IL MAGISTERO DEL NATALE – DON ALBERIONE E EDITH STEIN: CONVERGENZE
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IL MAGISTERO DEL NATALE – DON ALBERIONE E EDITH STEIN: CONVERGENZE
di ROSARIO F. ESPOSITO
La prima cattedra di Gesù Maestro è la mangiatoia: il nostro fondatore e la filosofa ebreo-tedesca fondamentalmente concordano in questa teoria. G.D.P.H. è una sigla a prima vista complicata: essa è fissata nello stemma originario della Società San Paolo ed appare in testa a molte delle nostre prime pubblicazioni. In latino significa Gloria Deo Pax Hominibus, ed è il coro che gli angeli eseguirono sulla grotta di Betlemme, cioè Gloria a Dio e pace agli uomini. Presenta la dimensione verticale e quella orizzontale della vita e dell’apostolato della Famiglia Paolina in tutte le sue componenti. UN TEMPO la sigla GDPH era familiare nei diversi gruppi della Famiglia Paolina. Chi ha memoria dello stemma tradizionale disegnato negli anni 30 ed accuratamente commentato dal Primo Maestro nel Carissimi in S. Paolo (p. 207) sa che l’iscrizione delle parole di Betlemme nel cartiglio dello stemma è da lui così illustrato: « Gloria a Dio Pace agli uomini: sono le finalità per cui Gesù Cristo venne a salvarci. Per la Famiglia Paolina non vi sono altri fini ». È difficile aspirare ad una maggiore dignità: si tratta del proposito di totale identificazione con il Divin Maestro. Non a caso in molte circostanze don Alberione promosse l’impegno della cristificazione del battezzato, e tanto più del consacrato. Nell’Apostolato dell’edizione (2 ed., 1950, ora in corso di ristampa) alle pp. 15-16 egli nell’abituale stile scheletrico scrive: « Fine: la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Ecco il fine specifico dell’apostolato dell’edizione. Quello stesso programma lo cantarono gli angeli sulla capanna di Betlemme: Gloria Deo Pax Hominibus: il programma di Gesù Cristo e della sua vita perenne nella Chiesa. Fine altissimo dunque, fine divino. L’apostolato dell’edizione ha perciò un solo ideale: far regnare Dio nelle anime, ravvivando in esse la fede, se occorre instillandovela: sottomettere a Dio le volontà, portandole all’osservanza della sua legge ». Nell’Ut perfectus sit homo Dei (vol. I, 375) attesta: » La nostra vita è sempre iniziata in Gesù Cristo e come Gesù Cristo nel presepio: Gloria ecc. Posso accertare tutti che tutto, solo, sempre è stato fatto alla luce del Tabernacolo ed in obbedienza. Le approvazioni sono buone e possono portare alla santità, e sono conformi ai bisogni dei tempi ». Un collegamento spirituale salta agli occhi: Gesù volle nascere a Betlemme, che significa Casa del pane; anche nel Tabernacolo il Cristo è stabilmente presente tra gli uomini sotto la specie del pane consacrato. In questa impostazione della vita e della testimonianza cristiana mi sembra interessante mettere in evidenza la vicinanza del messaggio di don Alberione con quello di santa Edith Stein, la martire di Auschwitz canonizzata lo scorso 11 ottobre. Lei è famosa per l’impostazione della sua teologia sulla scienza della croce, e su questa spiritualità gli studiosi sono molto ricchi di apporti e riflessioni. In questo caso vogliamo invece sostare sulla sua spiritualità natalizia, che è incredibilmente ricca e profonda. Il Natale della filosofa è in intima correlazione con tutto il mistero cristologico, particolarmente col Calvario e col Tabernacolo, e questo mette in evidenza un’intima concordanza col messaggio di don Alberione, il cui pensiero è ben noto nella Famiglia Paolina, della quale i Cooperatori costituiscono una componente essenziale. Intendiamo rinfrescare questa memoria richiamando alcuni testi particolarmente significativi che evidenziano la dimensione magisteriale del Natale. Dedico anzitutto un po’ di spazio a quello di Santa Edith di Auschwitz.
Farsi piccoli per diventare grandi Parecchi anni dopo la morte di Edith Stein fu pubblicato un saggio della martire dedicato al mistero del Natale (Rivista di vita spirituale, novembre 1987, p. 565). Vi si legge: « Il Divino Bambino si è fatto maestro e ci ha detto ciò che dobbiamo fare… Bisogna vivere l’intera vita in quotidiana comunicazione con Dio, ascoltare le sue parole e seguirle ». Nei Cammini verso la tranquillità interiore la martire dice: « L’infanzia spirituale consiste nel farsi piccoli e, nello stesso tempo, nel diventare grandi. La vita eucaristica consiste nell’uscire totalmente dalla meschinità della propria esistenza personale per nascere all’immensità della vita di Cristo… Il cammino di Betlemme ci porta immancabilmente al Golgota. Quando la Vergine ha presentato il Bambino al Tempio, le viene annunciato che una spada le avrebbe trapassato l’anima… È l’annuncio dei dolori e della lotta tra la luce e le tenebre, la quale inizia già nella mangiatoia ». E al momento in cui congedava alcuni amici che le avevano fatto visita mentre era sul punto di salire sul treno che l’avrebbe portata alla camera a gas, disse loro: « Qualunque cosa accada, sono pronta a tutto. Il Bambino Gesù è anche qui in mezzo a noi ». In una lettera del 2 febbraio 1942, santa Edith esprime alcune considerazioni relative al S. Bambino di Praga. Collega il messaggio natalizio con quello del Regno di Dio, che convive felicemente con la dottrina della sua consorella carmelitana S. Teresa di Lisieux, recentemente dichiarata Dottore della Chiesa: la « piccola via » convive ed opera in armonia con la filosofia e l’intellettualità, ed accentua la dimensione « politica » della sequela del Cristo. « Ieri meditavo davanti al quadro del Gesù Bambino di Praga e mi è venuto da pensare che lui porta le insegne imperiali e non a caso avrà voluto agire proprio a Praga, che per secoli è stata la sede degli imperatori tedeschi, cioè del S. R. Impero… Il Bambino Gesù è venuto proprio quando il dominio politico di Praga stava per finire. Non è lui l’Imperatore segreto che un giorno porrà fine a tutte le guerre? È lui che tiene in mano le redini, anche quando sembra che regnino gli uomini ».
