Archive pour août, 2015

OMELIA ASSUNZIONE DI MARIA IN CIELO: MARIA, DONNA DAL PASSO LEGGERO

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OMELIA -MARIA, DONNA DAL PASSO LEGGERO

don Luca Garbinetto

C’è tanta leggerezza, nel corpo e nello spirito della Vergine Maria. Non la leggerezza di chi prende le cose con superficialità. È invece la leggerezza del passo veloce, dell’incontro appassionato, del canto gioioso. Non la leggerezza di chi finge di non sentire la fatica e il dolore. È piuttosto la leggerezza di chi scopre una forza più profonda per affrontare le arsure della vita.
Maria è leggera, quando si alza in fretta e cammina verso la regione montuosa della Giudea. Il passo è leggero. Dopo l’incontro con l’angelo, e l’annuncio dell’evento che rivoluziona la storia dell’uomo, Maria ha i palpiti del cuore a mille e il sangue che scorre veloce nelle vene. Per questo cammina, quasi corre leggera, mossa dalla Vita che l’ha cercata e da una nuova vita che inizia a pulsare nel suo grembo. Nessun indugio più. La vita stessa ha bisogno di andare, e custodire la vita non significa immobilizzarsi pesantemente in inutili precauzioni. Una mamma intuisce che leggero è il cuore e anche il grembo, quando si fida di chi la vita gliel’ha donata.
Maria entra leggera in casa di Zaccaria, cercando la cugina Elisabetta. Le tradizioni e la legge non sono legacci ai piedi e la storia della salvezza, forse più maschile che femminile, ritrova in questo incontro la fresca leggerezza degli abbracci di donna. Due donne controcorrente: una sterile e l’altra senza marito, entrambe rimaste incinta della vita. Il vento dello Spirito rende leggero l’impossibile. La benedizione di Elisabetta consacra semplicemente una verità: ?nulla è impossibile a Dio’. Cosa vale di più, di fronte alla sofferenza di madri private dei figli e di figli privati dei genitori? Una tenerissima corsa verso un abbraccio che rinnova la fiducia, per dirti che ?non sei sola’. Non è trascurato il dolore, non viene oscurata la pena. Solo acquista nuovo valore, nuovo peso. Non più il peso della condanna e del giudizio, ma quello potente dell’amore. La leggerezza dell’incontro in Dio rende pesante il dono d’amore.
Maria canta, leggera. Il Magnificat è canto di brezza leggera. Ristora l’anima, rincuora l’afflizione, abbraccia le pene del popolo e dei popoli. Nessun dramma è escluso dall’inno di grazie di Maria. Ma nessun dramma diventa lamentazione, bensì celebrazione della gratitudine. Chi si fida dell’Onnipotente, che leggerissimo ha posato il suo sguardo sull’umile, intravede anche nelle vicende della storia gli stessi occhi che attraversano intimamente le viscere dell’umanità. E danno speranza. Maria è donna di speranza. Speranza è leggerezza di spirito, capacità di vedere dentro e oltre, movimento operoso di diaconia.
Penso che per tutto questo, e molto più, non sia costato molto al Padre, che l’ha creata figlia, e allo Spirito, che la fecondata madre, attrarre accanto a sé la sposa. Penso che sia stato semplicemente naturale che il corpo leggero della Vergine abbia potuto seguire lo spirito immacolato in Cielo, per tornare a sedere accanto al Figlio e dialogare teneramente di nozze e di dono, di servizio e di cercatori di tesori.
La leggerezza con cui qui, in questa terra, la Grazia ha inondato la sua vita, ha fatto di Maria una creatura totalmente abbandonata al vento dello Spirito. E il vento serve per alzare in alto e sospingere. Verso su, dove la nube di vapore si ricostituisce in goccia, e scendono di nuovo le piogge della grazia. Maria, riempita dalla fonte in ogni istante della sua esistenza terrena, è salita al Cielo per restituire, goccia dopo goccia, tanta acqua dissetante e ristoratrice a chi, come lei, cresce assetato dell’infinito. E le si rivolge fiducioso.
Maria, vaso di creta traboccante del tesoro prezioso, fin dall’infanzia del suo Gesù lo aveva cercato come perla preziosa, nel mistero del nascondimento del figlio dodicenne. E ora, da lassù, si fa compagna di viaggio per ogni cercatore di tesori che crede ancora nella forza dello stupore.
Nel mezzo dei pesi della nostra vita, a volte così duri e insopportabili, guardare a Maria, leggera portatrice della Grazia, ci suggerisce un passo, una trasfigurazione. Mettiamo le nostre zavorre in lei, e con lei in Gesù, e saranno trasformate in contenitori di benedizione. Il peso della sofferenza lascerà spazio al peso dell’amore: che, in altri termini, si chiama Gloria, ed è la stessa Gloria di cui ora la dolce Madre gode leggera nei Cieli.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 14 août, 2015 |Pas de commentaires »

Jesus said to them, “I am the bread of life. »

Jesus said to them, “I am the bread of life.

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Publié dans:immagini sacre |on 13 août, 2015 |1 Commentaire »

LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AGLI EFESINI 5, 15-20

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LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AGLI EFESINI 5, 15-20

don Raffaello Ciccone

Paolo sta suggerendo agli Efesini, nella seconda parte della sua lettera (4,1-6,24), le conseguenze morali dell’essere nella Chiesa (prima parte: 1,3-3,21), corpo di Cristo.
Bisogna cominciare da un serio esame di coscienza, dice Paolo (v,15 ) per verificare se ci sono rimaste nel cuore tracce di stile e di comportamenti precedenti pagani. Il tempo va vissuto con intelligenza (« non da insipienti ») e con saggezza. « I tempi sono cattivi » perché dominati dal male e dalla lontananza da Dio.
L’analisi del tempo e della storia, nella fede, deve aiutarci a scoprire la volontà di Dio che non è facilmente decifrabile. C’è il rischio, per noi come per tutti, di essere « sconsiderati », incapaci di interpretare il tempo. C’è infatti il rischio di ricadere in forme di ebbrezza che nascono dal vino e che si sviluppano nello stordimento e nella istintività sessuale degradante. Tanto più che queste forme di esaltazione sono caratteristiche anche come elementi e manifestazioni religiose di stordimento, pensa Paolo, legate alla iniziazione del culto di Dioniso, che porta a convulsioni, a condotte di invasati, a sregolatezza. Come cristiani ci inebriamo solo dello Spirito di Dio, capace di mantenere nella sobrietà e nel rispetto della sua volontà. Le manifestazione dei battezzati si sviluppano così nel canto, nella preghiera, nel ringraziamento.
Facilmente oggi si parla di sballo, di brivido, di rischio, di esaltazione e si lega il tutto al gioco d’azzardo, alla droga anche se persiste, pure tra giovanissimi, il mai finito rischio dell’alcool.
Paolo crede veramente al valore dei cristiani nella società che portano una presenza coraggiosa ed esemplare poiché questa, come il sale, come la luce, crea imitazioni e equilibri nuovi, sanità mentale e santità.
Sappiamo di essere in tempi di difficoltà e di crisi e nella storia questi tempi, spesso, alimentano suggestioni per una ricchezza gratuita, offerta dalla fortuna, dal caso, dal rischio, dalle macchinette mangiasoldi. Proprio in questi periodi si stanno moltiplicando le abitudini a bische, a scommesse sempre più pesanti per tentare la fortuna, e si entra, così, come in un tunnel, asserviti ad una droga, irresistibile fino al punto da far cercare danaro in prestito. Si asciuga in brevissimo tempo il reddito mensile di lavoro, si mette sul lastrico la propria famiglia. Nella nostra società, facilmente, si approfitta di questa debolezza e si incentiva, anche con metodi molto semplici ma persuasivi, la volontà di giocare e di vincere denaro. Il pericolo si fa sempre più costringente ed è difficile uscirne. Questo fenomeno è conosciuto molto bene dai gruppi della Caritas delle parrocchie che si occupano di attenzione ai poveri.

OMELIA (19-08-2012) – LA SAPIENZA SI È COSTRUITA LA CASA

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/26168.html

OMELIA (19-08-2012) – LA SAPIENZA SI È COSTRUITA LA CASA

mons. Roberto Brunelli

Il discorso che andiamo leggendo da alcune domeniche, il discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, prosegue oggi con un brano (Giovanni 6,51-58) che insiste sul concetto-chiave: « Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». Sarà opportuno, in proposito, ricordare che egli parlava a uomini di duemila anni fa, quando certe parole avevano un significato non proprio uguale a quello di oggi. E’ il caso di « carne »: invitando a cibarsi della sua carne, Gesù non intendeva invitare all’antropofagia, neppure in senso simbolico; il termine « carne » designava una persona vivente (per dire che il Figlio di Dio si è fatto uomo, lo stesso evangelista usa l’espressione « Il Verbo si fece carne »). Mangiare di lui significa stabilire un’intima connessione con lui, una comunione di vita, un’amicizia profonda nel senso che a questo rapporto tra gli uomini davano anche i pagani: idem velle idem nolle, dice Sallustio, cioè due sono amici quando vogliono le stesse cose e non vogliono le stesse cose.
All’amicizia con lui, Gesù ha dato la forma visibile e sensibile dell’Eucaristia: che è dunque l’espressione da parte sua dell’offerta-invito a condividere la sua vita, a fare nostri i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la sua volontà, le sue prospettive per il futuro. Ecco perché nella celebrazione dell’Eucaristia, cioè nella Messa, la comunione è preceduta dal memoriale del suo sacrificio redentore e, prima ancora, dall’ascolto della sua Parola: per conoscere chi è, che cosa ha fatto e che cosa continua a dire Colui che si va ad accogliere sotto le specie del Pane, per vivere in pienezza la relazione con lui.
« Mangiare la carne » del Figlio di Dio comporta dunque anche non pretendere di essere più intelligenti di lui, di sapere meglio di lui come condurre la nostra vita; comporta il fare nostra la sua sapienza, che entrando nel mondo egli ha messo così largamente a nostra disposizione. Lo dice anche la prima lettura (Proverbi 9,1-6), con una plastica personificazione della Sapienza divina, immaginata costruirsi una casa tra gli uomini e invitarli a un generoso convito: « La sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: ?Chi è inesperto venga qui!’ A chi è privo di senno ella dice: ?Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza’ ».
Alla saggezza accenna anche la seconda lettura (Efesini 5,15-20): « Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi ». E a queste parole l’apostolo Paolo aggiunge un esempio, una delle possibili concrete applicazioni: « …da saggi, facendo buon uso del tempo ». A proposito dell’uso del tempo: è proprio vero, pregi e difetti degli uomini non hanno età, nel senso sia che si riscontrano in ogni stagione della vita, sia che riguardano gli uomini d’oggi come quelli di duemila anni fa. Spesso non lo si percepisce, ma il tempo è un valore, e non banalmente per il detto popolare che il tempo è denaro. Il tempo è come un baule vuoto che ci è stato donato; dipende da noi che cosa metterci dentro: se nulla, se cose positive, se cose negative. Dando per scontata la seconda e la terza ipotesi, non sempre si considera la prima: a fronte delle tante belle cose che si possono fare, quanto tempo va perduto! Quante chiacchiere a vuoto, quante ore davanti alla tivù, quante letture frivole, quanti sbadigli! All’epoca di Paolo c’era evidentemente chi del tempo non faceva buon uso: il richiamo vale intatto anche duemila anni dopo. Almeno, per chi cerca la saggezza.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 13 août, 2015 |Pas de commentaires »

St. Maximilian Kolbe

St. Maximilian Kolbe dans immagini sacre St-Maximilian

https://www.catholiccompany.com/getfed/st-maximilian-kolbe-mary-martyr-christ

Publié dans:immagini sacre |on 12 août, 2015 |1 Commentaire »

SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE – 14 AGOSTO

http://www.vocazionefrancescana.org/p/s-massimiliano-kolbe-frate-conventuale.html

SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE – 14 AGOSTO
Frate Minore Conventuale

Ad Auschwitz diventa il n. 16670. Comincia tirando carri di ghiaia e di sassi per la costruzione di un muro del crematorio. A lui, perché prete toccava un peso due o tre volte superiore. Lo vedono sanguinare e barcollare. Non vuole che gli altri si espongano per lui.  » Non vi esponete a ricevere colpi per me. L’immacolata mi aiuterà, farò da solo « .

