SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE – 20 AGOSTO
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SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE – 20 AGOSTO
Santo, dottore della Chiesa, mistico e filosofo, detto Doctor mellifluus (Fontaines, Digione, 1090 o 1091 – Clairvaux 1153). È considerato il secondo fondatore dell’ordine dei Cistercensi (dal latino medievale. cisterciensis, da Cistercium, nome antico di Cîteaux, abbazia della Francia, nel comune di Saint-Nicolas-lès-Cîteaux dipartimento della Côte-d’Or dove nel 1098 da una ventina monaci benedettini con l’abate Roberto era stato fondato per la prima volta il Sacer Ordo Cistercensis), Cistercensi che da lui furono detti Bernardini.
Apparteneva a famiglia nobile e pia della Borgogna e venne educato dai canonici regolari. Nel 1112 entrò nell’abbazia di Cîteaux, il che rappresentò l’avvio per una splendida fioritura che vide in pochissimi anni la fondazione di quattro nuovi monasteri. Nel 1115 Santo Stefano Harding inviò Bernardo a fondare quel monastero che assunse il nome di Clairvaux (clara vallis, Chiaravalle), di cui Bernardo fu abate fino alla morte. Egli però percorse in continuazione tutta l’Europa esercitando un grande influsso religioso e anche politico su vescovi e principi.
Sostenne, per esempio, nel Concilio di Étampes (1130) papa Innocenzo II contro lo scismatico Anacleto II; accompagnò quindi il papa in Italia nel 1133 (e vi svolse opera di pacificazione tra Pisani e Genovesi) e nel 1135: data importante, oltre che per l’opera politica svolta a Milano, anche per la fondazione dell’abbazia milanese di Chiaravalle, che inaugurò tutta una serie di nuove fondazioni.
Bernardo si prefisse una propria riforma ecclesiastica contro Arnaldo da Brescia; costruì un proprio mistico cristocentrismo contro la teologia dialettica di Abelardo; combatté l’eresia dei Petrobrusiani. Su incarico del papa Eugenio III predicò nel 1146-47 in Francia la crociata per la liberazione dei luoghi santi. La sua predicazione fu tanto efficace che 200.000 uomini guidati da Corrado III e Luigi VII il Giovane presero le armi. La crociata però finì in modo disastroso.
Nel 1149 Bernardo iniziò il De consideratione libri V ad Eugenium III con un vasto piano di restaurazione della disciplina ecclesiastica. I numerosi scritti di Bernardo comprendono lettere, sermoni, trattati ascetico-mistici, monastici, liturgici, dogmatici, apologetici, agiografici: nel complesso una vera e propria somma di spiritualità. In campo politico Bernardo formulò la dottrina delle “due spade”, cioè del potere religioso e temporale, che assieme dovevano debellare le eresie e i pericoli per l’unità politica e condurre i sudditi cristiani al porto sicuro della concordia sociale e dell’unità nella fede.
Da un punto di vista filosofico, Bernardo insiste sulla cooperazione volontà-grazia nel processo di santificazione dell’uomo, che avviene con la mediazione del Cristo attraverso i gradi dell’umiltà e dell’amore. Il Doctor mellifluus ha esaltato anche Maria, che egli considera “mediatrice universale delle grazie”. Appassionato cultore del canto gregoriano, ne promosse una riforma per liberarlo da arbitrarie interpolazioni e ricondurlo alla sua originaria purezza. Fu canonizzato nel 1174. Festa il 20 agosto. I passi alpini valdostani del Piccolo San Bernardo (2188 m, Alpi Graie) e del Gran San Bernardo (2469 m, Alpi Pennine) sono dedicati a un altro santo, San Bernardo di Mentone (923-1008).
Bernardo di Chiaravalle o Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153) è stato un teologo e abate francese, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux. Viene venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Canonizzato nel 1174 da papa Alessandro III, fu dichiarato Dottore della Chiesa, Doctor Mellifluus, da papa Pio VIII nel 1830.
Biografia
Terzo di sette fratelli, nacque da Tescelino il Sauro, vassallo di Oddone I di Borgogna, e da Aletta, figlia di Bernardo di Montbard, anch’egli vassallo del duca di Borgogna. Studiò solo grammatica e retorica (non tutte le sette arti liberali, dunque) nella scuola dei canonici di Nôtre Dame di Saint-Vorles, presso Châtillon-sur-Seine, dove la famiglia aveva dei possedimenti.
