Archive pour août, 2015

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui”

  “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui” dans immagini sacre eucaristia1
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BENEDETTO XVI: CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE ITALIANO 2011

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2011/documents/hf_ben-xvi_hom_20110911_ancona.html

VISITA PASTORALE AD ANCONA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
A CONCLUSIONE DEL XXV CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE ITALIANO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Cantiere Navale di Ancona

Domenica, 11 settembre 2011

Carissimi fratelli e sorelle!
Sei anni fa, il primo viaggio apostolico in Italia del mio pontificato mi condusse a Bari, per il 24° Congresso Eucaristico Nazionale. Oggi sono venuto a concludere solennemente il 25°, qui ad Ancona. Ringrazio il Signore per questi intensi momenti ecclesiali che rafforzano il nostro amore all’Eucaristia e ci vedono uniti attorno all’Eucaristia! Bari e Ancona, due città affacciate sul mare Adriatico; due città ricche di storia e di vita cristiana; due città aperte all’Oriente, alla sua cultura e alla sua spiritualità; due città che i temi dei Congressi Eucaristici hanno contribuito ad avvicinare: a Bari abbiamo fatto memoria di come “senza la Domenica non possiamo vivere”; oggi il nostro ritrovarci è all’insegna dell’“Eucaristia per la vita quotidiana”.
Prima di offrivi qualche pensiero, vorrei ringraziarvi per questa vostra corale partecipazione: in voi abbraccio spiritualmente tutta la Chiesa che è in Italia. Rivolgo un saluto riconoscente al Presidente della Conferenza Episcopale, Cardinale Angelo Bagnasco, per le cordiali parole che mi ha rivolto anche a nome di tutti voi; al mio Legato a questo Congresso, Cardinale Giovanni Battista Re; all’Arcivescovo di Ancona-Osimo, Mons. Edoardo Menichelli, ai Vescovi della Metropolìa, delle Marche e a quelli convenuti numerosi da ogni parte del Paese. Insieme con loro, saluto i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, e i fedeli laici, fra i quali vedo molte famiglie e molti giovani. La mia gratitudine va anche alle Autorità civili e militari e a quanti, a vario titolo, hanno contribuito al buon esito di questo evento.
“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Davanti al discorso di Gesù sul pane della vita, nella Sinagoga di Cafarnao, la reazione dei discepoli, molti dei quali abbandonarono Gesù, non è molto lontana dalle nostre resistenze davanti al dono totale che Egli fa di se stesso. Perché accogliere veramente questo dono vuol dire perdere se stessi, lasciarsi coinvolgere e trasformare, fino a vivere di Lui, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda Lettura: “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14,8).
“Questa parola è dura!”; è dura perché spesso confondiamo la libertà con l’assenza di vincoli, con la convinzione di poter fare da soli, senza Dio, visto come un limite alla libertà. E’ questa un’illusione che non tarda a volgersi in delusione, generando inquietudine e paura e portando, paradossalmente, a rimpiangere le catene del passato: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto…” – dicevano gli ebrei nel deserto (Es 16,3), come abbiamo ascoltato. In realtà, solo nell’apertura a Dio, nell’accoglienza del suo dono, diventiamo veramente liberi, liberi dalla schiavitù del peccato che sfigura il volto dell’uomo e capaci di servire al vero bene dei fratelli.
“Questa parola è dura!”; è dura perché l’uomo cade spesso nell’illusione di poter “trasformare le pietre in pane”. Dopo aver messo da parte Dio, o averlo tollerato come una scelta privata che non deve interferire con la vita pubblica, certe ideologie hanno puntato a organizzare la società con la forza del potere e dell’economia. La storia ci dimostra, drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere materiale e pace prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli uomini pietre al posto del pane. Il pane, cari fratelli e sorelle, è “frutto del lavoro dell’uomo”, e in questa verità è racchiusa tutta la responsabilità affidata alle nostre mani e alla nostra ingegnosità; ma il pane è anche, e prima ancora, “frutto della terra”, che riceve dall’alto sole e pioggia: è dono da chiedere, che ci toglie ogni superbia e ci fa invocare con la fiducia degli umili: “Padre (…), dacci oggi il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11).
L’uomo è incapace di darsi la vita da se stesso, egli si comprende solo a partire da Dio: è la relazione con Lui a dare consistenza alla nostra umanità e a rendere buona e giusta la nostra vita. Nel Padre nostro chiediamo che sia santificato il Suo nome, che venga il Suo regno, che si compia la Sua volontà. E’ anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare nel nostro mondo e nella nostra vita, perché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo, ed è nel conoscere e seguire la volontà di Dio che troviamo il nostro vero bene. Dare tempo e spazio a Dio, perché sia il centro vitale della nostra esistenza.
