10 APRILE 2016 | 3A DOMENICA DI PASQUA – ANNO C | APPUNTI PER LA LECTIO
10 APRILE 2016 | 3A DOMENICA DI PASQUA – ANNO C | APPUNTI PER LA LECTIO
« Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? » Nella Liturgia della terza Domenica di Pasqua riaffiorano alcuni elementi che già abbiamo incontrato nella Domenica precedente: ad esempio, il tema della esaltazione del Risorto soprattutto nella celebrazione liturgica (2a lettura), il potere conferito a Pietro su tutta la Chiesa (Vangelo) messo in relazione con il potere di » rimettere » i peccati, oltre che, ovviamente, il riferimento globale di tutti i testi biblici al « mistero » della risurrezione del Signore (soprattutto la 1ª lettura). Tutto dunque prende significato da questo fondamentale fatto salvifico, alla cui luce anche noi vorremmo fare una rilettura soprattutto del ricchissimo brano del Vangelo odierno.
« Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete » In esso è molto facile distinguere due parti: la prima (Gv 21,1-14) ci descrive l’incontro del Risorto con un gruppo di sette discepoli sulla riva del lago di Tiberiade, seguito dalla scena della pesca miracolosa; la seconda, invece, ci descrive il conferimento a Pietro del primato su tutto il « gregge » di Cristo (vv. 15-19). Il punto poi di raccordo fra tutto questo ampio materiale, piuttosto eterogeneo, è costituito sia dalla figura di Pietro, sia dall’interesse « ecclesiologico » che pervade tutto il brano. È chiaro che in questa sede non ci interessano le questioni critico-storiche relative alla formazione e alla provenienza di questo capitolo, che indubbiamente è stato aggiunto in un secondo momento al Vangelo di Giovanni. A noi interessa piuttosto approfondirne il ricco messaggio teologico, in chiave di risonanza pasquale. La prima cosa da osservare, infatti, è lo sfondo pasquale in cui si svolgono gli avvenimenti. Lo nota espressamente l’Evangelista all’inizio: « Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade » (21,1). Lo sottolinea di nuovo verso la fine: « Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti » (v. 14). Inoltre, c’è il tipico schema descrittivo pasquale, che ritroviamo sia in Luca che in Giovanni: Gesù appare ma non è subito riconosciuto (v. 4), quindi si fa riconoscere attraverso qualche segno (qui la pesca miracolosa e la preparazione di un improvvisato banchetto: pane e pesce arrostito). Infine c’è la « confessione » di fede nel Risorto come « Signore ». È quanto intuisce immediatamente il « discepolo che Gesù amava », che lo dice subito a Pietro: « È il Signore ». Appena, poi, Simon Pietro « udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare » (v. 7). In questo sfondo pasquale c’è poi da collocare sia il fatto della pesca miracolosa sia il conferimento del primato che, come vedremo meglio, sono intimamente collegati. E prima di tutto la pesca miracolosa, non tanto come fatto a sé stante quanto nella sua allusività « ecclesiologica ». Tre elementi attirano l’attenzione: il contrasto tra lo sforzo sterile dei discepoli lasciati a se stessi (v. 3) e l’abbondanza della pesca fatta su invito di Gesù (v. 7); il simbolismo dei 153 grossi pesci (v. 11); l’annotazione che, nonostante la quantità dei pesci, la rete non si sia rotta (v. 11). Il significato « ecclesiologico » è chiaro. Il miracolo della pesca allude alla missione (il motivo è esplicito in Lc 5,1-11), e la somiglianza tra il miracolo della pesca e la missione della Chiesa va cercata in profondità. La fatica notturna dei pescatori è vana: « Senza di me non potete far nulla » (15,5). Ma con Gesù tutto cambia. È la parola del Signore che ha riempito la rete, ed è unicamente la parola del Signore che rende efficace il lavoro apostolico dei discepoli. Il racconto vuol essere un ritratto dello sforzo della comunità senza Cristo (sterile) e con Cristo (fecondo). La missione è fruttuosa soltanto se obbedisce alla parola del Signore. Secondo l’esegesi antica, il numero 153 è un numero di « misteriosa perfezione », atto a indicare il grandioso successo della missione e il suo carattere universale. Successo e universalità non rompono l’unità della Chiesa. « È dunque la parola del Signore che garantisce alla Chiesa il successo, l’universalità e l’unità. Alla Chiesa non resta che l’obbedienza, e precisamente un’obbedienza carica di fiducia, come fu il gesto dei discepoli che calarono la rete nonostante la precedente esperienza di fallimento ». Il Cristo risorto è dunque il « Signore » soprattutto della sua Chiesa: ogni fecondità in essa deriva dalla « presenza » invisibile del suo Signore, come quella mattina sul lago di Genezaret, al primo pallido baluginare dell’alba. Ci volle l’occhio acuto e penetrante di Giovanni per riconoscerlo! Anche se Pietro si era dato un gran da fare per organizzare la pesca (v. 3), in realtà il successo arrise ai discepoli solo per l’intervento di Cristo che ordinò perfino i movimenti da fare: « Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete » (v. 6). La forza della Chiesa sta tutta in questa capacità di lasciarsi « guidare » dal suo Signore, che però normalmente agisce attraverso certe « mediazioni » umane.