Ritornato nel castello paterno di Fontaines, nel 1111, insieme ai cinque fratelli e ad altri parenti e amici, si ritirò nella casa di Châtillon per condurvi una vita di ritiro e di preghiera finché, l’anno seguente, con una trentina di compagni si fece monaco nel convento cistercense di Cîteaux, fondato quindici anni prima da Roberto di Molesmes e allora retto da Stefano Harding.
Nel 1115, insieme a dodici compagni, tra i quali erano quattro fratelli, uno zio e un cugino, si trasferì nella proprietà di un parente, nella regione della Champagne, che aveva donato ai monaci un vasto terreno sulle rive del fiume Aube, nella diocesi di Langres perché vi fosse costruito un nuovo convento cistercense: essi chiamarono quella valle Clairvaux, chiara valle.
Ottenuta l’approvazione del vescovo Guglielmo di Champeaux e ricevute numerose donazioni, l’abbazia divenne in breve tempo un centro di richiamo oltre che di irradiazione: già dal 1118 monaci di Clairvaux partirono per fondare altrove nuovi conventi, come a Trois-Fontaines, a Fontenay, a Foigny, a Autun, a Laon; si calcola che nell’arco dei primi 40 anni furono sessantotto i conventi fondati da monaci provenienti da Chiaravalle.
La polemica con Cluny
Nella Lettera 1, spedita verso il 1124 al cugino Roberto, Bernardo mostra di considerare la vita monastica dei benedettini di Cluny, allora all’apogeo del loro sviluppo, come un luogo che negava i valori della povertà, dell’austerità e della santità; egli rifiuta la teoria della regola benedettina della stabilitas – ossia del legame permanente e definitivo che dovrebbe stabilirsi fra monaco e monastero – sostenendo la legittimità del passaggio da un convento cluniacense a uno cistercense, essendovi in quest’ultimo professata una regola più rigorosa e più aderente alla Regola di San Benedetto, pertanto una vita monastica perfetta. La polemica fu da lui ripresa nell’ Apologia all’abate Guglielmo, sollecitata da Guglielmo, abate del monastero di Saint-Thierry, che ebbe una risposta dall’abate di Cluny, Pietro il Venerabile, nella quale l’abate rivendicava la legittimità della discrezione nell’interpretazione della regola benedettina.
Nel 1130, alla morte di Onorio II, furono eletti due papi: uno, dalla fazione della famiglia romana dei Frangipane, col nome di Innocenzo II e un altro, appoggiato dalla famiglia dei Pierleoni, con il nome di Anacleto II; Bernardo appoggiò attivamente il primo che, nella storia della Chiesa, per quanto eletto da un minor numero di cardinali, sarà riconosciuto come autentico papa, grazie soprattutto all’appoggio dei maggiori regni europei.
Numerosi furono i suoi interventi in questioni che riguardavano i comportamenti di ecclesiastici: accusò di scorrettezza Simone, vescovo di Noyon e di simonia Enrico, vescovo di Verdun; nel 1138 favorì l’elezione a vescovo di Langres del proprio cugino Goffredo della Roche-Vanneau, malgrado l’opposizione di Pietro il Venerabile e, nel 1141, ad arcivescovo di Bourges di Pietro della Châtre, mentre l’anno dopo ottenne la sostituzione di Guglielmo di Fitz-Herbert, vescovo di York, con l’amico cistercense Enrico Murdac, abate di Fountaine.
I Templari
Nel 1119 alcuni cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente di Bernardo, fondarono un nuovo ordine monastico-militare, l’Ordine dei Cavalieri del Tempio, con sede in Gerusalemme, nella spianata ove sorgeva il Tempio ebraico; lo scopo dell’Ordine, posto sotto l’autorità del patriarca di Gerusalemme, era di vigilare sulle strade percorse dai pellegrini cristiani. L’Ordine ottenne nel concilio di Troyes del 1128 l’approvazione di papa Onorio II e sembra che la sua regola sia stata ispirata da Bernardo, il quale scrisse, verso il 1135, l’Elogio della nuova cavalleria (De laude novae militiae ad Milites Templi).
L’interesse di Bernardo per le vicende politiche del suo tempo si manifestò anche in occasione dei conflitti che opposero il conte della Champagne, Tibaldo II, da lui sostenuto, al re Luigi VII di Francia e in occasione della repressione, nel 1140, del neonato Comune di Reims, operata dal suo pupillo cistercense, il vescovo Sansone di Mauvoisin.