Da dove partire, come dalla sorgente, per recuperare e riaffermare il primato di Dio? Dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma. Già la Legge data per mezzo di Mosè veniva considerata come “pane del cielo”, grazie al quale Israele divenne il popolo di Dio, ma in Gesù la parola ultima e definitiva di Dio si fa carne, ci viene incontro come Persona. Egli, Parola eterna, è la vera manna, è il pane della vita (cfr Gv 6,32-35) e compiere le opere di Dio è credere in Lui (cfr Gv 6,28-29). Nell’Ultima Cena Gesù riassume tutta la sua esistenza in un gesto che si inscrive nella grande benedizione pasquale a Dio, gesto che Egli vive da Figlio come rendimento di grazie al Padre per il suo immenso amore. Gesù spezza il pane e lo condivide, ma con una profondità nuova, perché Egli dona se stesso. Prende il calice e lo condivide perché tutti ne possano bere, ma con questo gesto Egli dona la “nuova alleanza nel suo sangue”, dona se stesso. Gesù anticipa l’atto di amore supremo, in obbedienza alla volontà del Padre: il sacrificio della Croce. La vita gli sarà tolta sulla Croce, ma già ora Egli la offre da se stesso. Così la morte di Cristo non è ridotta ad un’esecuzione violenta, ma è trasformata da Lui in un libero atto d’amore, in un atto di auto-donazione, che attraversa vittoriosamente la stessa morte e ribadisce la bontà della creazione uscita dalle mani di Dio, umiliata dal peccato e finalmente redenta. Questo immenso dono è a noi accessibile nel Sacramento dell’Eucaristia: Dio si dona a noi, per aprire la nostra esistenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce, per renderla partecipe del mistero eterno da cui proveniamo e per anticipare la nuova condizione della vita piena in Dio, in attesa della quale viviamo.
Ma che cosa comporta per la nostra vita quotidiana questo partire dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio? La comunione eucaristica, cari amici, ci strappa dal nostro individualismo, ci comunica lo spirito del Cristo morto e risorto, e ci conforma a Lui; ci unisce intimamente ai fratelli in quel mistero di comunione che è la Chiesa, dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr 1 Cor 10,17), realizzando la preghiera della comunità cristiana delle origini riportata nel libro della Didaché: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno” (IX, 4). L’Eucaristia sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana. Come ricordavo nella mia prima Enciclica, “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri”, per cui “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata” (Deus caritas est, 14).
La bimillenaria storia della Chiesa è costellata di santi e sante, la cui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia nasca una nuova e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi uno sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o disagiata. Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli, ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (cfr Mt 25,34-36). In ogni persona saprà vedere quello stesso Signore che non ha esitato a dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvezza. Una spiritualità eucaristica, allora, è vero antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana, porta alla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a partire dalla famiglia, con particolare attenzione a lenire le ferite di quelle disgregate. Una spiritualità eucaristica è anima di una comunità ecclesiale che supera divisioni e contrapposizioni e valorizza le diversità di carismi e ministeri ponendoli a servizio dell’unità della Chiesa, della sua vitalità e della sua missione. Una spiritualità eucaristica è via per restituire dignità ai giorni dell’uomo e quindi al suo lavoro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi della festa e della famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato e il problema della disoccupazione. Una spiritualità eucaristica ci aiuterà anche ad accostare le diverse forme di fragilità umana consapevoli che esse non offuscano il valore della persona, ma richiedono prossimità, accoglienza e aiuto. Dal Pane della vita trarrà vigore una rinnovata capacità educativa, attenta a testimoniare i valori fondamentali dell’esistenza, del sapere, del patrimonio spirituale e culturale; la sua vitalità ci farà abitare la città degli uomini con la disponibilità a spenderci nell’orizzonte del bene comune per la costruzione di una società più equa e fraterna.
Cari amici, ripartiamo da questa terra marchigiana con la forza dell’Eucaristia in una costante osmosi tra il mistero che celebriamo e gli ambiti del nostro quotidiano. Non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’interno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 71). Sì, “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): noi viviamo dell’obbedienza a questa parola, che è pane vivo, fino a consegnarci, come Pietro, con l’intelligenza dell’amore: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Come la Vergine Maria, diventiamo anche noi “grembo” disponibile ad offrire Gesù all’uomo del nostro tempo, risvegliando il desiderio profondo di quella salvezza che viene soltanto da Lui. Buon cammino, con Cristo Pane di vita, a tutta la Chiesa che è in Italia! Amen.

