IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE – Ef 6, 10-20 – C.M. Martini
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IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (S. Paolo, Lettera Efesini 6,10-20)
del Card. Carlo Maria Martini
» Rivestitevi dell’armatura di Dio ,
per poter resistere e superare tutte le prove «
Dalla lettera di San Paolo apostolo agli Efesini (6,10-20)
« …Fratelli, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi… ».
Il testo di Paolo in Ef 6, 10-17 presenta il cristiano come colui che ha lottato fino in fondo contro il nemico e l’ha vinto con la propria morte. È un brano molto denso, ricco di mètafore. Occorre vedere quali realtà Paolo voleva annunziare attraverso tali metafore.
Il brano può essere diviso in tre parti: la prima parte contiene due esortazioni; segue poi, nella seconda, il motivo di queste esortazioni; infine, nella terza, l’elenco dell’armatura spirituale di cui rivestirci.
1) Le due esortazioni sono: fortificatevi nello Spirito e rivestitevi dell’armatura di Dio.
Si tratta quindi di un consiglio dato a qualcuno che si trova di fronte a una situazione difficile.
L’esortazione ad armarsi, a rivestirsi, la troviamo pure in Rm 13, 12 e in 2 Cor 10, 4. Quello agli Efesini è però il brano nel quale maggiormente viene svolta la metafora della panoplia, l’armatura completa del servitore di Dio, di colui che segue da vicino Gesù.
2) Il motivo: perché dobbiamo armarci così? Perché la nostra lotta è una lotta spirituale, contro i principati, le potestà, gli spiriti maligni. Possiamo tradurre facilmente queste espressioni in una realtà comprensibile perché essa è di evidenza quotidiana. Dobbiamo, cioè, vivere in un’atmosfera – lo spazio tra terra e cielo – che è invasa da elementi maligni, contrari al Vangelo, nemici di Dio. L’atmosfera in cui viviamo è satura di potenze contrarie a Cristo e quindi la nostra lotta si annuncia difficile. Questa mentalità, questa atmosfera che è frutto in parte della potenza del male e in parte dell’uomo soggiogato da questa potenza del male, crea una situazione nella quale siamo immersi e che ci minaccia da ogni parte. Da qui la necessità di armarsi con l’armatura di Dio.
3) Tale armatura viene descritta con sei metafore: la cintura, la corazza, i calzari, lo scudo, l’elmo, la spada.
Che cosa significa ciascuna di queste metafore? Prima di esse c’è una esortazione che permette di comprendere la situazione nella quale ci si trova: «State in piedi»; tenetevi in piedi. Si tratta, quindi, di persona pronta alla battaglia; ed è in questa situazione di prontezza che viene descritta l’armatura.
La prima metafora è la cintura della verità. Quale verità è arma per noi? Per capire bene bisogna notare che questa metafora, come pure le altre, sono attinte largamente dal Vecchio Testamento. Chi scriveva questo brano conosceva a memoria interi passi del Vecchio Testamento e ne supponeva la conoscenza anche nei suoi lettori.
Soprattutto due brani del Vecchio Testamento sono qui utilizzati per questa descrizione.
- Il primo brano è tratto da 1s 11, il germoglio di Jesse, del quale viene descritta la veste, il modo di presentarsi e di combattere;
- il secondo brano è tratto da 1s 59, in cui si descrive, a un certo punto, l’armatura di Dio. Nell’Antico Testamento, quindi, è l’armatura di Dio stesso, oppure dell’inviato, del prediletto di Dio, ad essere descritta.
Qui l’armatura di Dio è trasferita al servo di Dio, a: colui che segue Gesù. Dice 1s 11, 5: «Cintura dei suoi fianchi è la fedeltà» (trad. della C.E.I); nella Bibbia dei LXX il vocabolo usato è alétheia, la verità e il testo greco lo riporta esattamente.
La verità di cui si cinge, come di una veste stabile, colui che combatte è, quindi, la coerenza; è quella fedeltà che è coerenza piena, stile coerente di vivere e di agire.
Per poter combattere contro l’atmosfera maligna, l’atmosfera pestifera nella quale viviamo, occorre essere armati di una profonda coerenza fra ciò che proclamiamo e ciò che dobbiamo internamente sentire e vivere tra noi.