Il conflitto con Abelardo
Grande fu la risonanza del conflitto che oppose Bernardo al filosofo Pietro Abelardo. Nel 1140 Guglielmo di Saint-Thierry, cistercense del convento di Signy, scriveva al vescovo di Chartres, Goffredo di Lèves e a Bernardo, denunciando che due opere di Abelardo, il Liber sententiarum e la Theologia scholarium, contenevano, a suo giudizio, affermazioni teologicamente erronee, elencandole in un proprio scritto, la Discussione contro Pietro Abelardo.
Bernardo, senza preoccuparsi di leggere i testi (ma è vero?), scrisse a papa Innocenzo II la Lettera 190, sostenendo che Abelardo concepiva la fede una semplice opinione; davanti agli studenti parigini pronunciò il sermone de La conversione, attaccando Abelardo e invitandoli ad abbandonare le sue lezioni.
Abelardo reagì chiedendo all’arcivescovo di Sens di organizzare un pubblico confronto con Bernardo, da tenersi il 3 giugno 1140, ma questi, temendo l’abilità dialettica del suo controversista, il giorno prima presentò 19 affermazioni chiaramente eretiche, attribuendole ad Abelardo, chiamando i vescovi presenti a condannarle e invitando il giorno dopo lo stesso Abelardo a pronunciarsi in proposito. Al rifiuto di Abelardo, che abbandonò il concilio, seguì la condanna dei vescovi, ribadita il 16 luglio successivo dal papa.
La lotta contro gli eretici
Nel 1144 il monaco Evervino di Steinfeld lo informò di un’eresia, di tipo pauperistico, diffusa in quel di Colonia, alla quale rispose con i Sermoni 63, 64, 65 e 66; l’anno successivo accolse l’invito del cardinale di Ostia, Alberico, a combattere un’eresia diffusa nella regione di Tolosa dal monaco Enrico di Losanna, seguace di Pietro di Bruys, critico nei confronti delle gerarchie ecclesiali e propositore di una vita improntata alla povertà e alla penitenza; in questa occasione Bernardo ritenne necessario recarsi, insieme con il suo segretario Goffredo d’Auxerre, a Tolosa. Ottenuta, dopo molti contrasti, una professione di fede, tornò a Chiaravalle e indirizzò una lettera agli abitanti di Tolosa – la Lettera 242 – nella quale esprimeva la sua convinzione che quelle dottrine fossero state definitivamente confutate.
Richiesto ancora di pronunciarsi sulle tesi trinitarie del vescovo di Poitiers e maestro di teologia a Parigi, Gilberto Porretano, nel 1148, nuovamente Bernardo tentò di far approvare da vescovi da lui riuniti a parte, una preventiva condanna che il sinodo da tenere il giorno successivo a Reims avrebbe dovuto semplicemente ratificare; questa volta, tuttavia, i vescovi non appoggiarono la sua iniziativa, tanto che Bernardo dovette cercare appoggio da papa Eugenio III. La difesa di Gilberto – che affermò di non aver mai sostenuto le tesi a lui contestate, frutto, a suo dire, di interpretazioni erronee dei suoi studenti – fece cadere ogni accusa.
La seconda crociata
Il 15 febbraio 1145, a Roma, nel convento di san Cesario, sul Palatino, il conclave eleggeva nuovo papa Eugenio III, abate del convento romano dei Santi Vincenzo e Anastasio; il nuovo papa, Bernardo Paganelli, conosceva bene Bernardo, per averlo incontrato nel concilio di Pisa del 1135 e per essersi ordinato cistercense proprio a Chiaravalle nel 1138. Bernardo, felicitandosi per l’elezione, gli ricordava curiosamente che si diceva «che non siete voi a essere papa, ma io e ovunque, chi ha qualche problema si rivolge a me» e che era stato proprio lui, Bernardo, ad «averlo generato per mezzo del Vangelo».
Eugenio III incaricò Bernardo di predicare a favore della nuova crociata che si stava preparando, e che avrebbe dovuto essere composta soprattutto da francesi, ma Bernardo riuscì a coinvolgere anche i tedeschi. La crociata fu un completo fallimento che Bernardo giustificò, nel suo trattato La considerazione, con i peccati dei crociati, che Dio aveva messo alla prova. Questo trattato, finito di comporre nel 1152 si occupava anche dei compiti del papato, e Bernardo lo mandò a papa Eugenio che si dibatteva tra le difficoltà procurategli dall’opposizione dei repubblicani romani, guidati da Arnaldo da Brescia.
