C. M. MARTINI – LA TRASFORMAZIONE DI CRISTO E DEL CRISTIANO ALLA LUCE DEL TABOR
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C. M. MARTINI – LA TRASFORMAZIONE DI CRISTO E DEL CRISTIANO ALLA LUCE DEL TABOR
Un corso di esercizi spirituali
VII MEDITAZIONE
Le dimensioni della trasformazione battesimale
È facile cadere nell’equivoco di ridurre la trasformazione battesimale alla dimensione etica e ascetica: mi sforzo di cambiare la mia vita e di comportarmi meglio con gli altri, di pregare di più. Certamente è importante la dimensione etica o ascetica, ma se ci limitiamo a questa tutto si riduce allo sforzo personale e a un certo punto ci si stanca. In realtà l’orizzonte è più vasto e possiamo parlare di quattro dimensioni della trasformazione battesimale.
La pienezza della nostra trasformazione
1. La prima dimensione è appunto la trasformazione etica, cioè dei costumi, del modo di vivere, di agire, di pensare, la trasformazione delle attitudini, degli atteggiamenti, dei sentimenti. Essere figlio di Dio significa avere nuovi atteggiamenti, nuove abitudini, nuovi costumi, usi, sentimenti, nuove reazioni. Lo abbiamo visto già in Rm 12, 2: «Trasformatevi rinnovando la vostra mente» per discernere ciò che piace a Dio, la sua volontà. «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo», cioè: non agite come tutti gli altri che ricercano il proprio tornaconto, interesse, guadagno, comodità. Altra è la nostra via, l’unica che crea l’uomo vero. la donna vera, che forma quella civiltà dall’amore senza la quale la terra è «un’aiuola che ci fa feroci», un luogo di combattimento di belve.
2. C’è poi la trasformazione che chiamo mistica, o passiva, quella che avviene per riflesso della luce che brilla sul volto di Gesù. Non siamo più noi a darci da fare, ma ci preoccupiamo unicamente di lasciare brillare su di noi il volto di Gesù.
San Paolo ne parla in 2 Cor 3, 18: «E noi tutti, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore». È moto bello e confortante questo versetto, perché ci insegna che non siamo noi a darci da fare; è la gloria del Signore che si riflette in noi. Da un certo punto in avanti non conta più principalmente il nostro sforzo, la nostra ascesi, la nostra lotta contro le tentazioni, la nostra resistenza al male.
Così si spiega la forza dei santi. Non che avessero una dose di buona volontà molto più grande della nostra; hanno lasciato che Gesù si rispecchiasse in loro. È bello per esempio ciò che scrive santa Teresa di Gesù Bambino a proposito della sua «piccola via»: è Gesù che la porta, è Gesù l’ascensore che la fa salire, che la trasforma a immagine di sé.
Un’altra espressione della trasformazione mistica è l’identificazione, che Paolo descrive come propria esperienza in Fil 1, 2 1: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno». E aggiunge in Gal 2, 20: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me».
Noi non dobbiamo avere paura di tale esperienza, quasi fosse riservata ai santi. Senza di essa rischiamo di restare sempre nella palude, nella pianura, sempre con la nostra fragilità che non ci consente di elevarci al di sopra della mediocrità e di una certa onestà umana, importantissima, ma con la quale non si va molto avanti nel regno di Dio.
Non sarà dunque mia acquisizione la trasformazione cristiana, bensì sarà grazia.
3. Ricordo poi la dimensione escatologica. La trasformazione piena in Cristo si avrà alla manifestazione del regno di Dio, a cui dobbiamo guardare. Noi spesso teniamo gli occhi rivolti verso terra, come gli animali, e invece il nostro sguardo deve essere alto.
Cosi Paolo ammonisce la comunità di Filippi: «Molti, ve l’ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo» (può accadere anche ai cristiani di essere nemici della croce di Cristo, pur portandola in processione). «La perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra.» t una religione carnale, che si accontenta di pratiche esteriori, di forme superficiali e in parte superstiziose. «La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,18-21).
È la pienezza della nostra trasformazione simboleggiata sul monte della Trasfigurazione. Gesù darà una forma diversa (metaschematísei) al corpo della nostra umiltà conformandolo al suo corpo di gloria. E già ora dal cielo ci attrae e trasfigura.
La civiltà medievale e le civiltà antiche in genere avevano radicato il senso della vita eterna. Oggi viviamo in una civiltà che opera come se Dio non esistesse, come se la morte fosse la fine di tutto, e non a caso si cerca in tutti i modi di esorcizzarla. Proprio per questo non dobbiamo dimenticare la nostra meta e che ogni segno di malattia o di vecchiaia è un segno del bussare di Gesù alla porta del cuore. Il battesimo ci assicura che la nostra pienezza è nei cieli.
4. L’ultima dimensione é propria del presbitero, di colui che è chiamato ad avere responsabilità di altri.
Lo sottolinea un versetto della Lettera ai Galati: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal4, 19).
