Archive pour août, 2015

LA RICERCA DELLA FELICITÀ È RICERCA DI DIO (anche Paolo)

http://www.umanesimocristiano.org/it/details-articles/la-ricerca-della-felicit%C3%A0–%C3%A8-ricerca-di-dio/25795926/

LA RICERCA DELLA FELICITÀ È RICERCA DI DIO (anche Paolo)

Il cuore umano tende a un a felicità piena e illimitata e l’essere umano lavora e si sforza per conseguire questa meta della sua esistenza.
Da sempre la vita di ogni uomo è caratterizzata da questo prioritario desiderio, che è desiderio a ogni uomo: l’aspirazione alla felicità
Tuttavia, anche quando tende verso gli obiettivi che si propone nella vita non riesce a trovare questa totale pienezza. L’uomo sperimenta la finitezza di tutto quello che consegue e, per questo motivo, una perenne insoddisfazione
L’immagine più forte che Dante da nella Divina Commedia è proprio quella di un uomo in cammino nel viaggio della vita alla ricerca di se stesso e della propria felicità.
Eppure, a guardarsi attorno, sembra di assistere a un paradosso universale: da una parte l’uomo cerca la felicità e da un’altra la evita, perché non appena si accorge che è felice si rende conto che non ha più niente da fare e allora si creerà una nuova infelicità per ricominciare la ricerca della felicità.
E’ il paradosso che io chiamo della “nostalgia del compiuto”!
Blaise Pascal scrisse che l’uomo supera infinitamente l’uomo. In altre parole vive e cerca di raggiungere la felicità relativa che è possibile in questo mondo grazie anche al senso che egli è capace di dare alla sua esistenza.
La persona umana ha bisogno di ragioni per vivere, per soffrire, per integrarsi, per dare il meglio di sé al servizio degli altri … La felicità sgorga come conseguenza di aver dato il meglio di se stessi a servizio di una nobile causa.
Questa esperienza non è, evidentemente, nuova; è antica come antica è la stessa vita; ne danno testimonianza gli spiriti più nobili che sono passati per questo mondo. Sant’Agostino ad esempio: uno dei pensatori che hanno maggiormente influenzato la storia della Chiesa e dell’umanità. Il suo percorso vitale può davvero essere considerato un paradigma umano alla ricerca della felicità.
Agostino, soprattutto nel libro de le Confessioni, parla della ricerca della felicità. Visse un intenso itinerario spirituale, affettivo e professionale; da questo punto di vista oggi lo potremmo chiamare un trionfatore. Questo trionfo giunge al suo apogeo quando ottiene la cattedra di retorica a Milano e gli viene affidato l’incarico di rivolgere il panegirico all’Imperatore.
Tuttavia, racconta egli stesso, avviandosi verso il palazzo dell’imperatore, provo invidia per l’allegria di un ubriaco.
Soffermandosi, disse agli amici che lo accompagnavano che provava invidia perché vedeva in quell’uomo una allegria che egli non aveva mai provato.
Tuttavia, S. Agostino nella sua vita non si fermò mai; non cadde nel conformismo, ma continuò a cercare la risposta ai suoi interrogativi. La convinzione del fatto che la verità esiste e che l’uomo la deve ricercare lo sostenne nel suo proposito e fu confortato dalla conoscenza dei filosofi neoplatonici e soprattutto dall’incontro e dalla frequentazione con il vescovo di Milano, Sant’Ambrogio che fu il suo maestro e la sua guida spirituale fino ad avviarlo alla confessione del Dio cristiano, spirituale e creatore del mondo. Nella notte di Pasqua del 387 dopo Cristo, a Milano, il vescovo Ambrogio battezza Aurelio Agostino, l’intellettuale originario di Tagaste, che diventerà vescovo di Ippona e che influenzerà la cultura europea con il suo pensiero.
Nelle lettere di S. Paolo, Agostino trovò le chiavi per comprendere la scissione morale dell’uomo a causa del peccato, curabile solo da Cristo, il Dio fatto uomo per amore.
In questo modo Agostino percepì che la fede cristiana era capace di dare risposte a tutte le sue inquietudini, teoriche e pratiche e si abbandonò alla fede con la stessa passione con la quale aveva percorso già un lungo tratto della sua esistenza alla ricerca appassionata della felicità.
Potremmo trovare molti parallelismi tra l’epoca e la storia personale di Sant’Agostino – quando si andava sgretolando il potere dell’impero romano – e la nostra storia. Potremmo rinvenire molte somiglianze tra gli aneliti del suo cuore e i desideri dell’uomo d’oggi e di ognuno di noi. Potremmo confrontare e paragonare la sua ricerca di felicità con la nostra.
Nel suo tempo come nel nostro, non mancano coloro che disprezzano la ricerca della verità, distratti dal canto struggente di sirene che promettono felicità, ma che non possono mantenere tale promessa.
Agostino, nel cammino di ricerca della felicità, trovò l’orientamento e individuò la mèta nelle parole pregne di fede che egli ci ha tramandato: “Ci hai fatti per te, Signore; perciò il nostro cuore è inquieto finché non riposerà in te”.
E il suo cuore si riempì di quella gioia inesauribile che Agostino cantò e ora affida e consegna a noi perché anche la nostra gioia sia piena: “O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi, tremai di amore e di terrore. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi hai chiamato ed ora io anelo a te!”
A quanto pare Dio c’entra proprio con la felicità dell’uomo. Egli ce ne traccia il sentiero, ce ne indica la direzione, e poi, mette degli argini a tutto ciò che può compromettere la ricerca della vera felicità.
Attenzione: noi dobbiamo essere avveduti e fidarci di Dio; se vediamo unicamente gli argini e li consideriamo più come barriere che come custodie, saremo come quegli uomini stolti ai quali viene indicata la luna, ma il cui sguardo resta bloccato a fissare il dito.
Purtroppo viviamo nell’epoca dell’emo/crazia, nella quale domina l’emozione e il sentimentalismo; il benessere può stordire per un po’, ma non ce la fa a riempire le voragini dell’animo umano. Inoltre la ricerca compulsiva della felicità porta solo a girare a vuoto su se stessi.

