Seventh Day of Creation (from the 1493 Nuremberg Chronicle)
https://en.wikipedia.org/wiki/Genesis_creation_narrative#/media/File:Nuremberg_chronicles_-_f_5v.png

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http://www.credereoggi.it/upload/1998/articolo105_3.asp
LA SECONDA OCCASIONE
EDITORIALE
«CHI MI LIBERERÀ DA QUESTO CORPO VOTATO ALLA MORTE?». (ROMANI 7,24)
«Nascere due volte non è più sorprendente che nascere una volta sola». (François-Marie Arouet Voltaire)
Agli inizi degli anni ’80 è stato condotto nel continente europeo un importante studio sociologico, chiamato «Studio Europeo dei Sistemi di Valori» (European Values Systems Study) che coinvolgeva più istituti di ricerca. Ampio quindi il territorio preso in considerazione e diverse le culture soggette alla ricerca. Correlando i dati emersi, si è scoperto con un pizzico di stupore che vi è un’accettazione crescente della reincarnazione come aspettativa post mortem, mentre sembra essere in calo la fede nel Dio cristiano, fede che per due millenni ha segnato in modo indelebile la storia di questo nostro continente. Giusto per rendere concrete queste affermazioni, può bastare un semplice elemento: una persona su cinque «crede» nella reincarnazione, in alcune zone del continente la proporzione si riduce, diventando una persona su tre; e la tendenza sembra allo stato attuale non invertirsi. Tuttavia gli aspetti di gran lunga più sorprendenti sono altri: stando sempre allo studio citato, pare che le aree geografiche coinvolte in misura maggiore nel fenomeno siano quelle di tradizione cattolica e che la fascia di età, in cui si trova più adesione, sia quella dei giovani. Davanti a un’indagine sociologica vi è una sconfinata gamma di reazioni: toccando gli estremi, si può provare indifferenza o dispetto. Il dato oggettivo resta comunque e suscita un interrogativo di fondo che la nostra risposta emotiva non scalza: come mai molti cristiani (e tra questi, un discreto numero di cattolici) sono affascinati dalla reincarnazione, dalla certezza che la nostra anima può trasmigrare dal nostro corpo a un altro? Certamente non è nuova questa dottrina per l’umanità: è stata ed è tuttora uno dei cardini delle religioni orientali; gli antichi Greci, «padri» del pensiero razionale e della speculazione, l’accoglievano nella loro teorèsi (metempsicosi platonica). Ma come valutare nell’attuale epoca post-moderna, in una società occidentale secolarizzata, tale «riflusso» di favore alla reincarnazione? A nostro giudizio sarebbe davvero accomodante affermare che questo è un problema destinato agli specialisti, ossia da consegnare nelle mani dei sociologi, dei teologi o dei filosofi. Per chi non fosse ancora cosciente dell’incidenza, la reincarnazione tocca nel vivo uno dei punti nodali della fede cristiana, se non «il» punto nodale: la risurrezione dei morti. Mettendola in discussione, verrebbe coinvolto di riflesso anche il senso di quella Risurrezione, da cui dipende il senso ultimo della fede. San Paolo lo aveva ben presente: «Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. […] Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1Cor 15,13-14.19). Senza la risurrezione di Cristo, è vana ogni nostra minima fatica di annuncio evangelico (leggasi pastorale) e risulta vuoto di significato credere in Gesù, perché la morte avrebbe chiuso la sua missione. Si badi: non si tratta di difendere strenuamente un dogma da una temuta minaccia. Va fatto invece un onesto sforzo (non escluso – ripetiamo – quello pastorale) per tentare di comprendere che cosa l’uomo moderno ricerca nella