« Pasci i miei agnelli… » È quanto risulta dalla seconda parte del racconto evangelico, che mette in evidenza il ruolo pastorale di Pietro: direi che c’è un riconoscimento e una investitura, nello stesso tempo, della sua funzione direttiva nella Chiesa, che già era stata adombrata nel fatto che proprio lui, dopo essersi gettato in acqua per raggiungere a nuoto il Signore, era risalito nella barca per « trarre a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci » (v. 11). Pur essendo coadiuvato dagli altri, è chiaro che è Pietro a dirigere tutte le operazioni. Le parole susseguenti del Signore non fanno che mettere allo scoperto un progetto di Dio, che già si stava in un certo senso dipanando. Non intendiamo qui commentare per esteso questo brano così ricco di riferimenti teologici e che pone la figura di Pietro al centro del « ministero » ecclesiale. Vogliamo soltanto indicare alcune linee più significative del suo « servizio » nella Chiesa, alla luce sempre del mistero pasquale. In primo luogo, c’è da osservare che, proprio perché colui che affida a Pietro il compito di « pascere » i suoi « agnelli » e le sue « pecore » (vv. 15.16.17) è il Cristo risorto, non può trattarsi di un affidamento, diciamo così, di « luogotenenza »: in quanto è l’eterno Vivente, Cristo è presente a ogni momento e a ogni gesto di salvezza della sua Chiesa. Se ora ha bisogno di Pietro, lo fa per « visibilizzare » la propria presenza e la propria presidenza nella comunità dei credenti: Pietro perciò non fa da schermo all’attività salvifica del Cristo, ma piuttosto da « mediazione » sacramentale. Se una « autorità » di Pietro ci deve essere nella Chiesa, essa non è autonoma, ma è l’autorità stessa del Cristo risorto che si esercita per mezzo di lui. Da questo punto di vista è chiaro allora che il servizio di Pietro è un « dono pasquale » fatto da Cristo alla sua Chiesa. Senza di Pietro la Chiesa sarebbe immensamente più povera! In secondo luogo, il servizio di Pietro nasce dalla capacità di amare ed è ordinato alla crescita nell’amore di tutti i membri della comunità ecclesiale. Per questo il Risorto gli chiede per ben tre volte: « Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? » (vv. 15.16.17). Molto probabilmente abbiamo qui un rimando alla triplice negazione della Passione. Se questo è vero, il significato delle parole assume una risonanza anche più profonda: nel ministero che Cristo gli affida, Pietro non dovrà contare sopra le proprie forze, che sono molto fragili e certamente lo porterebbero a tradire ancora, quanto piuttosto sulla « forza » che viene da Dio e che egli dispensa in proporzione dell’amore. « Il successore di Pietro sa che nella sua persona e nella sua attività è la grazia e la legge dell’amore che sostengono, vivificano e adornano tutto e, di fronte al mondo intero nello scambio d’amore tra Gesù e lui, Pietro, figlio di Giovanni, la santa Chiesa trova il suo appoggio come sopra un sostegno invisibile e visibile: Gesù invisibile agli occhi della carne e il Papa Vicario di Cristo visibile agli occhi del mondo intero » (Giovanni XXIII, Giornale dell’anima). Anche in maniera più esplicita, or non è molto, Giovanni Paolo II si rifaceva alla debolezza di Pietro, sorretto però dalla forza della grazia e dell’amore: « Erede della missione di Pietro…_il Vescovo di Roma esercita un ministero che ha la sua origine nella multiforme misericordia di Dio, la quale converte i cuori e infonde la forza della grazia laddove il discepolo conosce il gusto amaro della sua debolezza e della sua miseria » (Enciclica Ut unum sint, 25 maggio 1995, n. 93). In terzo luogo, c’è anche da richiamare il fatto che, proprio mentre Gesù conferisce a Pietro la presidenza pastorale su tutta la Chiesa, gli preannuncia velatamente il futuro martirio: « »In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi… ». E detto questo aggiunse: « Seguimi »" (vv. 18.19). C’è dunque uno stretto rapporto tra il « servizio » di Pietro e la « sequela » di Cristo, che va fino al martirio: « Il significato immediato che più emerge è che Pietro viene assunto in un servizio totale, dove non ha più importanza la sua volontà ma quella del suo Signore » (W. Marxsen). Come si vede, tutto questo rimanda a un contesto tipicamente pasquale: quasi che il Cristo volesse dire che il ministero di Pietro e ogni altro ministero, nella Chiesa, sarà ministero di risurrezione solo se prima sarà stato ministero di sofferenza e di crocifissione, così come lo è stato per Gesù!
« L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza… » Proprio a questo pensiero ci rimanda la seconda lettura ripresa dall’Apocalisse (5,12-14), in cui si descrive una solenne « liturgia » celeste nella quale troneggia il Cristo risorto nella raffigurazione di un Agnello immolato, a cui tutta la creazione rende omaggio: « L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, forza, onore, gloria e benedizione… » (v. 12). C’è un evidente contrasto fra la figura dell’Agnello « immolato », segno di umiliazione e di sconfitta, e la « gloria » che adesso riceve da tutte quante le creature. Egli è collocato addirittura alla pari con Dio, come destinatario della immensa celebrazione cosmica: « A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli » (v. 13). La Pasqua eterna, che il Cristo celebra oggi nella gloria del Padre, nasce, dunque, dalla sua « immolazione » sulla croce. Solo « assumendo la condizione di servo » egli è diventato « Signore » (cf Fil 2,7-11). Una via da « seguire » per tutti i cristiani, e specialmente per quelli che egli ha « scelti » (cf Gv 15,16) a essere suoi « ministri ».
Settimio CIPRIANI (+)