Archive pour juillet, 2015

“TENTATO IN OGNI COSA COME NOI” – IN EBREI 4:15-16 LEGGIAMO:

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“TENTATO IN OGNI COSA COME NOI” –  IN EBREI 4:15-16 LEGGIAMO:

Ebrei 4:15-16
“Infatti, noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo opportuno.”

Alcuni dicono: “Come può capirmi Dio? Ha mai affrontato quello che sto affrontando io?” A volte costruiamo l’immagine di un Dio inavvicinabile, distante, un Dio molto lontano dalla vita e dalla realtà. Un Dio che non può essere toccato dalle nostre difficoltà e tentazioni. Dunque, il Signore Gesù Cristo, l’Unico in cui “abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” (Colossesi 2:9) ha affrontato tutto ciò. Ha affrontato tutto quello che state attraversando ora, tutte le tentazioni che possono tentare voi, e tutte le tempeste che possono colpirvi. Proprio poiché ha affrontato tutto, può capirvi. Può capire completamente il dolore, le infermità e i desideri dell’animo umano. Proprio adesso Gesù Cristo simpatizza con ciò che può avervi ferito. Proprio adesso Gesù Cristo simpatizza con ciò che può avervi afflitto. Proprio adesso Gesù Cristo simpatizza con tutte le vostre infermità, tutti i vostri problemi, tutte le lacrime che potete versare e ogni ansia che potete avere. Due capitoli prima, in Ebrei 2:16-18, leggiamo:

Ebrei 2:16-18
“Infatti egli non si prende cura degli angeli, ma si prende cura della progenie di Abrahamo. Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare l’espiazione dei peccati del popolo. Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati.”

Gesù Cristo può aiutare coloro che sono tentati, perché anche Lui ha affrontato le stesse tentazioni. Non vi guarda da lontano, senza sapere come potete sentirvi. Lo sa molto bene. Egli è stato reso in ogni cosa simile a noi, leggiamo. Alcuni vedono Cristo come un robot che è arrivato, ha fatto il suo lavoro ed è partito. Ma noi abbiamo bisogno dell’immagine di Cristo reso simile a noi in ogni cosa. Abbiamo bisogno dell’immagine del’UOMO Gesù Cristo. In 1 Timoteo 2:5 leggiamo:

1 Timoteo 2:5
“Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo”

Il mediatore tra Dio e l’uomo, il nostro sommo sacerdote e grande difensore è l’Unico che è stato reso simile a noi IN OGNI COSA: L’UOMO CRISTO GESÙ. Bisogna notare che la Parola di Dio, parlando del nostro difensore, non sceglie di chiamarlo Figlio di Dio, o Signore o Salvatore o con qualsiasi altro titolo che ha e che è. Lo chiama UOMO – sottolineando così il fatto che il mediatore tra Dio e gli uomini non è uno sconosciuto ma colui che è stato reso simile a loro in ogni cosa. Ha sofferto come gli uomini, è stato tentato come gli uomini, e quindi può capire gli uomini e mediare per loro. “Infatti egli non si prende cura degli angeli, ma si prende cura della progenie di Abrahamo”, leggiamo. Avete pianto? Ha pianto anche lui. Siete stati traditi? È stato tradito anche lui. Eravate affamati e assetati? È stato affamato e assetato anche lui. Avete subito ingiustizie? Ha subito ingiustizie anche lui. Avete sofferto? Ha sofferto anche lui. Avete avuto dolori? Ha avuto dolori anche lui. Avete perso i cari? Ha perso i cari anche lui. Siete stati rigettati? È stato rigettato anche lui. Gesù Cristo, “L’UOMO Cristo Gesù”, può capirvi perfettamente, perché Lui è stato reso simile a voi, non solo in alcune cose MA IN OGNI COSA, dice la Scrittura.

Andando avanti sullo stesso argomento, leggiamo Filippesi 2:5-11:

Filippesi 2:5-11
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l’essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell’esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò anche Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.”
Gesù Cristo, sebbene esistesse nella forma di Dio, abbassò se stesso e divenne simile agli uomini. Prese la forma di un servo. Divenne simile a noi – con la sola differenza che è nato ed è rimasto senza peccato – e quindi può capirci. Potreste incontrarlo nel parco. Potreste mangiare con Lui. Un tempo era un falegname. Oggi potrebbe lavorare nell’ufficio accanto, o potreste vederlo come costruttore. Cosa e dove non hanno importanza. È importante che, chiunque voi possiate essere e qualunque possa essere il vostro problema, GESÙ CRISTO PUÒ SIMPATIZZARE PER VOI E CAPIRVI. Ecco cosa dice Isaia, mostrando anche la grandezza di quello che Egli affrontò quando era sulla terra:

Isaia 53:2-12
“Egli è venuto su davanti a lui come un ramoscello, come una radice da un arido suolo. Non aveva figura né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza da farcelo desiderare. Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da DIO ed umiliato. Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l’Eterno ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato e umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca. Fu portato via dall’oppressione e dal giudizio; e della sua generazione chi rifletté che era strappato dalla terra dei viventi e colpito per le trasgressioni del mio popolo? Gli avevano assegnato la sepoltura con gli empi, ma alla sua morte fu posto col ricco, perché non aveva commesso alcuna violenza e non c’era stato alcun inganno nella sua bocca, Ma piacque all’Eterno di percuoterlo, di farlo soffrire. Offrendo la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e la volontà dell’Eterno prospererà nelle sue mani. Egli vedrà il frutto del travaglio della sua anima e ne sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il giusto, il mio servo renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità. Perciò gli darò la sua parte fra i grandi, ed egli dividerà il bottino con i potenti, perché ha versato la sua vita fino a morire ed è stato annoverato fra i malfattori; egli ha portato il peccato di molti e ha interceduto per i trasgressori.”

• Non aveva bellezza da attirare i nostri sguardi.
• Disprezzato e rigettato dagli uomini.
• Uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza.
• Davanti a Lui gli altri nascosero la faccia.
• Gli altri lo ritenevano colpito, percosso da DIO ed umiliato.
• Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità.
• Maltrattato e umiliato, non aperse bocca.

Questo è il ritratto di Gesù Cristo. Il nostro Salvatore e Mediatore, il nostro grande difensore, può capirci perfettamente. E abbiamo bisogno di un salvatore così. Uno distante non andrebbe bene. Abbiamo avuto bisogno di uno che sarebbe stato reso simile agli uomini in ogni cosa – uno che avrebbe affrontato quello che affrontano gli uomini e che quindi potrebbe sostenerli e mediare. E questo è il Salvatore, il Sommo Sacerdote, il Difensore che abbiamo.
“Infatti, noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo opportuno.”