Fidiamoci di Dio; a Lui sta a cuore la nostra felicità.
La ricerca della felicità è ricerca di Dio.

Publié dans:anche Paolo, MEDITAZIONI |on 3 août, 2015 |Pas de commentaires »

qui audit me – Prediche di Meister Eckhart (anche Paolo)

http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticacristiana/predicheeckhart.htm#sant

qui audit me – Prediche di Meister Eckhart (anche Paolo)

La parola che ho detta in latino è pronunciata dalla saggezza eterna del Padre, e significa: Chi mi ascolta non è confuso; se qualcosa lo confonde, è la sua confusione. Chi opera in me, non pecca. Chi mi manifesta e sparge la mia luce, avrà la vita eterna. Di questi tre piccoli passi che ho citato, ognuno basterebbe per un sermone.
Prima di tutto voglio parlare di quello che dice la saggezza eterna: chi mi ascolta non è confuso. Chi deve intendere l’eterna saggezza del Padre, deve essere nella interiorità, presso di sé, deve essere uno; allora può intendere la eterna saggezza del Padre.
Tre cose ci impediscono di ascoltare la parola eterna. La prima è la corporalità, la seconda la molteplicità, la terza la temporalità. Se l’uomo avesse superato queste tre cose, abiterebbe nella eternità, abiterebbe nello Spirito, abiterebbe nell’unità e nel deserto, e là potrebbe ascoltare la Parola eterna. Ora Nostro Signore dice: Nessuno comprende la mia parola e il mio insegnamento, a meno di avere rinunciato a se stesso. Infatti, chi deve ascoltare la parola di Dio, deve essere completamente distaccato. Chi intende è identico a ciò che è inteso nella Parola eterna. Tutto ciò che il Padre eterno insegna, è il suo essere, la sua natura, tutta la sua Divinità; egli ce la rivela completamente nel suo Figlio unigenito, e ci insegna ad essere questo stesso Figlio. L’uomo che fosse in questo modo uscito da se stesso, in guisa tale da essere il Figlio unigenito, avrebbe in proprio tutto ciò che appartiene in proprio al Figlio unigenito. Ogni cosa operata ed insegnata da Dio, è operata ed insegnata nel suo Figlio unigenito. Dio opera tutte le sue opere perché noi siamo il Figlio unigenito. Quando Dio vede che noi siamo il Figlio unigenito, si spinge impetuosamente verso di noi, si affretta, e fa proprio come se il suo essere divino dovesse spezzarsi ed annientarsi in se stesso, per poterci rivelare tutto l’abisso della sua Divinità, e la pienezza del suo essere e della sua natura; Dio si affretta per essere nostro proprio bene come è suo proprio bene. In questa pienezza, Dio ha gioia e delizia. L’uomo è allora nella conoscenza di Dio e nell’amore di Dio, e non diventa altro che ciò che Dio stesso è.
Se tu ami te stesso, ami tutti gli uomini come te stesso. Finché ami un solo uomo meno che te stesso, non ti sei davvero amato mai, a meno che tu non ami tutti gli uomini come te stesso, ed in un uomo tutti gli uomini, e questo uomo è Dio e uomo. Un uomo è come deve essere, quando ama se stesso ed ama tutti gli uomini come se stesso, ed il suo agire è completamente giusto. Alcune persone dicono: Io amo il mio amico, che è buono con me, più di un altro. Ciò non è bene, è una imperfezione; tuttavia bisogna ammetterlo, così come alcuni vanno per mare non avendo che un mezzo vento, eppure lo traversano. Così è per le persone che amano una creatura più di un’altra, ed è naturale. Se io la amassi davvero quanto me stesso, ciò che le accadesse – gioia o dolore, morte o vita – dovrebbe colpirmi nello stesso modo che se accadesse a me, e questa sarebbe vera amicizia.