OMELIA (09-08-2015) : LA FORZA DELL’EUCARISTIA CHE CI FA SCALARE LE MONTAGNE DELLA VITA E DELLA SANTITÀ

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/35253.html

OMELIA (09-08-2015)

PADRE ANTONIO RUNGI

LA FORZA DELL’EUCARISTIA CHE CI FA SCALARE LE MONTAGNE DELLA VITA E DELLA SANTITÀ

Per la terza domenica consecutiva ci viene presentato, nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, il tema del pane della vita, che è Gesù Cristo stesso. Questa insistenza della parola di Dio su questo argomento sta a significare la centralità del tema del discorso del pane di vita nell’insegnamento d Gesù, recepito dall’apostolo prediletto, Giovanni, e inserito nel testo del suo vangelo, il quarto, quello che viene classificato come teologico e non cronologico. Infatti, in questo vangelo troviamo sistematiche riflessioni di carattere filosofico e teologico che non troviamo nei sinottici. Il tema del pane della vita, già presente, in modo consistente, nell’Antico Testamento, viene riscoperto e rilanciato nei discorsi di Gesù e che Giovanni inserisce nel suo testo, che è un inno di amore verso Gesù Redentore, Messia, Il Logos de Padre, il Verbo Incarnato, il Figlio di Dio, venuto a salvare l’umanità con la sua passione, morte e risurrezione. Nella prima lettura di oggi, di questa XIX Domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico, il profeta Elia viene sostentato dal pane che il Signore gli dona attraverso l’intervento del suo messaggero celeste. Elia è stanco della vita e della missione e chiede di morire, piuttosto che vivere e continuare in quella sua impossibile missione in nome di Dio. Ma il Signore gli dona forza e lo incoraggia per continuare a camminare fino al Monte Oreb, il monte della preghiera e della contemplazione, il monte della difesa della fede. Ed Elia, oltre ad essere un uomo di Dio e di preghiera, pienamente consegnato alla volontà di Dio, è anche il difensore della fede del popolo d’Israele. Con il pane del Signore, Elia si rialza dalla sua stanchezza fisica e spirituale e riprende il cammino, nonostante le sue personali difficoltà e resistenze. La forza del pane del cielo, ci aiuta comunque a superare le difficoltà del momento e ci sostiene in quel progetto di santità personale, che nessuno può abbandonare per andare dietro a falsi dei e concezioni della vita. Anche noi, sull’esempio di Elia, ci dobbiamo far sostenere dal Padre celeste e pane del cielo, per le nostre quaresime, che sono tante, per l’intera nostra esistenza umana, che ha una meta chiara da raggiungere che è l’eternità, il monte della santità, la collina della gioia, il prato della felicità. Non dimentichiamo le parole di Gesù, del brano del vangelo di oggi, che devono essere il motto costante e lo slogan del nostro vivere da veri cristiani. Il riferimento all’eucaristia è evidente in questo brano e in tutto il capitolo sesto del quarto vangelo. Ma è evidente che il vero pane è entrare in comunione con il Signore, mediante il dono della fede. La fede ci immette nel cammino che porta alla felicità vera in questa vita e per l’eternità.
La preghiera che la chiesa rivolge a Dio oggi, all’inizio della messa, è diretta ed esplicita e si inquadra nei testi biblici che ascoltiamo: « Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché perseverando nella fede di Cristo giunga a contemplare la luce del tuo volto ».
San Paolo Apostolo, nella splendida lettera scritta ai cristiani di Efeso e che stiamo leggendo in queste domeniche, ci ricorda cose importanti da fare per essere buoni, veri e sinceri cristiani, soprattutto oggi, in un contesto in cui la fede in Dio e in Cristo è messa in discussione e la Chiesa è vista, da molti, ma non da tutti, come un elemento negativo. Noi, alla luce di questa saggia parola dell’Apostolo comprendiamo bene il da farsi e come regolarci nella nostra vita quotidiana da cristiani. Prima e fondamentale cosa che dobbiamo fare è quella di rattristare lo Spirito del Signore. Noi siamo facili a far soffrire Dio che tanto ci ama e ci guida. Altri fondamentali atteggiamenti che dobbiamo necessariamente assumere, non per mera convenienza, ma perché è l’essenza del comportamento di ogni vero credente sono i seguenti: eliminare ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Al contrario dobbiamo essere benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandoci a vicenda come Dio ci ha perdonato in Gesù Cristo ». Infine, ci dobbiamo sforzare nel dare il buono esempio e nell’imitare di Cristo, ma anche nell’imitarci reciprocamente nelle cose buone da fare e non certamente nelle cose cattive ed immorali. Spesso si segue il cattivo esempio e non tanto volentieri il buono esempio.. In poche parole, dobbiamo camminare nella carità. E il nostro modello di carità e di amore è Gesù Cristo che « ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore ». Forse è davvero il momento di riprendere tra le nostre mani quel celebre libretto di formazione cristiana « L’imitazione di Cristo » e attuare i consigli spirituali, ascetici, morali, relazionali per essere buoni imitatori di colui che è il modello unico e insostituibile per ogni cristiano, che è Gesù Cristo.

Sia questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo al Signore con tutto il nostro cuore.
Dio, Tu che sei Amore,
dona a noi uno sguardo di carità
che si estenda all’intera umanità.

Non abiti nel nostro cuore
alcun sentimento di odio o cattiveria
ma tutto, nella nostra vita,
sia espressione di un amore senza limiti.

Dio, Tu che sei carità,
insegnaci ad amare con cuore retto e sincero
ogni uomo e donna di questa terra,
senza pregiudizi o posizione critica
nei confronti di chi non è con noi o come noi.

Dio, Tu che sei amore infinito,
metti nelle nostre parole e nelle nostre azioni
pensieri e gesti che siano attenzione
e sensibilizzazione verso i più poveri
e bisognosi del mondo.

Dio, Tu che sei amore provvidente,
non far mancare a nessuno il tuo aiuto,
soprattutto nel tempo dell’aridità,
materiale e spirituale,
quando il desiderio di Te
non trova risposta al di fuori di Te.

Dio, Tu che sei amore che si dona,
libera il nostro cuore dai legacci dell’egoismo
e dalla concentrazione sul nostro io.

Fa’ che ogni nostra azione sia espressione
di amore, attenzione e predilezione
per il prossimo più prossimo,
quello che incrociamo lungo le strade
della nostra vita quotidiana.

Dio, Tu che sei l’agape eterna,
accogli nella gioia del tuo regno
tutti coloro che hanno vissuto con amore,
per amore e nell’amore su questa terra,
prendendo ad esempio
il tuo Figlio prediletto,
nel quale Ti sei compiaciuto dall’eternità.

Dio, che sei l’amore, donaci amore,
ora e sempre,
e facci partecipi dell’agape eterna
insieme a Maria ed a tutti i santi del cielo. Amen.