Anastasio Kioulachoglou

Italiano: Alesia M. (Christian-translation.com)

Publié dans:Lettera agli Ebrei |on 27 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

La moltiplicazione dei pani

La moltiplicazione dei pani dans immagini sacre moltiplicazione-dei-pani

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Publié dans:immagini sacre |on 24 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – SENZA PAURA

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2015/documents/papa-francesco-cotidie_20150515_senza-paura.html

PAPA FRANCESCO – SENZA PAURA

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Venerdì, 15 maggio 2015

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.109, 16/05/2015)

Paura e tristezza fanno ammalare le persone e anche la Chiesa, perché paralizzano, rendono egocentrici e finiscono per viziare l’aria delle comunità che sulla porta espongono il cartello «vietato» perché hanno paura di tutto. È invece la gioia, che nel dolore arriva a essere pace, l’atteggiamento coraggioso del cristiano, sostenuto dal timor di Dio e dallo Spirito Santo. È quanto ha detto il Papa nella messa celebrata, venerdì 15 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.
Nella liturgia della parola, ha fatto subito notare Francesco commentando le letture del giorno, «ci sono due parole forti che la Chiesa ci fa meditare: paura e gioia». E così — si legge negli Atti degli apostoli (18, 9-18) — il Signore dice a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare».
«La paura — ha spiegato il Papa — è un atteggiamento che ci fa male, ci indebolisce, ci rimpiccolisce, ci paralizza anche». Tanto che «una persona sotto paura non fa nulla, non sa cosa fare: è timorosa, paurosa, concentrata su se stessa affinché non le succeda qualcosa di male, di brutto». Dunque «la paura porta a un egocentrismo egoistico e paralizza». Proprio «per questo Gesù dice a Paolo: non aver paura, continua a parlare».
La paura, infatti, «non è un atteggiamento cristiano», ma «è un atteggiamento, possiamo dire, di un’anima incarcerata, senza libertà, che non ha libertà di guardare avanti, di creare qualcosa, di fare del bene». E così chi ha paura continua a ripetere: «No, c’è questo pericolo, c’è quell’altro, quell’altro», e così via. «Che peccato, la paura fa male!» ha commentato ancora Francesco.
La paura, però, «va distinta dal timore di Dio, con la quale non ha nulla a che vedere». Il timore di Dio, ha affermato il Pontefice, «è santo, è il timore dell’adorazione davanti al Signore e il timore di Dio è una virtù». Esso, infatti, «non rimpiccolisce, non indebolisce, non paralizza»; al contrario, «porta avanti verso la missione che il Signore dà». E in proposito il Pontefice ha aggiunto: «Il Signore, nel capitolo 18 del Vangelo di Luca, parla di un giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno, e faceva quello che voleva». Questo «è un peccato: la mancanza di timore di Dio e anche l’autosufficienza». Perché «distoglie dal rapporto con Dio e anche dall’adorazione».
Perciò, ha detto Francesco, «una cosa è il timore di Dio, che è buono; ma un’altra cosa è la paura». E «un cristiano pauroso è poca cosa: è una persona che non ha capito quale sia il messaggio di Gesù».
L’«altra parola» proposta dalla liturgia, «dopo l’Ascensione del Signore», è «gioia». Nel passo del Vangelo di Giovanni (16, 20-23), «il Signore parla del passaggio dalla tristezza alla gioia», preparando i discepoli «al momento della passione: “Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia”». Gesù suggerisce «l’esempio della donna nel momento del parto, che ha tanto dolore ma dopo, nato il bambino, si dimentica del dolore» per lasciare spazio alla gioia. «E nessuno potrà togliervi la vostra gioia» assicura dunque il Signore.
Ma «la gioia cristiana — ha avvertito il Papa — non è un semplice divertimento, non è un’allegria passeggera». Piuttosto, «la gioia cristiana è un dono dello Spirito Santo: è avere il cuore sempre gioioso perché il Signore ha vinto, il Signore regna, il Signore è alla destra del Padre, il Signore ha guardato me e mi ha inviato e mi ha dato la sua grazia e mi ha fatto figlio del Padre». Ecco cosa è davvero «la gioia cristiana».
Un cristiano, perciò, «vive nella gioia». Ma, si è chiesto Francesco, «dov’è questa gioia nei momenti più tristi, nei momenti del dolore? Pensiamo a Gesù sulla Croce: aveva gioia? Eh no! Ma sì, aveva pace!». Infatti, ha spiegato il Papa, «la gioia, nel momento del dolore, della prova, diviene pace». Invece «un divertimento nel momento del dolore diviene oscurità, diviene buio».
Ecco perché «un cristiano senza gioia non è cristiano; un cristiano che vive continuamente nella tristezza non è cristiano». A «un cristiano che perde la pace, nel momento delle prove, delle malattie, di tante difficoltà, manca qualcosa».
Francesco ha invitato a «non avere paura e avere gioia», spiegando: «Non avere paura è chiedere la grazia del coraggio, il coraggio dello Spirito Santo; e avere gioia è chiedere il dono dello Spirito Santo, anche nei momenti più difficili, con quella pace che il Signore ci dà».
È ciò che «accade nei cristiani, accade nelle comunità, nella Chiesa intera, nelle parrocchie, in tante comunità cristiane». Infatti «ci sono comunità paurose, che vanno sempre sul sicuro: “No, no, non facciamo questo… No, no, questo non si può, questo non si può”». A tal punto che «sembra che sulla porta d’entrata abbiano scritto “vietato”: tutto è vietato per paura». Così «quando si entra in quella comunità l’aria è viziata, perché la comunità è malata: la paura ammala una comunità; la mancanza di coraggio ammala una comunità».
Ma «anche una comunità senza gioia è una comunità ammalata, perché quando non c’è la gioia c’è il vuoto. No, anzi: c’è il divertimento». E così, in fin dei conti, «sarà una bella comunità divertente, ma mondana, ammalata di mondanità perché non ha la gioia di Gesù Cristo». E «un effetto, fra gli altri, della mondanità — ha messo in guardia il Pontefice — è quello di sparlare degli altri». Dunque, «quando la Chiesa è paurosa e quando la Chiesa non riceve la gioia dello Spirito Santo, la Chiesa si ammala, le comunità si ammalano, i fedeli si ammalano».
Nella preghiera all’inizio della messa, ha ricordato il Papa, «abbiamo chiesto al Signore la grazia di innalzarci verso il Cristo seduto alla destra del Padre». Proprio «la contemplazione del Cristo seduto alla destra del Padre — ha affermato — ci darà il coraggio, ci darà la gioia, ci toglierà la paura e ci aiuterà anche a non cadere in una vita superficiale e divertente».
«Con questa intenzione di innalzare il nostro spirito verso Cristo seduto alla destra del Padre — ha concluso Francesco — continuiamo la nostra celebrazione, chiedendo al Signore: innalza il nostro spirito, toglici ogni paura e dacci la gioia e la pace».

