Atti 13,1-14,28: LA PRIMA MISSIONE DI PAOLO

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Atti 13,1-14,28: LA PRIMA MISSIONE DI PAOLO

Sono gli Atti stessi che questa volta ci offrono l’introduzione all’intera sezione: “C’erano nella comunità di Antiochia Profeti e maestri: Barnaba, Simeone, Lucio di Cirene, Manaen e Saulo. Ora, mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse «Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono” (13,1-3). Qui appare già una comunità organizzata, guidata da profeti e maestri. I primi hanno il compito di esortare, incoraggiare e correggere la comunità perché possa sempre compiere la volontà di Dio. I maestri sono incaricati della formazione dei convertiti approfondendo con loro la catechesi e le Scritture. È un dato assai importante: sin dall’inizio si è sentita la necessità di una formazione continua e comunitaria. Si passa poi a descrivere la comunità che sta celebrando una solenne liturgia e digiunando. Questi due atteggiamenti, la preghiera e il digiuno, liberano l’uomo del proprio egoismo e lo aprono al Signore. È il momento ideale per ascoltare la voce dello Spirito che probabilmente parla per mezzo di uno dei profeti presenti: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati”. All’inizio c’è sempre l’opera dello Spirito, ma poi viene il momento in cui i cristiani accolgono la sua voce e “imponendo le mani” affidano i designati allo Spirito Santo e si accomiatano da loro. Ha così inizio la missione che durerà circa tre anni (46-49).

Prima tappa: Cipro (13,4-13) “Inviati dunque dallo Spirito Santo discesero a Seleucia e di qui salparono verso Cipro”. È in questa luce di fede che dev’essere letta tutta la missione. Arrivati nell’isola, Barnaba, Saulo e Marco annunciarono la Parola nelle sinagoghe dei Giudei. Il “prima ai Giudei”, malgrado i continui smacchi, è un principio fondamentale per Saulo. In questo breve racconto, nulla si dice della loro catechesi. Tutto si concentra su uno scontro frontale con la magia. C’era lì, infatti, un mago famoso, alloggiato presso il proconsole romano Sergio Paolo. Egli fece di tutto per ostacolare Saulo e per distogliere il proconsole dalla fede. “Allora Saulo, detto anche Paolo (così lo chiameremo d’ora in poi), pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi sul mago e disse: «Ammasso di astuzia e di perversità… quando finirai di sconvolgere le vie del Signore? Ecco sarai cieco per un certo tempo e non ci vedrai più». Improvvisamente piombò nell’oscurità…”. La potenza dello Spirito annulla e distrugge ogni potenza magica e guadagna alla fede il Proconsole. Tutto qui l’apostolato di Paolo a Cipro, la patria di Barnaba. Da Pafo, porto di Cipro, salparono verso il continente e raggiunsero Perge in Panfilia, dove Giovanni-Marco si separò da loro per tornare a Gerusalemme. Antiochia di Pisidia (13,14-52) Paolo e Barnaba non si soffermano a Perge, ma si dirigono verso Antiochia di Pisidia. Il loro scopo è evangelizzare le città, da cui poi è più facile l’evangelizzazione dell’intera regione. Ad Antiochia c’era una grande sinagoga ed essi, giunto il sabato, vi entrarono per partecipare al culto. “A un certo punto, dopo la lettura della Legge, i capi mandarono a dire loro: «Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate». Si alzò Paolo”. I presenti non erano solo Giudei, ma anche molti pagani devoti e aderenti alla religione ebraica. Tutta gente che aveva una certa conoscenza della storia del Popolo di Dio. Paolo si sentì a suo agio e rivolgendosi all’assemblea disse: “Uomini di Israele e voi tutti timorati di Dio, ascoltate!”. Così ha inizio un discorso che può essere suddiviso in tre parti. La prima (13,11-25) è una fantastica catechesi sull’Antico Testamento. A Paolo interessa un solo soggetto: Dio che cammina con il suo popolo nella storia con lo scopo di dargli un salvatore, Gesù e con una cascata di undici verbi riassume l’agire di Dio dai Patriarchi a Gesù: “Dio scelse i nostri Padri e rese numeroso il popolo in terra d’Egitto. Dopo lo condusse via di là e lo nutrì per circa quarant’anni nel deserto… Distrusse sette popoli e diede loro in eredità la terra di Canaan e più tardi stabilì dei giudici per governarli fino a Samuele. Quindi diede loro Saul come re, che poi rimosse. Infine suscitò Davide dalla cui discendenza trasse per loro un Salvatore, Gesù secondo la promessa”. Questa è una splendida catechesi perché evidenzia un solo soggetto, Dio che ha un preciso progetto: dare loro un Salvatore, Gesù. È importante questo per i nostri catechisti. Quando si presenta l’Antico Testamento si deve evidenziare solo l’agire di Dio, scoprire come Egli si rivela e qual è il suo progetto storico. Il motivo è semplice: si deve parlare della Storia della Salvezza. E l’unico soggetto di questa storia è Dio. Dopo, Paolo si riallaccia alla Tradizione Apostolica che ha inizio con Giovanni Battista. La sua fonte la conosciamo: è Pietro che egli ha consultato per ben quindici giorni, quando dopo tre anni dalla sua conversione si recò a Gerusalemme (Gal 1,18). Per presentare il Battista gli bastano poche parole: “Giovanni preannunciò la venuta del Salvatore e sulla fine della sua missione diceva: «Quello che pensate che io sia non lo sono, ma viene uno dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali dai suoi piedi»”. È chiaro che per Paolo, Giovanni appartiene all’Antico Testamento. La seconda parte (13,26-30) ha inizio sullo stile della prima: “Fratelli della stirpe di Abramo e voi tutti timorati di Dio, a noi è stata mandata da Dio questa parola di salvezza”. A noi, ossia: oggi Dio ha inviato a noi un messaggio di salvezza che si compie per mezzo del Salvatore, Gesù. Ma qual è stata la reazione degli abitanti di Gerusalemme e dei suoi capi? “Non hanno voluto riconoscere Gesù né accogliere le parole dei profeti che si leggono ogni sabato. Comunque, condannandolo hanno portato a compimento le Scritture e, pur non trovando in lui nessun motivo di morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso e quando ebbero portato a termine tutte le Scritture lo tolsero dalla croce e lo misero in un sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti”.

