Archive pour janvier, 2016

Corinto, Resti di una strada del centro abitato

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Publié dans:immagini, immagini varie |on 14 janvier, 2016 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II – “QUANTI SIETE STATI BATTEZZATI IN CRISTO, VI SIETE RIVESTITI DI CRISTO” (GAL 3, 27) – 25.1.’84

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/1984/documents/hf_jp-ii_hom_19840125_san-paolo-fuori-le-mura.html

CELEBRAZIONE ECUMENICA A SAN PAOLO FUORI LE MURA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 25 gennaio 1984

“QUANTI SIETE STATI BATTEZZATI IN CRISTO, VI SIETE RIVESTITI DI CRISTO” (GAL 3, 27).

1. San Paolo, l’apostolo delle genti, riassume con questa espressione il mistero della redenzione dell’uomo, dell’incorporazione a Cristo, della creazione dell’uomo a somiglianza del Figlio di Dio, che è “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15). Infatti “voi tutti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo” (Gal 3, 26). Ed è per mezzo del Battesimo che si è resi partecipi della sua morte e della sua risurrezione, cioè della vita divina. Questo avvenimento di grazia sovrabbondante cancella tutte le divisioni etnico-religiose, le discriminazioni a causa della condizione sociale, della razza e del sesso. “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Gesù Cristo ha realizzato questa unità per mezzo del sacrificio della croce, su cui offrì se stesso per il perdono, per il riscatto e per la vita dell’umanità intera. Egli è morto “per radunare insieme nell’unità i figli di Dio dispersi” (Gv 11, 52). È il mistero dell’amore di Dio, che ha creato l’uomo e lo chiama alla salvezza definitiva. Su questo argomento è attirata la nostra attenzione oggi, festa della conversione di san Paolo, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che cade nell’Anno Giubilare della Redenzione. Durante quest’anno la celebrazione speciale della redenzione dell’uomo operata da Cristo rende più lucida e impegnativa l’esigenza della piena riconciliazione di tutti i cristiani, accomunati dalla grazia dell’unico Battesimo. 2. “Il Battesimo, infatti, costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige fra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati” (Unitatis redintegratio, 22). Le tragiche divisioni introdotte tra i cristiani non distruggono questa unità fondamentale; impediscono però la piena realizzazione delle intrinseche esigenze emananti dal Battesimo. Le divisioni mortificano il Battesimo; esso infatti “è ordinato all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine alla piena inserzione nella comunione eucaristica” (Unitatis redintegratio, 22). Il Concilio Vaticano II, del quale ricorre oggi il 25° anniversario del primo annuncio dato in questa Basilica, con un’immagine di particolare delicatezza, ha descritto questi due aspetti, entrambi profondamente veri e cioè che la divisione è una realtà peccaminosa che tuttavia non distrugge l’unità profonda generata dalla Grazia. Anche qui si usa l’immagine della veste, della veste di Cristo. Le divisioni, si afferma, “hanno intaccata l’inconsutile tunica di Cristo” (Unitatis redintegratio, 13). Se la veste di Cristo rimane “inconsutile”, tuttavia essa è stata intaccata. “È stato forse diviso il Cristo – chiede con espressione drammatica san Paolo ai cristiani di Corinto – oppure è stato crocifisso Paolo per voi?” (1 Cor 1, 13). La croce di Cristo, che salva tutti, è un costante appello al superamento di ogni divisione. L’opera di Cristo per l’umanità, la sua croce e la missione, da lui affidata alla Chiesa, di fare discepoli e battezzare tutte le genti (cf. Mt 28, 19-20), chiamano tutti i battezzati a tendere alla piena unità nella fede e nella vita sacramentale, superando ogni divisione e frattura. 3. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si celebra sempre più concordemente fra cattolici, ortodossi e protestanti. Essa è diffusa ormai nel mondo intero. Il Signore ascolti questa invocazione unanime e renda fecondi gli sforzi sinceri di studio e di dialogo, che si fanno tra i cristiani per il ristabilimento della piena unità. L’unità resta sempre un dono di Dio, perché essa implica il perdono dei peccati, la purificazione dei cuori, la comunione alla vita divina. Si esige però anche lo sforzo dell’uomo e la perseveranza in un cammino intrapreso “per grazia dello Spirito Santo” (Unitatis redintegratio, 1). Di anno in anno, la Settimana di preghiera ci fa constatare, assieme alle difficoltà che ancora permangono, anche buoni progressi verso l’intesa ecumenica. E il cuore si riscalda per la gioia, e lo spirito si rafforza per la speranza. Siano rese grazie a Dio. Quest’anno il Comitato misto fra i rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio ecumenico delle Chiese, che sceglie il tema e prepara i testi per l’annuale preghiera per l’unità, ha fatto notare che si pongono in evidenza “convergenze teologiche notevoli circa la natura dell’unità cristiana, il Battesimo e l’Eucaristia, il ministero e l’autorità nella Chiesa”. Ciò è fonte di gioia profonda per chiunque crede veramente nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il faticoso cammino verso l’unità voluta da Cristo per i suoi discepoli diventa così concreta espressione della comune volontà di ubbidire al Signore fino in fondo. In questa prospettiva bisogna perseverare con sempre maggiore intensità nella preghiera, consolidare l’azione ecumenica e rafforzare la tensione verso la piena unità. 4. Le contingenze sempre più inquietanti del nostro tempo, i conflitti armati aperti qua e là nel mondo, i rischi di una catastrofe nucleare, la paura dell’uomo, sempre più minacciato, costituiscono un nuovo stimolo per i cristiani a trovare una riconciliazione piena per portare il loro effettivo contributo ai bisogni dell’uomo. Il profeta Isaia apre la nostra mente alla visione del monte del tempio del Signore, a cui affluiranno tutte le genti. Allora “forgeranno le loro spade in vomeri, e le loro lance in falci” (Is 2, 4). La forza sprecata nell’avversione e nella distruzione sarà adoperata per i veri bisogni della vita. In cammino verso questa meta “nella luce del Signore” (Is 2, 5), fondandosi sul comune Battesimo, i cristiani sin da oggi possono congiungere le loro forze per dare insieme una comune testimonianza di fede nell’azione di servizio a tutto l’uomo e a tutti gli uomini. Le sofferenze del mondo di oggi sono una realtà che ci interroga. Sempre san Paolo, con il suo discorso vivo, attuale ed esigente, ci dice: “Prendete parte alle necessità dei fratelli” (Rm 12, 13). La collaborazione pratica tra i cristiani delle varie confessioni è possibile e ad essa il Concilio Vaticano II conferisce anche una potenza di evangelizzazione: “La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quell’unione che già vige tra di loro, e pone in più chiara luce il volto di Cristo servo” (Unitatis redintegratio, 12). Le iniziative di sensibilizzazione, come quella che si apre oggi nell’ambito di questa Abbazia, sono utili a formare una coscienza di partecipazione e di comunione per le sorti dell’umanità. Ad un livello più generale la Santa Sede ha un Gruppo consultivo con il Consiglio ecumenico delle Chiese sulla collaborazione circa il pensiero e l’azione sociale, il quale è ricco di possibilità in questo campo. 5. Alla vigilia del suo sacrificio sulla croce, Gesù affidò al Padre i suoi discepoli e tutti coloro che per le loro parole avrebbero creduto in lui. Egli pregò: “Che siano una cosa sola, perché il mondo creda” (Gv 17, 21). Domandò una unità senza alcuna ombra, una unità piena, totale, vitale. Egli invocò: “Che siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 23). Lo sforzo dei cristiani verso la piena unità deve perciò continuare, finché non si giunga alla meta indicata da Gesù Cristo. E occorre perseverare nello studio approfondito delle questioni, che ancora dividono i cristiani, nel dialogo franco e leale, nell’azione congiunta, e in particolare nella preghiera che sostiene, fortifica e orienta. Il Concilio Vaticano II ha consigliato la preghiera in comune con gli altri cristiani: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità” (Unitatis redintegratio, 8). 6. A tutti voi qui presenti, a tutti i battezzati del mondo intero, dico con tutto il cuore: la pace e la grazia di Dio siano sempre con voi! Il Signore sia sempre con noi tutti e ci guidi sulle vie che portano all’unità, affinché per mezzo di essa possiamo portare più efficacemente a tutti gli uomini il Vangelo di amore, di riconciliazione e di pace. Amen.