 

OMELIA (26-07-2015): TESTIMONI DI UNA CARITÀ CONCRETA ED OPERATIVA

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/35166.html

OMELIA (26-07-2015)

PADRE ANTONIO RUNGI

TESTIMONI DI UNA CARITÀ CONCRETA ED OPERATIVA

La prima lettura della parola di Dio di questa XVII domenica del tempo ordinario, come pure il vangelo di oggi, tratto da San Giovanni Evangelista ci parlano della moltiplicazione dei pani. Possiamo dire si fa riferimento in questi due testi a due speciali interventi di Dio e di Gesù, Figlio di Dio per venire incontro alle necessità materiali ed alimentari delle persone che seguono Cristo, nel testo del Vangelo, e delle persone che seguono il profeta Eliseo, nel testo della prima lettura, tratta dal secondo libro dei Re.
Due testi, due miracoli, due opportunità di fare del bene, due occasioni per dimostrare come l’amore vero e sincero delle persone verso altre persone passa attraverso gesti concreti di solidarietà e di attenzione. Dar da mangiare agli affamati è uno dei doveri fondamentali di ogni persona credente, cristiano o non cristiano, perché credere in Dio, significa credere nell’amore, nel servire l’uomo in necessità. La fede non è teorizzazione di concetti teologici, la fede è vivere accanto al fratello e sapere aiutarlo, potendolo fare, proprio nel momento del bisogno. Sia il profeta Eliseo e sia Gesù non si tirano indietro o demandando gli altri il compito di sovvenire alle necessità reali ed immediate dei fratelli che stanno lì proprio per loro, per ascoltare la loro parola. Il profeta Eliseo ha fede nella provvidenza di Dio che fa i miracoli della generosità, quando meno uno se li aspetta. Gesù, invece, avendone lui stesso il potere, fa’ che i pochi pani e pesci a disposizione in quel momento per una folla innumerevole si trasformi in un cibo abbondante per tutti. L’amore sa moltiplicare all’infinito le poche cose che so possiedono, anche nell’ordine delle cose materiali. Il messaggio è chiaro. Nessuno di noi può lavarsi le mani di fronte ai bisogni fondamentali delle persone come quello del cibo e dell’alimentazione. Questi testi biblici, soprattutto il vangelo si addicono perfettamente anche al momento che stiamo vivendo a livello mondiale, con una crisi economica spaventosa, per la mancanza di lavoro e di conseguenza di cibo ed alimentazione a sufficienza per tutti. Mentre è ancora in svolgimento la Expo di Milano 2015, dedicata poi all’alimentazione, « Nutrire il Pianeta, Energia per la vita », è quanto mai appropriato far meditare su questi passi biblici non solo quanti sono, per vocazione, chiamati a commentare i testi biblici alla domenica, durante l’omelia, come i sacerdoti, i diaconi, i vescovi, il Papa, ma i tecnici della alimentazione mondiale. Migliorare il mondo assicurando a tutti un cibo buono e sufficiente. Una parte molto vasta di popolazione mondiale, ancora oggi muore letteralmente di fame; la povertà avanza anche nei paesi del benessere, come l’Italia, che oggi registra un aumento di poveri e di famiglie in difficoltà, perché non riescono ad assicurare cibo, vestito, studi e il necessario soprattutto ai bambini e giovani. Cosa fare? Bisogna prendere esempio da Gesù: moltiplicare il cibo per tutti non contando sui miracoli, ma su una visione nuova della distribuzione delle ricchezze dei beni. Il cibo è sufficiente per tutti e la Terra può soddisfare in modo completo i bisogno di cibo di tutta la popolazione. Si tratta di fare un discorso di politica alimentare che passi attraverso decisioni sagge e rispettose di tutti gli esseri umani. Ci ha ricordato Papa Francesco in questo messaggio per l’apertura dell’Expo: « Oggi, infatti, nonostante il moltiplicarsi delle organizzazioni e i differenti interventi della comunità internazionale sulla nutrizione, viviamo quello che il santo Papa Giovanni Paolo II indicava come « paradosso dell’abbondanza ». Infatti, « c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica ». Per superare la tentazione dei sofismi – quel nominalismo del pensiero che va oltre, oltre, oltre, ma non tocca mai la realtà – per superare questa tentazione, vi suggerisco tre atteggiamenti concreti. Prima di tutto andare dalle urgenze alle priorità. Il Papa denuncia: « Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa ». Questo è il frutto della legge di competitività per cui il più forte ha la meglio sul più debole. Attenzione: qui non siamo di fronte solo alla logica dello sfruttamento, ma a quella dello scarto; infatti « gli esclusi non sono solo esclusi o sfruttati, ma rifiuti, sono avanzi ». E allora bisogna rinunciare all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e agire anzitutto sulle cause strutturali della inequità. In secondo luogo dice il Papa che bisogna essere « testimoni di carità ». « Dobbiamo convincerci che la carità « è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro­relazioni: rapporti sociali, economici, politici. Per favore, siate coraggiosi e non abbiate timore di farvi interrogare nei progetti politici ed economici da un significato più ampio della vita perché questo vi aiuta a « servire veramente il bene comune » e vi darà forza nel « moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo ». Infine essere custodi e non padroni della terra. Dinanzi ai beni della terra siamo chiamati a « non perdere mai di vista né l’origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale », così dice la dottrina sociale della Chiesa. La terra ci è stata affidata perché possa essere per noi madre, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere. Una volta, ho sentito una cosa bella: la Terra non è un’eredità che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma un prestito che fanno i nostri figli a noi, perché noi la custodiamo e la facciamo andare avanti e riportarla a loro. La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce. La terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o peggio ancora arroganza da padroni. Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita, perché è stato un prestito che loro hanno fatto a noi. L’atteggiamento della custodia non è un impegno esclusivo dei cristiani, riguarda tutti. Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi della tenerezza ». Custodire la terra non solo con bontà, ma anche con tenerezza. Ecco dunque tre atteggiamenti che ci offre per superare le tentazioni dei sofismi, dei nominalismi, di quelli che cercano di fare qualcosa ma senza la concretezza della vita. Scegliere a partire dalla priorità: la dignità della persona; essere uomini e donne testimoni di carità; non aver paura di custodire la terra che è madre di tutti.
Nella domenica del vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, parole più appropriate e sagge per meditare su tale vangelo, al momento, non ce ne sono. Sia questa la nostra preghiera oggi: « O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito ». Alla quale aggiungiamo il Padre Nostro, ricordando a noi tutti di pregare perché non manchi il cibo quotidiano non solo sulle nostre tavole, ma su quelle di tutti gli uomini della terra. Facciamo nostro l’invito dell’Apostolo Paolo, nella lettera agli Efesini, che oggi leggiamo per tutti i cristiani.
Nel nome di Dio e per motivi di fede vera e operativa a nessun uomo della terra deve mancare il pane quotidiano e il cibo che lo sostiene nel cammino della vita presente. Anche attraverso il nostro agire ed operare, nel poco o nel grande, nessuno dica, non posso fare nulla o non ho nulla da dare. Anche il più povero più dare tanto a chi è ricco: Partire dal cuore e dalla generosità è il primo passo per vivere da cristiani come Gesù ci ha insegnato proprio moltiplicando quei pochi pani e pesci messi a disposizione per tutti. Il miracolo della carità e dell’amore, passa attraverso il rinunciare a se stessi per dare con generosità agli altri.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 24 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

St. Bridget

St. Bridget dans immagini sacre 214

http://www.catholic.org/saints/saint.php?saint_id=214

Publié dans:immagini sacre |on 23 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

G.F. RAVASI, « SULLE RADICI CRISTIANE, SULLE ANIME DELL’EUROPA »

http://www.gennarocucciniello.it/site/politica/g.f.-ravasi-sulle-radici-cristiane-sulle-anime-delleuropa.html

G.F. RAVASI, « SULLE RADICI CRISTIANE, SULLE ANIME DELL’EUROPA »

Scritto da Gennaro Cucciniello

Mercoledì 18 Luglio 2012

Un saggio sulle radici cristiane, sulle anime dell’Europa.

