CORINTO E LE LETTERE AI CORINZI (MEDITAZIONE SULLA FATICA DELL’ UNITÀ CRISTIANA, NELLO SCAVO DELLA CITTÀ ANTICA)

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CORINTO E LE LETTERE AI CORINZI (MEDITAZIONE SULLA FATICA DELL’ UNITÀ CRISTIANA, NELLO SCAVO DELLA CITTÀ ANTICA)

CORINTO E LE LETTERE AI CORINZI (MEDITAZIONE SULLA FATICA DELL' UNITÀ CRISTIANA, NELLO SCAVO DELLA CITTÀ ANTICA) dans GEOGRAFIA, STORIA, CULTO DALLE TERRE DI PAOLO l004

Palazzo vicino la tribuna monumentale, la bemà, dalla quale predicò S.Paolo, secondo la tradizione

La comunità di Corinto è una delle comunità paoline che conosciamo meglio, per l’ampiezza dei testi che si sono conservati. Paolo, dicono gli Atti deg li Apostoli, abitò a Corinto un anno e mezzo, la prima volta che vi giunse, poi si fermò qui una seconda volta. Ha scritto ai Corinzi non solo le due lettere che possediamo, ma, probabilmente, almeno altre due. Gli studiosi dicono che la 1 lettera ai Cori n zi è una lettera unitaria. Invece nella seconda lettera ne riconoscono due, poiché ipotizzano che la seconda parte della lettera sia la lettera “ dalle molte lacrime” che Paolo dice di aver inviato precedentemente a quella che è la nostra 2 Cor. Infatti nel la seconda parte di 2 Cor, nei capitoli da 10 a 13, vediamo Paolo che si offende, si agita, si commuove, che è profondamente adirato con i Corinzi. Se è vera questa ipotesi, allora la prima parte della seconda lettera ai Corinzi – dal capitolo 1 al capito l o 9 – sarebbe in realtà la terza lettera scritta da Paolo a questa città e la nostra 2 Cor sarebbe un insieme di queste due lettere. L’ ultima parte, più antica, evidenzierebbe questa profonda frizione con Paolo, la prima parte, più recente, ci mostrerebbe Paolo ormai tornato in buoni rapporti con la comunità locale. Vorrei farvi notare prima di tutto questo – e questo già basterebbe per oggi. Ogni volta che affrontiamo Paolo tocchiamo il valore della vita ecclesiale, il valore della vita della Chiesa. S.Pa olo non ci racconta, nelle sue lettere, l’ inizio della fede, perché le lettere sono scritte quando già le comunità esistono. Le lettere affrontano quello che avviene dopo, quello che avviene durante lo svilupparsi della vita. Le lettere non sono scritte p e r “ mettere la prima pietra” , ma perché , dopo averla messa, è importante come si continua a costruire. Pensate alle nostre famiglie per esempio, alla loro evoluzione, ai rapporti con i figli, con i nipoti; tutto questo dice una continuità . Chi vuole brucia r e in un attimo le cose, o pensa che avendo fatto una cosa all’ inizio con il proprio figlio, giusta o sbagliata che sia, è a posto per sempre, ha già risolto tutto, in realtà non riesce più ad amare. Perché in realtà se ha sbagliato può cambiare, se ha fat t o bene deve continuare sulla giusta via. Questa continuità di rapporto, già di per sé , dice – noi lo cogliamo nelle varie lettere ai Corinzi – una continuità di rapporti. C’ è un passato, ma la vita va avanti. Vi faccio vedere tre passaggi di questo. Nella 1 Corinzi in cui Paolo comincia ad alzare un po’ il tono perché li vuole rimproverare . 1 Corinzi 4,18 – 21: Come se io non dovessi più venire da voi, alcuni hanno preso a gonfiarsi d’ orgoglio. Ma verrò presto, se piacerà al Signore, e mi renderò conto al lora non già delle parole di quelli, gonfi di orgoglio, ma di ciò che veramente sanno fare, perché il regno di Dio non consiste in parole ma in potenza. Che volete? Debbo venire a voi non il bastone, o con amore e con spirito di dolcezza? Paolo dice “Cosa volete, vengo a bastonarvi?” E’ una domanda reale, seria. O vengo perché state capendo, vi state convertendo? E’ una comunità che va avanti e Paolo come Apostolo la vuole veder crescere – non gli basta l’inizio – e, per questo, si domanda: “Cosa debbo fare con voi? Il bastone o la tenerezza?” Il rapporto