a Maria è un evento che spiega la Pasqua, per questo nel racconto troviamo una ricchezza di titoli e di temi pasquali. I cieli si aprono affinché lo Spirito della Resurrezione di scenda sulla creatura; il medesimo Spirito incarna il Verbo dell’Amore del Padre mediante un’azione creatrice di carattere ipostatico. L’Incarnazione del Figlio di Dio e la Pentecoste dello Spirito sono due azioni inseparabili, identiche e inconfondibili: il Lógos è reso Ipostasi divino-umana dallo Spirito Ipostatico e Creatore. Maria, la Divenuta-tutta-grazia, è da Dio Gratificata, privilegiata, favorita (Lc 1, 28): è la dimora dello Spirito e riceve la sua pienezza. Già a Nazaret la Pentecoste si concentra totalmente in Maria perché limitata alla sua persona. Ella cresce in questa pienezza fino alla Dormizione e all’Assunzione in cielo. Maria in tal modo è la « Portatrice dello Spirito » (Pneumatophóra), ella comunica attivamente, cioè anche per virtù propria, la Vita divina della Triade Unita. Vita che il Con-noi-Dio darà agli Apostoli il giorno della Pentecoste. Ma fin d’ora, essendo membro perfetto della Chiesa nascente e la Chiesa prima della Chiesa, Maria porta lo Spirito del Figlio ad Elisabetta e a Giovanni il Battista (Lc 1, 39-45), come lo porterà poi ai fratelli del Signore (cfr Mc 16, 5-8). Il Figlio annunciato a Maria è connotato da numerosi titoli pasquali: egli è Gesù, cioè « il Signore-è-salvezza » (Lc 1, 31); il Grande (Lc 1, 32; cfr Is 9, 7); il Figlio dell’Altissimo (Lc 1, 32; cfr v. 35); il Figlio di David e il possessore del trono di lui (Lc 1, 32); il Re eterno della Casa di Giacobbe o di Israele (Lc l, 32); il Figlio di Dio (Lc 1, 35); il Santo (Lc 1, 35), della stessa santità di Dio, il Sacerdote Sommo dell’Alleanza Nuova che pone termine al sacerdozio levitico (cfr Lc 1, 5-25) attraverso la sua futura sofferenza e la morte espiatrice. Anche il contenuto è pasquale. Di Lc 1, accenniamo ad alcuni versetti: v. 28: l’angelo saluta Maria con « gioisci.! »; è un verbo tipicamente pasquale: è la gioia della Pasqua, portata dallo Spirito della Resurrezione; v. 32: « egli sarà Grande »; nell’Antico Testamento solo Dio è Grande. Ma il Messia Salvatore è Grande perché Figlio di Dio e « Santo » (v. 35) ad opera dello Spirito santificatore. Il nascituro è il Re Pantokrator che appartiene alla sfera divina; v. 35: il linguaggio è proprio della Resurrezione, legato con il Battesimo e la Trasfigurazione: in entrambi gli eventi si parla dell’adombramento su Cristo da parte dello Spirito, della nube e della gloria del Padre. Lo Spirito che scende su Maria non è tanto lo Spirito profetico, quanto la Potenza creatrice divina che crea la Vita divina; è lo Spirito, principio di Vita e di Resurrezione (cfr Rm 1, 4; 1 Cor 15, 45; Gv 3, 4-8; Mt l, 18); v. 38: il Fiat di Maria non è tanto o solo espressione di umiltà, quanto di fede (v. 45), di docilità e di amore oblativo, che richiama quasi la figura del Servo del Signore (Is 53). Maria per prima proclama l’Amen alla gloria di Dio e intona per tutta la Chiesa: « Vieni, Signore Gesù! » (1 Cor 16, 22; Ap 22, 17.20). La Resurrezione, come l’Annunciazione, è opera dello Spirito: solo lui è la Forza di Dio (Lc l, 35) che si esprime per eccellenza e innanzitutto nella Resurrezione del Signore (Rm 1, 3-4). Cristo Risorto è Spirito vivificante (Rm 8, 5-10); è lui che dà la Vita e la Vittoria sulla morte (Rm 6, 8-11); è lui che dona la fecondità intradivina alla Vergine nel momento della sua Incarnazione. La Maternità divina inizia a Nazaret, raggiunge il suo segno storico nel Natale del Figlio a Betlemme e tocca il suo culmine nella Passione e Resurrezione; si perpetua poi nel tempo della grazia dello Spirito, tramite la Chiesa che celebra incessantemente il suo Signore.

