6 MARZO 2016 | 4A DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C | APPUNTI PER LA LECTIO
6 MARZO 2016 | 4A DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C | APPUNTI PER LA LECTIO
PARABOLA DEL FIGLIO PRODIGO O DEL PADRE MISERICORDIOSO « UN UOMO AVEVA DUE FIGLI… »
La Liturgia odierna è percorsa da una vibrazione di gioia, pur nell’austerità sostenuta del clima quaresimale riproposto puntualmente dal contenuto delle letture bibliche: nello sfondo, infatti, c’è sempre il dramma del peccato che allontana da Dio e dissocia dai fratelli (Vangelo), il ricordo della schiavitù egiziana ormai superata con il primo ingresso nella Terra promessa ad opera di Giosuè (1ª lettura), la necessità di « riconciliarci con Dio » passando per la via della Croce al seguito di Cristo (2ª lettura). Ciò nonostante, c’è in tutti questi brani una tensione verso il superamento dell’esperienza del male per celebrare l’amore perdonante di Dio e la riconciliazione con i fratelli. Di qui l’invito alla « gioia » che già risuona nella solenne antifona d’ingresso: « Rallègrati (Laetare), Gerusalemme… Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza… » (cf Is 66,10-11). Il Salmo responsoriale riprende questa tematica in chiave di ringraziamento: « Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode… » (Sal 34,2). Perciò questa Domenica si chiama anche « Domenica Laetare ». Tutto questo poi ritorna come motivo dominante al termine della parabola del « figliol prodigo »: « Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato » (Lc 15,32). Come si vede, è una gioia che nasce dalla sofferenza e dal dramma: ma appunto per questo è anche più grande, proprio perché gioia sofferta! « Vistolo da lontano, il padre commosso gli corse incontro » La parabola del figliol prodigo, che forse sarebbe meglio chiamare del « figlio ritrovato » per sottolineare di più l’aspetto positivo di tutta questa storia, è la terza delle tre « parabole della misericordia » che Luca raggruppa insieme (cap. 15) certamente per sottolineare con maggior forza l’amore di Dio per i peccatori. Le altre sono quelle della pecora smarrita e della dramma perduta (15,4-10). Come risulterà però dal commento che stiamo per fare, la nostra parabola non ribadisce soltanto il messaggio delle altre due, ma lo arricchisce, presentandoci un quadro di tensioni umane estremamente forte e soprattutto carico di allusioni polemiche. Più che le altre, infatti, la parabola del figliol prodigo intende rispondere all’accusa che rivolgono a Gesù i farisei e gli scribi di essere l’amico dei pubblicani e dei peccatori: « Costui riceve i peccatori e mangia con loro » (v. 2). E in realtà, se scorriamo il Vangelo, Gesù sta più volentieri con la gente perduta che con la « gente per bene »: si pensi a Matteo il pubblicano, all’adultera, alla Samaritana, a Zaccheo, ecc. È questa la sua missione: « Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto » (Lc 19,10). Per chi si riteneva già « salvato », come i farisei, era uno scandalo che Gesù avesse invece preferenza per i peccatori: se era vero che egli veniva da Dio, non poteva mescolarsi con la gente perduta. Dio deve pur premiare chi osserva la sua « legge » e punire chi se ne allontana! La parabola del figliol prodigo è una risposta a questi sottesi pensieri dei suoi ascoltatori. Il protagonista è il padre, che fa da punto di raccordo fra la prima e la seconda parte. La prima parte ci descrive la storia del figlio più giovane che, chiesta la sua porzione di eredità, se ne va lontano e la sperpera « vivendo da dissoluto » (v. 13). Costretto perfino a contendere il cibo ai porci (v. 16), alla fine « rientra in se stesso » (v. 17), si pente e ritorna alla casa paterna. Si attendeva niente più che di essere annoverato tra i « garzoni » di famiglia, e invece il padre, appena vistolo da lontano, « commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò » (v. 20). Quindi ordinò ai servi di rivestirlo con gli abiti migliori e di fare una grande festa, « perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato » (v. 24). La seconda parte ci descrive la reazione del figlio « per bene », che è sempre rimasto in casa a fare il suo dovere, come egli ci tiene a dichiarare. Appena ritornato dalla campagna e vista tutta quella festa, informatosi dell’accaduto, « s’indignò e non voleva entrare » (v. 28). Al padre che va ad invitarlo, egli rinfaccia la sua troppa bontà: « Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso » (vv. 29-30). Egli non si sente per niente interessato alla sorte del fratello: le parole aspre che adopera nei suoi riguardi tendono ad allontanarlo ancora, almeno dal suo cuore, e, se potesse, anche dal cuore del padre. Egli si sente come deprezzato nella sua fedeltà: tanto vale, allora, essere cattivi e dissoluti come è stato suo fratello! Non v’è dubbio che, misurando le cose con le strette bilance della giustizia umana, egli ha ragione.
« Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo » Ma è proprio qui il capovolgimento introdotto da Cristo nei nostri rapporti con Dio: egli li sottrae ad una misura di stretta giustizia, per collocarli su un piano di amore e di perdono. Solo in questa maniera potranno salvarsi gli uomini, anche quelli che si ritengono giusti e invece sono parziali, egoisti, ingenerosi, come si manifesta precisamente il fratello maggiore. Che anche egli sia cattivo, addirittura più cattivo del fratello, appare dal fatto che per tanti anni non ha saputo accorgersi della fortuna di poter stare sempre con il padre. Per lui la festa dell’amore c’è stata sempre, senza che neppure se ne accorgesse: « Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato » (vv. 31-32). Non conviene allora dilatare la festa e gioire perché anche altri, che erano lontani o sono andati lontano, hanno ritrovato la via di casa e hanno riscoperto il volto dell’amore? « La parabola del figliol prodigo non ha, quindi, come primo scopo quello di annunziare la Buona Novella ai poveri, ma, piuttosto, di giustificarla di fronte a coloro che la criticano. La giustificazione di Gesù è proprio questo amore sconfinato di Dio. Gesù, però, non si limita all’apologia. La parabola si arresta bruscamente, l’esito rimane aperto. Ed è qui che dovette rispecchiarsi la realtà che Gesù aveva davanti a sé. I suoi ascoltatori sono nella situazione del figlio maggiore che ora deve decidere se accettare la spiegazione datagli dal padre e partecipare anch’egli alla festa. Gesù non li condanna ancora, conserva una speranza e li vuole aiutare a vincere lo scandalo dell’Evangelo, a riconoscere che la loro « giustizia » e il loro egoismo li separa da Dio, affinché abbiano a trovare la grande gioia che l’Evangelo reca con sé (v. 32a). La difesa della Buona Novella si presenta contemporaneamente come un rimprovero e un tentativo di conquistare i cuori dei suoi avversari ». Come si vede, la parabola è più provocatoria che consolatoria, nel senso cioè che, annunciando il perdono di Dio, invita tutti noi a riconoscerci peccatori e a non vantarci di pretese nostre « giustizie » o meriti davanti a lui. Se non fosse lui ad aprire la porta del suo amore, né il figliol prodigo né quello che si riteneva buono potrebbero entrare nella sala del banchetto. È una buona lezione per tutti noi, in questo tempo di Quaresima, a « convertirci » alla gratuità del suo amore.
« È stato Dio a riconciliare a sé il mondo » A questa medesima lezione ci rimanda il densissimo brano paolino, ripreso dalla 2ª Lettera ai Corinzi (5,17-21), sul quale vorremmo intrattenerci per un attimo. Mi sembra che il pensiero fondamentale sia che Dio continua a salvare gli uomini « riconciliandoli » a sé in Cristo mediante la « predicazione apostolica », che viene fatta in suo nome e per suo incarico, così come fa un « ambasciatore »: « È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio » (vv. 19-20). Non è l’uomo che può « riconciliarsi » con Dio, proprio perché egli porta con sé il peso del peccato che, in quanto tale, è segno di inimicizia e di rottura: soltanto Dio può prendere l’iniziativa di « riconciliare a sé il mondo », cioè l’uomo e tutta la creazione che questi ha manipolato e corrotto, riabbracciandolo in un grande amplesso di amore e di perdono, come fece il padre con il figliol prodigo. Questo abbraccio di Dio, poi, gli è come strappato dal momento che Cristo è diventato nostro « fratello » e si è offerto al Padre sottomettendosi in tutto alla sua volontà: così egli si è fatto come « portatore » di tutti i peccati degli uomini, bruciandoli nel suo ardore di carità e di donazione. Si intravede in tal modo il significato profondo delle espressioni fortissime di Paolo, che concludono il brano odierno: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio » (v. 21). Noi diventiamo « giustizia di Dio », cioè santità, per mezzo di Cristo che si fa « peccato » per noi! È ancora, in trasparenza, la storia del figliol prodigo: il grande amore di Dio sa vincere tutte le ripulse, le fughe, gli egoismi, le chiusure degli uomini e anche le presunzioni stupide e glaciali di chi si presume migliore degli altri.
Settimio CIPRIANI (+)
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