(Preghiera di padre Antonio Rungi)

Feast of the Transfiguration Celebrated at St. Leon Armenian Cathedral

Feast of the Transfiguration Celebrated at St. Leon Armenian Cathedral dans immagini sacre SetWidth630-Transfiguration-2

http://www.armenianchurchwd.com/news/feast-of-the-transfiguration-celebrated-at-st-leon-armenian-cathedral/

Publié dans:immagini sacre |on 6 août, 2015 |Pas de commentaires »

IL VOLTO NASCOSTO E TRASFIGURATO DI CRISTO, Maria Pia Pagani, Bruno Forte, Vincenzo Bertolone, Blandina Schlömer

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/RELIGIONE/TEOLOGIA%20SIMBOLICA/VoltonascostoetrasfiguratodiCristo-Vcongresso.htm

IL VOLTO NASCOSTO E TRASFIGURATO DI CRISTO

Atti dal V Congresso Internazionale sul Volto di Cristo
Pontificia Università Urbaniana
Roma 20-21 OTTOBRE 2001

IL VOLTO DI CRISTO NEL VOLTO DEI « FOLLI » DELLA RUSSIA CRISTIANA
Prof. Maria Pia Pagani

Nessuna nazione cristiana venera tanti santi cosiddetti « folli », come Russia. Nonostante le apparenze potessero facilmente trarre in inganno, l’anima dei santi ‘folli’ non era folle. Agli occhi dei devoti ortodossi essi erano i semplici di spirito che nella vita quotidiana rivelavano, nella dolorosa esperienza della malattia, della solitudine, dell’abbandono, dell’incomprensione e dello scherno, la costante presenza del Salvatore, il cui Volto si rifletteva sfumato nel volto di questi suoi testimoni sui generis. Casti e innocenti, avevano deciso di affrontare l’ardua prova della vita di stultus propter Christum conducendo un’esistenza nell’eccesso, nella provocazione, nel paradosso e nello scandalo – un ruolo assai complesso, questo, che li vide protagonisti di un’eccezionale spettacolo sacro nei monasteri, nelle corti, nelle piazze del paese. Liberi dagli istinti e dalle ambizioni terrene, essi proclamavano la beatitudine della povertà e della rassegnazione, il rifiuto del mondo del peccato e delle tentazioni. Nella loro assoluta indigenza essi volevano essere icone viventi del Volto nascosto di Cristo, trasfigurato da penitenza, stenti, insania – tutte caratteristiche che la pietà popolare considerava virtuosi segni di inequivocabile santità.
I santi ‘folli’ della Russia Cristiana testimoniarono in modo autentico e sincero il loro essere ‘in Cristo’ accettando con animo lieto di essere considerati degli insensati agli occhi del mondo, consapevoli di ottenere in tal modo il dono della vera fede e della totale libertà dello spirito. La loro demenza, infatti, era considerata uno stato di grazia, il segno della loro eccezionale vicinanza al Regno dei Cieli. Tuttavia il problema della distinzione tra follia e normalità è delicato e ricco di insidie che rendono difficile stabilire un ben delineato confine di distinzione tra il malato mentale, l’istrione e il santo.
La nudità dei santi « folli » era ambigua, agli occhi delle alte gerarchie ecclesiastiche ortodosse, poiché poteva alludere sia alla purezza dei semplici che alla tentazione diabolica.
Il fatto che il patronato dei santi « folli » e dei « giullari di Dio » della Russia Cristiana fosse affidato a due donne – S. Anastasia e S. Parasceve -, nel cui volto, secondo l’iconografia, si celavano i tratti del Volto di Cristo, apre una significativa riflessione su quella che, nella tradizione cristiana, fu la imitatio Christi femminile.
Uno dei primi santi « folli » della Russia Cristiana canonizzati dal metropolita Makarij nel sinodo del 1547 fu Maksim, che era particolarmente venerato a Mosca, la città in cui trascorse tutta la vita. La lezione presenta numerose altre figure di santi « folli ».

FACCIAMO QUI TRE TENDE. LA TRASFIGURAZIONE, BELLEZZA CHE SALVA IL MONDO
Mons. Bruno Forte
La Trasfigurazione è la porta della bellezza che non tramonta, entrata nella storia per essere per chiunque creda nella Parola fatta carne la bellezza che salva nel tempo e per l’eternità: « Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia » (Mt 17,4).
Un duplice dato evangelico aiuta a comprendere in che senso la bellezza rivelata sul Tabor e constatata nello stupore e nella gioia dall’Apostolo Pietro sia la via nuova e vivente che Cristo è venuto ad aprirci per andare al Padre. Il primo dato consiste nel fatto che il Pastore, che raccoglie le pecore nell’unità del Suo gregge, è presentato come il « bel Pastore », secondo l’esatta traduzione del testo greco evangelico. L’ora pasquale rivelerà il volto di questa bellezza nell’Uomo dei dolori che si consegna alla morte per amore nostro.
C’è però anche un altro dato evangelico che aiuta a riconoscere nella bellezza la via del Vangelo: la testimonianza, via preziosa per l’annuncio del Vangelo, è inseparabile dallo sfolgorio della bellezza negli atti del discepolo interiormente trasfigurato dallo Spirito: dove la carità si irradia, lì s’affaccia la bellezza che salva, lì è resa lode al Padre celeste, lì cresce l’unità dei discepoli dell’Amato, uniti a Lui come discepoli del Suo amore crocifisso e risorto. Alcuni testi del teologo russo Florenskij illuminano in maniera straordinaria questa lettura dell’episodio della trasfigurazione.
È dunque la rivelazione del Tabor che insegna a cogliere nella bellezza la via della salvezza donata dall’alto: essa educa a cogliere nella morte del Figlio di Dio nella tenebra del Venerdì Santo e nel Suo risorgere alla vita il frammento dove si è compiuta una volta per sempre l’irruzione del Tutto.