reincarnazione. Come afferma il domenicano p. Georges Cottier, «l’idea della reincarnazione deve essere presa sul serio. Il suo attuale successo non è l’effetto di una moda ideologica passeggera. Riflette l’angoscia del nostro tempo. E ciò avviene perché, al di là delle immagini e delle sistemazioni teoriche, questa idea risponde a qualche intuizione fondamentale che noi dobbiamo saper cogliere». Quale può essere questa «intuizione fondamentale»? Può apparire singolare, se non banale, ma il punto d’avvio di un fascino e del conseguente successo della reincarnazione parte dalla problematicità in cui si vive la propria attuale «incarnazione». Molte scelte che l’uomo dei nostri giorni compie lo entusiasmano con facilità. Tante altre però gli rendono insoddisfatta questa vita. Sono istantanee che appesantiscono il vivere quotidiano: relazioni sbagliate e deludenti, progetti falliti, rimorsi per azioni compiute in modo avventato che determinano il suo destino e quello altrui… Progressivamente inizia a diventare stretta questa singola esistenza. Se ci fosse una seconda possibilità, un’alternativa; se ci venisse data una seconda occasione per «riparare»! È difficile rassegnarsi all’idea che esista solo questa vita per noi, che non si dia un ritorno e, soprattutto, che ogni nostra singola, quotidiana e personale azione dettata dalla libertà sia determinante e inappellabile, nel bene e nel male. La rassegnazione diviene poi somma quando si è messi di fronte allo «scacco finale», ossia la morte, e ci si ritrova soli davanti all’estremo interrogativo: cosa c’è dopo? «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?»: sarà la promessa della risurrezione o la ciclicità della reincarnazione? L’interrogativo paolino è l’interrogativo di ogni uomo e di ogni donna, a prescindere dal credo che si professa. La fede, la nostra fede, non può eluderlo, pensando magari che sia sufficiente ribadire i termini dottrinali della questione; è riduttiva la soluzione che preveda unicamente la rettifica di pensieri errati: a una domanda vitale gli uomini cercano una risposta altrettanto vitale, che abbia sapore di vita! Dove trovare allora tale risposta vitale, se non partendo da quel sepolcro vuoto? È nella strada aperta dalla risurrezione di Gesù che ogni uomo può far scorrere la propria esistenza, redenta, riscattata, liberata. Lì viene appagata e superata quella antica attesa di vedere non-morto ogni nostro sforzo; tutto – corpo, anima, cuore, intelligenza, spirito, sentimento – viene raccolto nella luce che trasforma la corrutibilità in incorrutibilità (cf. 1Cor 15,43-44). Lì quel Dio, che segue passo passo la storia dell’uomo, proclama estinto il debito con la morte! Interrogando profondamente l’uomo, la reincarnazione va valutata nella sua portata antropologica (Aldo Natale Terrin) e nella coniugazione di paradigmi fondanti quali persona-tempo-verità (Luigi Sartori). Nuovi movimenti (PierLuigi Zoccatelli) e antichi culti (Gaetano Favaro e Antonio Scarin) pongono la reincarnazione alla base della loro religiosità: quanto li unisce e li distingue? Uno sguardo retrospettivo sul rapporto intercorso tra reincarnazione, Sacra Scrittura e tradizione cristiana (Luigi Dal Lago) prosegue l’itinerario di questo numero. Cosa ci può dire la scienza ufficiale sulla fattibilità del processo reincarnazionista e quali sono le posizioni di alcuni recenti teologi sul nostro tema, sono i contributi di Aimone Gelardi e di Giovanni Ancona. Un confronto tra reincarnazione e risurrezione nel vissuto quotidiano (Giuseppe Toffanello) segna la chiusura di questa monografia.
a. f.