 

LA GARA, LA LOTTA E LA BATTAGLIA – (soprattutto Paolo)

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LA GARA, LA LOTTA E LA BATTAGLIA – (soprattutto Paolo)

ANASTASIO KIOULACHOGLOU

In Ebrei 12:1-2 noi leggiamo: Ebrei 12:1-2 “Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio.” In questo passaggio noi siamo chiamati a correre con perseveranza questa gara che ci è proposta. Questo passaggio presenta il nostro cammino Cristiano, la nostra vita Cristiana, come una gara che abbiamo bisogno di correre: 1. con perseveranza 2. fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Paolo in un altro posto, in Filippesi questa volta, parla di nuovo a proposito di questa gara. Là noi leggiamo: Filippesi 3:12-14 “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo {Gesù}. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.” Paolo non si conta se stesso come avendo già ottenuto il premio. Invece egli una cosa faceva: dimenticava le cose che stavano dietro e si protendeva verso quelle che stavano davanti, per ottenere il premio della vocazione celeste di Dio in Cristo Gesù. C’era una meta da raggiungere, un premio da ricevere. Paolo con considerava il premio come avendolo già ottenuto. Invece egli focalizzò la sua vita per ricevere questo premio. Egli era ad obiettivo orientato con lo scopo di ottenere il premio della vocazione celeste di Dio in Cristo Gesù. 1 Corinzi 9:24-27 “Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile. Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato.” Paolo stava correndo una corsa mirando ad una corona incorruttibile. La sua vita era orientata verso un obiettivo ed il suo obiettivo era di ricevere la corona incorruttibile dalle mani del Signore. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di interferire con questo scopo. Egli non stava correndo in un modo incerto. Egli sapeva il Suo scopo ed egli era sicuro per il premio che lo stava aspettando. Come gli atleti disciplinano se stessi avendo in mente il loro scopo di vincere la loro gara, così anche Paolo disciplinava il suo corpo, ponendo attenzione che non fosse disqualificato. Però la gara che Paolo stava correndo non era solo per Paolo. Anche noi corriamo nello stesso stadio. La stessa corona, lo spesso premio, ci sta aspettando. Andando avanti, la corsa che stiamo correndo è anche presentata come una lotta nel passaggio di sopra di 1 Corinzi. Paolo ne parla anche in altri posti. Uno di loro è 1 Timoteo, dove Paolo, dando istruzioni a Timoteo scrive il seguente; 1 Timoteo 6:12 “Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato e in vista della quale hai fatto quella bella confessione di fede in presenza di molti testimoni.” C’è un buon combattimento – il buon combattimento della fede – che dobbiamo combattere. Anche nella sua lettera ai Galati, Paolo chiedendosi quale fosse il loro stato della fede, scrive: Galati 5:7-10 “Voi correvate bene; chi vi ha fermati perché non ubbidiate alla verità? Una tale persuasione non viene da colui che vi chiama. Un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta. Riguardo a voi, io ho questa fiducia nel Signore, che non la penserete diversamente; ma colui che vi turba ne subirà la condanna, chiunque egli sia.” Essi correvano bene ma non più. Qualcuno li ostacolò, li turbò. Sembra anche che in questa corsa ci sia anche un competitore, qualcuno che non vuole che noi corriamo, se possibile, non correre affatto. Paolo parla di nuovo a proposito della gara e del combattimento in 2 Timoteo 2:3-5 1 Timoteo 2:3-5 “Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Nessuno, prestando servizio come soldato, s’immischia nelle faccende della vita, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato. Allo stesso modo quando uno lotta come atleta non riceve la corona, se non ha lottato secondo le regole.” La corsa diventa un combattimento e il combattimento diventa una guerra. L’atleta è anche come un soldato ed il soldato è anche un lottatore. E come un buon soldato deve sopportare le sofferenze. Riassumendo quanto sopra possiamo fare le seguenti conclusioni di un buon corridore della gara, o di un buon soldato: Quindi, un buon soldato o corridore: i) corre la gara con perseveranza. Come Barnes nel suo commentario spiega: “La parola perseveranza in questo posto vuol dire che: dobbiamo correre la gara senza permettere a noi stessi di essere ostacolati da nessun impedimento, e senza abbandonare o indebolirsi lungo la strada. Incoraggiati da molti esempi di quelli che hanno corso la stessa gara prima di noi, dobbiamo perseverare come essi fecero fino alla fine.” ii) Egli non corre in un modo incerto. Egli non batte l’aria. Di fronte i suoi occhi ha il suo scopo, il premio, la corona imperitura. Come Barnes di nuovo spiega; In un modo incerto – (??? ad?´??? ouk adelos). Questa parola non viene utilizzata in nessuna altra parte del Nuovo Testamento. Nella letteratura classica solitamente vuol dire “oscuramente”. Qui vuol dire che egli non sapeva a quale scopo stava correndo. “Io non corro a casaccio; io non mi esercito per niente; Io so a cosa mirare e tengo i miei occhi fissati sull’oggetto; Io ho lo scopo e la corona in vista.” iii) Egli si disciplina e sa molto bene che anch’egli può essere disqualificato. Per quanto riguarda il pericolo di squalifica, Paolo ci dice in 2 Corinzi: 2 Corinzi 13:5 “Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l’esito della prova sia negativo.” Il buon corridore, esamina se stesso, controlla per vedere se è nella fede. Egli testa e disciplina se stesso. Continuando, il buon soldato non s’immischia nelle faccende della vita. Fa così per poter piacere a colui che l’ha scelto. Noi non possiamo essere soldati di Gesù Cristo e nello stesso tempo avere pieno interesse nei nostri affari. Quando c’è la chiamata per i soldati, essi lasciano indietro i loro affari, le fattorie, negozi e vanno alla guerra. Ora questo non vuol dire che perché siamo soldati di Gesù Cristo dobbiamo lasciare la nostra occupazione. Paolo stesso faceva tende per guadagnarsi da vivere. Ma non dobbiamo essere “immischiati”, preoccupati con esso. Come il “Matthew Henry’s commentary of the whole Bible” dice: “La più grande preoccupazione di un soldato dovrebbe essere di piacere al suo generale; quindi la grande preoccupazione di un Cristiano dovrebbe essere piacere a Cristo, per essere approvato da lui. Il modo per compiacere a lui che ci ha scelto ad essere soldati è di non immischiarsi con gli affari di questa vita, ma libero da tali aggrovigliamenti poiché potrebbero ostacolarci nella nostra santa guerra.” In