San Massimiliano Maria Kolbe
(8 gennaio 1894 – 14 agosto 1941)

Oggi siamo di fronte a un volto luminoso, davanti al quale tutti, anche i non credenti, si inchinano volentieri e di cui tutti parlano con venerazione; S. Massimiliano Kolbe. Il fatto che egli abbia offerto la sua vita ad Auschwitz, riscattando con la sua carità e il suo martirio la dignità dell’uomo oppresso, basta ad attirargli tutte le simpatie.
Ma noi vogliamo piuttosto imparare a comprendere quel suo gesto così decisivo sullo sfondo di tutta la sua esistenza: la sua vocazione, gli ideali coltivati, l’infaticabile operosità, la « ostinata » missionarietà, perfino ciò che a qualcuno potrebbe sembrare « eccessivamente integrista », e che esprime invece la integralità della sua fede. Per non correre il rischio di staccare artificialmente la sua morte dalla sua vita.
P. Massimiliano Kolbe fu figlio del suo tempo e della sua terra: nacque nel 1894 in un paesino polacco, da genitori che gestivano un piccolo laboratorio di tessitura. Morì a 47 anni, nel 1941 ad Auschwitz. Entrò nel seminario dei Frati francescani Minori Conventuali nel 1907, a tredici anni; novizio a 16 anni (1910). Dal 1912 al 1919 studia filosofia e teologia a Roma. Laurea in filosofia nel 1915 e laurea in teologia nel 1919. Si interessa di fisica e di matematica e giunge fino a progettare nuovi tipi di aerei ed altre apparecchiature.
A Roma assiste a una processione di anticlericali-massoni che vanno a celebrare Giordano Bruno inalberando uno stendardo nero su cui Lucifero schiaccia S. Michele Arcangelo. In piazza S. Pietro vengono distribuiti volantini in cui si dice che « Satana deve regnare in Vaticano e il Papa dovrà fargli da servo ». Il giovane Massimiliano ha una concezione cavalleresca della vita, al modo degli antichi cavalieri medioevali: ma la sua dama è la Madonna.
Si convince che è iniziata « l’Era dell’immacolata » quella in cui Maria dovrà, come dice la Genesi, schiacciare la testa del serpente. Scrive: « Bisogna seminare questa verità nel cuore di tutti gli uomini che vivono e vivranno fino alla fine dei tempi e curarne l’incremento ed i frutti di santificazione; bisogna introdurre l’Immacolata nei cuori degli uomini affinché Ella innalzi in essi il trono del Figlio suo e li trascini alla conoscenza di Lui e li infiammi d’amore verso il Sacratissimo Cuore di Gesù ».
Da parte sua ha una devozione totale e gentile: chiama la Madonna con i nomi più teneri e familiari, come solo i polacchi sanno fare, profondamente convinto che i cristiani devono diventare « cavalieri dell’Immacolata », e fonda una associazione. È la « Milizia dell’immacolata » di cui abbiamo gli statuti autografi. Le prime parole che riguardano il fine dell’associazione sono queste: « Cercare la conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, dei giudei ecc. e soprattutto dei massoni (parola sottolineata due volte); e soprattutto la santificazione di tutti sotto il Patrocinio e con la mediazione della Beata Maria Vergine ».
Accennavo all’accusa di integrismo che oggi P. Kolbe si tirerebbe addosso da parte di molti cristiani benpensanti e schifiltosi. Infatti la Milizia dell’immacolata non ha affatto un programma spiritualistico, non descrive tanto una « opzione religiosa » ma una scelta globale.
Eccola: « Con l’aiuto di Dio dobbiamo fare in modo che i fedeli Cavalieri dell’immacolata si trovino dappertutto, ma specialmente nei posti più importanti come:
•l’educazione della gioventù (professori di istituti scientifici, maestri, società sportive);
•la direzione dell’opinione delle masse (riviste, quotidiani, la loro direzione e diffusione, biblioteche pubbliche, biblioteche circolanti, conferenze, proiezioni cinematografiche);
•le belle arti: scultura, pittura, musica, teatro.
I militi dell’immacolata divengano in ogni campo i primi pionieri e guide nelle scienze (scienze naturali, storia, letteratura, medicina, diritto, scienze esatte ecc.). Sotto il nostro influsso e sotto la protezione dell’Immacolata sorgano, si sviluppino i complessi industriali, commerciali, le banche. In una parola la Milizia impregni tutto e in uno spirito sano guarisca, rafforzi e sviluppi ogni cosa alla maggior gloria di Dio, per mezzo dell’immacolata e per il bene della comunità ».
La realizzazione di questo progetto? Semplicemente incredibile per le possibilità di un uomo. Nel 1927 inizia a costruire dal nulla un’intera città a circa 40 km da Varsavia. Lui ne parla come di una futura seconda Varsavia. Chiama la città « Niepokalanow »: città dell’Immacolata.
In pochi anni ecco descritta la prima realizzazione: « Una vasta area libera per la costruzione di una grande basilica dell’immacolata… Un complesso-editoria (che comprendeva): la redazione, la biblioteca, la tipoteca, il laboratorio dei linotipisti, la zincografia con i gabinetti fotografici, le tipografie…, ed ancora i vari reparti della legatoria, dei depositi e delle spedizioni. L’ala sinistra… comprendeva, in fabbricati distinti, la cappella, l’abitazione dei religiosi, il postulandato, il noviziato, la direzione generale, l’infermeria e, alquanto distanziata, la grande centrale elettrica. E poi, sparsi un po’ dovunque, le officine dei fabbri e dei meccanici, i laboratori per i falegnami, per i calzolai, per i sarti, nonché le grandi rimesse per i muratori e il corpo dei pompieri. Ma non è ancora finito: c’erano il parco macchine, la piccola stazione ferroviaria con il binario di raccordo con quella pubblica e statale; previsto anche l’aeroporto con quattro velivoli e un progetto di stazione radio trasmittente. Dovunque grossi tronchi d’albero, depositi di legname, tubi e materiale edilizio di vario genere ».