http://www.oessg-lgimt.it/OESSG/cultura/ilcombattimentospiritualeCarloMariaMartini.htm
IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (S. PAOLO, LETTERA EFESINI 6,10-20) – DEL CARD. CARLO MARIA MARTINI
Statua di San Paolo nella Basilica di San Paolo fuori le mura, con sullo sfondo il ritratto di Benedetto XVI, il Papa che ha voluto “l’anno Paolino”. » Rivestitevi dell’armatura di Dio , per poter resistere e superare tutte le prove » Dalla lettera di San Paolo apostolo agli Efesini (6,10-20) « …Fratelli, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi… ». Il testo di Paolo in Ef 6, 10-17 presenta il cristiano come colui che ha lottato fino in fondo contro il nemico e l’ha vinto con la propria morte. È un brano molto denso, ricco di mètafore. Occorre vedere quali realtà Paolo voleva annunziare attraverso tali metafore. Il brano può essere diviso in tre parti: la prima parte contiene due esortazioni; segue poi, nella seconda, il motivo di queste esortazioni; infine, nella terza, l’elenco dell’armatura spirituale di cui rivestirci. 1) Le due esortazioni sono: fortificatevi nello Spirito e rivestitevi dell’armatura di Dio. Si tratta quindi di un consiglio dato a qualcuno che si trova di fronte a una situazione difficile. L’esortazione ad armarsi, a rivestirsi, la troviamo pure in Rm 13, 12 e in 2 Cor 10, 4. Quello agli Efesini è però il brano nel quale maggiormente viene svolta la metafora della panoplia, l’armatura completa del servitore di Dio, di colui che segue da vicino Gesù. 2) Il motivo: perché dobbiamo armarci così? Perché la nostra lotta è una lotta spirituale, contro i principati, le potestà, gli spiriti maligni. Possiamo tradurre facilmente queste espressioni in una realtà comprensibile perché essa è di evidenza quotidiana. Dobbiamo, cioè, vivere in un’atmosfera – lo spazio tra terra e cielo – che è invasa da elementi maligni, contrari al Vangelo, nemici di Dio. L’atmosfera in cui viviamo è satura di potenze contrarie a Cristo e quindi la nostra lotta si annuncia difficile. Questa mentalità, questa atmosfera che è frutto in parte della potenza del male e in parte dell’uomo soggiogato da questa potenza del male, crea una situazione nella quale siamo immersi e che ci minaccia da ogni parte. Da qui la necessità di armarsi con l’armatura di Dio. 3) Tale armatura viene descritta con sei metafore: la cintura, la corazza, i calzari, lo scudo, l’elmo, la spada. Che cosa significa ciascuna di queste metafore? Prima di esse c’è una esortazione che permette di comprendere la situazione nella quale ci si trova: «State in piedi»; tenetevi in piedi. Si tratta, quindi, di persona pronta alla battaglia; ed è in questa situazione di prontezza che viene descritta l’armatura. La prima metafora è la cintura della verità. Quale verità è arma per noi? Per capire bene bisogna notare che questa metafora, come pure le altre, sono attinte largamente dal Vecchio Testamento. Chi scriveva questo brano conosceva a memoria interi passi del Vecchio Testamento e ne supponeva la conoscenza anche nei suoi lettori. Soprattutto due brani del Vecchio Testamento sono qui utilizzati per questa descrizione. – Il primo brano è tratto da 1s 11, il germoglio di Jesse, del quale viene descritta la veste, il modo di presentarsi e di combattere; – il secondo brano è tratto da 1s 59, in cui si descrive, a un certo punto, l’armatura di Dio. Nell’Antico Testamento, quindi, è l’armatura di Dio stesso, oppure dell’inviato, del prediletto di Dio, ad essere descritta. Qui l’armatura di Dio è trasferita al servo di Dio, a: colui che segue Gesù. Dice 1s 11, 5: «Cintura dei suoi fianchi è la fedeltà» (trad. della C.E.I); nella Bibbia dei LXX il vocabolo usato è alétheia, la verità e il testo greco lo riporta esattamente. La verità di cui si cinge, come di una veste stabile, colui che combatte è, quindi, la coerenza; è quella fedeltà che è coerenza piena, stile coerente di vivere e di agire. Per poter combattere contro l’atmosfera maligna, l’atmosfera pestifera nella quale viviamo, occorre essere armati di una profonda coerenza fra ciò che proclamiamo e ciò che dobbiamo internamente