altre parole direi, di certo abbiamo occupazioni nella quale operiamo o obbligazioni che hanno bisogno delle nostre attenzioni. MA non dobbiamo essere aggrovigliati, intrappolati, stressati, con tutto questo. Queste non sono le mete che noi abbiamo qui. Noi siamo qui per piacere al nostro Generale, essere buoni soldati di GESÙ CRISTO. Noi siamo in una battaglia e non dobbiamo sistemarci come se non lo fossimo! Prolungandomi su questo soggetto, vorrei citare cosa il Signore Gesù disse nella parabola del seminatore: le ansietà di questo mondo, gli inganni della vita ed i piaceri della vita – vale a dire i grovigli con le cose del mondo, Paolo parla di questo – rendono la Parola di Dio infruttuosa. In questa parabola molti cominciano bene. La Parola di Dio fu seminata e spuntò in molti cuori. Pertanto solo l’ultima categoria diede frutto. Questo mostra anche che il numero di quelli che finiscono la gara fruttuosa non è necessariamente uguale al numero che la cominciò. Andiamo a vedere l’ interpretazione che il Signore diede a questa parabola: Luca 8:11-15 “Or questo è il significato della parabola: il seme è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, affinché non credano e non siano salvati. Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando ascoltano la parola, la ricevono con gioia; ma costoro non hanno radice, credono per un certo tempo ma, quando viene la prova, si tirano indietro. Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità. E quello che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono e portano frutto con perseveranza.” La seconda e terza categoria cominciarono bene ma essi non finirono bene. Cominciare la gara non è quindi la sola cosa importante. Dopo aver cominciato la gara, quello che è importante è di continuare a correre. Ed il solo modo per continuare a correre con perseveranza è guardando a Gesù colui che crea la fede e la rende perfetta; combattendo la battaglia, con lo scopo di piacere al Generale e non aggrovigliarsi con gli affari della vita. C’è l’ idea sbagliata che diventare Cristiano vuol dire un biglietto per una vita facile, piena di piaceri. La parola “benedizioni” è arrivata a significare che Dio concede qualsiasi cosa che ti fa piacere. Una vita facile in molti casi diventa la meta. Noi dobbiamo fare attenzione che questo non diventi il nostro scopo. La nostra meta qui è di servire il Signore Gesù Cristo e l’aggrovigliarsi, l’attenzione sulle cose di questo mondo può fare una cosa sola: rendere il seme seminato nei nostri cuori infruttuoso. La nostra meta in questa vita non è soddisfare la definizione della società di un uomo di successo. Se Paolo e Pietro e l’altra gente fedele fossero viventi oggi non sarebbero stati valutati molto dalla società. Paolo lascio tutti i privilegi terrestri che aveva, tutto quello che la sua società riconosceva come valori, al fine di acquisire Cristo. Come egli ci dice in Filippesi 3:4-11 Filippesi 3:4-11“benché io avessi motivo di confidarmi anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti.” Ci sono molte cose che Paolo aveva conseguito prima di diventare Cristiano. Paolo era qualcuno che la sua società onorava. Egli era un uomo “di successo”, secondo le definizioni della sua società, del mondo. Tuttavia egli considerò queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo. Per diventare fruttuoso in Cristo, noi dobbiamo sopportare le difficoltà, dobbiamo sopportare le tentazioni e dobbiamo lasciar perdere di avere confidenza nelle ricchezze o nel nostro potere. Se diventiamo Cristiani solo per diventare un po’ più ricchi o un po meglio del nostro vicino o per evitare questa o quella difficoltà, o per ottenere alcuni “benedizioni” allora abbiamo capito male. Come Paolo dice in 1 Corinzi 15:19: 1 Corinzi 15:19 “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini.” Se noi abbiamo fiducia in Cristo solo in questa vita, se il nostro obbiettivo di fiducia è solo in questa vita, allora noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Invece lo scopo in questa vita, è di piacere a Colui che ci ha chiamati:il Signore Gesù Cristo. Egli è il nostro Generale, colui che crea la fede e la rende perfetta in noi e noi correremo la gara solo se corriamo con perseveranza, avendo gli occhi fissi SU DI LUI. Gesù Cristo non promise “tu avrai tutto” nella vita. Egli ci invitò a prendere la nostra croce (Marco 8:34). Egli veramente promise benedizioni, ma egli parla anche di difficoltà. C’è un premio ma anche una gara. Una corona ma anche una lotta. E lì che abbiamo bisogno di perseveranza e del giusto obiettivo. È molto facile correre giù dalla collina che di correre su la collina. Per correre giù abbiamo bisogno di molto poco obiettivo di orientamento: le gambe ti porteranno giù. Ma correre su abbiamo bisogno di perseveranza e di essere focalizzati nell’obbiettivo. Senza di questo tu potrai, dopo che ti senti stanco, abbandonare la gara e sederti lungo il sentiero e spendere la tua vita là. Le tre categorie della parabola del seminatore cominciarono bene, ma solo l’ultima categoria scelse di andare avanti sulla collina. Essi erano quelli in cui “[il seme] che è caduto in un buon terreno ……, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono e portano frutto con perseveranza.” (Luca 8:15). Essi portarono frutto con perseveranza dopo aver ascoltato la parola con un cuore onesto e buono. Imposta come obiettivo il premio della alta vocazione di Dio in Cristo Gesù. Imposta come il tuo obiettivo di piacere a Dio, di essere un buon soldato di Gesù Cristo, qualunque cosa questo potrebbe richiedere. Avete provato e visto che Dio è buono. Concentrate quindi la vostra vita su di Lui La gara: il competitore Come abbiamo visto precedentemente, la vita Cristiana è presentata come una lotta. Anche leggendo Galati precedentemente, noi abbiamo visto che essi correvano bene ma qualcuno ha ostacolato la loro corsa. Abbiamo anche visto la tentazione, l’inganno delle ricchezze, le preoccupazioni di questo mondo ed i piaceri della vita che resero la seconda e la terza categoria della parabola del seminatore infruttuosa. Abbiamo anche visto nella stessa parabola che la prima categoria perse la Parola di Dio seminata in loro perché il diavolo venne e la prese via. Deve essere ovvio da quanto sopra che la gara non è una gara corsa da soli. C’è un competitore nella gara. C’è qualcuno che non vuole che noi finiamo la gara con successo. Egli si oppone al nostro obiettivo, egli vuole che ci fermiamo per non raggiungere la nostra meta. In altre parole, c’è un nemico! Efesini 6 ci parla a