Perciò san Paolo dice: Vorrei essere eternamente separato da Dio, per il mio amico e per Dio. Separarsi un istante da Dio, è essere eternamente separati da lui; essere separati da Dio, è il tormento dell’inferno. Che pensa dunque san Paolo quando dice che vorrebbe essere separato da Dio? I maestri si chiedono se san Paolo fosse sulla via della perfezione o se fosse già nella perfezione assoluta. Io dico che era nella completa perfezione, senza la quale non avrebbe potuto parlare così. Io voglio spiegare questa parola di san Paolo, che dice di voler essere separato da Dio.
La cosa più elevata ed estrema cui l’uomo possa rinunciare, è rinunciare a Dio per Dio; ora san Paolo rinunciava a Dio per Dio; rinunciava a tutto quello che poteva prendere da Dio, a tutto quello che Dio poteva dargli, a tutto quello che poteva ricevere da Dio. Mentre vi rinunciava, rinunciava a Dio per Dio, e Dio rimaneva per lui tale quale è presente a se stesso, non come ricevuto od acquisito, ma nel puro essere che Dio è in se stesso. Egli non dette nulla a Dio, non ricevette nulla da Dio, ma è una unità, una pura unione. Qui l’uomo è veramente uomo, e nessuna sofferenza può colpirlo, così come non può colpire l’essere di Dio; come ho detto spesso, v’è nell’anima qualcosa di tanto legato a Dio da essere uno, e non unito. È uno, non ha niente in comune con nulla, e non ha niente in comune con il creato. Tutto quel che è creato è nulla. Ora, esso è lontano ed estraneo ad ogni cosa creata. Se l’uomo fosse tutto quanto così, sarebbe totalmente increato ed increabile; se tutto quel che è corporeo e difettoso fosse in tal modo compreso nell’Unità, non sarebbe altro che ciò che è l’Unità in se stessa. Se io mi trovassi un istante in questo essere, non darei importanza a me stesso più che a un verme del letame.
Dio dona lo stesso a tutte le cose, e quando esse scaturiscono da Dio, sono uguali; sì, angeli ed uomini e tutte le creature scaturiscono da Dio, identiche nella loro prima diffusione. Chi prendesse le cose nella loro prima diffusione, le coglierebbe tutte quante come uguali. Se già sono uguali nel tempo, molto più uguali lo sono in Dio, nell’eternità. Se si considera una mosca in Dio, essa è assai più nobile in Dio di quanto l’angelo più alto non lo sia in se stesso. Dunque tutte le cose sono uguali in Dio, e sono Dio stesso. In questa uguaglianza Dio prova tanta gioia, che effonde completamente la propria natura e il proprio essere in questa uguaglianza in se stesso. Ne prova gioia nello stesso modo di colui che fa correre un cavallo da battaglia in una verde brughiera, completamente piana e senza asperità: la natura del destriero sarebbe di prodigarsi con tutta la forza, galoppando per la brughiera; ciò sarebbe per lui gioioso, e conforme alla sua natura. Nello stesso modo è per Dio grande gioia quando egli trova l’uguaglianza; è per lui una gioia effondere completamente la sua natura e il suo essere nell’uguaglianza, giacché egli è l’uguaglianza stessa.