Pubblico una parte dell’intervento che il cardinale Gianfranco Ravasi ha scritto tempo fa per la rivista “East”, diretta da Vittorio Borelli ed edita da Baldini Castoldi Dalai. Lo faccio perché oggi l’Europa è nel pieno di una crisi gravissima, epocale. Proveniente dal greco “krinein” la parola “crisi” avrebbe un’origine medica e si riferirebbe a quel momento –“krisis”- dell’evoluzione della malattia giudicato pericoloso, difficile, decisivo. Bisogna saper ravvisare quel momento e decidere di fare una scelta che sarà determinante per la guarigione. C’è una frase di Borges per me illuminante: “Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà d’un solo momento: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è”.
Sui destini d’Europa viviamo tutti un forte disincanto. Ma essa è necessaria, ancor più per quei milioni di giovani che aspettavano l’Europa della conoscenza e dell’innovazione e che stanno vivendo quella della disoccupazione di massa, del precariato e della crisi del Welfare. Come tanti della mia generazione ho creduto in un’Europa unita nella ragione e nella parità delle lingue e delle sue grandissime culture, e ci credo ancora anche se questa Europa non è poi nata, sembra anzi, da quando si è data le sue prime istituzioni, più lontana che mai. Il nostro continente è stato nei secoli un laboratorio di esperienze culturali e di idee politiche e sociali senza equivalenti in nessun’altra parte del mondo e l’identità europea nasce dal dialogo e dal dissenso fra molte culture politiche diverse. Il mondo europeo custodisce nelle sue profondità un apparato d’elaborazione pressoché unico per dare un senso umano alle sfide gigantesche (filosofiche, politiche, estetiche, religiose, tecnologiche, esistenziali) attraverso cui abbiamo posto le basi per il funzionamento dell’intero Occidente. La crisi di oggi è drammatica: il welfare rattrappito, la disuguaglianza crescente, la mancanza di lavoro, la miseria. L’Europa unita serve per scongiurare insieme le sciagure: ieri le guerre, oggi la contrazione economica, la povertà, il mutamento climatico, le possibili guerre civili. Questa è la natura delle nostre menti e dei nostri cuori: persino quando sogniamo, essi provano sempre a salvare dalla distruzione quello che abbiamo vissuto.
Non dimentico, infine, quel motto di David Maria Turoldo voluto dal cardinale Ravasi quale simbolo del “Cortile dei gentili”: “Fratello ateo, nobilmente pensoso,/ alla ricerca di un Dio / che io non so darti / attraversiamo insieme il deserto”.