Il Volto Trasfigurato di Cristo
Dalla « VIA AMORIS » alla « VIA TRANSFIGURATIONIS »
P. Vincenzo Bertolone
Intento della lezione è ricordare le modalità per le quali l’uomo – creato ad immagine di Dio – è capax Dei e per mezzo della conoscenza dell’amore può realizzare questa metamorfosi trasfigurativa fino al punto di sentirsi « immortale, divino ed eterno ». È’ questa la sola dimensione che può dare un senso alla vita dell’uomo. L’uomo si eternizza e si divinizza perché tale è il sogno su di lui di Dio?Padre?Amore, rivelato in Cristo Gesù. E’ fondamentale cogliere il significato del termine amore perché l’uomo naufrago nel mare della pura possibilità vive in una società senza padre, senza memoria, senza senso della storia, senza dialogo, in pieno smarrimento nonostante la sete di autenticità, di spontaneità, di vera fede e di vero « amore ».
Dopo aver richiamato la terminologia attinente all’amore nelle varie sfumature, dalla cultura greca al mondo ebraico veterotestamentario e alla romanità cristiana, l’Autore si chiede: è possibile « semplificare » tutto ciò e tradurre con poche, umili ed essenziali parole, che cosa è « questo » amore divino? Mettendo al posto della parola « carità » la persona umano?divina di Gesù, tutto coincide perfettamente. Gesù è amore, è carità; Dio è amore, è carità. Cristo è l’icona di questo amore. Cristo Gesù è la « fotografia », la rappresentazione storica e visibile di questo amore. La carità?amore è Lui stesso.
Se l’agàpe è la risorsa, la via ed il « tèlos » della Chiesa e si identifica con Cristo stesso, Gesù, facendosi carne in noi attraverso il sacramento eucaristico, arriva a coinvolgere il nostro amore umano e il nostro cuore di carne e a convertirlo sempre più in amore verso i fratelli, nel cui volto ed attraverso gli occhi del nostro volto trasfigurato in Cristo, noi vediamo il Volto di Dio.
Il Volto di Cristo è icona trasparente di mistero, tanto in direzione della profondità di Dio, quanto in direzione antropologica.

LA BELLEZZA DEL VOLTO DI GESU’ O L’EVENTO DAL NOME « VERONICA »
Suor Blandina Schlömer
La studiosa del Volto di Manoppello descrive innanzitutto l’esperienza che, sin dall’infanzia, l’ha spinta a cercare l’immagine, non solo esteriore ma anche interiore, del Volto di Cristo, poi trovata nel Volto della Sindone, vera risposta alla sete di bellezza.
Dopo aver illustrato la parte avuta nella propria ricerca dall’esperienza mistica delle sante donne di Hefta Santa Matilde e Santa Gertrude – della quale cita significativi testi -, Suor Blandina richiama i lunghi studi condotti sul Volto Santo di Manoppello, da considerarsi la celebre « Veronica » romana che, dal 1527, non si conserva più nella basilica vaticana. Resasi conto che le proporzioni del Volto della Sindone e del Volto di Manoppello sono effettivamente equivalenti, ha cercato di individuarne i lineamenti interiori che ella ravvisa nella semplicità, nella riverenza e nell’innocenza. La sua conclusione è che, come autore della sua creazione e utilizzando le sue regole e i suoi mezzi, Gesù ci ha lasciato, molto prima che gli uomini intervenissero con la fotografia uno splendido capolavoro di questa « arte », non come opera delle sue mani, bensì, per così dire, nel suo ultimo passaggio, come ultima traccia della sua presenza reale nella nostra vita mortale. Tutti noi, che crediamo esclusivamente come Tommaso, quando apriamo gli occhi sui Volti della Sindone e di Manoppello, possiamo effettivamente vedere il Signore.
Avvalendosi anche di richiami anche alla Novo Millennio Ineunte, nonché ai testi evangelici, Suor Blandina è convinta che il doppio Volto, della Sindone e della Veronica, da cui, in un certo senso, traspare il sorriso di Dio, possano anche esserci d’aiuto a ritrovare un nuovo accesso al cuore ed alla bellezza di Dio. Se veramente siamo i suoi figli, anche secondo la parola dell’Apostolo « …saremo chiamati figli di Dio, e lo siamo », così la sua bellezza sarà la nostra bellezza e sulla trama della nostra vita sarà visibile il Volto di Gesù.

“ LA (DOMENICA DELLA) TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE “

http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_diocesi/205/2015-02/28-150/altri104.doc.

(Catechesi mistagogica della II Domenica di Quaresima / B)