sentire e vivere tra noi. E questa coerenza è tanto più importante in quanto noi predichiamo la parola di Dio. Chi non vive ciò che predica si mette a poco a poco nella condizione di essere esposto agli assalti del nemico. Se la nostra predicazione fosse continuamente confrontata con ciò che sentiamo interiormente, con ciò di cui siamo persuasi, sarebbe più facile e più accessibile a tutti. È vero che questo profondo confronto fra coerenza interiore ed esteriore farà talora riconoscere di essere lontani da ciò che si predica, ma l’umiltà del riconoscerlo è già un aspetto della coerenza, è un modo di mostrare che desideriamo averla. La metafora seguente è la corazza della giustizia. In Is 59, 17 si descrive l’armatura di Dio. Dio si è rivestito di giustizia come di una corazza. La giustizia è qui espressa come l’attività di Dio che salva i poveri e umilia i peccatori. Dio che impetuosamente compie le sue opere, che è salvezza e punizione. Nella nostra situazione, dovremmo tradurla come il partecipare allo zelo di Cristo per la giustizia del Padre. Questa corazza che ci cinge completamente, che ci difende, è il rivestirci di quei sentimenti che fanno gridare a Cristo per le strade di Palestina: «A Dio ciò che è di Dio »; cioè, che gli fanno proclamare la giustizia del Padre, e, come giustizia, l’opera di salvezza per chi si pente e il castigo per chi non si pente. Per noi, il partecipare all’intimo zelo di Cristo per la giustizia del Padre, è questa corazza che ci cinge, ci avvolge, che ci difende dai nemici. La terza metafora: calzati i piedi di alacre zelo per il Vangelo della pace. Si descrive qui piuttosto una situazione. Pronti a partire per l’annuncio del Vangelo della pace. La realtà della metafora è la prontezza a portare il Vangelo. In Is 52, 7 troviamo: «Come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza … ». Fuori di metafora viene indicato l’ardore, il desiderio di predicare il Vangelo, sapendo che è beneficio per gli uomini e che porta loro la pace. Quindi anche la gioia di chi ha trovato il tesoro (la donna che ritrova la dracma e chiama le vicine piena di gioia: Le 15, 8ss). Questa è una caratteristica importante del ministero del Vangelo, soprattutto oggi, in cui il ‘pluralismo’ – quando diventa pluralismo filosofico, culturale, religioso – sembra in qualche modo togliere l’ ardore di predicare il Vangelo della pace. Qualcuno vorrebbe addirittura sostituire e correggere l’imperativo di Matteo « Andate e predicate a tutte le genti» (Mt 28, 19) con l’esortazione « Andate e imparate da tutte le genti », perché ci sono valori ovunque e si dice, non conta tanto portare il messaggio quanto ascoltare umilmente ciò che gli altri hanno da dirci. E si rischia di perdere l’ansia di predicare il Vangelo della pace. Ci chiediamo se ci sia una soluzione a questa difficoltà. La soluzione c’è e non è certamente quella di abolire il pluralismo. Credo anzi che quanto più cresce il dialogo, tanto più deve crescere l’approfondimento della vita evangelica, Se queste due cose crescono insieme, allora è possibile ed è facile conciliare un immenso rispetto per tutte le culture, razze, valori, con un immenso ardore di portare il Vangelo, che è una proposta trascendentale, non commensurabile con nessun altro valore, ma capace di illuminarli e trasformarli tutti. Quindi questa arma, questa disposizione è estremamente importante per difendersi dall’atmosfera che invece tende piuttosto a livellare tutti i valori. Conciliare l’ardore del Vangelo con la stima dei valori altrui e l’opera mirabile a cui è chiamata la Chiesa di oggi, se vuole conservare il suo slancio missionario. Quarta metafora: in tutte le occasioni, impugnate lo scudo della fede. I dardi infuocati lanciati dal maligno (l’espressione è presa dal Salmo 11) sono le mentalità del mondo di peccato che, dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, ci circonda e ci invita ad interpretare cose e situazioni della nostra vita con metri esclusivamente psicologi, sociologi, economici, assalendoci da ogni parte per toglierci il tesoro della fede. Lo scudo per opporsi a questa mentalità è