La capacità di Massimiliano Kolbe di trascinare gli altri dietro questo suo ideale cavalleresco è data da queste cifre: dopo una decina di anni o poco più a Niepokalanow vivono 762 religiosi: 13 sacerdoti, 18 chierici, 527 religiosi conversi, 122 giovani aspiranti sacerdoti, 82 giovani aspiranti religiosi conversi. Quando Massimiliano Kolbe, tornando sacerdote da Roma, aveva rimesso piede in Polonia la Provincia francescana contava poco più di un centinaio di religiosi. I religiosi di Niepokalanow devono essere poverissimi ma avere a disposizione quanto di meglio c’è sul mercato: dall’aereo alle rotative ultimo modello.
I frati di Massimiliano sono capaci di tutto: dall’organizzare il corpo dei pompieri a prendere il brevetto di pilota, a studiare per diventare direttore d’orchestra in modo da poter curare personalmente la registrazione di dischi, a imparare i sistemi di regia cinematografica.
P. Massimiliano Kolbe che fonda, e dirige per i primi anni, questa enorme comunità, e ne resta sempre l’animatore, è descritto così: « Era tenace, ostinato, implacabile… Era un calcolatore nato: calcolava e raffrontava senza posa, valutava, fissava, combinava bilanci e preventivi. Se ne intendeva di tutto: di motori, di biciclette, di linotype, di radio; conosceva quello che costava poco e quello che costava molto; sapeva dove, come e quando era opportuno comperare… Non c’era sistema di comunicazione troppo veloce per lui, il veicolo del missionario, diceva spesso, dovrebbe essere l’aereo ultimissimo modello ».
La vita dell’intera comunità, invece, da P. Massimiliano Kolbe è descritta e spiegata con queste parole: « La nostra comunità ha un tono di vita un pochino eroico, quale è e deve essere Niepokalanow se veramente vuole conseguire lo scopo che si prefigge, vale a dire non solo di difendere la fede, di contribuire alla salvezza delle anime, ma con ardito attacco, non badando affatto a se stessi, conquistare all’immacolata un anima dopo l’altra, un avamposto dopo l’altro, inalberare il suo vessillo sulle case editoriali dei quotidiani, sulla stampa periodica e non periodica, sulle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, sugli istituti artistici e letterari, sui teatri, sulle sale cinematografiche, sui parlamenti, sui senati, in una parola dappertutto sulla terra; inoltre vigilare affinché nessuno mai riesca a rimuovere quei vessilli.
Allora cadrà ogni forma di socialismo, di comunismo, di eresie, gli ateismi, la massoneria e tutte le altre simili stupidaggini che provengono dal peccato… Così io mi immagino Niepokalanow ».
In questa nuova « città » sì stampano otto riviste per parecchie centinaia di migliaia di copie. (La maggiore tra esse,  » Il cavaliere dell’Immacolata « , tocca in quegli anni il milione di copie. P. Massimiliano prevede traduzioni in italiano, inglese, francese, spagnolo e latino). Lui vi abiterà pochissimi anni. Già nel 1930 è in Giappone dove fonda dal nulla una città analoga e la chiama « Il giardino dell’immacolata « .
Un autore che è critico verso l’opera di Kolbe scrive: « Mirava né più ne meno che a conquistare il mondo. Per questo andò a convertire i ‘pagani’ in Giappone; per questo ampliava incessantemente le sue editrici, fondava monasteri, sognava piani per estendere a tutto il mondo la Cavalleria dell’immacolata.
Tutte queste opere, concepite su scala gigantesca, le creò quasi dal nulla. Senza un soldo in tasca, questuando incessantemente col proverbiale saio rappezzato. Era un fenomeno di energia e di talento organizzativo. Intraprendeva ogni iniziativa letteralmente con le proprie mani. Mescolava la calce e portava i mattoni nel cantiere, lavorava alla cassa di composizione in tipografia. A Nagasaki intraprese l’edizione della versione locale de ‘Il Cavaliere dell’Immacolata’ senza sapere una parola di giapponese… ».
E durante l’edificazione della filiale giapponese « dormiva in una soffitta coprendosi col cappotto ». La sua Milizia dell’Immacolata, nel 1939, contava 800.000 iscritti.
« Noi, diceva P. Kolbe, abbracceremo il mondo intero » e aveva piani che riguardavano l’Iindia e il mondo arabo. Nel 1932, quando costruiva Niepokalanow decise che fosse piccolo un solo ambiente: il cimitero, perché diceva:  » prevedo che le ossa dei miei frati saranno disperse in tutto il mondo ».
Qual era dunque il suo ideale? Eccolo: « Bisogna inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole dì vita per ridare al mondo la gioia di vivere ».
La teologia di P. Kolbe era radicale e senza mezzi termini. Ecco come la sintetizza un suo biografo:  » Si ostinò a credere, a dire, a scrivere che la verità è una sola, quindi un solo Dio, un solo Salvatore, una sola Chiesa; gli uomini, tutti gli uomini, di conseguenza, sono chiamati ad aderire ad un solo Dio, ad un solo Salvatore, ad una sola Chiesa. A quell’ideale consacrò e immolò la sua vita di missionario della penna, come amava definirsi ».