“ LA DOMENICA DELLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE “

L’antifona d’ingresso (sal 26/27,8-9) ci invita a fissare il nostro sguardo sul volto del Signore, cercando rifugio presso di lui. Nelle prove e nei pericoli non perdiamoci d’animo, perché il Signore ci sostiene e ci infonde coraggio. Di fronte agli assalti dei nostri nemici spirituali non temiamo alcun male, perché i nostri cuori sono rivolti al Signore, luce, salvezza e difesa della nostra esistenza. Cerchiamo il Signore mentre si fa trovare; invochiamo il suo santo nome per essere salvati. Ricerchiamo il volto del Signore nostro Gesù Cristo nelle sacre scritture, nei divini misteri, nei suoi fratelli più piccoli, nell’attesa di vederlo così com’è (cf. 1 Gv 3,3) in paradiso. Rallegriamoci ed esultiamo nel riconoscere che siamo stati creati a immagine e somiglianza del volto di Dio. In questa quaresima contempliamo il volto di Cristo nella preghiera, “fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 15).
La Colletta evidenzia la chiamata che il Padre ci rivolge ad ascoltare il suo amato Figlio (cf. Mc 9,7b), nutrendo la nostra fede con la sua Parola (cf. Rm 10,17), collirio spirituale che purifica gli occhi del nostro cuore (cf. Ap 3,18c), perché possiamo godere la visione beatifica della sua gloria (cf. 1 Cor 13,12b).
La Colletta alternativa sottolinea la bontà misericordiosa del Padre che non ha risparmiato il suo Figlio unigenito, ma lo ha dato per la nostra salvezza (cf. Rm 8,32). A Lui chiediamo di farci progredire nel pellegrinaggio della fede, che è ubbidienza alla sua rivelazione (cf. Rm 16,26; 2 Cor 10,5-6; Dei verbum, 5), – sull’esempio di Abramo e di Maria (cf. Lumen gentium, 58) – perché seguiamo fedelmente le orme del suo Figlio ( cf. 2 Pt 2,21) per essere con lui trasfigurati nella luce della sua gloria (cf. Fil 3,21). Cristo, infatti, vuole condividere la sua gloria con noi battezzati nella sua morte e resurrezione.
L’autore del libro della Genesi (22, 1-2. 9a. 10-13. 15-18) ha presentato il sacrificio di Isacco, figura della passione di Gesù, il Figlio unico del Padre. Abramo, nostro padre nella fede, si è reso disponibile alla divina chiamata con il suo “eccomi”. Dio gli chiede una prova di amore. Abramo, che già si era allontanato dalla sua casa e dalla sua terra, ora è invitato ad esprimere la sua fiducia in Dio distaccandosi dal possesso egoistico di Isacco, il figlio della promessa, dono divino avuto nella vecchiaia. Abramo è messo alla prova con la richiesta di sacrificare il figlio – unica possibilità per la discendenza promessa – sul monte Moira, identificato col monte di Gerusalemme, ove è costruito il tempio (cf. 2 Cr 3,1). Alla divina richiesta Mosè risponde salendo sul monte, immagine del cammino della fede, che conosce incertezze, dubbi, fallimenti, peccati. Come Abramo, abbiamo fiducia in Dio nelle vicende lieti e tristi o contraddittorie della vita, credendo fermamente nella sua Parola che è spirito e vita, parola che non delude. Abramo nella fede accoglie il misterioso progetto divino e per la sua obbedienza gli viene risparmiato il figlio. Il patriarca è veramente animato dal timore di Dio, che gli ridona il figlio Isacco, ricevuto di nuovo con riconoscenza, senza più considerarlo “proprietà privata”. Ora ha imparato a relazionarsi nel modo corretto col suo unico figlio, che rimanda al Dio amante della vita. Non a caso, egli, invece dell’agnello – simbolo del figlio – , offre in olocausto un ariete impigliato con le corna in un cespuglio – “simbolo della sua paternità bloccata” (S. Carotta). Si tratta di un sacrificio sostitutivo, al quale Dio stesso provvede. Il racconto genesiaco esprime la condanna del sacrificio umano ed esalta la fede ubbidiente di Abramo, che Dio benedice con una discendenza numerosa. Contempliamo la sapiente pedagogia di Dio che ci chiede di abbandonarci completamente nelle sue mani, riconoscendo che cose e persone sono dono gratuito del suo amore. L’amore compassionevole di Dio, che non permise al patriarca di sacrificare Isacco, si è manifestato in pienezza quando ha inviato il suo Figlio unigenito per la nostra salvezza.
Il salmo 115/116, 10.15-19 è una preghiera di ringraziamento, un rendimento di grazie al Signore che ci salva nelle afflizioni. Anche nelle tribolazioni e nella tristezza crediamo nel Signore, ai cui occhi è preziosa la morte dei suoi fedeli, i martiri, “perché la sua grazia vale più della vita” (sal 63,4). Riconosciamoci servi liberati dal Signore Gesù, che ha spezzato le catene del peccato e della morte con la sua beata passione. Pertanto, come Chiesa offriamo continuamente a Dio Padre il rendimento di grazie per eccellenza, il sacrificio eucaristico del Corpo e del Sangue del suo Figlio. Nutrendoci dell’Eucarestia, noi siamo in comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù, che ci salva e ci colma di ogni grazia e benedizione celeste (cf. Prima Preghiera eucaristica, Anamnesi e offerta). Con tutto il popolo santo di Dio aderiamo a Lui in atteggiamento eucaristico, nell’attesa di cantare pienamente le sue lodi nella Gerusalemme del cielo.
L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani (8,31b-34) canta un inno all’amore di Dio verso di noi, che si è realizzato con il dono del suo Figlio Gesù. Dio è per noi, è dalla nostra parte e ci rende partecipi della sua fortezza. Colui che vorrebbe essere contro di noi – l’accusatore, l’avversario, il nemico infernale – è reso impotente. Gesù Cristo, che è morto e risorto per la nostra riconciliazione – salvezza – giustificazione, è il nostro avvocato (cf. 1 Gv 2,1-2) che intercede per noi peccatori presso il Padre, mediatore e garante della perenne effusione dello Spirito Santo, che è la remissione dei nostri peccati. Ringraziamo il Padre che con il suo Figlio ci ha elargito la pienezza del suo amore che ci salva.