Gennaro Cucciniello

“L’Europa non ha quasi mai avuto una unità civica, politica o storica. Ma per secoli ha avuto una sua unità civile, culturale e spirituale. La stella polare di riferimento e contrasto è stato il Cristianesimo, ma anche la filosofia greca, il diritto romano, l’illuminismo liberale e del movimento operaio, inteso come lotta per la giustizia sociale, hanno giocato il loro innegabile ruolo.
C’è un suggestivo gioco di parole che è stato coniato dai giovani dei vari Paesi europei in occasione dei loro incontri di matrice religiosa: essi parlano di Eur-hope, un’Europa dunque da costruire nella speranza e non solo nel realismo dell’economia e della politica. Una comunità che sappia ancora tendere verso ideali e orizzonti più alti, stimolati dalla cultura, da una “politica” che riveli il senso più nobile del termine e da una spiritualità che non è solo confessione religiosa, ma anche ricerca del senso ultimo dell’esistenza e dei valori morali e umani che trascendono interessi e contingenze. Per raggiungere questa meta è paradossalmente necessario risalire lungo il fiume del passato, ritrovando le proprie sorgenti umane e spirituali. E’ ciò che il grande Goethe esprimeva in modo folgorante con la battuta: “La lingua materna dell’Europa è il cristianesimo”. Anche Kant era convinto che “il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà”.
Certo, a prima vista l’Europa si rivela come un mosaico, un vero e proprio arcipelago di culture: c’è l’area latina ma anche quella germanico-baltica, c’è l’area slava e c’è quella celtica. L’Europa non ebbe quasi mai un’unità civica o politica o storica. Tuttavia ebbe sostanzialmente per secoli e secoli una sua unità civile, culturale e spirituale. L’anima di questa unità interiore, spesso appannata o coperta da sedimenti ma mai spenta, ebbe anch’essa molte iridescenze: pensiamo solo al rilievo della filosofia greca o all’incidenza del diritto romano, ma anche, se giungiamo alle epoche più recenti, pensiamo all’influsso dell’Illuminismo liberale o del movimento operaio, cioè della ragione e della lotta per la giustizia sociale. Tuttavia è indubbio che il nodo d’oro che tenne insieme questa molteplicità o il filtro che ne vagliò gli effetti o anche la stella polare di riferimento e di contrasto fu il cristianesimo. (…)
Il cristianesimo, con la sua celebrazione della persona e della dignità umana, con la contemplazione (ora) e l’impegno sociale (labora) del monachesimo, con la riflessione del Medio Evo e con la cultura gloriosa dell’Umanesimo e del Rinascimento, costituiva il grande “codice ideale” dell’Europa. In particolare lo era attraverso la Bibbia, coinvolgendo così anche le matrici ebraiche (…) Il pittore Marc Chagall era convinto che per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello in quell’”alfabeto colorato della speranza” che sono le Sacre Scritture, tant’è vero che senza la loro conoscenza è impossibile decifrare l’iconografia dell’arte europea. E’ naturalmente impossibile delineare ora la planimetria di questa storia culturale che ha nel cristianesimo quasi il suo “grande lessico”, per usare un’espressione del poeta francese Paul Claudel. Si tratta, infatti, di un rapporto estremamente complesso, non di rado dialettico e fin conflittuale, che però risulta decisivo per la comprensione della nostra stessa identità. Perciò anche per la storia presente dell’Europa è necessario tener presente l’illuminante contrappunto che Cristo propone in quella sua celebre asserzione: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (vedi Matteo 22, 15-22). La sfera politica, economica, “laica” ha una sua dignità e una sua autonomia emblematicamente rappresentata da un parlamento comune e da una moneta, l’euro. Ma c’è un’altra sfera che è distinta ma non antitetica, ed è quella della persona umana, della cultura, della spiritualità ove si configura l’immagine non di Cesare ma di Dio: infatti, “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò” (Genesi 1, 27). L’Europa di Cesare e l’Europa di Dio, cioè immanenza e trascendenza, politica e religione, economia e cultura devono intrecciarsi tra loro, senza reciprocamente prevaricare. In questa luce il cristianesimo è, come affermava Francesco De Sanctis, spirito laico dell’Ottocento, la radice del nostro “sentimento religioso che è lo stesso sentimento morale nel suo senso più elevato” (così nell’opera La giovinezza).
E’ su questa traiettoria che vorremmo, proprio sulla scia dell’anima cristiana che pulsa sotto la superficie della nostra civiltà, proporre un appello che impedisca la dissoluzione della nostra specificità, della nostra autenticità, della nostra identità gloriosa. E’ un discorso passibile di mille sfaccettature: noi ne scegliamo –considerati i limiti di questa riflessione soltanto “provocatoria” e quasi “impressionistica”- solo tre, componendole in un ideale trittico nel quale tutti riescano a riconoscersi e a impegnarsi, dato che “non possiamo non dirci cristiani” per le ragioni che Croce ebbe già a formulare nel suo famoso intervento del 1942 su La Critica.
E’ innanzitutto necessario lottare contro la smemoratezza nei confronti delle proprie radici, dei valori costitutivi, dell’identità genuina dell’Europa. Lo scrittore francese Georges Bernanos in una sua analisi dello svuotarsi dell’anima della nostra società, sviluppata nel saggio “La France contre les robots”, dichiarava: “Una civiltà non crolla come un edificio; si direbbe molto più esattamente che si svuota a poco a poco della sua sostanza finché non ne resta più che la scorza”. C’è il rischio che l’Europa si riduca proprio a scorza, a tronco arido, avendo disseccato la linfa delle sue radici profonde cristiane, votata solo alla “virtualità” (i Robots che si affacciavano sul panorama europeo degli anni Quaranta in cui viveva Bernanos), appiattita su modelli estrinseci come quello americano contemporaneo. Le cattedrali e i gloriosi monumenti si trasformano allora, come diceva il poeta tedesco Whilhelm Willms, in “vuoti gusci di chiocciola”, percorsi solo da distratti sciami di turisti, privi di cuore, di vita, di canti, di voci, di fede. I nobili segni della nostra cultura si riducono, così, a essere conchiglie senza l’eco del mare del passato. (…)
Un seconda lotta è da intraprendere ed è quella, conseguente alla precedente e ad essa connessa, contro la superficialità, la banalità, la vacuità, la volgarità, la bruttezza. E’ un ritorno all’etica e alla bellezza che erano le stelle fisse del cielo della civiltà europea nei secoli, proprio sullo stimolo del messaggio cristiano, un annunzio di giustizia e di bellezza, di verità e di luce, di amore e di armonia. Aveva ragione Benedetto Croce quando in un opuscolo del 1935, Orientamenti, ammoniva: “Non vi date pensiero di dove vada il mondo, ma di dove bisogna che andiate voi per non calpestare cinicamente la vostra coscienza, per non vergognarvi del vostro passato tradito”. E’ necessario un sussulto di moralità, un supplemento di anima, una purificazione alle fonti della bellezza, realtà che hanno reso l’Europa un vessillo tra i popoli del mondo. (…) Sempre più quella sorta di Moloch della comunicazione che è la televisione comunica solo –a folle di persone con le mani alzate in segno di resa o di adorazione- ciò che dobbiamo mangiare, indossare, le mode e i modi della vita. Manca una voce che indichi la rotta, il senso della vita, che ci interpelli sul bene e sul male, sul giusto e sull’ingiusto, sul vero e sul falso, sull’esistere e sul morire.
Infine c’è un ultimo impegno che vogliamo evocare per ritornare a essere autenticamente europei ed è quello della lotta contro gli estremi, gli eccessi, la spirale delle pure antitesi. La cultura greca ci ricordava che il sapiente è un uomo meth’orios, “da crinale”, capace di procedere con intelligenza e cautela sul vertice tagliente di un monte, lungo il quale si distendono due versanti (così l’alessandrino ebreo Filone nel De Somniis). Da un lato, infatti, si può scivolare lungo il versante di un sincretismo che diventa relativismo incolore e che spegne e dissolve la nostra identità specifica. Dostoevskij con veemenza gridava: “L’Europa ha rinnegato Cristo. E’ per questo, è solo per questo che sta morendo”. D’altro lato, c’è il rischio di precipitare lungo il versante del fondamentalismo che diventa esclusivismo acceso e che cancella ogni rispetto e ignora ogni valore altrui, in una sorta di foga iconoclastica, feroce e impaurita al tempo stesso, nei confronti di tutto ciò che è diverso. E’, invece, indispensabile ritrovare la grande tradizione del dialogo, del confronto tra le culture e le religioni, nello spirito di quel cristianesimo genuino –spesso tradito- che vedeva i semina Verbi, cioè i semi del verbo divino nella molteplicità della ricerca umana. (…)
E’, dunque, risalendo lungo il corso del fiume della storia europea sino alle sue sorgenti che riusciamo a riproporre un’Europa che non sia solo geografica o economica. E che questo pellegrinaggio ideale, necessario per credenti e per agnostici, sia decisivo lo ricordava in modo suggestivo uno dei massimi poeti del ‘900, Thomas Stearns Eliot, un americano che scelse l’Europa come patria: “Un cittadino europeo può non credere che il cristianesimo sia vero e tuttavia quel che dice e fa scaturisce dalla cultura cristiana di cui è erede. Senza il cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietzsche. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto”.

Gianfranco Ravasi

SANTA BRIGIDA DI SVEZIA RELIGIOSA, FONDATRICE 23 LUGLIO

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SANTA BRIGIDA DI SVEZIA RELIGIOSA, FONDATRICE

23 LUGLIO

Finsta, Uppsala (Svezia), giugno 1303 – Roma, 23 luglio 1373

Compatrona d’Europa, venerata dai fedeli per le sue «Rivelazioni», nacque nel 1303 nel castello di Finsta, nell’Upplandi (Svezia), dove visse con i genitori fino all’età di 12 anni. Sposò Ulf Gudmarson, governatore dell’Östergötland, dal quale ebbe otto figli.Secondo la tradizione devozionale, nel corso delle prime rivelazioni, Cristo le avrebbe affidato il compito di fondare un nuovo ordine monastico. Nel 1349 Brigida lasciò la Svezia per recarsi a Roma, per ottenere un anno giubilare e l’approvazione per il suo ordine, che avrebbe avuto come prima sede il castello reale di Vastena, donatole dal re Magnus Erikson. Salvo alcuni pellegrinaggi, rimase a Roma fino alla sua morte avvenuta il 23 luglio 1373. La sua canonizzazione avvenne nel 1391 ad opera di Papa Bonifacio IX. (Avvenire)