Si pone ora una questione a proposito degli angeli; gli angeli che stanno tra noi, ci servono e ci difendono, hanno forse una minore uguaglianza nelle loro gioie, rispetto a quelli che stanno nell’eternità, ovvero sono in qualche modo menomati dalle opere che compiono per difenderci e servirci? Io rispondo: no certo! La loro gioia non è per niente diminuita, né lo è la loro uguaglianza, giacché l’opera dell’angelo è la volontà di Dio, e la volontà di Dio è l’opera dell’angelo; perciò esso non è menomato né nella sua gioia, né nella sua uguaglianza, né nelle sue operazioni. Se Dio ordinasse all’angelo di andare a togliere i bruchi da un albero, l’angelo sarebbe pronto a farlo, e questa sarebbe la sua beatitudine, e la volontà di Dio.
L’uomo che si è così fissato nella volontà di Dio, non vuole altro che Dio e la volontà di Dio. Se fosse malato, non vorrebbe essere sano. Ogni pena è per lui una gioia, ogni molteplicità è per lui semplicità ed unità, se è veramente fisso nella volontà di Dio. Sì, se a ciò fosse anche legato un tormento dell’inferno, questo sarebbe per lui gioia e beatitudine. Egli è libero, uscito da se stesso, e deve liberarsi da tutto quel che deve ricevere. Se il mio occhio deve vedere il colore, deve essere libero da ogni colore. Se vedo un colore azzurro o bianco, la visione del mio occhio che vede il colore, quello stesso che vede. è identico a quel che è visto dall’occhio. L’occhio nel quale io vedo Dio, è lo stesso occhio in cui Dio mi vede; l’occhio mio e l’occhio di Dio non sono che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un solo amore.
L’uomo che si è così fissato nell’amore di Dio deve essere morto a se stesso ed a tutte le cose create, in guisa tale da non fare attenzione a se stesso più che a chi è lontano oltre mille miglia. Questo uomo permane nella uguaglianza, permane nella unità sempre completamente uguale: non vi è in lui alcuna disuguaglianza. Questo uomo deve avere rinunciato a se stesso ed a tutto il mondo. Se ci fosse un uomo a cui il mondo intero appartenesse, e se egli lo abbandonasse, per Dio, così come lo ha avuto, Nostro Signore gli restituirebbe questo mondo tutto intero, ed in più la vita eterna. E se un altro uomo, che ha soltanto una volontà buona, pensasse: Signore, se fossi padrone di questo mondo, ed anche di un mondo diverso, ed ancora di un altro – che fanno tre -, e se questo uomo avesse questo desiderio: Signore, io voglio rinunciarvi, come a me stesso, così come li ho ricevuti da te – allora Dio darebbe a questo uomo come se egli avesse davvero tutto donato con la sua mano. Un altro uomo, che non avesse assolutamente nulla di corporeo o di spirituale a cui rinunciare né da donare, avrebbe rinunciato più di tutti. Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante. E se un uomo fosse stato nel distacco per venti anni, ma riprendesse se stesso anche per un solo attimo, non sarebbe ancora distaccato. L’uomo che ha abbandonato, che si è distaccato, e che non guarda più assolutamente a ciò che ha abbandonato, e permane costante, immutabile ed impassibile in se stesso, soltanto quest’uomo è distaccato.
Che Dio e la Saggezza eterna ci aiutino a rimanere così costanti ed immutabili, come l’eterno Padre. Amen.

 

Publié dans:anche Paolo, MISTICA ITALIANA |on 1 août, 2015 |Pas de commentaires »
1...56789

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01