si modifica – e diviene più severo, nell’amore – nella 2 Corinzi 10, che è appunto la lettera “dalle molte lacrime” – io condivido questa posizione; da 10 fino a 13 non è la stessa lettera, ma è un’altra lettera che sta tra 1 Cor e 2 Cor. Leggiamo allora in 2 Corinzi 10, 1 – 11: Ora io stesso, Paolo, vi esorto per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo, io davanti a voi così meschino, ma di lontano così animoso con voi… Questa era l’accusa che gli facevano, è una lettera viva! Evidentemente i Corinzi avevano mandato a dire che Paolo, quando stava con loro, era dolce, ma quando si allontanava era uno che picchiava duro e diceva: “Qui bisogna cambiare, convertirsi, così non va”. Allora Paolo riprende queste critiche a lui rivolte e spiega: Vi supplico di far in modo che non avvenga che io debba mostrare, quando sarò tra voi, quell’energia che ritengo di dover adoperare contro alcuni che pensano che noi camminiamo secondo la carne. In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo. Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta. Guardate le cose bene in faccia: se qualcuno ha in se stesso la persuasione di appartenere a Cristo, si ricordi che se lui è di Cristo lo siamo anche noi. In realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò proprio da vergognarmene. Non sembri che io vi voglia spaventare con le lettere! Perché “Le lettere – si dice – sono dure e forti, ma la sua presenza fisica è debole e la parola dimessa”. Questo tale rifletta però che quali noi siamo a parole per lettera, assenti, tali saremo anche con i fatti, di presenza. Questa è la lettera in cui sale ancora di più di livello. Paolo dice “Attenzione, se continua così io vengo veramente e dalle parole forti passeremo alla mia presenza forte che chiederà conto ad ogni persona”. Poi, invece, nell’ultima lettera che noi abbiamo – che probabilmente è la 2 Corinzi 1-9 – poiché evidentemente c’è stata una conversione, c’è stato un salire di livello della comunità, allora Paolo, in 2 Corinzi 7, 8 – 13, così si esprime: Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. E se me ne è dispiaciuto – vedo infatti che quella lettera, anche se per breve tempo soltanto, vi ha rattristati – ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi. Infatti vi siete rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno da parte nostra; perché la tristezza vi ha portato a pentirvi. Infatti vi siete rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno da parte nostra; perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte. Ecco, infatti, quanta sollecitudine ha prodotto in voi proprio questo rattristarvi secondo Dio; anzi quante scuse, quanta indignazione, quale timore, quale desiderio, quale affetto, quale punizione! Vi siete dimostrati innocenti sotto ogni riguardo in questa faccenda. Così se anche vi ho scritto, non fu tanto a motivo dell’offensore o a motivo dell’offeso, ma perché apparisse chiara la vostra sollecitudine per noi davanti a Dio. Ecco quello che ci ha consolati. Questa è una lettera in cui Paolo ha superato questo momento di rimrpovero alla comunità di Corinto e dice: “Che qualcuno sia stato triste per la mia parola, va benissimo, purché la tristezza sia servita a portare un pentimento, di cui non ci si pente” – cioè il pentirsi è l’unica cosa di cui non ci si pente, il chiedere perdono a Dio. Ci sono due tipi di tristezza, c’è la tristezza del peccato, quando uno si accorge che ha sbagliato, che produce la conversione. C’è la tristezza invece secondo il mondo, l’essere tristi, che produce solo morte. Notate sempre il discernimento degli spiriti, la capacità di capire che tipo di tristezza la parola dell’Apostolo ha generato. Allora riassumiamo. C’è innanzi tutto questa prima cosa che credo sia utile per noi come Chiesa, per ogni relazione familiare, per i figli, i