Patronato: Svezia, Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)
Etimologia: Brigida (come Brigitta) = alta, forte, potente, dall’irlandese

Martirologio Romano: Santa Brigida, religiosa, che, data in nozze al legislatore Ulfo in Svezia, educò nella pietà cristiana i suoi otto figli, esortando lo stesso coniuge con la parola e con l’esempio a una profonda vita di fede. Alla morte del marito, compì numerosi pellegrinaggi ai luoghi santi e, dopo aver lasciato degli scritti sul rinnovamento mistico della Chiesa dal capo fino alle sue membra e aver fondato l’Ordine del Santissimo Salvatore, a Roma passò al cielo.
Nel tardo Medioevo, sia in campo civile che in quello ecclesiastico, gli uomini si dilaniavano in lotte intestine, provocando guerre tra gli Stati e scismi nella Chiesa e mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della civiltà cristiana, davanti al pericolo sempre incombente dei musulmani.
Dio allora suscitò donne come santa Brigida di Svezia e santa Caterina da Siena, contemporanee, che con il loro carisma cercarono di pacificare gli animi e di ricostruire l’unità della Chiesa, dando un contributo, sotto certi aspetti determinante, alla civiltà europea.
E giustamente sia s. Brigida patrona della Svezia (1303-1373), sia s. Caterina da Siena compatrona d’Italia (1347-1380), sono state proclamate compatrone dell’Europa, insieme a s. Benedetto da Norcia (470-547).

Sue origini e formazione
Brigida o Brigitta o Birgitta, nacque nel giugno 1303 nel castello di Finsta presso Uppsala in Svezia; suo padre Birgen Persson era ‘lagman’, cioè giudice e governatore della regione dell’Upplan, la madre Ingeborga era anch’essa di nobile stirpe.
In effetti Brigida apparteneva alla nobile stirpe dei Folkunghi e discendeva dal pio re cristiano Sverker I; ebbe altri sei fratelli e sorelle e le fu imposto il nome di Brigida, in onore di santa Brigida Cell Dara († 525), monaca irlandese, della quale i genitori erano devoti.
Dopo la morte della madre, a 12 anni fu mandata presso la zia Caterina Bengtsdotter, a completare la propria formazione; ancora fanciulla, Brigida dopo aver ascoltato una predica sulla Passione di Gesù, ebbe con Lui un profondo colloquio che le rimase impresso per sempre nella memoria.
Alla domanda: “O mio caro Signore, chi ti ha ridotto così?”, si sentì rispondere: “Tutti coloro che mi dimenticano e disprezzano il mio amore!”. La bambina decise allora di amare Gesù con tutto il cuore e per sempre.
Presso la zia, Brigida trascorse due anni, dove apprese le buone maniere delle famiglie nobili, la scrittura e l’arte del ricamo; durante questi anni non mancarono nella sua vita alcuni fenomeni mistici, come la visione del demonio sotto forma di mostro dai cento piedi e dalle cento mani.

Sposa e madre cristiana
A 14 anni, secondo le consuetudini dell’epoca, il padre la destinò in sposa del giovane Ulf Gudmarsson figlio del governatore del Västergötland; in verità Brigida avrebbe voluto consacrarsi a Dio, ma vide nella disposizione paterna la volontà di Dio e serenamente accettò.
Le nozze furono celebrate nel settembre 1316 e la sua nuova casa fu il castello di Ulfasa, presso le sponde del lago Boren; il giovane sposo, nonostante il suo nome, che significava ‘lupo’, si dimostrò invece uomo mite e desideroso di condurre una vita conforme agli insegnamenti evangelici.
Secondo quanto scrisse e raccontò poi la figlia s. Caterina di Svezia, al processo di canonizzazione, i due sposi vissero per un biennio come fratello e sorella nella preghiera e nella mortificazione; soltanto tre anni dopo nacque la prima figlia e in venti anni Brigida diede al marito ben otto figli, quattro maschi (Karl, Birger, Bengt e Gudmar) e quattro femmine (Marta, Karin, Ingeborga e Cecilia).
Nel 1330 il marito Ulf Gudmarsson fu nominato “lagman” di Närke e successivamente i due coniugi divennero anche Terziari Francescani; dietro questa nomina, c’era tutto l’impegno di Brigida, che gli aveva insegnato a leggere e scrivere e Ulf approfittando della spinta culturale della moglie, aveva approfondito anche lo studio del diritto, meritando tale carica.
Per venti anni Ulfasa fu il centro della vita di Brigida e tutta la provincia dell’Ostergötland divenne il suo mondo, il suo ruolo non fu solo quello di principessa di Närke, ma senza ostentare alcuna vanagloria, fu una ottima massaia, dirigeva il personale alle sue dipendenze, mescolata ad esso svolgeva le varie attività domestiche, instaurando un benefico clima di famiglia.
Si dedicava particolarmente ai poveri e alle ragazze, procurando a quest’ultime una onesta sistemazione per non cadere nella prostituzione; inoltre fece costruire un piccolo ospedale, dove ogni giorno si recava ad assistere gli ammalati, lavandoli e rammendando i loro vestiti.
In questo intenso periodo, conobbe il maestro Matthias, uomo esperto in Sacra Scrittura, di vasta cultura e zelante sacerdote; ben presto divenne il suo confessore e si fece tradurre da lui in svedese, buona parte della Bibbia per poterla leggere e meditare meglio; la sua presenza apportò a Brigida la conoscenza delle correnti di pensiero di tutta l’Europa, giacché don Matthias aveva studiato a Parigi, e tutto ciò si rivelerà utile per la conoscenza delle problematiche del tempo, preparandola alla sua futura missione.

Alla corte reale di Svezia
Quando però nel 1335, il re di Svezia Magnus II sposò Bianca di Dampierre, Brigida che era lontana cugina del sovrano, fi invitata a stabilirsi a corte, per ricevere ed assistere la giovane regina, figlia di Giovanni I, conte di Namur.
L’invito non si poteva respingere e quindi Brigida affidati due figlie e un figlio a monasteri cistercensi, lasciò temporaneamente la sua casa di Ulfasa e si trasferì a Stoccolma, portando con sé il figlio più piccolo, bisognoso ancora delle cure materne.
Ebbe grande influenza sui giovani sovrani e finché fu ascoltata, la Svezia ebbe buone leggi e furono abolite ingiuste ed inumane consuetudini, come il diritto regio di rapina su tutti i beni dei naufraghi, inoltre furono mitigate le tasse che opprimevano il popolo.
Poi man mano, mentre la regina cresceva, manifestando una eccessiva frivolezza favorita dalla debolezza del marito, Brigida si trovò messa da parte e la vita di corte divenne molto mondana.
A questo punto, senza rompere i rapporti con i sovrani, approfittando di momenti propizi e del lutto che l’aveva colpita con la morte nel 1338 del figlio Gudmar, Brigida lasciò la corte e se ne ritornò a casa sua, ritrovando nel castello di Ulfasa nella Nericia, la gioia della famiglia e della convivenza e con il marito si recò in pellegrinaggio a Nidaros per venerare le reliquie di sant’Olav Haraldsson (995-1030) patrono della Scandinavia.