L’evangelista Marco (9,2-10) narra la trasfigurazione dopo aver presentato la professione di fede di Pietro (8,27-30), il primo annuncio della passione (8,31-33) e le condizioni per seguire Gesù (8,34-38). Dopo che Pietro ha riconosciuto in Gesù il Cristo (8,29), Gesù si rivela come Messia sofferente, che “doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (8,31). Successivamente spiega le regole per essere suoi seguaci – discepoli: “se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (8,34). Dopo questo evento Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni – che staranno con lui nel Getsemani, alla vigilia della Passione – e li portò con sé su un alto monte, il Tabor, secondo la tradizione. Da soli, stanno in disparte. Gesù fu trasfigurato davanti a loro, ovvero la sua umanità lasciò trasparire in sé la sua gloria eterna e divina, anticipando la sua risurrezione. Qui rimbalza sulla sua umanità quella gloria che gli spettava di diritto, che possedeva nella sua preesistenza (cf. Gv 17,5), di cui volle privarsi per riceverla dal Padre come ricompensa per il sacrificio della sua croce (cf. Fil 2,6-11). Le vesti di Gesù trasfigurato diventano sfolgoranti di luce, bianchissime. Il colore bianco è proprio degli esseri celesti. Il riferimento dell’evangelista ai lavandai sottolinea la natura straordinaria della visione.
Appaiono Mosè – che rappresenta la legge – ed Elia – che rappresenta i profeti. Gesù viene a portare a compimento la legge e le profezie dell’AT. Mosè ed Elia conversano con Gesù della “sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9,31). Essi avevano visto la gloria del Signore sul monte (cf. Es 34,29-30; 1 Re 19,1-14), preannunciando le sofferenze del Messia (cf. Lc 24,27). Pietro prende la parola chiedendo a Gesù Maestro di rendere eterno questo momento di gloria per impedirgli l’ora della passione nella città santa. E’ davvero bella e dolce l’esperienza del Tabor e Pietro vorrebbe fare tre capanne, una per Gesù, una per Mosè e una per Elia. Questo indizio ci fa comprendere che la trasfigurazione avvenne durante la festa delle capanne; nel settimo giorno (cf. v.2) tutti si vestivano di bianco e il tempio si illuminava a festa. Gesù si manifesta, dunque, come la vera tenda e il tempio vero della divina presenza. Pietro è smarrito: non sapeva che cosa dire. Gli apostoli erano spaventati, provando timore dinanzi all’esperienza divina. Sopraggiunge una nube che li coprì con la sua ombra. E’ il segno della manifestazione di Dio (cf. Es 16,10; 40,38).
Per san Tommaso d’Aquino la nube è il simbolo dello Spirito Santo. Dalla nube esce la voce di Dio Padre che nel Battesimo aveva detto: “Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento” (Mc 1,11). Ora il Padre accredita il Figlio dinanzi agli apostoli. Gesù è il Figlio prediletto del Padre che va ascoltato, il Vangelo, la Parola, l’inabitazione di Dio, la Verità e la Vita, la nostra potenza e sapienza.
L’identità di Gesù sarà riconosciuta ai piedi della sua croce dal centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39). La fede, che precede dall’ascolto della Parola di Dio, ci fa riconoscere il Messia in Gesù di Nazaret (cf Mc 8,29), il Figlio di Dio in colui che è stato messo in croce. Ascoltando e seguendo Gesù, entriamo in comunione con il Padre grazie al dono dello Spirito che ci fa riconoscere figli e fratelli in Gesù e con Gesù (cf. Rm 8,15). “Ascoltatelo “ è la via che porta alla gloria. Il Risorto ci illumina e ci trasfigura con la sua Parola, che ci dà forza nei giorni più bui del nostro pellegrinaggio terreno. In Gesù troviamo il Padre e ritroviamo noi stessi (cfr. GS 22a). Crediamo in Gesù ascoltandolo ogni giorno, perché in lui c’è la pienezza dell’amore divino che, rivelatosi sulla croce, viene effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5). Seguiamo Gesù trasfigurato, “luce da luce” (Credo), per camminare nella luce da figli della luce (cf. Rm 13,11-14). Improvvisamente gli apostoli rimangono soli con Gesù.
Ci basta Gesù! E’ ”il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione” (Dei verbum 2), la parola ultima e definitiva comunicata dal Padre all’umanità.
E’ terminata la visione del Signore trasfigurato, preludio pasquale, concessa agli apostoli perché comprendessero che “solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione” (Prefazio proprio: “La trasfigurazione, annuncio della beata passione” ). Gesù ordina agli apostoli di non riferire a nessuno l’esperienza vissuta, se non dopo la risurrezione dai morti. Essi custodiranno il segreto, interrogandosi sul senso della risurrezione dai morti. Lo Spirito Santo ci conduce alla comprensione del mistero pasquale di Gesù, la Vita che vince la morte, la Luce che vince le tenebre, il datore della vita nuova nello Spirito elargita ai credenti in Lui.
Gesù rimane in compagnia dei suoi apostoli, che sono chiamati a seguirlo e a disporsi “a vivere con Lui il momento doloroso della Passione, per giungere con Lui alla gioia della Risurrezione e a una vita trasfigurata dallo Spirito Santo” (Giovanni Paolo II, Rosarium virginis Mariae, 21).