L’esperienza di san Paolo è tipica del prete, il quale soffre talora i dolori dei parto, per far vivere Cristo Gesù in una persona. Questa intima sofferenza l’hanno patita tutti i santi che hanno avuto responsabilità di altri.
Ho esposto quattro dimensioni della trasformazione cristiana e mi sembra opportuno ritornare sulla prima, che è quella più ovvia: la trasformazione etica, del costume, degli atteggiamenti, delle reazioni, dei sentimenti, dei modi di fare.
L’etica delle beatitudini
Tralascio di riprendere le pagine del Nuovo Testamento dove si descrivono gli atteggiamenti del cristiano che ha rinnovato la sua vita secondo Cristo. Preferisco riferirmi al quadro più provocante, più completo, più organico della trasformazione della mente, del cuore e dei sentimenti in Cristo: il Discorso della montagna.
Evidenzio quattro aspetti del testo di Matteo (capitoli 5, 6 e 7), che partono tutti da una beatitudine e sono indicativi di molti altri.
1. «Beati i poveri in spirito.» È l’atteggiamento di chi non si monta la testa, non pretende di essere e di possedere chissà che cosa, di chi vive disinteressatamente. t un atteggiamento straordinario, in un mondo nel quale normalmente si vive per interesse: mi chiedi questo, ma che cosa mi dai in cambio? Cosa ne guadagno? Al contrario il battezzato è capace di disinteresse, e se ha un ministero nella Chiesa lo vive gratuitamente. Sappiamo infatti che sulla gratuità del ministero sta o cade la Chiesa. è chiaro che il ministro avrà un suo sostentamento, e tuttavia non compie il suo servizio per un guadagno o per accrescere il proprio potere. Gesù è esplicito: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).
La grande sorpresa per le popolazioni dei Paesi di missione viene dal capire che il missionario vive gratuitamente, non cerca niente per sé. Perché la gratuità è un riflesso di Dio, è un riflesso dell’essere divino che si dona gratuitamente a noi, senza aspettare niente in cambio.
Molto belle le esortazioni con cui si conclude l’insegnamento sull’elemosina, sulla preghiera e sul digiuno; per tre volte si ripete: «Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 4. 6. 18). A dire: non aspettarti gratificazioni al di fuori, non aspettarti lodi o riguardi particolari. Potrai forse averne, magari ne avrai in abbondanza, ma proprio perché non li hai cercati.
Questo è il modo di essere di Gesù e qualifica un modo di essere nuovo.
2. Un secondo frutto della trasformazione etica lo leggo nella beatitudine dei miti: «Beati i miti». Gesù stesso dirà: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29). Miti sono quelli che non rispondono alla violenza.
È il comportamento evangelico di cui parla Gesù in Mt 5, 3 8: «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle». Questo comportamento può apparire inattuabile, perché presuppone la disponibilità a perdere tutto. In realtà ci sono situazioni o condizioni nelle quali io posso esigere e chiedere qualcosa proprio per amore della giustizia, però al fondo ci deve essere nel cristiano la disponibilità a soffrire l’ingiustizia piuttosto che compierla, la disponibilità a perdonare.
Il cristianesimo non ci pone fuori della realtà, ci chiede ciò che è necessario per vivere umanamente in questo mondo. Gesù non insegna atteggiamenti estranei all’esistenza quotidiana; rivela come si può instaurare una civiltà dell’amore, una convivenza vivibile.
Sempre dal Discorso della montagna mi piace citare un altro versetto molto forte: «Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste» (5, 44-45).
La mitezza è la condizione battesimale di colui che è figlio.
Lo stesso Paolo, in una situazione di litigio comunitario, faceva appello a tale principio: «È già per voi una sconfitta avere liti vicendevoli! Perché non subire piuttosto l’ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene?» (1 Cor 6, 7). Il cristiano può certamente possedere qualcosa e legittimamente difenderla. Sotto a questo principio di giustizia umana c’è però una giustizia più profonda e capace anche di cedere e di accettare l’ingiustizia, così che ne venga un bene maggiore.
Sono convinto che le conflittualità umane non saranno mai risolte se non ci si deciderà ad accogliere l’immagine di uomo nuovo presentata dal Discorso della montagna.
3. «Beati i misericordiosi», beato chi si occupa efficacemente degli altri, dimenticando se stesso. È una beatitudine più facile da comprendere. Molti giovani, anche non credenti, fanno del volontariato, donando il loro tempo agli altri.
La misericordia cristiana dona con gioia, perché parte dal Vangelo, da Gesù, dall’amore che Dio ha per noi. Così san Paolo, al termine del suo discorso a Mileto, afferma con parole incisive: «In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: « Vi è più gioia nel dare che nel ricevere! »» (At 20, 35). E in Rm 12, 8 ammonisce: «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia».