Una parentela teologica e ascetica È ben chiaro che tra la filosofa ebrea giunta all’onore degli altari ed il fondatore della Famiglia Paolina non c’è stato nessun contatto diretto, né risulta che don Alberione abbia letto qualche opera della Stein, ma la parentela teologica ed ascetica tra i due personaggi è profonda e ricca di testimonianze. Si tratta solo di esplorarne i cammini e di proporli all’attenzione degli studiosi e degli ammiratori così numerosi nel mondo. In don Alberione il richiamo al magistero di Betlemme si può dire che costituisca un fatto di ordinaria amministrazione. Il riferimento a questo mistero gaudioso però non è isolato in sé stesso, ma è strutturalmente impegnato ad evidenziare l’interazione con tutti gli altri misteri della vita del Cristo, come pure il collegamento tra i vari trattati della teologia, in maniera che non si affermi nemmeno l’ombra della settorializzazione o della frammentazione, ma si pongano le basi della sospirata unificazione delle scienze, cominciando da quelle sacre. Lo stesso impegno di interdisciplinarità è presente nel pensiero della filosofa di Auschwitz. Nelle prime righe dell’Abundantes divitiae gratiae suae (art. 1), tracciando le scaturigini della sua vita spirituale e dello spirito della Famiglia Paolina, don Alberione si riferisce a due testi biblici fondamentali. Il primo è appunto il canto degli angeli, che possiamo permetterci di citare anche solo in sigla: GDPH. L’altro è il salmo 50, cioè il Miserere. In una predica ciclostilata del 1933 egli diceva: « Il presepio per noi è Via, Verità e Vita, come il Crocifisso e l’Ultima Cena. Il Divino Maestro dalla sua cattedra della greppia ci ammaestri, ci renda docili e piccoli discepoli ». Poco più oltre afferma: « Dal presepio parte tutta la luce, quindi tutta la teologia mistica, ascetica, pastorale, morale, dogmatica. Il vero Maestro è Gesù Cristo ». A suo modo di vedere, la predicazione fatta attraverso gli strumenti tecnologici ed elettronici della comunicazione sociale deve modellarsi sullo schema comunicativo di Betlemme. Nella già citata predica del 1933 diceva ancora: « Il regno di Dio incomincia sempre come il granello di senapa. Così pure tutte le opere che sono soprannaturali e che sono destinate a durare. Beato chi parte dal presepio ». Soggiungeva poi: l’umanità brancolava nel buio, ma « è venuto a visitarci un sole dall’alto per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte… noi conosciamo la via, è il presepio ». L’argomento di base nella sua riflessione teologica ed apostolica è questo: Gesù prima di parlare, agì. Come dicono i Ss. Padri, cominciò a fare, nei trent’anni della vita nascosta, poi insegnò nei tre anni della via pubblica attraverso la predicazione ed i miracoli.
Una scuola aperta a Betlemme
Il magistero natalizio del Primo Maestro esige di essere illustrato con molto impegno. Dovendo rimanere in limiti ristretti, ricordo che esso trova un’occasione particolarmente favorevole negli auguri natalizi contenuti in tratti rapidi e vigorosi. Essi sono riprodotti nella raccolta Carissimi in San Paolo (p. 1472-1480). Nel 1952 scriveva: « Il Bambino Gesù ci accolga tutti benignamente nella scuola aperta a Betlemme, perché nell’anno liturgico possiamo meglio conoscerlo, amarlo più intimamente e imitarlo nelle virtù religiose ».
La missione di Maria Nel 1955 metteva in relazione questo mistero con l’opera della Madonna, emblema di quella di tutti i comunicatori, che in realtà perpetuano nel tempo la missione della Madre di Dio: « Maria nostra madre e maestra dal presepio compie il suo sublime apostolato offrendo all’umanità Gesù Maestro divino. Che tutti lo accolgano, che tutti siano arricchiti dei frutti dell’incarnazione e della redenzione ». In altra occasione accentuò il fatto che Cristo non volle annunciare direttamente il programma redentivo, ma ne affidò l’incarico agli angeli nella notte della sua nascita. I comunicatori trovano in Maria e in questi celesti messaggeri i loro maestri ed i loro modelli. Devono calcare le loro orme nelle diverse situazioni di spazio e di tempo. Nell’augurio del 1957 la visione magisteriale del Natale è inquadrata in maniera ancora più articolata, nella cornice della vita e della predicazione del Cristo: « La pace tra gli uomini si realizza a misura che l’umanità entra nella scuola di Gesù Maestro, il quale questa scuola l’ha aperta nella grotta di Betlemme, l’ha continuata a Nazareth, nella vita pubblica, nella vita dolorosa, nella vita gloriosa, e la continua nel Tabernacolo. La medesima scuola si perpetua visibilmente nella Chiesa, che è maestra di fede, di morale, di liturgia. Chi fedelmente la segue si trova certamente sulla via della pace e della felicità eterna ».
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