Questo fu l’uomo su cui si abbatté la furia nazista. Sapeva ciò che gli aspettava. Aveva tanti amici che lo avvertivano di tutto. La Gestapo gli fece sapere addirittura che avrebbe gradito una sua opzione per la cittadinanza germanica se si fosse iscritto nella lista degli oriundi tedeschi, dato il suo cognome e le sue origini (nonostante che il cognome della madre fosse evidentissimamente polacco).
Fu arrestato una prima volta assieme ad alcuni suoi frati. Li confortava con queste parole: « coraggio, andiamo in missione ». In un primo tempo là Città dell’Immacolata fu adibita a ospedale con un ufficio della Croce Rossa. Pian piano si riempiva di rifugiati e di scampati, accolse 2000 espulsi dalla Polonia e alcune centinaia di ebrei. I tedeschi cominciarono a considerarla come un campo di concentramento.
Liberato una prima volta, P. Kolbe riorganizzò la città per la sopravvivenza di tutti i rifugiati organizzando infermeria farmacia, ospedale, cucine, panetteria, orto e altri laboratori. il 17 febbraio 1941 viene arrestato per la seconda volta. Dice: « Vado a servire l’immacolata in un altro campo di lavoro ». Il nuovo campo di lavoro è quello di Auschwitz. Tutta l’energia di questo uomo fisicamente fragilissimo (malato di tisi, con un solo polmone) è ora messa a confronto con la sofferenza più atroce. Una sofferenza che lo colpisce sistematicamente, come gli altri e più degli altri, perché appartiene al gruppo dei preti, quello che per odio e maltrattamenti è accomunato agli ebrei.
Diventa il n. 16670. Comincia tirando carri di ghiaia e di sassi per la costruzione di un muro del crematorio: un carro che doveva essere tirato sempre correndo. Ogni dieci metri una guardia con un bastone garantisce la persistenza del ritmo. Poi a tagliare e trasportare tronchi d’albero. A lui, perché prete, toccava un peso due o tre volte superiore a quello dei suoi compagni. Lo vedono sanguinare e barcollare. Non vuole che gli altri si espongano per lui. « Non vi esponete a ricevere colpi per me. L’immacolata mi aiuterà, farò da solo ». Quando lo vogliono portare all’ospedale del campo, se ne ha la forza, indica sempre qualcun altro che, a suo parere, ha più bisogno di lui: « io posso aspettare. Piuttosto quello lì… ».
Quando lo mettono a trasportare cadaveri, spesso orrendamente mutilati, e ad accatastarli per l’incenerimento, lo sentono mormorare pian piano: « Santa Maria prega per noi » e poi: « Et Verbum caro factum est  » (Il Verbo si è fatto carne).
Nelle baracche qualcuno la notte striscia verso di lui in preda all’orrore e si sente dire lentamente, pacatamente, come un balsamo: « l’odio non è forza creativa; solo l’amore è forza creativa ». Oppure parla dell’immacolata: « Ella è la vera consolatrice degli afflitti. Ascolta tutti, ascolta tutti! ». Gli ammalati lo chiamano: « il nostro piccolo padre ».
Poi venne quel giorno in cui un detenuto del blocco 14 riuscì a Fuggire. Padre Kolbe era stato assegnato a quel blocco solo da pochi giorni. Per tre ore tutti i blocchi vennero tenuti sull’attenti. Alle 9, per la misera cena, le file vengono rotte. Il blocco 14 dovette stare immobile mentre il loro cibo veniva versato in un canale.
Il giorno dopo, il blocco rimase tutto il giorno allineato immobile, sulla piazza: guardati, percossi, digiuni, sotto il sole di luglio: distrutti dalla fame, dal caldo, dall’immobilità, dall’attesa terribile. Chi cadeva veniva gettato in un mucchio ai bordi del campo. Quando gli altri blocchi tornarono dal lavoro si procedette alla decimazione: per un prigioniero fuggito dieci condannati a morte nel bunker della fame. Un condannato al pensiero della moglie e dei figli grida.
A un tratto il miracolo. P. Massimiliano esce dalla fila, si offre in cambio di quell’uomo che nemmeno conosce. Lo scambio viene accettato. Il miracolo per intercessione di P. Kolbe, Dio lo compie in quell’istante.
Dobbiamo veramente ricostruire ciò che avvenne. Non molti poterono udire. Ma tutti ricordano un particolare… Kolbe uscì dalla fila e si diresse diritto, « a passo svelto » verso il Lagerfuehrer Fritsch, allibito che un prigioniero osasse tanto. Per il Lagerfuehrer Fritsch i prigionieri erano solo dei numeri.
P. Kolbe lo costrinse a ricordare che erano uomini, che avevano una identità. « Che cosa vuole questo sporco polacco? ». « Sono un sacerdote cattolico. Sono anziano (aveva 47 anni). Voglio prendere il suo posto perché lui ha moglie e figli ».
La cosa più incredibile, il primo miracolo di Kolbe e attraverso Kolbe fu il fatto che il sacrificio venisse accettato.Lo scambio, con la sua affermazione di scelta e di libertà e di solidarietà, era tutto ciò contro cui il campo di concentramento era costruito. Il campo di concentramento doveva essere la dimostrazione che « l’etica della fratellanza umana » era solo vigliaccheria. Che la vera etica era la razza, e le razze inferiori non erano « umane ». Il principio umanitario secondo l’ideologia nazista era una menzogna giudeo-cristiana. Nel campo dì concentramento si dimostrava che l’umano è ciò che di più esterno c’è nell’uomo, una maschera che può essere levata a volontà.