Le sue condizioni di salute cominciano a peggiore alla fine del 1152: ha ancora la forza di intraprendere un viaggio fino a Metz, in Lorena, per mettere fine ai disordini che travagliavano quella città. Tornato a Chiaravalle, apprende la notizia della morte di papa Eugenio, avvenuta l’8 luglio 1153 e muore il mese dopo. Rivestito con un abito appartenuto al vescovo Malachia, del quale aveva appena finito di scrivere una biografia, viene sepolto davanti all’altare della sua abbazia.
La restaurazione della natura umana
Riguardo il suo pensiero teologico e filosofico, Bernardo esprime sul piano morale un orientamento ispirato, apparentemente, al pessimismo: « [...] generati dal peccato, noi peccatori generiamo peccatori; nati corrotti, generiamo dei corrotti; nati schiavi, generiamo degli schiavi. » San Bernardo, dunque, combatte alcune tesi del suo tempo, come la teoria secondo la quale i discendenti di Adamo (cioè noi) non abbiano in sé un «peccato originale» sin dalla nascita, ma solo un «malum poenae», un «male di pena». Bernardo dice anche: « L’uomo è impotente di fronte al peccato. »
Ciò, evidentemente non è una giustificazione al peccato stesso, ma una spiegazione della miseria umana che nei nostri peccati si rivela, ma che è originata dal peccato originale che in ciascuno è impresso come un marchio. Dunque, la questione fondamentale è restaurare la natura umana, per riportare l’uomo al suo stato di «figlio di Dio», e dunque «essere eterno» nella beatitudine del Padre. Poiché ognuno porta in sé il peccato originale, però, nessuno può restaurare la propria natura da solo, ma può farlo solamente attraverso la «mediazione» di Cristo, che è «Soter» (cioè «Salvatore»), proprio in quanto per noi è morto, espiando al nostro posto quel peccato originale che nessun altro poteva espiare, essendone sottoposto. Nella sua opera De gradibus humilitatis et superbiae, tuttavia, dice che, per avere la «mediazione» di Cristo, l’uomo deve superare l’«io di carne», deve limitare e poi annullare la superbia e l’amore di sé, attraverso l’umiltà. Contro di sé, dunque, deve porre l’amore di Dio, poiché solo col Suo amore si ottiene anche la Sua vera intelligenza, e solo con esso « [...] l’anima passa dal mondo delle ombre e delle apparenze all’intensa luce meridiana della Grazia e della verità. »
I quattro gradi dell’amore
Nel De diligendo Deo, San Bernardo continua la spiegazione di come si possa raggiungere l’amore di Dio attraverso la via dell’umiltà. La sua dottrina cristiana dell’amore è originale, indipendente dunque da ogni influenza platonica e neoplatonica. Secondo Bernardo esistono quattro gradi sostanziali dell’amore, che presenta come un itinerario, che dal sé esce, cerca Dio, e infine torna al sé, ma solo per Dio. I gradi sono:
1) L’amore di se stessi per sé: « [...] bisogna che il nostro amore cominci dalla carne. Se poi è diretto secondo un giusto ordine, [...] sotto l’ispirazione della Grazia, sarà infine perfezionato dallo spirito. Infatti non viene prima lo spirituale, ma ciò che è animale precede ciò che è spirituale. [...] Perciò prima l’uomo ama sé stesso per sé [...]. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a cercare Dio per mezzo della fede, come un essere necessario e Lo ama. »
2) L’amore di Dio per sé: « Nel secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui. Cominciando però a frequentare Dio e ad onorarlo in rapporto alle proprie necessità, viene a conoscerlo a poco a poco con la lettura, con la riflessione, con la preghiera, con l’obbedienza; così gli si avvicina quasi insensibilmente attraverso una certa familiarità e gusta pura quanto sia soave. »
3) L’amore di Dio per Dio: « Dopo aver assaporato questa soavità l’anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado. »
4) L’amore di sé per Dio: « Quello cioè in cui l’uomo ama sé stesso solo per Dio. [...] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà sé stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui. Io credo che provasse questo il profeta, quando diceva: « -Entrerò nella potenza del Signore e mi ricorderò solo della Tua giustizia- ». [...] » (San Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo, cap. XV)
Nel De diligendo Deo, dunque, San Bernardo presenta l’amore come una forza finalizzata alla più alta e totale fusione in Dio col Suo Spirito, che, oltre a essere sorgente d’ogni amore, ne è anche «foce», in quanto il peccato non sta nell’«odiare», ma nel disperdere l’amore di Dio verso il sé (la carne), non offrendolo così a Dio stesso, Amore d’amore.
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