lo scudo della fede, cioè la considerazione evangelica di tutta la realtà umana, continuamente richiamata. Quinta metafora: l’elmo della salvezza, anzi l’elmo dell’opera salvifica, come dice il testo greco. L’espressione è presa da I s 59, 17, e in Isaia vuol dire che Dio è pronto a salvare. Il greco ha un verbo (dexasthe) che vuole dire accettare l’elmo della salvezza; quindi accettate l’azione salvifica di Dio in voi come unica vostra protezione, unica vostra speranza; vi protegge il capo perché essa è la cosa più essenziale. Sesta metafora: la spada dello Spirito che è la parola di Dio. Cos’è la spada dello Spirito? Ci sono tre passi che possono aiutarci: Is 49, 2 dove si parla di « bocca come spada »; Eh 4,12 dove si parla di « spada come parola»; infine Is 11, 4 dove si dice che « con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio ». La parola di Dio non è qui il logos, cioè la predicazione, ma il rhéma, cioè gli oracoli divini. Quindi penserei come «spada dello Spirito» non tanto la predicazione di Gesù, ma la sua lotta contro Satana, quando si difende citando gli oracoli di Dio. «Sta scritto … »; cioè, gli oracoli di Dio furono per Lui, e sono per noi, difesa. Quando siamo assediati dalla mentalità del mondo che ci vorrebbe fare interpretare tutte le cose in maniera puramente umana, dobbiamo ricorrere ai grandi oracoli di Dio nella Bibbia per avere una parola di chiarezza su queste cose e respingere le interpretazioni sbagliate della storia del mondo e della nostra esistenza. Queste le esortazioni di Paolo. Possiamo concludere riassumendo: quali situazioni suppongono e quali esortazioni offrono queste parole? . a) Suppongono prima di tutto che noi siamo in una situazione veramente rischiosa; cioè che nel mondo di oggi è rischioso e pericoloso vivere il Vangelo fino in fondo. Dobbiamo avere questo senso della difficoltà perché esso è realismo. Se ci troviamo di fronte a realtà avverse senza osare guardarle in faccia; se viviamo pensando che ci circondano continue difficoltà e rischi, possiamo vivere in una perpetua e sterile apprensione. Ma quando abbiamo analizzato il fondo, sulla base della Scrittura e abbiamo conosciuto l’avversario, vedendo le vie attraverso le quali il mondo è portato al male e come esse si manifestano, allora anche davanti a tutto il mistero del male, nella sua interezza, possiamo sentirci pieni della forza di Dio. Una profonda analisi e sintesi del mistero della perversione fatto con l’aiuto della Scrittura può metterci davanti ad una situazione di rischio, di timore, di pericolo, ma non di paura, perché vediamo con chiarezza tutta la vastità dell’avversario e tutta la potenza di Dio. b) Seconda osservazione: si tratta di una lotta che non ha né sosta né quartiere; cioè, contro un avversario astuto e terribile che è fuori di noi e dentro di noi. Questo; oggi, lo si dimentica troppo spesso, vivendo in una atmosfera di ottimismo deterministico per cui tutte le cose devono andare di bene in meglio, senza pensare alla drammaticità e alle fratture della storia umana, senza sapere che la storia ha le sue tragiche regressioni e i suoi rischi, i quali minacciano proprio chi non se l’aspetta, cullato in una visione di un evoluzionismo storico che procede sempre per il meglio. c) Terza osservazione: solo chi si arma di tutto punto potrà resistere. Qui vorrei ricordare una delle regole di Sant’Ignazio il quale aveva chiarissima l’idea che il nemico attacca valutando la situazione del cristiano. Bisogna conoscerlo bene, perché il nemico gira per vedere se c’è anche soltanto un elemento mancante nell’armatura. È quindi una lotta che deve prenderci tutti e trasformarci, santificandoci completamente. Un’ultima parola a proposito di un’assenza rilevabile in questo brano: la preghiera. In realtà la preghiera viene nominata, ma non qui. La si ricorda alla fine del brano e con un’esortazione intensissima: «Con ogni sorta di preghiere e di suppliche pregate incessantemente mossi dallo Spirito … » (Ef 6, 18). Tutte queste armi vanno, quindi, continuamente affinate nell’esercizio della preghiera che non le supplisce – la preghiera non supplisce lo zelo, lo spirito di fede, l’impegno, la capacità di donarsi – ma è quella nella quale tutte quante sono avvolte e nella quale vengono continuamente ritemprate nella lotta.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO A SUA SANTITÀ ABUNA MATTHIAS I, PATRIARCA DELLA CHIESA ORTODOSSA TEWAHEDO DI ETIOPIA