L’essenza del cristianesimo Qui abbiamo l’oggetto culmine del primo annuncio cristiano: passione, morte, sepoltura, Risurrezione. Siamo agli inizi della predicazione cristiana e non si può non sentire lo “scandalo della croce” a cui si dà una sola risposta. Leggendo i fatti nella luce delle Scritture si dice che tutto era previsto. Paolo però mette bene in risalto la responsabilità e la colpa del suo popolo. Condannando Gesù, hanno condannato un innocente. Ma Dio ha continuato a essere con lui e per mezzo di lui ha portato a compimento la salvezza. Di fronte al totale rifiuto Dio ha trovato una via perché Gesù continuasse a essere il Salvatore: lo ha risuscitato. Solo la sapienza di Dio poteva trovare questa via. E siccome la salvezza è un atto della potenza di Dio, un giorno Paolo dirà: “Cristo crocifisso è potenza e sapienza di Dio” (1 Cor 1,24). Nella terza parte (13,31-42) Paolo parla dei testimoni della Risurrezione e del senso che essa ha per noi. Si noti che non dice che è apparso anche a lui (1 Cor 15,8). Questo non ha importanza: contano solo i testimoni oculari, cioè “Quelli che sono vissuti con Gesù e che sono saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme; solo questi sono i suoi testimoni presso il popolo. E noi vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai Padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come sta scritto nel salmo: «Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato»”. Lasciamo pure che certi interpreti dicano che il modo di citare di Paolo non è molto corretto, però è bello pensare alla Risurrezione non come a una rinascita, ma come a una vera nascita per una vita del tutto nuova, non più soggetta alla corruzione. Anche questo compie le profezie, ma soprattutto ci dà la certezza che in Gesù risorto abbiamo la salvezza, cioè il perdono dei peccati e quella giustizia (= giusto rapporto con Dio) che la Legge di Mosè non può dare, ma che ora è possibile a chiunque crede. Paolo si è accorto della reazione negativa di alcuni quando ha parlato dell’inutilità della Legge e perciò conclude con parole dure: “Guardate voi arroganti, stupite e allibite, perché sto per compiere un’opera che se ve la raccontassero non credereste”. Forse Paolo pensa alla grande diffusione del Vangelo che offre a tutti la salvezza. Il congedo è educato: “Li pregavano di esporre ancora il prossimo sabato queste cose”.

Un uditorio diviso (13,43-52) Lasciata la sinagoga, molti giudei e timorati di Dio seguirono Paolo e Barnaba per continuare, forse per tutta la settimana, a intrattenersi con loro. Ed essi “li esortavano a perseverare nella grazia di Dio”. Ma dovettero fare qualcosa di più perché il sabato seguente furono moltissimi i cittadini che vennero alla sinagoga per ascoltare Paolo. E i Giudei, vedendo il successo ottenuto da Paolo e Barnaba “furono pieni di zelo”, una traduzione in linea col v. 38. Quei Giudei compresero che l’annuncio di Paolo annullava il primato della legge e delle tradizioni ebraiche, in particolare la circoncisione e le leggi cultuali. Di qui la loro contestazione e il loro bestemmiare contro quello che diceva Paolo, il quale capì che non c’era più nulla da fare. Allora, Paolo insieme a Barnaba, disse: “Era necessario annunciare prima a voi la Parola di Dio, ma dal momento che la rifiutate e non vi giudicate degni della vita eterna, ci rivolgiamo ai pagani. Così, infatti, ci ha comandato il Signore: «Ti ho posto luce delle genti perché porti la salvezza sino alle estremità della terra»” (Is 49,6). Con questo Paolo segna la rottura con la sinagoga, mentre i pagani che l’ascoltavano “gioirono e glorificarono la Parola di Dio, e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. E la Parola di Dio si diffuse per tutta la regione”. La reazione dei Giudei fu dura: sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dalla città. Ed “essi se ne andarono pieni di gioia e di Spirito Santo”.