Dalla vita coniugale allo stato religioso – L’esperienza mistica
Quando nel 1341 i due coniugi festeggiarono le nozze d’argento, vollero recarsi in pellegrinaggio a Santiago di Compostella; quest’evento segnò una svolta decisiva nella vita dei due coniugi, che già da tempo vivevano vita fraterna e casta.
Nel viaggio di ritorno, Ulf fu miracolosamente salvato da sicura morte grazie ad un prodigio e i due coniugi presero la decisione di abbracciare la vita religiosa, era una cosa possibile in quei tempi e parecchi santi e sante provengono da questa scelta condivisa.
Al ritorno, Ulf fu accolto nel monastero cistercense di Alvastra, dove poi morì il 12 febbraio 1344 assistito dalla moglie; Brigida a sua volta, avendo esaurito la sua missione di sposa e di madre, decise di trasferirsi in un edificio annesso al monastero di Alvastra, dove restò quasi tre anni fino al 1346.
Fu l’inizio del periodo più straordinario della sua vita; dopo un periodo di austerità e di meditazione sui divini misteri della Passione del Signore e dei dolori e glorie della Vergine, cominciò ad avere le visioni di Cristo, che in una di queste la elesse “sua sposa” e “messaggera del gran Signore”; iniziò così quello straordinario periodo mistico che durerà fino alla sua morte.
Ai suoi direttori spirituali come il padre Matthias, Brigida dettò le sue celebri “Rivelazioni”, sublimi intuizioni e soprannaturali illuminazioni, che ella conobbe per tutta la vita e che furono poi raccolte in otto bellissimi volumi.

Stimolatrice di riforme e di pace in Europa
Durante le visioni, Cristo la spingeva ad operare per il bene del Paese, dell’Europa e della Chiesa; non solo tornò a Stoccolma per portare personalmente al re e alla regina “gli ammonimenti del Signore”, ma inviò lettere e messaggi ai sovrani di Francia e Inghilterra, perché terminassero l’interminabile ‘Guerra dei Cent’anni’ (1339-1453).
Suoi messaggeri furono mons. Hemming, vescovo di Abo in Finlandia e il monaco Pietro Olavo di Alvastra; un altro monaco omonimo divenne suo segretario.
Esortò anche papa Clemente VI a correggersi da alcuni gravi difetti e di indire il Giubileo del 1350, inoltre di riportare la Sede pontificia da Avignone a Roma.

La fondazione del nuovo Ordine religioso
Nella solitudine di Alvastra, concepì anche l’idea di dare alla Chiesa un nuovo Ordine religioso che sarà detto del Santo Salvatore, composto da monasteri ‘doppi’, cioè da religiosi e suore, rigorosamente divisi e il cui unico punto d’incontro era nella chiesa per la preghiera in comune; ma tutti sotto la guida di un’unica badessa, rappresentante la Santa Vergine e con un confessore generale.
Ottenuto dal re, il 1° maggio 1346, il castello di Vadstena, con annesse terre e donazioni, Brigida ne iniziò i lavori di ristrutturazione, che durarono molti anni, anche perché papa Clemente VI non concesse la richiesta autorizzazione per il nuovo Ordine, in ottemperanza al decreto del Concilio Ecumenico Lateranense del 1215, che proibiva il sorgere di nuovi Ordini religiosi.
Per questo già nell’autunno del 1349, Brigida si recò a Roma, non solo per l’Anno Santo del 1350, ma anche per sollecitare il papa, quando sarebbe ritornato a Roma, a concedere l’approvazione, che fu poi concessa solo nel 1370 da papa Urbano V.
L’Ordine del Ss. Salvatore, era costituito ispirandosi alla Chiesa primitiva raccolta nel Cenacolo attorno a Maria; la parte femminile era formata da 60 religiose e quella maschile da 25 religiosi, di cui 13 sacerdoti a ricordo dei 12 Apostoli con s. Paolo e 2 diaconi e 2 suddiaconi rappresentanti i primi 4 Padri della Chiesa e otto frati.
Riassumendo, ogni comunità doppia era composta da 85 membri, dei quali 60 suore che con i 12 monaci non sacerdoti rappresentavano i 72 discepoli, più i 13 sacerdoti come sopra detto.
Il gioco di numeri, rientrava nel gusto del tempo per il simbolismo, rappresentare gli apostoli e i discepoli, spingeva ad un richiamo concreto a vivere come loro erano vissuti; senza dimenticare che in quell’epoca non esisteva crisi vocazionale e ciò permetteva di raggiungere senza difficoltà il numero di monache e religiosi prescritto per ogni doppio monastero.

Roma sua seconda patria
Arrivata a Roma insieme al confessore, al segretario Pietro Magnus e al sacerdote Gudmaro di Federico, alloggiò brevemente nell’ospizio dei pellegrini presso Castel Sant’Angelo, e poi nel palazzo del cardinale Ugo Roger di Beaufort, fratello del papa, che vivendo ad Avignone, aveva deciso di metterlo a disposizione di Brigida, la cui fama era giunta anche alla Curia avignonese.
Roma non fece una buona impressione a Brigida, ne migliorò in seguito; nei suoi scritti la descriveva popolata di rospi e vipere, le strade piene di fango ed erbacce, il clero avido, immorale e trascurato.
Si avvertiva fortemente la lontananza da tanto tempo del papa, al quale descriveva nelle sue lettere la decadente situazione della città, spronandolo a ritornare nella sua sede, ma senza riuscirci.
Vedere l’Europa unita e in pace, governata dall’imperatore e guidata spiritualmente dal papa, era il sogno di Brigida e dei grandi spiriti del suo tempo.
Dopo quattro anni, si trasferì poi nella casa offertale nel suo palazzo, dalla nobildonna romana Francesca Papazzurri, nelle vicinanze di Campo de’ Fiori; Roma divenne così per Brigida la sua seconda patria.
Trascorreva le giornate studiando il latino, dedicandosi alla preghiera e alle pratiche di pietà, trascrivendo in gotico le visioni e le rivelazioni del Signore, che poi passava subito al suo segretario Pietro Olavo perché le traducesse in latino.
Dalla dimora di Campo de’ Fiori, che abiterà fino alla morte, inviava lettere al papa, ai reali di Svezia, alle regine di Napoli e di Cipro e naturalmente ai suoi figli e figlie rimasti a Vadstena.