« I campi di concentramento costituivano un frammento del dibattito filosofico definitivo » (Szczepanski). Che Fritsch accogliesse il sacrificio di Kolbe e soprattutto accogliesse lo scambio (avrebbe dovuto almeno decidere la morte di ambedue) e quindi il valore e l’efficacia del dono, fu qualcosa di incredibile. Era infatti un gesto che dava valore umano al morire, che rendeva il morire non più soggezione alla forza ma offerta volontaria. Per Fritsch o fu un lampo di novità o fu la totale cecità di chi non credeva più che quella gente avesse alcun significato storico. Di fatto non c’era nessuna speranza umana che quel gesto oltrepassasse i confini del campo di concentramento.
Né P. Kolbe poteva umanamente pensare a una qualsiasi eco storica del suo gesto. Ma P. Kolbe riuscì a dimostrare fisicamente che quel campo era un Calvario. E non mi riferisco a una immagine simbolica. Mi riferisco a una Messa. Da quel giorno, da quella accettazione, il campo possedette un luogo sacro. Nel blocco della morte i condannati vennero gettati nudi, al buio, in attesa di morire per fame. Non venne dato loro più nulla, nemmeno una goccia d’acqua. La lunga agonia era scandita dalle preghiere e dagli inni sacri che P. Kolhe recitava ad alta voce. E dalle celle vicine gli altri condannati gli rispondevano.
« L’eco di quel pregare penetrava attraverso i muri, di giorno in giorno sempre più debole, trasformandosi in sussurro, spegnendosi insieme al respiro umano. Il campo tendeva l’orecchio a quelle preghiere. Ogni giorno la notizia che pregavano ancora faceva il giro delle baracche. L’intorpidito tessuto della solidarietà umana ricominciava a pulsare di vita. La morte che lentamente veniva consumata nei sotterranei del tredicesimo blocco non era la morte di vermi schiacciati nel fango. Era un dramma e rito. Era sacrificio di purificazione » (Szczepanski).
La fama di ciò che avveniva si sparse anche negli altri campi di concentramento. Ogni mattina il bunker della fame veniva ispezionato. Quando le celle si aprivano quegli infelici piangevano e chiedevano del pane; chi si avvicinava veniva colpito e ributtato violentemente sul cemento.
P. Kolbe non chiedeva nulla non si lamentava, restava in fondo seduto, appoggiato alla parete. Gli stessi soldati lo guardavano con rispetto. Poi i condannati cominciarono a morire; dopo due settimane erano vivi solamente in quattro con P. Kolbe. Per costringerli a morire, il 14 agosto, venne fatta loro una iniezione di acido fenico al braccio sinistro. Era la vigilia di una delle feste mariane che Massimiliano amava di più: l’Assunta, a cui cantava sempre volentieri quella lauda popolare che dice:  » Andrò a vederla, un dì ! ».
« Quando aprii la porta di ferro, è il suo carceriere che racconta, non viveva più; ma mi si presentava come se fosse vivo. Ancora appoggiato al muro. La faccia era raggiante in modo insolito. Gli occhi largamente aperti e concentrati in un punto.Tutta la figura come in estasi.Non lo dimenticherò mai « .
Giovanni Paolo Il, predicando ad Auschwitz, ha detto: « In questo luogo che fu costruito per la negazione della fede, della fede in Dio e della fede nell’uomo, e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità, quell’uomo (il P. Kolbe) ha riportato la vittoria mediante l’amore e la fede ».
P. Kolbe ha dimostrato, in forza della sua fede, che l’uomo può creare abissi di dolore ma non può evitare che essi siano inabitati dal Crocifisso e dal mistero del Suo amore sofferente, che si riattualizza, che autonomamente e con forza inarrestabile decide di farsi « presente ». Fu soprattutto per questa decisione di Cristo che Fritsch, contro se stesso, dovette « accettare » lo scambio.
Due sono gli insegnamenti che ci restano contemplando il volto di P. Kolbe: uno torna dal suo martirio alla sua vita, l’altro va dalla sua vita al suo martirio. Nel primo insegnamento P. Kolbe ci dice che rispondere alla disumanità con l’offerta e il sacrificio di sé non è la risposta di chi non sa fare altro, di chi si rassegna e cede all’oppressore, di chi attende tutto dall’aldilà e perciò può subire. P. Kolbe ha dato la vita, accettando di morire, dopo che aveva spese tutte le sue energie per la costruzione di un mondo diverso, di un mondo nuovo, di un centuplo quaggiù. Il martirio non fu una fuga devota. Fu la pienezza della sua energia vitale. Nel secondo insegnamento P. Kolbe ci dice che la stoffa di cui sono fatti i martiri non è quella di chi nella sua vita si è divertito col pluralismo e con l’irenismo ad ogni costo, anche se li chiama « dialogo » ed « ecumenismo ». Esiste certamente un modo giusto di considerare questi valori (che è il modo della carità, non della perdita di identità), ma tante volte essi sono soltanto usati per preservarsi, per non dovere « dare la vita ». P. Kolbe definiva la fede con una nettezza impressionante, e con altrettanta decisione la propagandava e la voleva incarnare in tutti gli spazi della vita culturale e sociale; e seppe avere tanta carità da essere il primo « martire della carità ». Proprio con questo titolo, mai utilizzato prima, è stato canonizzato da Giovanni Paolo lI.
Ma chi, in nome di una pretesa carità cristiana, annacqua la fede e la rende culturalmente inincidente e irrilevante nella storia è sicuro d’avere proprio quella carità che abilita a dare la vita?
Questa è la domanda seria che discrimina tutti gli atteggiamenti dei cristiani e li giudica. La fede e la carità esigono, ambedue, forza e decisione, e crescono assieme con lo stesso coraggio.