Iconio (14,1-7) Certe traduzioni iniziano il brano così: “A Iconio successe lo stesso”; si intende: come ad Antiochia. Eppure qualcosa di nuovo c’è. Quand’essi entrarono nella sinagoga, parlarono in modo tale che “un gran numero di Giudei e di pagani credettero”. Molti però li rifiutarono e aizzarono i pagani contro i credenti. Ma si tratta solo di ostilità aperta che non impedisce di rimanere per molto tempo sul posto e di annunciare la Parola con franchezza, libertà, coraggio e audacia. Sono quattro parole che vogliono rendere tutta la ricchezza del verbo greco: parressiazomai. Alla fine però la città si divise e alcuni si schierarono dalla parte dei Giudei, mentre altri dalla parte degli “apostoli”. Abbiamo scritto in neretto l’ultimo termine per sottolineare che è la prima volta che Luca chiama Paolo e Barnaba con la parola “Apostoli”, finora riservata ai Dodici. La situazione poi precipitò e i due se ne andarono a Listra e Derbe.

Listra (14,8-20) Una città totalmente pagana. Ora possiamo ascoltare una piccola catechesi fatta ai pagani e assistere al primo scontro con l’idolatria. Mentre Paolo sta parlando, vede davanti a sé uno storpio e zoppo e si accorge che in quell’uomo c’è la fede per essere salvato. Allora con forte voce gli dice: “Alzati diritto in piedi. Quell’uomo si alzò e si mise a camminare”. Quei pagani, dediti all’idolatria, si mettono a urlare: “Gli dèi sono scesi in mezzo a noi e pensarono che Barnaba fosse Giove e Paolo Mercurio” e decidono di offrire loro un sacrificio. Barnaba e Paolo si stracciano le vesti e corrono verso la folla urlando: “Che cosa fate? Anche noi siamo uomini come voi. Solo vi annunciamo che dovete convertirvi da queste vanità”, da questi dèi inesistenti, privi di senso e valore. Ecco che cos’è l’idolatria per gli annunciatori del Vangelo: Vanità; gli idoli non esistono, il vero culto può essere reso solo “al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che in essi esiste. Egli ha sempre dato prova di sé beneficandovi, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo e riempiendo di gioia i vostri cuori”. Queste parole di Paolo sono un vero spunto di preevangelizzazione, fatto partendo dalla natura “la Bibbia dei pagani”. In un simile ambiente politeista non era opportuno parlare di Cristo; era sufficiente un invito ad adorare l’unico Dio. Così calmano la folla e impediscono che si offra loro un sacrificio. Ma ecco arrivare da Antiochia e da Iconio alcuni Giudei che aizzano e sobillano il popolo tanto che si mettono a lapidare Paolo e quando sembra loro che fosse morto lo trascinano fuori della città. Qui c’è una frase sorprendente: “Gli si avvicinarono i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città e il giorno dopo si diresse verso Derbe con Barnaba”. Ciò significa che Luca si è limitato a narrare un solo episodio, in realtà c’è stata una vera evangelizzazione che ha fatto nascere una piccola comunità.

Derbe (14,21-28) Luca ha voglia di concludere perché si limita a dire che dopo aver evangelizzato questa città e fatto un numero considerevole di discepoli prendono la via del ritorno, facendo il cammino a ritroso. In ogni città, già evangelizzata rianimano i discepoli esortandoli a rimanere saldi nella fede. E soprattutto danno alle comunità un’organizzazione. Imposero le mani sui presbiteri eletti per il servizio e “dopo aver pregato e digiunato li affidarono al Signore nel quale avevano creduto”. Poi si fermano a Perge e vi annunziano la Parola di Dio. Quindi scendono ad Attalia e prendono la nave per Antiochia di Siria dove “erano stati affidati alla grazia di Dio” e lì raccontano ai fratelli non quello che essi avevano fatto, ma quello che Dio aveva fatto per mezzo di loro. Tutto è stato opera di Dio e dello Spirito.

Preghiamo Signore, com’è meravigliosa la tua Chiesa apparsa in queste pagine che abbiamo meditato. Tutti sanno che sei Tu a camminare con loro nella storia e hanno esperienza che anche il Padre e lo Spirito Santo sono con loro. Gli Apostoli, nel loro lavoro apostolico, non si sentono protagonisti, ma collaboratori di Dio. Quel bene che essi compiono, in realtà è Dio che lo compie ed essi gioiscono di questa intimità divina. Signore, sappiamo che tutto ciò si realizza anche oggi, ma i cristiani ne hanno coscienza? Sono davvero convinti di questa tua presenza e sanno renderla vera esperienza di vita? O Signore, fa’ che quanti hanno meditato queste pagine vivano questa realtà e fa’ che coloro che hanno il compito primario dell’annuncio del Vangelo ricordino che la Chiesa, imponendo loro le mani, li ha “affidati allo Spirito Santo”. O Signore, rendici convinti di questo dono e fa’ che sia in noi fonte di gioia. Amen!

Mario Galizzi

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