Lunedì, 29 febbraio 2016
Santità,
Cari fratelli in Cristo,
È una gioia e un momento di grazia poter dare il benvenuto a tutti voi qui presenti. Saluto con affetto Sua Santità e gli illustri membri della delegazione. Vi ringrazio per le parole di amicizia e di vicinanza spirituale. Per il vostro tramite, porgo cordiali saluti ai vescovi, al clero e all’intera famiglia della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo in tutto il mondo. La grazia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. La visita di Vostra Santità rafforza i legami fraterni che già uniscono le nostre Chiese. Ricordiamo con gratitudine la visita del Patriarca Abuna Paulos a san Giovanni Paolo II nel 1993. Il 26 giugno 2009, Abuna Paulos ritornò per incontrare Benedetto XVI, che lo invitò nell’ottobre dello stesso anno come ospite speciale affinché intervenisse durante la seconda Assemblea per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, parlando della situazione del continente africano e delle sfide dei popoli africani. Nella Chiesa primitiva, era prassi comune che una Chiesa inviasse i suoi rappresentanti ai sinodi delle altre Chiese. Questo senso di condivisione ecclesiale è stato evidente anche nel 2012 in occasione dei funerali di Sua Santità Abuna Paulos, a cui era presente una delegazione della Santa Sede. Dal 2004, la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali hanno cercato insieme di approfondire la loro comunione attraverso il dialogo teologico portato avanti dalla Commissione Internazionale congiunta. Siamo felici di constatare la crescente partecipazione della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo a questo dialogo. Nel corso degli anni, la Commissione ha esaminato il concetto fondamentale di Chiesa comunione, intesa come partecipazione alla comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. In tal modo, abbiamo scoperto che abbiamo quasi tutto in comune: una sola fede, un solo Battesimo, un solo Signore e Salvatore Gesù Cristo. Siamo uniti in virtù del Battesimo, che ci ha incorporati nell’unico Corpo di Cristo. Siamo uniti grazie ai vari elementi comuni delle nostre ricche tradizioni monastiche e pratiche liturgiche. Siamo fratelli e sorelle in Cristo. Come è stato più volte osservato, ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide. Sentiamo vere per noi le parole dell’apostolo Paolo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Le sofferenze condivise hanno fatto sì che i cristiani, altrimenti divisi in molti aspetti, si avvicinassero maggiormente gli uni agli altri. Nello stesso modo in cui lo spargimento del sangue dei martiri è diventato il seme di nuovi cristiani nella Chiesa primitiva, oggi il sangue di così tanti martiri appartenenti a tutte le Chiese diventa seme dell’unità dei cristiani. I martiri e i santi di tutte le tradizioni ecclesiali sono già una cosa sola in Cristo; i loro nomi sono scritti nell’unico martyrologium della Chiesa di Dio. L’ecumenismo dei martiri è un invito rivolto a noi qui e adesso a percorrere insieme il cammino verso un’unità sempre più piena. La vostra è stata una Chiesa di martiri fin dal principio, e ancora oggi siete testimoni di una violenza devastante contro i cristiani e contro le altre minoranze in Medio Oriente e in alcune parti dell’Africa. Non possiamo esimerci dal domandare, ancora una volta, a coloro che reggono le sorti politiche ed economiche del mondo, di promuovere una coesistenza pacifica basata sul rispetto reciproco e sulla riconciliazione, sul mutuo perdono e sulla solidarietà. Il vostro Paese sta compiendo grandi sforzi per migliorare le condizioni di vita della popolazione e per costruire una società sempre più giusta, basata sullo Stato di diritto e sul rispetto del ruolo delle donne. Ricordo in particolare