L’ANNUNCIAZIONE NELLA CELEBRAZIONE DELLA CHIESA Il 25 marzo la Chiesa celebra la solennità dell’Annuncio del Signore a Maria. L’Incarnazione del Verbo è l’inizio della sua Pasqua: perciò la festa del 25 marzo, già nel IV/V secolo è considerata « la radice delle feste » (Giovanni Crisostomo), l’inizio dei tempi nuovi, l’inizio della fine: inizio dell’Incarnazione storica del Messia e inizio della deificazione dell’uomo, della rinnovazione del creato. Per gli Ebrei il Capodanno liturgico è celebrato nel mese di Nisan, durante il quale si fa memoriale della Pasqua (cfr Es 12,2.18; 34,18). Tale data era anche il Capodanno del re e delle feste. Infatti si contava l’inizio del regno del sovrano a partire proprio dal Capodanno festivo. Anche in epoca cristiana l’inizio dell’Anno liturgico nell’alto Medioevo era fissato a marzo, precisamente il 25 marzo, capodanno pure civile, quindi primo mese dell’anno. In seguito l’inizio dell’Anno liturgico si spostò a Natale, poi all’Avvento, mentre l’inizio dell’anno solare fu regolato in corrispondenza con il calendario civile di Roma, dal quale potrebbe derivare la data del Natale cristiano al 25 dicembre, giorno in cui in tutto l’impero romano si celebrava il Natale del dio Sole. L’espressione patristica greca rhíza tón heortón, « radice delle feste » – con la quale si denomina il 25 marzo – deriva proprio dal Capodanno del re e delle feste. Il 25 marzo perciò sorge nella Chiesa come il Capodanno del Re Salvatore e della Regina Madre. Nella letteratura cristiana il 25 marzo è indicato come il giorno che comprende tutti i giorni del tempo nuovo: il giorno somma del tempo della Chiesa. Seguendo l’ipotesi che spiega la festa del Natale fissata al 25 dicembre in dipendenza dal 25 marzo (e non viceversa), gli Antichi e i Padri – fin dal tempo di Tertuliano – credevano che questo giorno, equinozio di primavera, segnasse l’inizio della creazione del mondo e dell’uomo. Perciò era ritenuto come una data simbolica del concepimento del Verbo di Dio: il Signore si sarebbe incarnato e sarebbe anche morto il 25 marzo.. La festa tuttavia cadeva in Quaresima, tempo in cui per la Chiesa antica era vietato celebrare qualsiasi solennità. Per l’Occidente la difficoltà fu affrontata dal concilio di Toledo (656); in Oriente invece il Concilio trullano (692) stabilì che in Quaresima si sarebbe fatta un’eccezione per l’Annunciazione, senza trasferirla, anche se coincide con il Venerdì o il Sabato santo. Questo uso è in vigore ancora oggi tra gli Orientali.(La nascita del Signore al 25 dicembre è documentata a Roma per la prima volta nel 336. Ciò non esclude la prima ipotesi che spiega la data del Natale in dipendenza del 25 marzo.) Sia in Oriente che in Occidente, la festa dell’Annunciazione è tra le più solenni dell’Anno liturgico; in questo giorno Maria è venerata e ricordata come la Portatrice della Vita Nuova, della Vita pasquale del Signore. Abramo di Efeso in una omelia per il 25 marzo proclama: « Oggi è sciolta l’antica condanna: da quando infatti fu pronunciato in terra quel Gioisci, è cessato quel Partorirai figli nel dolore;  per una donna subentrò agli uomini la morte; per una donna ritornò loro la vita » . L’Annuncio di Cristo a Maria richiama anche l’apparizione di Cristo Risorto a sua Madre il mattino di Pasqua. Era necessario – dicono i Padri (Atanasio il Grande, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio Palamas) – che l’Adamo nuovo, destandosi dal sonno (cfr Gn 2, 21-23), vedesse prima di tutto la Donna e fosse veduto da lei. La Donna che prima di qualunque altra creatura vede il Risorto, per i Padri, è senza dubbio la Vergine Madre di Dio. L’Annunciazione non è solo l’inizio della Redenzione: è la chiave di lettura e di comprensione di tutta la vicenda di Cristo che seguirà poi. L’esaltazione del Verbo fattosi Carne a Signore uni versale non attenua minimamente il suo Mistero di Verbo fattosi Uomo dalla Donna per l’eternità. Il Mistero pasquale si sviluppa e cresce nel segno dell’Incarnazione storica e gli uomini nell’Emmanuele diventano figli di Dio (Gal 4, 4-5). Come evento storico-salvifico la Chiesa celebra l’Annunciazione una volta l’anno, il 25 marzo; ma lo stesso Mistero – secondo l’economia sacramentale – si attua ogni giorno e in ogni celebrazione. Il Signore Risorto, annunciato a Maria, è annunciato quotidianamente alla Comunità dei fedeli per il perpetuarsi della Incarnazione sua e ciò avviene in prospettiva storica, come compimento della Profezia, in dimensione sacramentale come attuazione dell’Evangelo « per noi-qui-ora » e nella dimensione escatologica, tempo ecclesiale della crescita di Cristo Capo nel suo Corpo, fino alla Venuta parusiaca del Signore. A questi tre livelli corrispondono infatti le tre letture della Liturgia della Parola: il Profeta (o Antico Testamento), 1′Evangelo e la lettura dell’Apostolo. Del Mistero integrale ogni celebrazione fa memoriale, più o meno esplicito, secondo 1′Evangelo e il « colore » liturgico del giorno.

Rembrandt – The Incredulity of St Thomas

Rembrandt - The Incredulity of St Thomas dans immagini sacre Rembrandt_-_The_Incredulity_of_St_Thomas_-_WGA19095
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Publié dans:immagini sacre |on 1 avril, 2016 |Pas de commentaires »
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