nipoti. Sapere cioè che la relazione non si esaurisce in un istante, ma, anzi, ha bisogno di tempi lunghi, di tutta una vita, e se ci sono momenti in cui si dicono dei “no”, questi momenti non sono la fine. Ci sono dei momenti in cui è bene aprire delle porte, poi altri in cui è bene richiuderle, poi si riaprirle – un rapporto non è mai lo stesso. La cosa importante è essere presenti in questa storia, metterci il Signore dentro e avere questa capacità di pentirsi che genera continuamente la possibilità di riavvicinarsi. Una seconda cosa importantissima è data dalle affermazioni intorno al fatto di costruire, di mettere una pietra, un fondamento che è Cristo e che non può essere diverso, ma insieme alla necessità di doverci poi costruire bene sopra. Vediamo 1 Cor 3, 5 e seguenti: Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. In questa comunità si litigava: perché? Paolo l’aveva fondata. Allora Paolo era quello che aveva messo il primo fondamento. Poi era arrivato un altro, Apollo, che aveva cominciato a dire alcune cose. Allora nella comunità alcuni si schieravano con Paolo e dicevano di “essere di Paolo”, altri si schieravano con Apollo e dicevano di “essere di Apollo” e altri dicevano: “Noi siamo di Cristo e non siamo né dell’uno né dell’altro”. S.Paolo spiega che così la Chiesa non crescerà mai. Nella Chiesa bisogna che ci sia un fondamento e bisogna però che poi si continui a costruire bene. Un figlio bisogna farlo nascere. Però, una volta che è nato, bisogna poi educarlo ed è importante chi gli ha dato fisicamente la vita ma è anche importante chi gli sta poi vicino perché cresca. Paolo spiega allora: “Il fondamento deve essere messo bene, non può essere messo male. Se uno mette un fondamento diverso da Cristo è un disastro. Però poi una volta messo il fondamento bisogna continuare a costruire bene. La comunità, la Chiesa, ha bisogno di una crescita nel bene e non bisogna distruggere il tempio di Dio che siete voi”. Notate che luce! E’ una cosa semplice ed insieme profondissima. Pensate – ripeto – a qualsiasi rapporto che dura nel tempo. S.Paolo allora fa riflettere su questo e poi si arrabbia sia con chi si richiama all’uno o all’altro, sia addirittura con chi si richiama solo a Cristo senza fare i conti con le persone concrete che Dio mette fra i piedi, come il padre, la madre, il nonno. Io non posso essere educato solo da Dio senza mia madre, mio padre, mio nonno, i miei fratelli e così via. La cosa importante è accogliere ogni persona come un ministro di Dio e Cristo come la pietra fondante che è all’origine di tutto. La Chiesa non può non avere come fondamento Cristo. Chi mette un altro fondamento sbaglia. Non si costruisce la Chiesa sulla psicologia, sul gioco, sulle pizze o sulla cultura. Ci si incontra perché conquistati da Cristo. Ma, posto quel fondamento, si accolgono tutte le persone che il Signore stesso manda alla sua Chiesa. Non esiste un cristianesimo senza Chiesa. E qui veniamo appunto al tema grande che affrontano queste lettere, all’orizzonte più grande. Leggiamo l’inizio del cap. 3, dove Paolo, daccapo, riflette su questa crescita che ci deve essere. C’è una cosa iniziale e poi pian piano bisogna andare avanti. Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete; perché siete ancora carnali: dal momento che c’è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana? Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini? Paolo dice che c’è, proprio come avviene ad un bambino – all’inizio ad un bambino non si può dare da studiare la Divina Commedia o tutta la scienza, ad un bambino si dà il latte – se il bambino cresce bene si comincia a poter dare da mangiare la carne, la verdura. Lui dice che nel cammino spirituale è la stessa cosa. Qual è il dramma? Paolo afferma che il dramma è che questa comunità è neonata, è appena nata – sebbene non lo sia anagraficamente – perché c’è un aspetto importante che non va. Notate, fra l’altro, cos’è lo “spirituale” per Paolo. La gelosia, l’invidia, la discordia, fanno sì che le persone siano dei bambini. Vogliono essere trattati come bambini e lui non riesce a dare loro un cibo diverso perché sono così presi da beghe interne, da cose di poco conto che sono tipiche dell’infante, che non riescono, invece, a digerire un cibo buono, che li renda evangelizzatori, li renda uomini di carità, ecc. In particolare questa cosa viene fuori proprio parlando della Chiesa. Lo vediamo ora leggendo 1 Corinzi 1, 10 – 16. Abbiamo visto che la lettera ai Corinzi affronta tanti problemi, abbiamo visto il problema delle vergini, delle vedove, poi c’è il problema dell’incesto, dei tribunali. Paolo affronta una serie di problemi che gli vengono posti, ma il primo problema è quello dell’unità della Chiesa. Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti. Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!” Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio, perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome. Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefana, ma degli altri non so se abbia battezzato alcuno. Paolo qui addirittura aggiunge il nome di Cefa, poiché alcuni si richiamano a Pietro l’apostolo – notate, di passaggio, come veramente siano ancora vivi tutti gli apostoli e come questa storicità dia forza alla nostra fede. Pensate anche ai problemi odierni dei movimenti, dei vari gruppi nella Chiesa, cose buonissime, ma terribili se diventa preponderante essere di qualcuno rispetto all’essere di Cristo. A Paolo non va neanche bene che ci sia solo Cristo. Ognuno deve riconoscere chi ha fondato, chi ha continuato, ma deve riconoscere prima di tutto che Cristo è l’unità di tutti e deve vivere in questa comunione. La stessa cosa avviene anche quando parla dell’eucarestia, un altro brano molto bello e insieme duro, in 1 Cor 11, 17 – 34. E’ l’ultimo che leggiamo: E mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. E’ necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. E’ per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo. Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta. Come sapete, anticamente, la messa veniva celebrata insieme ad una vera cena. Avveniva come abbiamo fatto per spiegare la Pasqua ebraica. Si cenava tutti insieme e si celebrava la messa. Cosa avveniva? Di fatto le persone andavano per partecipare tutti insieme all’eucarestia, però ognuno aveva la sua cena, cucinava per i suoi amici, per il suo giro di persone. Nessuno aspettava gli altri, nessuno condivideva con gli altri. Non c’era questa attenzione. Allora c’era chi era ubriaco, chi completamente satollo di cibo e c’era chi non mangiava niente. Cosa avveniva, che c’era il corpo di Cristo nell’eucarestia, ma non c’era il corpo di Cristo nella Chiesa. Allora Paolo dice: “Esaminatevi, perché chi riconosce il corpo di Cristo, ma non riconosce il fratello, sta mangiando la propria condanna”. Volete fare le vostre cose? Fatele a casa, ma che questa cosa non avvenga dove c’è la Chiesa di Cristo. Questo aiuta tantissimo a capire proprio il senso profondo che Paolo ha della Chiesa. Tutte le persone che vivono di Cristo, che ricevono il suo Battesimo, sono la Chiesa – questo ha delle conseguenze anche nei rapporti con gli ortodossi, ma non possiamo parlare di questo ora. La Chiesa è diversa dagli amici. La Chiesa non è fatta dagli amici. Non è vero che oltre l’amicizia non ci sia nulla. Non è vero che gli amici sono gli amici e gli altri non sono nulla, non li saluto neanche. La fratellanza, l’essere fratelli, non vuol dire essere amici. Gesù non ha ordinato che noi dobbiamo tutti essere amici tra di noi, tutti amici a S. Melania, tutti amici a Roma, tutti amici nel mondo. Sarebbe