E questa coerenza è tanto più importante in quanto noi predichiamo la parola di Dio. Chi non vive ciò che predica si mette a poco a poco nella condizione di essere esposto agli assalti del nemico.
Se la nostra predicazione fosse continuamente confrontata con ciò che sentiamo interiormente, con ciò di cui siamo persuasi, sarebbe più facile e più accessibile a tutti.
È vero che questo profondo confronto fra coerenza interiore ed esteriore farà talora riconoscere di essere lontani da ciò che si predica, ma l’umiltà del riconoscerlo è già un aspetto della coerenza, è un modo di mostrare che desideriamo averla.
La metafora seguente è la corazza della giustizia. In Is 59, 17 si descrive l’armatura di Dio. Dio si è rivestito di giustizia come di una corazza.
La giustizia è qui espressa come l’attività di Dio che salva i poveri e umilia i peccatori. Dio che impetuosamente compie le sue opere, che è salvezza e punizione. Nella nostra situazione, dovremmo tradurla come il partecipare allo zelo di Cristo per la giustizia del Padre. Questa corazza che ci cinge completamente, che ci difende, è il rivestirci di quei sentimenti che fanno gridare a Cristo per le strade di Palestina: «A Dio ciò che è di Dio »; cioè, che gli fanno proclamare la giustizia del Padre, e, come giustizia, l’opera di salvezza per chi si pente e il castigo per chi non si pente. Per noi, il partecipare all’intimo zelo di Cristo per la giustizia del Padre, è questa corazza che ci cinge, ci avvolge, che ci difende dai nemici.
La terza metafora: calzati i piedi di alacre zelo per il Vangelo della pace. Si descrive qui piuttosto una situazione. Pronti a partire per l’annuncio del Vangelo della pace. La realtà della metafora è la prontezza a portare il Vangelo.
In Is 52, 7 troviamo: «Come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza … ».
Fuori di metafora viene indicato l’ardore, il desiderio di predicare il Vangelo, sapendo che è beneficio per gli uomini e che porta loro la pace. Quindi anche la gioia di chi ha trovato il tesoro (la donna che ritrova la dracma e chiama le vicine piena di gioia: Le 15, 8ss).
Questa è una caratteristica importante del ministero del Vangelo, soprattutto oggi, in cui il ‘pluralismo’ – quando diventa pluralismo filosofico, culturale, religioso – sembra in qualche modo togliere l’ ardore di predicare il Vangelo della pace.
Qualcuno vorrebbe addirittura sostituire e correggere l’imperativo di Matteo « Andate e predicate a tutte le genti» (Mt 28, 19) con l’esortazione « Andate e imparate da tutte le genti », perché ci sono valori ovunque e si dice, non conta tanto portare il messaggio quanto ascoltare umilmente ciò che gli altri hanno da dirci. E si rischia di perdere l’ansia di predicare il Vangelo della pace.
Ci chiediamo se ci sia una soluzione a questa difficoltà. La soluzione c’è e non è certamente quella di abolire il pluralismo. Credo anzi che quanto più cresce il dialogo, tanto più deve crescere l’approfondimento della vita evangelica, Se queste due cose crescono insieme, allora è possibile ed è facile conciliare un immenso rispetto per tutte le culture, razze, valori, con un immenso ardore di portare il Vangelo, che è una proposta trascendentale, non commensurabile con nessun altro valore, ma capace di illuminarli e trasformarli tutti.
Quindi questa arma, questa disposizione è estremamente importante per difendersi dall’atmosfera che invece tende piuttosto a livellare tutti i valori. Conciliare l’ardore del Vangelo con la stima dei valori altrui e l’opera mirabile a cui è chiamata la Chiesa di oggi, se vuole conservare il suo slancio missionario.
Quarta metafora: in tutte le occasioni, impugnate lo scudo della fede. I dardi infuocati lanciati dal maligno (l’espressione è presa dal Salmo 11) sono le mentalità del mondo di peccato che, dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, ci circonda e ci invita ad interpretare cose e situazioni della nostra vita con metri esclusivamente psicologi, sociologi, economici, assalendoci da ogni parte per toglierci il tesoro della fede.
Lo scudo per opporsi a questa mentalità è lo scudo della fede, cioè la considerazione evangelica di tutta la realtà umana, continuamente richiamata.