LA FINE TERRENA DI MARIA, MISTERO NASCOSTO IN DIO

http://www.stpauls.it/madre06/0607md/0607md20.htm

LA FINE TERRENA DI MARIA, MISTERO NASCOSTO IN DIO

di SIMONE MORENO

Scrivendo nel num. scorso della rivista della « tradizione di Efeso » sul rinvenimento sulla « Collina dell’Usignolo » della « Meryem Ana Evi » [la casa di Madre Maria], dicevamo anche che resta da confrontare la verità di tale tradizione efesina con quella della « Chiesa della Dormizione » e della « Tomba della Vergine » a Gerusalemme.
In fondo, non v’è in Efeso che una casa vuota; come non v’è in Gerusalemme che una tomba vuota: non si è mai trovata la vera tomba santa; anche se la presenza di Maria – ad Efeso come a Gerusalemme – è più viva e forte di qualunque assenza ‘fisica’.
Giuliano Patelli, nel suo libro « Una Madonna nuova », Edizione S. P. Self-Pubblished, 1998, dopo avere raccolto e interpretato i dati della « tradizione di Efeso », si pone una domanda problematica: « Perché una tomba [della Madonna] a Gerusalemme? » [cfr. pp. 121-125]. Ed è un interrogativo destinato a rimanere senza risposta.
Alla tradizione che vuole Maria profuga in Asia Minore con Giovanni, e forse con Maria di Magdala e altre donne galilee – scrive Patelli -, si contrappone una radicata tradizione secondo la quale la Madonna « si addormentò » proprio a Gerusalemme. Quella spelonca intagliata nella roccia, rinvenuta negli scavi del 1972 sotto la « Chiesa della Dormizione », fu veramente il luogo della temporanea sepoltura di Maria? Si tratta di una « tomba vuota », a pochi passi dal Santo Sepolcro e dal Cenacolo, ritenuto quest’ultimo luogo ospitale per seguaci del Signore.
Dopo l’evento pentecostale Maria non è più nominata nella Sacra Scrittura
Nel Nuovo Testamento non vi è traccia neppure della più piccola informazione al riguardo. Né l’indifferenza degli Ebrei per le donne, forse allora più di oggi istintiva e comunque legalizzata, basta a giustificare questo silenzio. Perché Maria era pur sempre la Madre di Gesù, figlio di Dio per i suoi seguaci e grande Profeta per tutto il popolo.
L’aedo di Maria, l’evangelista Luca, dopo avere menzionato la Madre del Signore per l’ultima volta nella riunione seguita all’Ascensione di suo Figlio [cfr. At 1, 14], di colpo la dimentica anche lui e la « estromette » da tutte le sue successive testimonianze che, pure, alle volte raccontano episodi marginali o di scarso interesse.
Impressionante lo spostamento e l’attrazione di Luca verso l’Apostolo Paolo e l’Occidente, trascurando tutti gli altri Apostoli, ad eccezione di Pietro, e lo sviluppo della Chiesa d’Oriente dove Maria era sicuramente inserita. E sarà la Chiesa d’Oriente ad iniziarne il riscatto di devota attenzione.
D’altra parte, quel gruppetto errante e senza fissa dimora, costituito dall’avanguardia del Regno dell’Amore, nel quale era celata anche la Madre di Gesù, viveva nel rischio e nell’incertezza quotidiana.
Racconta Eusebio, il grande storico della Chiesa [+ 340], che fra il 37 e il 42 d.C. tutti i discepoli di Gesù furono cacciati da Gerusalemme. L’Apostolo Giacomo il Maggiore, fratello di Giovanni, fece le spese per tutti. Erode Agrippa lo fece uccidere nel 42 a colpi di spada e, sapendo di fare cosa gradita ai Giudei, mandò ad arrestare anche Pietro, che fu salvo per un miracolo [cfr. At 12, 1-3].
Giovanni, con Maria, doveva avere già lasciato la città per altri luoghi; infatti, non è più nominato negli Atti di Luca. I riferimenti successivi agli Apostoli non dicono quanti fossero e chi fossero. Sono i grandi vuoti dell’Evangelista: la sua penna non scriverà mai più il nome di Maria, si accosterà a Paolo, l’ex-persecutore Saulo, e su di lui scriverà pagine e pagine. Perché certo Paolo lo meritava per la sua grande visione del Cristianesimo che incantava i primi seguaci e per le sofferenze tremende fino al martirio che subì per amore di Cristo; ma lo Spirito Santo lo avevano ricevuto anche gli altri Apostoli che pure predicavano la Buona Novella: Andrea, Tommaso, Bartolomeo, Taddeo, Filippo, Giovanni, Matteo, Giacomo il Maggiore, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo zelatore, Giuda fratello di Giacomo e Mattia.
Gesù aveva detto loro: « Andate in tutto il mondo… » [Mc 16, 15]. E di quasi tutti la predicazione è sconosciuta e ignota la fine.
È curioso notare come Luca negli Atti non nomini Pietro senza affiancargli Giovanni [cfr. At 3, 1-11; 4, 13; 8, 14-25]; e poi, all’improvviso, lo ignori per sempre. Il nome di Giovanni affiancato a quello di Pietro scompare in occasione di un viaggio di Pietro a Ioppe [l’odierna Giaffa], il porto più vicino a Gerusalemme e noto fin dall’antichità per i traffici marittimi che interessavano l’Egeo. Ancora, Pietro prosegue per l’altro importante porto di Cesarea, dove incontrerà il centurione romano Cornelio. Ma Giovanni è già scomparso.
Salpavano ogni giorno da quei porti navi onerarie con carichi di olio, grano, legname, animali, manufatti e viaggiatori occasionali diretti ai porti dell’Egeo e del Mediterraneo. Chissà se tra gli otri, le anfore e i sacchi non si nascondesse qualche personaggio a noi noto…
Interno della Cripta-Santuario dell’Assunzione, detta « Tomba della Vergine », perché secondo la tradizione custodì il corpo di Maria fino alla sua Assunzione al Cielo.
Interno della Cripta-Santuario dell’Assunzione, detta « Tomba della Vergine »,
perché secondo la tradizione custodì il corpo di Maria fino alla sua Assunzione al Cielo.