proposito della nostra lotta con il nemico: Efesini 6:10-12 “Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti.” Questo passaggio, come tutti i versi che lo seguono, descrive la lotta tra noi ed il nemico. Paolo non comincia subito con la descrizione della lotta. Invece egli la comincia con un invito: l’invito a fortificarsi nel Signore e nella forza della sua potenza. Non c’è nessuno come il Signore. Non è il nostro potere che può sopraffare il nostro nemico. È nel potere del Sua potenza e noi dobbiamo fortificarci in questo potere. E l’invito continua chiamandoci a mettere tutta la corazza di Dio. I lottatori hanno una corazza e noi anche soldati di Gesù Cristo ne abbiamo una. E l’armatura ha uno scopo: di restare saldi contro le insidie del diavolo. Il nemico è il diavolo ed egli è vile. Ed il passaggio continua a dirci con chi lottiamo: no contro gli uomini, no contro sangue e carne ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre. Noi lottiamo contro le forze spirituali della malvagità che sono nei luoghi celesti. C’è un nemico quindi a cui dobbiamo resistere, una lotta che dobbiamo lottare indossando un’ armatura. Versi 14-18 descrive questa armatura: Efesini 6:14-18 “State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio; pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi.” Dio ci ha dato questa armatura ed abbiamo bisogno di metterla. Affinché siamo capaci di lottare la lotta contro il nemico. Più descrizioni ed istruzioni riguardo il competitore nella gara sono anche date in 1 Pietro 5:8-11. Là leggiamo: 1 Pietro 5:8-11 “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. Ora il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo {Gesù}, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, in eterno. Amen.” Il diavolo è il nostro avversario, il nostro opponente. Egli cammina attorno e il suo scopo è brutale: egli ci vuole divorare. Ecco perché la Parola di Dio ci dice di essere sobri, vigilanti. Come Matthew Henry’s commentary of the Bible commenta su queste due parole: “È il loro dovere ( Cristiano ), 1. Di essere sobri, e governare il dentro ed il fuori dell’interno dell’uomo con le regole di temperanza, modestia, e mortificazione. 2. Essere vigilanti: non sicuro o negligente, ma piuttosto sospettosi del costante pericolo dal nemico spirituale, e, sotto quella apprensione, essere vigilante e diligenti prevenendo i suoi disegni e salvare la nostra anima.” Noi dobbiamo essere focalizzati nella giusta direzione. Sebbene dobbiamo essere vigilanti ed attenti, il nostro obiettivo non deve essere sul diavolo ma sul Signore Gesù Cristo. Noi dobbiamo correre la gara restando focalizzati, guardando a Lui, ed allo stesso tempo essere sobri e vigilanti a causa del nemico. Noi dobbiamo resistere il nemico, fermi nella fede. Questo forse vuol dire che dobbiamo soffrire per un po’. Da ciò diventa evidente ed anche da altri passaggi che abbiamo visto in Timoteo, che la vita Cristiana involve veramente sofferenza, difficoltà. Essa infatti comporta una lotta e richiede fermezza. Esso vuol dire che durante il nostro cammino Cristiano a volte soffriremo. Perché dico tutto ciò? Mi sto concentrando su quelli che per qualche motivo sono scoraggiati nel loro cammino Cristiano; su quelli che soffrono e su quelli che cosa si aspettano da Dio non sembra essere lì. Tu sei nel mezzo di una battaglia ma Dio è CON TE. Come Pietro disse:“ma se uno soffre come cristiano non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome.”(1 Pietro 4:16). Anche Giacomo dice: “Beato l’uomo che sopporta la prova.” ( Giacomo 1:12). Oggi io voglio incoraggiarti a superare la prova. Questo non vuol dire di pretendere che non è successo niente! Possiamo essere feriti nei sentimenti, possiamo aver domande e ci si può chiedere perché Dio permette tutto ciò. Noi dobbiamo esprimere i nostri sentimenti, apertamente a Dio. Dovremmo porgli le nostre domande e dirgli come ci sentiamo. Noi non siamo tenuti a pretendere che siamo incontaminati ed andare avanti, mentre i nostri cuori sono pieni di delusioni. Giobbe era un uomo che visse rettamente e pertanto tutto ad un tratto la distruzione venne su di lui. La sua salute fu danneggiata molto rapidamente. I suoi figli morirono. Egli perse tutte le sue proprietà e sua moglie si beffava di lui riguardo la sua fede. In più i suoi amici, lo incolparono per quello che gli era successo. Chi avrebbe mai immaginato una situazione peggio di questa? Egli non pretese di essere forte ne tanto meno maledì Dio, come sua moglie gli incoraggiò di fare. Invece egli gridò al Signore, aprendogli il cuore ed allo stesso tempo questionandolo. Il suo libro è pieno di perché e domande rivolte a Dio. Tu forse hai sofferto molto e tu forse hai molti perché. Cose che ti aspettavi non sono accadute. Poche cose sono peggiori che di una speranza insoddisfatta. Sperare che Dio lo farà, eppure non lo fa. Forse può essere un lavoro che non hai ottenuto, una moglie che non è venuta, la salute che non è stata ristorata; speranza che non è stata soddisfatta. Qualunque essa sia è una prova. Qualunque cosa sia in te NON dovete chiudere il cuore. Qualunque esso sia parlatene a Dio. Chiedi a Lui; grida a Lui, comunica con Lui. In tutte le sofferenze Giobbe non bestemmiò Dio come la sua moglie gli disse di fare. Poiché disse: “Ecco, mi uccida pure! Oh, continuerò a sperare.”(Giobbe 13:15). In tutte queste orribili sofferenze e in tutto il suo dibattito con Dio, Giobbe era fedele. Una cosa è domandare a Dio essendo in comunione ed un’altra cosa è rigettarlo. Giobbe era pieno di dolore ma sopportò la prova. Sua moglie, la quale non so se aveva la fede all’inizio o no, era anche piena di dolore ma non resistette. Forse aveva la speranza in Dio nei giorni felici ma nei giorni della sofferenza ella si smarrì……seconda categoria della parabola del seminatore. Ma Giobbe disse: “Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?” (Giobbe 2:10). Giobbe era preparato e devi esserlo anche tu. Tu ti devi preparare e prendere una decisione costi quel che costi, qualunque sofferenza, qualunque speranza insoddisfatta, o qualsiasi altra cosa necessaria, tu resterai fedele fino alla fine. Fedeltà non è un’idea…..ma fedele a Dio che ha rivelato Se Stesso a te. Prendi la decisione di correre la gara fino alla fine, qualunque cosa sia necessaria, e corri con perseveranza fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta! Come Pietro dice: “Ora il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo {Gesù}, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, in eterno. Amen.”