Alla soglia della vita pubblica di Gesù ci fu il battesimo (Mc 1,9-11), che manifestò il mistero della nostra pasqua battesimale; alla soglia della Pasqua ci fu la trasfigurazione, la quale ci ricorda che “la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3,20-21), evidenziando anche la necessità di “attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio” (At 14,22). La trasfigurazione, in sintesi, intende rafforzare la fede degli apostoli nell’imminenza della passione del Divino Maestro. La salita sul Tabor prepara la salita sul Calvario. “Cristo, Capo della Chiesa, manifesta ciò che il suo Corpo contiene e irradia nei sacramenti: <<la speranza della gloria>> (Col 1,27)” [CCC 568].
Ringraziamo Gesù per i momenti di Tabor che ci concede, cioè per le ore di grazia che ci danno la forza per non smarrirci nell’ora del nostro Calvario. L’Eucarestia è il nostro Tabor, il luogo in cui Gesù ci conduce per farci contemplare la sua gloria sotto le specie eucaristiche del pane e del vino consacrati (cf. SC, 7). Accostandoci al convito eucaristico del Corpo e del Sangue di Cristo, il Padre ci trasforma a immagine della sua gloria mediante l’effusione dello Spirito Santo (cf. 2 Cor 3,18; Prefazio II dell’Eucarestia).
San Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata presenta le sorgenti cristologico – trinitarie della vita consacrata a partire dall’icona di Cristo trasfigurato (nn. 14-19). Gesù ha stabilito un rapporto particolare con alcuni suoi discepoli, rendendoli partecipi della sua stessa forma di vita (VC 14) per essere nella Chiesa e nel mondo memoria vivente del suo modo di esistere e di agire di fronte al Padre e di fronte ai fratelli (VC 22). A fondamento della vocazione alla vita consacrata c’è “un’ esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato” (VC 15). Afferrati, toccati e conquistati dalla divina bellezza, i consacrati possono esclamare con Pietro: “Signore, è bello per noi stare qui!” (Mt 17,4), dedicandosi a Lui, che diventa il tutto della loro esistenza. E’ il Padre che prende l’iniziativa di attirare al suo Figlio “una sua creatura con uno speciale amore e in vista di una speciale missione” (VC 17).
Dicendo “ascoltatelo”, egli invita i consacrati ad accogliere il mistero di Cristo (VC 16) per riprodurne in sé i tratti caratteristici – la verginità, la povertà, l’ubbidienza – e conformare a Lui la propria vita. Le persone consacrate, chiamate dal Padre, si pongono sulle orme di Cristo “per vivere in intimità con Lui e seguirlo dovunque Egli vada” (VC 18). La vita consacrata comporta una speciale vocazione e un particolare dono dello Spirito Santo (VC 14), che rende i consacrati persone cristiformi, “prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore Risorto” (VC 19). Lo Spirito Santo fa sentire l’attrazione dell’amore divino, suscitando nei consacrati il desiderio di rispondere pienamente alla chiamata del Padre, “configurandoli a Cristo casto, povero e obbediente e spingendoli a far propria la sua missione” (VC 19).
“A questa «icona» si riferisce tutta un’antica tradizione spirituale, quando collega la vita contemplativa all’orazione di Gesù «sul monte». Ad essa possono inoltre ricondursi, in qualche modo, le stesse dimensioni «attive» della vita consacrata, giacché la Trasfigurazione non è solo rivelazione della gloria di Cristo, ma anche preparazione ad affrontarne la croce. Essa implica un «ascendere al monte» e un «discendere dal monte»: i discepoli che hanno goduto dell’intimità del Maestro, avvolti per un momento dallo splendore della vita trinitaria e della comunione dei santi, quasi rapiti nell’orizzonte dell’eterno, sono subito riportati alla realtà quotidiana, dove non vedono che «Gesù solo» nell’umiltà della natura umana, e sono invitati a tornare a valle, per vivere con lui la fatica del disegno di Dio e imboccare con coraggio la via della croce” (VC 14) .
L’orazione sulle offerte ci fa chiedere al Padre misericordioso di concederci in virtù dell’offerta del sacrificio eucaristico il perdono dei nostri peccati (cf. Mt 26,28), la santificazione del corpo e dello spirito (cf. 1 Ts 5,23), perché possiamo celebrare le feste pasquali in maniera degna.
Nell’antifona alla Comunione l’assemblea dei fedeli – che si accosta processionalmente alla mensa eucaristica – canta le parole che il Padre rivolge ai discepoli, udite nella proclamazione del Vangelo: “Questo è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5). Ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore, prendiamo parte all’evento di grazia vissuto dai tre discepoli prediletti che odono il Padre e contemplano il Cristo trasfigurato sul Tabor.
Nell’orazione dopo la Comunione ringraziamo Dio che nella partecipazione ai suoi gloriosi misteri “a noi ancora pellegrini sulla terra fa pregustare i beni del cielo”. I discepoli quaggiù videro la gloria della Divinità che sfolgorò sul volto di Cristo. Noi quaggiù riconosciamo Cristo nel pane eucaristico, pane del cammino e farmaco dell’immortalità, ascoltando la voce del Padre che nell’intimità del cuore continua a indicarci il suo Figlio prediletto – che agisce come suo Servo nella Passione – perché lo ascoltiamo, essendo l’oggetto del suo compiacimento (cf. Direttorio omiletico n. 68).

Publié dans:FESTE DEL SIGNORE |on 6 août, 2015 |Pas de commentaires »

La Sacra Famiglia

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Publié dans:immagini sacre |on 5 août, 2015 |Pas de commentaires »
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