La « tradizione gerosolimitana »
E veniamo così alla tradizione gerosolimitana sulla fine terrena di Maria: si tratta di racconti e testimonianze tramandati piuttosto tardivamente e registrati solo verso la fine del III secolo. Infatti, i primi solchi leggeri, nei quali si incanalerà il racconto della storia di Maria, non si intravedono prima dell’inizio del secolo successivo: troppo tardi per ricordare morte singolare, tomba o destino miracoloso del suo corpo mortale.
Così dobbiamo arrivare soltanto al secolo VI per trovare l’Imperatore d’Oriente Mauro che fissa, con Decreto particolare, al 15 Agosto la celebrazione liturgica del Transito o Dormizione di Maria [cfr. Hist. Eccl., XVII, 28, pp. 147-292].
Le varie Liturgie successive [nelle Chiese Orientali Armena, Copta, Abissina, Siriaco-Giacobita] non esprimeranno in modo inconfutabile il concetto di un’Assunzione di Maria come è sancito nel dogma cattolico, mentre faranno riferimento ad una morte miracolosa. Ma dove, come e quando? Non lo sappiamo.
In assenza di qualsiasi documento storico, è peraltro prodigiosa l’intuizione dell’immane schiera di devoti di Maria che, nel corso dei secoli, hanno creduto che a questa « divina creatura » non sia toccato, alla fine, il medesimo destino dei comuni mortali, soggetti alla corruzione della morte.
E tuttavia ci dobbiamo rassegnare al fatto che, mentre per l’Ascensione di Gesù al Cielo c’è una cronaca dei Vangeli [cfr. Mc 16, 19; Lc 24, 51] e degli Atti [cfr. At 1, 6-11], e c’è la testimonianza degli Apostoli, per la dipartita della Madre del Signore da questa terra è steso un velo oltre il quale nulla ci è dato di vedere.
Come ha scritto Epifanio di Salamina a quei tempi, e l’Abbé René Laurentin ha riassunto ai nostri giorni: « Siamo cauti in tali questioni, perché ignoriamo quasi tutto: sia il meccanismo della morte della Vergine, l’esperienza dell’aldilà ed il modo esatto della risurrezione [dei corpi], sia la fine terrena del destino di Maria, interamente ignorato dalla storia. La morte di Maria è verosimile senza dubbio; verosimiglianza resa rispettabile dall’ondata di Autori che l’hanno accettata. Ma si è in diritto di pensare con Epifanio che la fine di Maria resti un mistero nascosto in Dio, che ci dobbiamo rassegnare a ignorare quaggiù ».

Il racconto di K. Emmerick
Quasi in appendice, e a puro titolo di curiosità – perché si tratta comunque di una « rivelazione privata » – riportiamo alcuni passi del racconto della « Morte e Assunzione della Vergine Maria » fatto dalla monaca stigmatizzata tedesca Anna Katharina Emmerick e raccolto da Clemens Brentano [cfr. cap. 10 della "Vita della Santa Vergine Maria", Ed. "San Paolo" 2004, pp. 207-226].
Si narra della Madonna a Efeso sul letto di morte, attorniata dagli Apostoli, chiamati dai diversi luoghi della loro missione evangelizzatrice per assistere alla sua dipartita da questo mondo.
« … Verso sera, quando si rese conto che la sua ora si avvicinava, la Santa Vergine, secondo la volontà di Gesù, volle prendere congedo dagli Apostoli, dai discepoli e dalle donne presenti […].
La Santa Vergine pregò e benedisse ognuno con le mani disposte a croce, toccando con queste a tutti la fronte. Parlò poi a tutti e fece esattamente come Gesù a Betania le aveva detto di fare. Dopo gli Apostoli si avvicinarono a lei i discepoli, che ricevettero anch’essi la sua benedizione […]. Intanto era stato predisposto l’altare per il Sacrificio e gli Apostoli avevano indossato i loro lunghi abiti bianchi […]. Pietro le amministrò l’Unzione con l’olio santo e le portò la Particola consacrata. Ella era come in estasi, con lo sguardo rivolto verso l’alto […].
Ed ecco – aggiunge la Emmerick – che mi è apparso qualcosa di commovente e meraviglioso. Il soffitto sopra alla stanza di Maria scomparve e la Gerusalemme celeste discese su di lei. Ho visto nubi luminose e tanti Angeli divisi in due Cori, e dalle nubi un raggio di luce raggiunse Maria. Ella stese le braccia con indicibile nostalgia e ho osservato il suo corpo librarsi al di sopra del giaciglio, totalmente sollevato in aria. Ed ecco che la sua anima uscì dal corpo come una piccola purissima figura di luce, con le braccia tese verso l’alto e salì verso il cielo, condotta dal raggio di luce […]. Era come Gesù quando era asceso al cielo.
Quindi le donne coprirono il santo corpo con un lenzuolo e gli Apostoli e i discepoli si recarono nella parte anteriore della casa: in una grotta là presso, non spaziosa, le donne deposero la bara con il corpo della Santa Vergine che Pietro e Giovanni avevano portato a spalla, percorrendo la piccola « Via Crucis » ricostruita sulla « Collina dell’Usignolo », dove la Santa Vergine aveva trascorso i suoi ultimi anni […].
Dopo alcuni giorni dal « transito » della Madre del Signore, gli Apostoli e i discepoli tornarono alle loro case e alle loro terre di missione… ».
Ma anche alla fine del « racconto » di Anna Katharina Emmerick rimaniamo con il nostro dubbio: come conciliare la « tradizione di Efeso » con quella di Gerusalemme? Rimane un mistero che noi devotamente veneriamo sia ad Efeso, presso la « Meryem Ana Evi », la casa di Madre Maria, sia a Gerusalemme, nella « Chiesa della Dormizione » presso il Santo Sepolcro e nella « Tomba della Vergine » [nella "Chiesa dell’Assunzione"], tagliata e isolata dalla roccia circostante e con tutte le caratteristiche di una tomba del I sec. d. Cr.
Di fede c’è soltanto l’affermazione dogmatica della Cost. Ap. « Munificentissimus Deus » di Pio XII che, proclamando il 1° Novembre 1950 il dogma di Maria Assunta in Cielo, scrive: « … compiuto il corso della sua vita terrena, la Beata Vergine Maria fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ». Dove, come e quando, non ci è dato davvero di conoscere.

Simone Moreno

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