 

Name of God

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Publié dans:immagini sacre |on 13 janvier, 2016 |Pas de commentaires »

IL « VANGELO » DI SAN PAOLO – DI BRUNO FORTE

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IL « VANGELO » DI SAN PAOLO – DI BRUNO FORTE

Un uomo “toccato” da Dio in una maniera così profonda, da vivere il resto dei suoi giorni mosso dall’unico desiderio di comunicare agli altri l’esperienza di amore gratuito e liberante fatta nell’incontro col Signore Gesù sulla via di Damasco: tale fu Paolo. Il Suo Vangelo – la buona novella cioè da Lui annunciata al mondo…  1. Il Vangelo di Paolo. Un uomo “toccato” da Dio in una maniera così profonda, da vivere il resto dei suoi giorni mosso dall’unico desiderio di comunicare agli altri l’esperienza di amore gratuito e liberante fatta nell’incontro col Signore Gesù sulla via di Damasco: tale fu Paolo. Il Suo Vangelo – la buona novella cioè da Lui annunciata al mondo – è tutto radicato in quell’esperienza straordinaria: afferrato da Cristo, può dire a tutti, che mentre eravamo ancora peccatori, il Figlio di Dio è morto per noi, facendo sue la nostra fragilità, la nostra colpa, la nostra morte; risorgendo da morte per la potenza dello Spirito effusa su di Lui dal Padre, ci ha portati con sé in Dio, rendendoci partecipi della vita che viene dall’alto. Con Cristo, in Lui e per Lui è possibile vivere un’esistenza significativa e piena, uniti ai nostri fratelli e sorelle nella fede, al servizio di tutti. La gratuità del dono divino trionfa sul male: l’impossibile possibilità di Dio, la forza di amare, cioè, di cui noi siamo incapaci e che ci è data dall’alto, è offerta a chiunque apra al Signore le porte del cuore. Per chi accoglie questo annuncio con fede, niente è più lo stesso. La vita nuova comincia nel tempo e per l’eternità. Questo messaggio Paolo lo proclama non solo con le parole e gli scritti (le tredici lettere che portano il suo nome), ma anche con la sua esistenza, che è tutta un Vangelo vissuto: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Galati 2,20). Narrare le tappe della vita di Paolo vuol dire, allora, imparare a vivere di Cristo alla scuola di Colui, che non vuole essere altro che un discepolo di Gesù, un suo imitatore, un suo servo e apostolo. Conoscere Paolo significa conoscere Cristo!  2. La conoscenza di Paolo si fonda anzitutto sul libro degli Atti degli Apostoli (scritti da Luca agli inizi degli anni 60 d.C.), quasi tutti dedicati alla vocazione e ai viaggi missionari dell’Apostolo. Anche le lettere contengono importanti notizie biografiche. Paolo nasce agli inizi dell’era cristiana, tanto che nel racconto della lapidazione di Stefano è presentato come il giovane,ai cui piedi sono deposti i mantelli dei lapidatori (Atti 7,58). Il luogo di nascita è Tarso di Cilicia, “una città non senza importanza” (Atti 21,39); la famiglia è ebrea, agiata al punto da aver acquisito la cittadinanza romana. Dai genitori, che probabilmente l’avevano atteso intensamente, viene chiamato Saulo, “il desiderato”, e forse anche Paolo, come sarà sempre nominato a partire da Atti 13,9, può darsi in ricordo del proconsole Sergio Paolo, convertito a Cipro dalla sua predicazione. A Tarso impara il greco come lingua propria, ma la sua formazione è giudaica: i genitori seguono la sua educazione con grande cura, tanto da mandarlo a Gerusalemme verso i 13-14 anni per farlo studiare alla scuola di Gamaliele, uno dei più illustri maestri del tempo. Tornato a Tarso alla fine degli studi, non ha modo di conoscere personalmente Gesù. Apprende il lavoro di tessitore di tende da viaggio, molto richiesto in una città di traffici e di commerci come la sua. L’ordinarietà della vita che gli si apre davanti, tuttavia, lo lascia ben presto insoddisfatto: probabilmente contro il parere dei suoi, decide di tornare a Gerusalemme, dove entra nel partito dei Farisei e si impegna nella lotta al cristianesimo nascente. Prende parte alla condanna di Stefano. È un giovane colto, focoso, di ardente fede giudaica, dotato di spirito pratico e di capacità decisionali. Fino a questo punto, però, quella di Saulo è un’esistenza come tante: Dio interviene nell’ordinarietà delle opere e dei giorni di ciascuno di noi. Non dobbiamo pretendere di aver fatto chi sa quali esperienze, perché l’incontro con Lui cambi per sempre la nostra vita. Il dire “se fossi.. se avessi…” è un inutile alibi. Occorre solo accettare di mettersi in gioco…  3. La vocazione sulla via di Damasco. Nel pieno del suo fervore anticristiano, Paolo accetta di recarsi a Damasco per contribuire a reprimere la diffusione della prima evangelizzazione dei discepoli di Gesù. Siamo all’incirca nel 35-36 d.C. È allora che accade l’evento che segnerà per sempre la sua vita. L’episodio – narrato in terza persona in Atti 9 e in forma autobiografica in Atti 22 e 26 – consiste in un incontro, l’incontro con Cristo, che gli fa vedere tutto in modo nuovo. Paolo capisce che la fede che intendeva perseguitare non consiste anzitutto in una dottrina, ma in una persona, il Signore Gesù, il Vivente, che prende l’iniziativa di rivelarsi a lui: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1 Timoteo 1,12-13). Riferendosi a quanto gli è accaduto, Paolo parlerà di una rivelazione, di una missione ricevuta, di un’apparizione. Lui che a motivo della formazione e del temperamento pensava di possedere Dio e si sentiva giusto, scopre di essere stato raggiunto e posseduto da Dio, giustificato unicamente da Lui: “Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. Ma queste cose che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo… avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (Filippesi 3,4-7. 