Apostola riformatrice in Italia
Si spostò in pellegrinaggio a vari santuari del Centro e Sud d’Italia, Assisi, Ortona, Benevento, Salerno, Amalfi, Gargano, Bari; nel 1365 Brigida andò a Napoli dove fu artefice e ispiratrice di una missione di risanamento morale, ben accolta dal vescovo e dalla regina Giovanna che seguendo i suoi consigli, operò una radicale conversione nei suoi costumi e in quelli della corte.
Napoli ha sempre ricordato con venerazione la santa del Nord Europa, e a lei ha dedicato un bella chiesa e la strada ove è situata nel centro cittadino; recentemente le sue suore si sono stabilite nell’antico e prestigioso Eremo dei Camaldoli che sovrasta Napoli.
Brigida, si occupò anche della famosa abbazia imperiale di Farfa nella Sabina, vicino Roma, dove l’abate con i monaci “amava più le armi che il claustro”, ma il suo messaggio di riforma non fu ascoltato da essi.
Mentre era ancora a Farfa, fu raggiunta dalla figlia Caterina (Karin), che nel 1350 era rimasta vedova e che rimarrà al suo fianco per sempre, condividendo in pieno l’ideale della madre.
Ritornata a Roma, Brigida continuò a lanciare richiami a persone altolocate e allo stesso popolo romano, per una vita più cristiana, si attirò per questo pesanti accuse, fino ad essere chiamata “la strega del Nord” e a ridursi in estrema povertà, e lei la principessa di Nericia, per poter sostenere sé stessa e chi l’accompagnava, fu costretta a chiedere l’elemosina alla porta delle chiese.

Il ritorno temporaneo del papa – Pellegrina in Terra Santa
Nel 1367 sembrò che le sue preghiere si avverassero, il papa Urbano V tornò da Avignone, ma la sua permanenza a Roma fu breve, perché nel 1370 ripartì per la Francia, nonostante che Brigida gli avesse predetto una morte precoce se l’avesse fatto; infatti appena giunto ad Avignone, il 24 settembre 1370 il papa morì.
Durante il breve periodo romano, Urbano V concesse la sospirata approvazione dell’Ordine del Ss. Salvatore e Caterina di Svezia ne diventò la prima Superiora Generale.
Brigida continuò la sua pressione epistolare, a volte molto infuocata, anche con il nuovo pontefice Gregorio XI, che già la conosceva, affinché tornasse il papato a Roma, ma anche lui pur rimanendo impressionato dalle sue parole, non ebbe il coraggio di farlo.
Ma anche Brigida, ormai settantenne, si avviava verso la fine; ottenuto il via per il suo Ordine religioso, volle intraprendere il suo ultimo e più desiderato pellegrinaggio, quello in Terra Santa.
L’accompagnavano il vescovo eremita Alfonso di Jaén custode delle sue ‘Rivelazioni’ messe per iscritto, di cui molte rimaste segrete, poi i due sacerdoti Olavo, Pietro Magnus e i figli Caterina, Birger e Karl e altre quattro persone, in totale dodici pellegrini.
Verso la fine del 1371, la comitiva partì da Roma diretta a Napoli, dove trascorse l’inverno; in prossimità della partenza, nel marzo 1372 Brigida vide morire di peste il figlio Karl, ma non volle annullare il viaggio e dopo aver pregato per lui e provveduto alla sepoltura, s’imbarcò per Cipro, dove fu accolta dalla regina Eleonora d’Aragona, che approfittò del suo passaggio per attuare una benefica riforma nel suo regno.
A maggio 1372 arrivò a Gerusalemme, dove in quattro mesi poté visitare e meditare nei luoghi della vita terrena di Gesù, poi ritornò a Roma col cuore pieno di ricordi ed emozioni e subito inviò ad Avignone il vescovo Alfonso di Jaén, con un’ulteriore messaggio per il papa, per sollecitarne il ritorno a Roma.

Morte, eredità spirituale, culto
A Gerusalemme, Brigida contrasse una malattia, che in fasi alterne si aggravò sempre più e in breve tempo dal suo ritorno a Roma, il 23 luglio 1373, la santa terminò la sua vita terrena, con accanto la figlia Caterina alla quale aveva affidato l’Ordine del Ss. Salvatore; nella sua stanza da letto si celebrava l’Eucaristia ogni giorno e prima di morire ricevette il velo di monaca dell’Ordine fa lei fondato.
Unico suo rimpianto era di non aver visto il papa tornare a Roma definitivamente, cosa che avverrà poco più di tre anni dopo, il 17 gennaio 1377, per mezzo di un’altra donna s. Caterina da Siena, che continuando la sua opera di persuasione, con molta fermezza, riuscì nell’intento.
Fu sepolta in un sarcofago romano di marmo, collocato dietro la cancellata di ferro nella Chiesa di S. Lorenzo in Damaso; ma già il 2 dicembre 1373, i figli Birger e Caterina, partirono da Roma per Vadstena, portando con loro la cassa con il corpo, che fu sepolto nell’originario monastero svedese il 4 luglio 1374.
A Roma rimasero alcune reliquie, conservate tuttora nella Chiesa di San Lorenzo in Panisperna e dalle Clarisse di San Martino ai Monti.
La figlia Caterina e i suoi discepoli, curarono il suo culto e la causa di canonizzazione; Brigida di Svezia fu proclamata santa il 7 ottobre 1391, da papa Bonifacio IX.
Del suo misticismo rimangono le “Rivelazioni”, raccolte in otto volumi e uno supplementare, ad opera dei suoi discepoli. A questi scritti la Chiesa dà il valore che hanno le rivelazioni private; sono credibili per la santità della persona che le propone, tenendo sempre conto dei condizionamenti del tempo e della persona stessa.
Come tante spiritualità del tardo medioevo, Brigida ebbe il merito di mettere le verità della fede alla portata del popolo, con un linguaggio visivo che colpiva la fantasia, toccava il cuore e spingeva alla conversione; per questo le “Rivelazioni” ebbero il loro influsso per lungo tempo nella vita cristiana, non solo dei popoli scandinavi, ma anche dei latini.
Papa Giovanni Paolo II la proclamò compatrona d’Europa il 1° ottobre 1999; santa Brigida è inoltre patrona della Svezia dal 1° ottobre 1891.

Le Suore Brigidine
Il suo Ordine del SS. Salvatore, le cui religiose sono dette comunemente “Suore Brigidine”, ebbe per due secoli un grande influsso sulla vita religiosa dei Paesi Scandinavi e nel periodo di maggiore fioritura, contava 78 monasteri ‘doppi’, nonostante le rigide regole numeriche, diffusi particolarmente nei Paesi nordici. Declinò e fu sciolto prima con la Riforma Protestante luterana, poi con la Rivoluzione Francese; in Italia le due prime Case si ebbero a Firenze e a Roma.
L’antico Ordine è rifiorito nel ramo femminile, grazie alla Beata Maria Elisabetta Hesselblad (1870-1957), che ne fondò un nuovo ramo all’inizio del Novecento; ora è diffuso in vari luoghi d’Europa, fra cui Vadstena, primo Centro dell’Ordine; le Suore Brigidine si riconoscono per il tipico copricapo, due bande formano sul capo una croce, i cui bracci sono uniti da una fascia circolare e con cinque fiamme, una al centro e quattro sul bordo, che ricordano le piaghe di Cristo.

Autore: Antonio Borrelli

Publié dans:SANTI PATRONI |on 23 juillet, 2015 |Pas de commentaires »
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