assurdo! Ma c’è il livello della fratellanza. Questa sì, il Signore l’ha ordinata. Ecco il posto dell’ attenzione, della comunicazione, della condivisione con coloro di cui a volte non conosco neanche il nome, che è il livello della Chiesa, dove io riconosco che ognuno è corpo di Cristo con me. C’è l’eucarestia che è Cristo presente nel pane e nel vino e c’è Cristo che è presente nella Chiesa. Vi ricordate quel brano che ci ha letto il nostro Vescovo, d.Rino Fisichella? E’ un brano di di Sant’Agostino, che dice: Fate questo in memoria di me”: è con queste parole di S.Agostino che possiamo comprendere il senso della memoria eucaristica: « Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l’apostolo che dice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra (1 Cor 12, 27). Se voi, dunque, siete il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A ciò che voi siete, voi rispondete “Amen” e, rispondendo, lo sottoscrivete. Odi infatti: « Il corpo di Cristo » e rispondi: « Amen ». Sii veramente corpo di Cristo, perché l’Amen (che pronunci) sia vero! E’ fondata da Cristo la comunione cristiana. Non nasce dalle mie simpatie e non muore con le mie difficoltà ad andare d’accordo. E’ radicata nell’essere tutti noi membra del suo corpo. Ecco, Paolo nella comunità di Corinto, ha insistito molto su questo. Mi viene in mente un’espressione di d.Francesco – molto vera – che ha fatto molto discutere in parrocchia. Ha detto ai giovani che vedeva in loro una mediocrità spirituale. Qualcuno se l’è presa come fosse un’offesa personale, dicendo. “Come può conoscerci tutti per dare questo giudizio?” E lui ha risposto: “Dico questo perché non siamo stati capaci di celebrare nemmeno un vespro insieme, in un anno di cammino, ma ognuno faceva le sue cose, senza essere disponibile ad un cammino comune” Questa è mediocrità spirituale ecclesiale. “Lo dico, perché vi voglio bene” – dice don Francesco – “non lo dico perché non vi sopporto o perché vi odio, ma perché è mio compito dire che non è possibile che dei cristiani non trovino la disponibilità una volta, in Quaresima, a celebrare un vespro o un ritiro insieme, su invito del loro vice-parroco”. E’ segno di un livello basso, di un livello da neonati, se tutto viene anteposto a vivere certi momenti. La comunità è anche segno per l’evangelizzazione. Se ognuno è cristiano da solo ma non vive il segno della fratellanza, è più difficile per il non credente, per una persona lontana, trovare questo slancio, questo entusiasmo. Ecco che qui a Corinto abbiamo riflettuto molto su questo grande tema, che è il tema della Chiesa. La fede Dio la da personalmente ad ognuno, è nostra, non possiamo mai demandarla ad un altro, ma essa nasce dall’annuncio della Chiesa – la Chiesa è la nostra madre – e ci fa nascere anche come persone che vivono la Chiesa, che sono la Chiesa, che si riconoscono vicendevolmente come corpo di Cristo e che sanno in alcuni momenti rinunciare a delle particolarità per vivere il segno profondo dell’essere insieme il corpo di Cristo, in quel momento storico, in quella tappa. Si potrebbero dire tante altre cose – le lettere ai Corinti sono lunghissime – ma volevo sottolineare soprattutto questi due aspetti, la Chiesa e questa fiducia nel lungo periodo, che ognuno di noi deve avere come educatore. Ci sono dei momenti in cui uno dice ad un nipote un “no” e l’altro, sul momento, è triste, ma dopo due anni se l’è dimenticato, non è più un problema. L’importante è che si cresca, che si cammini. Bisogna avere sia il coraggio di dire dei “no”, sia il coraggio di consolare, di dire dei “sì”, l’uno e l’altro in momenti diversi. Paolo con questa città ha avuto un rapporto molto lungo negli anni, con dei momenti alti, dei momenti bassi. Da qui il Vangelo ha continuato la sua corsa nel mondo intero

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