9). È il capovolgimento totale delle sue precedenti certezze: ora Paolo accetta di non appartenersi più per appartenere unicamente a Cristo e farsi condurre dove Lui vorrà. Condizione dell’incontro col Dio vivente è lasciarsi sovvertire da Lui, accettare di essere e fare quello che Lui vuole da noi, non quello che noi pretendiamo da Lui.  4. Gli anni del silenzio, i primi entusiasmi e la prova. La risposta alla vocazione implica un distacco, che è una vera esperienza di buio e di cecità. La luce che ha raggiunto Paolo gli fa percepire tutto il peso del peccato personale e di quello radicale, che grava sulla condizione umana: ne parlerà con accenti insuperabili nel capitolo settimo della lettera ai Romani, lì dove descrive la condizione tragica dell’essere umano, l’impotenza a fare il bene che vorremmo. Il Signore gli fa intuire quanto dovrà soffrire per il suo nome. Nel vivo di questa maturazione interiore, comincia ad annunciare Cristo con entusiasmo nella stessa Damasco, da cui l’odio degli avversari lo costringe ben presto a fuggire in maniera quasi rocambolesca: “I Giudei deliberarono di ucciderlo, ma Saulo venne a conoscenza dei loro piani. Per riuscire a eliminarlo essi sorvegliavano anche le porte della città, giorno e notte; ma i suoi discepoli, di notte, lo presero e lo fecero scendere lungo le mura, calandolo giù in una cesta” (Atti 9,23-25). Torna a Gerusalemme, dove molti degli stessi discepoli hanno paura di lui, non riuscendo a credere che fosse divenuto uno di loro. È Barnaba a dargli fiducia e a prenderlo con sé, aiutandolo ad essere accolto anche dagli altri: nasce così un’amicizia, che è fra le pagine più belle della vita di Paolo. “Allora Barnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù” (Atti 9,27). Nonostante gli sforzi di Barnaba, tuttavia, alla fine Paolo è costretto a lasciare anche Gerusalemme, dietro l’insistenza degli stessi fratelli nelle fede, timorosi che il suo slancio evangelizzatore potesse provocare una reazione ancora più dura della persecuzione in atto. Paolo torna a Tarso, confuso e umiliato: vi resterà alcuni anni (almeno fino al 43), in un grigiore tanto più pesante, quanto più lo aveva fuggito da giovane e quanto più avverte in sé l’urgenza di fuggirlo. Al tempo dei primi entusiasmi, segue quello delle amarezze e delle delusioni: le incomprensioni gli vengono non solo dagli avversari, ma anche dai fratelli di fede. Conosce la solitudine, un senso di vergogna davanti ai suoi e di sconfitta rispetto ai suoi sogni, lo sconforto dell’incompiuto, che appare impossibile. L’esperienza di Paolo dimostra sin dall’inizio come l’amore chieda il suo prezzo: senza dolore nessuno vivrà veramente l’amore per Dio o per gli altri.  5. La missione e la crisi. Sarà Barnaba, l’amico del cuore, a trarlo fuori dalla prova e a lanciarlo nel grande impegno missionario: Barnaba appare dal racconto degli Atti come un uomo prudente e generoso, che sa capire e valorizzare l’irruenza di Saulo. Con un’iniziativa tanto libera, quanto audace, va a Tarso a prenderlo per portarlo ad Antiochia, dove c’è una comunità che lo desidera, perché la missione sta fiorendo al di là di tutte le più rosee attese e i discepoli – che qui sono stati chiamati per la prima volta “cristiani” – hanno bisogno di aiuto per la predicazione del Vangelo. Barnaba e Saulo iniziano a lavorare insieme e tutto sembra procedere meravigliosamente: nel racconto degli Atti (capitoli 11 e 13-15) il nome di Barnaba dapprima precede quello di Paolo; poi avverrà il contrario. I due amici sono, in realtà, molto diversi: quanto Paolo è irruente, tanto Barnaba è pacato e mediatore. Si giunge così al momento forse più doloroso della vita di Paolo: la rottura con Barnaba. L’occasione è legata ad un giovane discepolo – Giovanni Marco (Marco l’evangelista?) – che si è mostrato tiepido nel primo viaggio missionario, al punto da tornare indietro (cf. Atti 13,13). Paolo non lo vuole più con sé (più tardi lo riscoprirà e lo manderà a chiamare per averne la vicinanza e l’aiuto: “Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero”: 2 Timoteo 4,11). Barnaba invece non vuole perdere nessuno e ritiene che bisogna dare ancora una possibilità al giovane: “Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro. Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. Paolo invece scelse Sila e partì, affidato dai fratelli alla grazia del Signore” (Atti 15,39-40). I due – entrambi innamorati del Signore, ma totalmente diversi – decidono di separare le loro strade a causa della valutazione differente di una stessa questione, che ciascuno dei due ritiene di guardare con gli occhi della verità e dell’amore! La santità – come si vede – non annulla i caratteri: e, alla luce dei fatti, sembrerebbe che Barnaba avesse più ragione di Paolo! L’Apostolo ha dei limiti caratteriali: proprio questo, però, può esserci d’aiuto. I nostri limiti non devono diventare un alibi per disimpegnarci. Possiamo anzi domandarci con umiltà alla scuola di Paolo: riconosco i limiti del mio carattere e quelli altrui e li accetto, sforzandomi di lasciarmi trasfigurare progressivamente da Cristo nel servizio del Vangelo e di accettare gli altri con benevolenza? 