Quinta metafora: l’elmo della salvezza, anzi l’elmo dell’opera salvifica, come dice il testo greco. L’espressione è presa da I s 59, 17, e in Isaia vuol dire che Dio è pronto a salvare. Il greco ha un verbo (dexasthe) che vuole dire accettare l’elmo della salvezza; quindi accettate l’azione salvifica di Dio in voi come unica vostra protezione, unica vostra speranza; vi protegge il capo perché essa è la cosa più essenziale.
Sesta metafora: la spada dello Spirito che è la parola di Dio. Cos’è la spada dello Spirito? Ci sono tre passi che possono aiutarci: Is 49, 2 dove si parla di « bocca come spada »; Eh 4,12 dove si parla di « spada come parola»; infine Is 11, 4 dove si dice che « con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio ».
La parola di Dio non è qui il logos, cioè la predicazione, ma il rhéma, cioè gli oracoli divini. Quindi penserei come «spada dello Spirito» non tanto la predicazione di Gesù, ma la sua lotta contro Satana, quando si difende citando gli oracoli di Dio. «Sta scritto … »; cioè, gli oracoli di Dio furono per Lui, e sono per noi, difesa.
Quando siamo assediati dalla mentalità del mondo che ci vorrebbe fare interpretare tutte le cose in maniera puramente umana, dobbiamo ricorrere ai grandi oracoli di Dio nella Bibbia per avere una parola di chiarezza su queste cose e respingere le interpretazioni sbagliate della storia del mondo e della nostra esistenza.
Queste le esortazioni di Paolo.
Possiamo concludere riassumendo: quali situazioni suppongono e quali esortazioni offrono queste parole? .
a) Suppongono prima di tutto che noi siamo in una situazione veramente rischiosa; cioè che nel mondo di oggi è rischioso e pericoloso vivere il Vangelo fino in fondo. Dobbiamo avere questo senso della difficoltà perché esso è realismo. Se ci troviamo di fronte a realtà avverse senza osare guardarle in faccia; se viviamo pensando che ci circondano continue difficoltà e rischi, possiamo vivere in una perpetua e sterile apprensione. Ma quando abbiamo analizzato il fondo, sulla base della Scrittura e abbiamo conosciuto l’avversario, vedendo le vie attraverso le quali il mondo è portato al male e come esse si manifestano, allora anche davanti a tutto il mistero del male, nella sua interezza, possiamo sentirci pieni della forza di Dio.
Una profonda analisi e sintesi del mistero della perversione fatto con l’aiuto della Scrittura può metterci davanti ad una situazione di rischio, di timore, di pericolo, ma non di paura, perché vediamo con chiarezza tutta la vastità dell’avversario e tutta la potenza di Dio.
b) Seconda osservazione: si tratta di una lotta che non ha né sosta né quartiere; cioè, contro un avversario astuto e terribile che è fuori di noi e dentro di noi. Questo; oggi, lo si dimentica troppo spesso, vivendo in una atmosfera di ottimismo deterministico per cui tutte le cose devono andare di bene in meglio, senza pensare alla drammaticità e alle fratture della storia umana, senza sapere che la storia ha le sue tragiche regressioni e i suoi rischi, i quali minacciano proprio chi non se l’aspetta, cullato in una visione di un evoluzionismo storico che procede sempre per il meglio.
c) Terza osservazione: solo chi si arma di tutto punto potrà resistere. Qui vorrei ricordare una delle regole di Sant’Ignazio il quale aveva chiarissima l’idea che il nemico attacca valutando la situazione del cristiano. Bisogna conoscerlo bene, perché il nemico gira per vedere se c’è anche soltanto un elemento mancante nell’armatura. È quindi una lotta che deve prenderci tutti e trasformarci, santificandoci completamente.
Un’ultima parola a proposito di un’assenza rilevabile in questo brano: la preghiera. In realtà la preghiera viene nominata, ma non qui. La si ricorda alla fine del brano e con un’esortazione intensissima: «Con ogni sorta di preghiere e di suppliche pregate incessantemente mossi dallo Spirito … » (Ef 6, 18).
Tutte queste armi vanno, quindi, continuamente affinate nell’esercizio della preghiera che non le supplisce – la preghiera non supplisce lo zelo, lo spirito di fede, l’impegno, la capacità di donarsi – ma è quella nella quale tutte quante sono avvolte e nella quale vengono continuamente ritemprate nella lotta.
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