il problema della mancanza di acqua, con le sue gravi ripercussioni sociali ed economiche. Vi è ampio spazio per la collaborazione tra le Chiese a favore del bene comune e della salvaguardia del creato, e non dubito della disponibilità della Chiesa cattolica di Etiopia a lavorare insieme alla Chiesa ortodossa Tewahedo che Vostra Santità presiede. Santità, cari fratelli, è mia fervida speranza che da questo incontro prenda avvio un nuovo tempo di fraterna amicizia tra le nostre Chiese. Siamo consapevoli che la storia ha lasciato un fardello di dolorosi malintesi e di diffidenza, per il quale chiediamo il perdono e la guarigione di Dio. Preghiamo gli uni per gli altri, invocando la protezione dei martiri e dei santi su tutti i fedeli affidati alle nostre cure pastorali. Che lo Spirito Santo continui a illuminarci e a guidarci verso la concordia e la pace, alimentando in noi la speranza del giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti intorno all’altare del Sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica. Prego Maria, Madre di Misericordia, per ciascuno di voi, con parole tratte dalla vostra bella e ricca tradizione liturgica: “O Vergine, sorgente della fonte della sapienza, irrigami col fiume del vangelo di Cristo, Figlio tuo, e difendimi con la sua croce. Coprimi con la sua misericordia, cingimi con la sua clemenza, rinvigoriscimi con i suoi unguenti, circondami con i suoi frutti. Amen”. Santità, possa Dio Onnipotente benedire abbondantemente il Suo ministero al servizio dell’amato popolo della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo.
http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20030214_mesrop-armeno_it.html
IL COMPITO DELL’UOMO NEL DIVINO GOVERNO DEL MONDO
MESROP ARMENO, SECONDO DISCORSO
« Il Creatore ha ordinato anche l’impegno di curare le sue creature, sia le visibili che le invisibili. Al di sopra di tutte quelle visibili egli ha posto l’uomo, padrone e dominatore delle realtà terrene, artista e costruttore, con la sua intelligenza. Dio ha creato dal nulla tutte le cose e su di esse ha posto e innalzato l’uomo quale re, perché così egli, il Creatore, fosse riconosciuto e per sempre glorificato, perché l’uomo, cioè, conoscesse la sua gloria, avendolo egli innalzato dalla bassezza a un onore che supera quello di tutte le altre creature. Con il suo ingegno costruttore, che ha ricevuto dal Creatore, l’uomo sa usare di tutti gli esseri, animati e inanimati, e così tutto ciò che egli, con pieno dominio, adopera per le sue necessità o per le sue costruzioni, per ornamento o anche per sfoggio, rivela in tutto l’opera della sua saggezza. Ma nel possesso di questo suo dominio regale, egli deve sempre glorificare il suo benefattore; infatti, gli uomini sono giunti allo stesso onore degli spiriti incorporei e immortali: Dio li ha resi saggiatori e panegiristi della sua creazione, che per sempre lo devono lodare con l’osservanza della legge, affinché, per mezzo della loro libera volontà, sempre e con fermezza credano nella verità e pongano sempre la dovuta distinzione fra il Creatore e le creature, fra il sostentatore e gli esseri sostentati, tra l’elargitore di vita e tutti i viventi, perché egli sazia i bisogni di tutto il creato. Ed è ben conveniente pregarlo in ogni tempo, ottenere con suppliche la custodia delle essenze spirituali e corporee, rendersi collaboratori della sua benefica volontà e restar puri dal peccato, davanti alla benefica bontà di Dio. Secondo questo modello, dobbiamo passare dalla corruzione al bene, dal disprezzo alla gloria, dalla schiavitù alla libertà dei figli di Dio, crescendo nella vera fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, per diventare eredi del regno celeste e dell’eterna beatitudine. È lui infatti il Creatore di tutto, che degli spiriti ha fatto suoi servi, e delle schiere celesti, fiamme di fuoco. E l’uomo, formato dalla terra, egli lo sostiene in vita, elargendogliene i mezzi. Coloro poi che hanno ricevuto l’annuncio degli angeli, vengono dagli angeli educati alla vita spirituale, secondo la provvidenza di Dio, che al bisogno ha elargito la legge. »