4. La quarta beatitudine che vorrei ricordare è: «Beati i pacifici, beati gli operatori di pace», beati coloro che, contrariamente a quanto spesso si fa, non seminano zizzania o calunnia. Beati coloro che portano pace nelle comunità, che aiutano a superare le litigiosità quotidiane e vivono per questo un’esistenza pacifica e senza affanni. t lo stile di vita cristiana, è il comando di Gesù: «Non affannatevi» (Mt 6, 2 5), ed è forse il comando che trasgrediamo di più. Siamo sempre affannati per noi, per gli altri, per il futuro, per la paura di quanto può succedere. Ma Gesù continua: «Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno» (v. 33). Qui risulta nuovamente il nostro essere figli.
Le giuste previsioni sono lecite, non però quell’affanno che divora l’esistenza, non permette di pregare, di rilassarsi, di trovare pace con se stessi e di portare pace agli altri.
5. Oltre le quattro beatitudini che ho ripreso, desidero evocare la bellissima esortazione che leggiamo nel capitolo 7 di Matteo: «Non giudicate per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (vv. 1-2). Molte volte passiamo il tempo a giudicare, a misurare, a tagliare i panni addosso agli altri, e ciò è segno di spirito non cristiano.
È davvero possibile?
Mi piace concludere tentando di rispondere a una domanda che sorge in noi, sempre un po’ scettici e impazienti: davvero avviene questa trasformazione? E quando? Qualcuno di noi potrebbe pensare: le pagine evangeliche sono bellissime, ma se guardo la mia comunità, se guardo me stesso, vedo tutti i difetti, vedo divisioni, contese, contrasti, litigi. Qualcun altro si chiederà: come mai tante guerre, tante violenze, tante stragi? Dove sta di casa la trasformazione cristiana se il mondo va cosi male e la mia esperienza mi fa sentire quasi sempre più la pesantezza della vita che non la gioia e la libertà battesimale?
Vi offro qualche risposta agli interrogativi dello scettico e dell’incredulo che è in noi.
- In primo luogo, la trasformazione battesimale avviene perché avviene: ci sono i santi, quindi avviene. Quando sono stato in Kosovo ho visitato i luoghi delle memorie infantili di Madre Teresa di Calcutta, era figlia di una buona famiglia di Skopje, una brava ragazza, ben educata, che frequentava scuole di alto livello, e amava cantare, recitare. Una ragazza come tante altre. E il Signore l’ha trasformata attraverso il servizio ai più poveri. La trasformazione battesimale, che c’era già in sostanza, è divenuta in lei matura, luminosa, sfolgorante.
- Per lo più tuttavia la trasformazione avviene lentamente e senza che ce ne accorgiamo. Dobbiamo accettare i tempi lunghi, progressivi.
E avviene di solito senza che l’interessato lo noti. Anzi l’interessato nota di più le sue debolezze, quasi crescessero, le sue fragilità, le sue paure, le sue vigliaccherie e le sue meschinità. Chi lo incontra si accorge invece che c’è in lui un crescendo di pace, di equilibrio, di umanità.
Più difficile – e concludo – è rispondere alla domanda: la trasformazione avviene anche a livello collettivo?
Certamente avviene nella Chiesa attraverso la moltiplicazione dei santi. Avviene pure nella società, nel mondo, nella storia che Cristo ha redento col suo sangue?
Non si può negare che nel Vangelo si trovano frasi un po’ enigmatiche e pessimistiche. Per esempio in Luca, alla fine della parabola della vedova importuna, Gesù pone una domanda a bruciapelo: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (1 8, 8). Dunque non è affatto detto che il mondo cresca per il meglio. Anzi varie pagine apocalittiche fanno pensare a un raffreddarsi della carità e a un moltiplicarsi dell’iniquità.
In ogni caso dobbiamo riconoscere che ci sono esempi di trasformazione molto chiari, e se facciamo attenzione li vediamo. Penso a com’erano considerati cinquant’anni fa gli handicappati, sempre chiusi in casa perché le famiglie se ne vergognavano. Oggi l’handicappato è entrato nella vita pubblica, nella scuola, ha un peso nella legislazione. t, un grandissimo progresso, è un segno dell’opera dello Spirito Santo.
Per quanto riguarda il tema della pace e della guerra, sappiamo benché l’Europa è vissuta per secoli tra guerre nazionalistiche. Dopo l’ultima guerra mondiale, si sono compiuti passi straordinari verso l’unificazione. La coscienza è molto mutata, sia nella Chiesa sia nella società. E, pur essendoci gravi ambiguità nei fenomeni pacifisti, l’Europa è un esempio di convivenza e mutua accettazione, indicata anche dalla rinuncia a battere moneta propria, che era prerogativa assoluta di ogni Stato.
Indubbiamente lo Spirito Santo è all’opera dietro questi fatti; l’importante è intuire le linee secondo cui lavora, che sono le linee del Discorso della montagna.
Se leggiamo gli eventi con la mente e con il cuore trasfigurati dalla grazia del battesimo, possiamo riconoscere la trasformazione personale e quella collettiva – con tanti vai e vieni, con sconfitte e resistenze -; la possiamo riconoscere in atto nella storia e ringraziarne Dio.
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