6. La “trasfigurazione” di Paolo. Seguiranno i grandi viaggi missionari di Paolo, con innumerevoli prove e consolazioni (leggi, ad esempio, 2 Corinzi 11,24-28). Attraverso le prove, superate per amore di Cristo con la forza della Sua grazia, animato nell’annuncio del Vangelo da una gioia vittoriosa di ogni fatica, Paolo dimostra una cura amorosa verso tutte le Chiese, nate o corroborate dalla sua azione apostolica. Ne sono testimonianza le lettere a loro inviate, in cui le esorta, le rimprovera, le guida, le illumina sull’essere con Cristo, sulle vie di accesso al Suo perdono e al Suo amore, sulla vita secondo lo Spirito, sulle esigenze della  fedeltà nell’esprimere il dono ricevuto. Di questo ministero appassionato è voce intensa il discorso di Mileto, riportato nel capitolo 20 degli Atti, un discorso di addio, quasi il testamento dell’Apostolo, di cui riassume in qualche modo la vita. Paolo sa di essere oramai ben conosciuto: “Voi sapete…”. I fatti parlano per lui! Ha vissuto il suo ministero con immenso amore a Cristo e ai suoi: “Ho servito il Signore con tutta umiltà… non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù” (Atti 20,19-21). Paolo ha conosciuto la prova ed è stato fedele fino alla fine, perché ha fatto esperienza della fedeltà del suo Signore: “Affinché io non monti in superbia – ci confida nella seconda lettera ai Corinzi – è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Corinzi 12,7-9). Cristo lo ha trasfigurato e Paolo ne ha fatto tesoro, imparando a svuotarsi di sé per essere pieno di Dio e darsi agli altri da innamorato del Signore. Perciò non esita a definirsi “il prigioniero di Cristo” (Efesini 3,1), il “servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio” (Romani 1,1). È divenuto in Cristo il collaboratore della gioia altrui (cf. 2 Corinzi 1,24), il testimone esigente ed insieme il padre amoroso: “Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo. Vi prego, dunque: diventate miei imitatori!” (1 Corinzi 4,14-16). La domanda radicale che nasce per noi dalla conoscenza di Paolo è dunque: chi è Cristo per me? È come per Paolo il Vivente, che ho incontrato e di cui sono e voglio essere prigioniero nella libertà e nell’amore? Vivo di Lui, per Lui, con Lui, sull’esempio di Paolo?  7. La passione del Discepolo. L’Apostolo è pronto, preparato a seguire il Maestro fino in fondo, sulla via della Croce: Paolo rivive in se stesso la passione del suo Signore, andando con fede e con amore incontro alla morte. “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). I capitoli 21-28 degli Atti vengono chiamati “passio Pauli”, perché raccontano la passione del discepolo, il viaggio della prigionia, che si concluderà col martirio a Roma. Secondo la tradizione Paolo sarà decapitato alla terza pietra miliare sulla Via Ostiense nel luogo detto “Aquae Salviae” e verrà sepolto dove ora sorge la Basilica di San Paolo fuori le Mura. Tre volte il suo capo tagliato sarebbe rimbalzato sulla terra, facendo sgorgare tre fontane, figura dell’acqua viva che dall’Apostolo e dal Vangelo da lui annunziato continuerà a scorrere nella storia fino agli estremi confini della terra. Molte sono le analogie con la passione di Cristo: anche per Paolo l’arresto avviene mentre è nel vivo della missione (cf. Atti 21); anche Paolo resta solo (cf. 2 Timoteo 4,9-18): tuttavia, ha sempre con sé Colui che gli dà forza: “Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza” (Colossesi 1,29). A differenza di Gesù Paolo si difende con vari discorsi, ma lo fa per avere l’occasione di annunciare Cristo. Dà compimento in sé alla passione del Messia, a cui si è consegnato con tutto il cuore, e come il suo Signore offre la vita a vantaggio della Chiesa, sigillando il suo amore nel silenzio eloquente del martirio. Il grande evangelizzatore conclude la sua esistenza parlando dalla più alta e ineccepibile delle cattedre: il martirio. Paolo non si è risparmiato per il Vangelo: che significa per noi, in questa luce, quanto egli dice sul bisogno di dare compimento a ciò che della passione di Cristo manca nella sua carne a vantaggio del Suo Corpo, la Chiesa? Amo, amiamo la Chiesa, come Paolo l’ha amata? L’Apostolo ha patito ogni genere di prova e ci fa chiedere perciò: seguo Gesù nel dolore, dove Lui vorrà per me e dove mi precede e mi accompagna? Lo amo più di tutto, come lo ha amato Paolo?  8. Paolo e noi. Nella consapevolezza della nostra fragilità, soprattutto se ci misuriamo su ciò che fu l’Apostolo, dopo aver risposto con verità alle domande che la vita di Paolo suscita in noi, invochiamo con fiducia il Signore Gesù, vero protagonista nell’esistenza dell’Apostolo: Lode a te, Signore Gesù, che parli a noi nel volto di Paolo e ci chiedi di seguirti senza condizioni come Ti ha seguito Lui! Lode a Te, Cristo, cercatore di ogni uomo, che sei venuto per me nei luoghi della mia vita, come entrasti nella vita di Paolo sulla via di Damasco! Lode a Te, che ci raggiungi sulle nostre strade e ci prendi con te e ci invii per essere Tuoi testimoni, a tempo e fuori tempo, per ogni essere umano, fino agli estremi confini della terra! Nella comunione dei Santi, affidiamoci poi all’intercessione e all’aiuto dell’Apostolo delle genti: Prega per noi, Paolo, perché possiamo vivere come Te l’incontro con Cristo, che cambia il cuore  e la vita. Aiutaci a svuotarci di noi per riempirci di Lui, affinché, resi forti dal Suo Spirito, siamo capaci di credere, di sperare e di amare oltre ogni prova o misura di stanchezza. Ottienici di divenire sempre più testimoni umili e innamorati di Colui che è la speranza del mondo, in comunione con tutta la Chiesa, al servizio di ogni creatura. Il Cristo Gesù sia per noi la vita vera, la gioia piena, la sorgente di un amore sempre nuovo, la luce senza tramonto, nel tempo e per l’eternità. Amen. (Teologo Borèl) Marzo 2009 – autore: mons. Bruno Forte

SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO – OMELIA PAPA FRANCESC (2015)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2015/documents/papa-francesco_20150125_vespri-conversione-san-paolo.html

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Paolo fuori le Mura

Domenica, 25 gennaio 2015

In viaggio dalla Giudea verso la Galilea, Gesù passa attraverso la Samaria. Egli non ha difficoltà ad incontrare i samaritani giudicati eretici, scismatici, separati dai giudei. Il suo atteggiamento ci fa capire che il confronto con chi è differente da noi può farci crescere. Gesù, stanco per il viaggio, non esita a chiedere da bere alla donna samaritana. La sua sete, lo sappiamo, va ben oltre quella fisica: essa è anche sete di incontro, desiderio di aprire un dialogo con quella donna, offrendole così la possibilità di un cammino di conversione interiore. Gesù è paziente, rispetta la persona che gli sta davanti, si rivela a lei progressivamente. Il suo esempio incoraggia a cercare un confronto sereno con l’altro. Per capirsi e crescere nella carità e nella verità, occorre fermarsi, accogliersi e ascoltarsi. In tal modo, si comincia già a sperimentare l’unità. L’unità si fa nel cammino, non è mai ferma. L’unità si fa camminando. La donna di Sicar interroga Gesù sul vero luogo dell’adorazione di Dio. Gesù non si schiera a favore del monte o del tempio, ma va oltre, va all’essenziale abbattendo ogni muro di separazione. Egli rimanda alla verità dell’adorazione: «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità» (Gv 4,24). Tante controversie tra cristiani, ereditate dal passato, si possono superare mettendo da parte ogni atteggiamento polemico o apologetico e cercando insieme di cogliere in profondità ciò che ci unisce, e cioè la chiamata a partecipare al mistero di amore del Padre rivelato a noi dal Figlio per mezzo dello Spirito Santo. L’unità dei cristiani – ne siamo convinti – non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell’uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti, riconcilia le diversità. Gradualmente, la donna samaritana comprende che Colui che le ha chiesto da bere è in grado di dissetarla. Gesù si presenta a lei come la sorgente da cui scaturisce l’acqua viva che estingue per sempre la sua sete (cfr Gv 4,13-14). L’esistenza umana rivela aspirazioni sconfinate: ricerca di verità, sete di amore, di giustizia e di libertà. Sono desideri appagati solo in parte, perché dal profondo del suo essere l’uomo si muove verso un “di più”, un assoluto capace di soddisfare la sua sete in modo definitivo. La risposta a queste aspirazioni viene data da Dio in Gesù Cristo, nel suo mistero pasquale. Dal costato squarciato di Gesù sono sgorgati sangue ed acqua (cfr Gv 19,34): Egli è la sorgente da cui scaturisce l’acqua dello Spirito Santo, cioè «l’amore di Dio riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5) nel giorno del Battesimo. Per opera dello Spirito siamo diventati una sola cosa con Cristo, figli nel Figlio, veri adoratori del Padre. Questo mistero d’amore è la ragione più profonda dell’unità che lega tutti i cristiani e che è molto più grande delle divisioni avvenute nel corso della storia. Per questo motivo, nella misura in cui ci avviciniamo con umiltà al Signore Gesù Cristo, ci avviciniamo anche tra di noi. L’incontro con Gesù trasforma la Samaritana in una missionaria. Avendo ricevuto un dono più grande e più importante dell’acqua del pozzo, la donna lascia lì la sua brocca (cfr Gv 4,28) e corre a raccontare ai suoi concittadini che ha incontrato il Cristo (cfr Gv 4,29). L’incontro con Lui le ha restituito il senso e la gioia di vivere, e lei sente il desiderio di comunicarlo. Oggi esiste una moltitudine di uomini e donne stanchi e assetati, che chiedono a noi cristiani di dare loro da bere. È una richiesta alla quale non ci si può sottrarre. Nella chiamata ad essere evangelizzatori, tutte le Chiese e Comunità ecclesiali trovano un ambito essenziale per una più stretta collaborazione. Per poter svolgere efficacemente tale compito, occorre evitare di chiudersi nei propri particolarismi ed esclusivismi, come pure di imporre uniformità secondo piani meramente umani (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 131). Il comune impegno ad annunciare il Vangelo permette di superare ogni forma di proselitismo e la tentazione di competizione. Siamo tutti al servizio dell’unico e medesimo Vangelo! E in questo momento di preghiera per l’unità, vorrei ricordare i nostri martiri di oggi. Essi danno testimonianza di Gesù Cristo e vengono perseguitati e uccisi perché cristiani, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono. Sono cristiani e per questo perseguitati. Questo è, fratelli e sorelle, l’ecumenismo del sangue. Ricordando questa testimonianza dei nostri martiri di oggi, e con questa gioiosa certezza, rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, a Sua Grazia David Moxon, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali qui convenuti nella Festa della Conversione di San Paolo. Inoltre, mi è gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si svolgerà nei prossimi giorni a Roma. Saluto anche gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey e i giovani che beneficiano di borse di studio offerte dal Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese ortodosse, operante presso il Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Sono presenti oggi anche religiosi e religiose appartenenti a diverse Chiese e Comunità ecclesiali che hanno partecipato in questi giorni ad un Convegno ecumenico, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in occasione dell’Anno della vita consacrata. La vita religiosa come profezia del mondo futuro è chiamata ad offrire nel nostro tempo testimonianza di quella comunione in Cristo che va oltre ogni differenza, e che è fatta di scelte concrete di accoglienza e dialogo. Di conseguenza, la ricerca dell’unità dei cristiani non può essere appannaggio solo di qualche singolo o comunità religiosa particolarmente sensibile a tale problematica. La reciproca conoscenza delle diverse tradizioni di vita consacrata ed un fecondo scambio di esperienze può essere utile per la vitalità di ogni forma di vita religiosa nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali. Cari fratelli e sorelle, oggi noi, che siamo assetati di pace e di fraternità, invochiamo con cuore fiducioso dal Padre celeste, mediante Gesù Cristo unico Sacerdote e mediatore e per intercessione della Vergine Maria, dell’Apostolo Paolo e di tutti i santi, il dono della piena comunione di tutti i cristiani, affinché possa risplendere «il sacro mistero dell’unità della Chiesa» (Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, 2), quale segno e strumento di riconciliazione per il mondo intero. Così sia.

Publié dans:FESTE DI SAN PAOLO, PAPA FRANCESCO |on 13 janvier, 2016 |Pas de commentaires »

Rembrandt van Rijn – Old Man in Prayer at Boston Museum of Fine Arts

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Publié dans:immagini sacre |on 12 janvier, 2016 |Pas de commentaires »
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