COMMENTO A 2COR 5, 6-10 -
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COMMENTO A 2COR 5, 6-10 – DAL SITO TEMPO DI RIFORMA
Siamo sempre pieni di fiducia
« 6 Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore 7 (poiché camminiamo per fede e non per visione); 8 ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore. 9 Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo. 10 Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male » (2 Corinzi 5:6-10).
La prospettiva cristiana sulla vita e sulla morte influisce sul vostro vivere quotidiano? In che modo? La conoscenza del fatto (rivelato da Dio) che egli possedesse una dimora eterna in Cielo, permetteva all’Apostolo di avere un atteggiamento positivo verso le avversità presenti della vita, sia quelle che riguardavano il logoramento e la morte del suo corpo, che le difficoltà del suo ministero cristiano. Paolo, nonostante tutto, poteva dire: « Siamo sempre pieni di fiducia » (6a, 8a), l’opposto di « non ci scoraggiamo » (4:16). Non solo, quindi, quando le cose gli andavano bene, ma sempre.
La tranquillità e la forza dell’Apostolo sorgono in parte dal sapere che: « mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore » (6b). Alcuni greci di quei tempi traevano coraggio di fronte alla morte in forza della persuasione di possedere un’anima immortale. Altri, privi di speranze, confessavano la loro tristezza per la vanità della vita (1 Tessalonicesi 4:13). Paolo, invece, di fronte alla morte era sereno, anzi, se ne rallegrava, perché la dipartita da questo mondo non significa per lui altro che andare ad « abitare con il Signore » (8b) come chi può finalmente tornarsene a casa con i suoi cari. Questo mondo è, per così dire, per il cristiano, la città dove lavora, la città dove temporaneamente vive e lavora. Lì deve sicuramente impegnarsi, ma non è veramente « casa sua », là dov’è il suo cuore. Dov’è il vostro cuore? Dove si trova meglio « a casa »? In questo mondo, oppure anelate essere con la persona che più amate, cioè Cristo? Ecco perché Gesù stesso dice: « …fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore » (Matteo 6:20-21). Questo mondo è là dove, per così dire, siamo « emigrati ». La nostra « patria », però, è un’altra. Dei martiri della fede, la lettera agli ebrei dice: « Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria » (Ebrei 11:13-14). Un modo dualistico di pensare, una divisione fra « anima » e « corpo »? No, due « collocazioni » diverse, sia per l’anima che per il corpo, l’anima sì, ma un giorno con un corpo glorificato, come Cristo.
Che significa, però, essere « assenti dal Signore »? Per evitare equivoci Paolo aggiunge: « poiché camminiamo per fede e non per visione » (v. 7). « Camminare » è il percorso della vita cristiana e l’ambito, « il luogo » di questo cammino è la fede. In esso, infatti, ancora non vediamo chiaramente, non abbiamo che le primizie di che cosa ci è stato promesso. Le contraddizioni ed incertezze della vita cristiana non ci dissuadono dal procedere perché guardiamo non tanto al presente, quanto all’obiettivo finale. « …poiché camminiamo per fede e non per visione » (Ebrei 11:1). « Assenti dal Signore » qui è inteso non in termini relazionali, come se non fosse possibile qui la comunione con il Signore, ma spaziali. Oggi è come « uno scambio di lettere d’amore ». Un giorno saremo riuniti a Colui che ci ama e che noi amiamo. La morte fisica ci proietterà direttamente nella dimensione della presenza immediata del Signore, per questo Paolo può dire: « Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno » (Filippesi 1:21).
Mentre « camminiamo quaggiù » procedendo nella vita cristiana, i cristiani « si sforzano di essergli graditi » (v. 9), o meglio, aspirano a compiacere il Signore, si studiano di compiacergli in ogni maniera (« ci studiamo » Diodati e ND), sia in vita (attraverso la loro fiduciosa ubbidienza) che in morte (testimoniando fede e dignità). Questo non vuol dire cercare di guadagnarci il Suo favore (e quindi la salvezza) con il nostro comportamento, ma dimostrando con i fatti il nostro amore e la nostra gratitudine verso Colui che ci ha amato fino a dare per la nostra salvezza, la Sua vita per noi. Come? Osservando i Suoi comandamenti! « Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui » (Giovanni 14:21).
La seconda ragione per la quale l’Apostolo si studia di compiacere Cristo è la prospettiva di comparire al giudizio di Dio: « Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo ». Anche in questo caso non si tratta di « salvezza per opere », ma del fatto che l’impegno e la qualità dell’opera del cristiano sarà vagliata dal suo Signore, non perché se fallisce la prova sia respinto e perduto, ma perché il cristiano è chiamato all’eccellenza di quel che fa per la gloria di Dio. « Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce … se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco » (1 Corinzi 3:12-15). Il « noi tutti » sono i cristiani, coloro che si studiano di dimostrare la loro riconoscenza verso Dio, e il giudizio non è quello universale, infatti Gesù dice: « In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita » (Giovanni 5:24). Sarà l’incontro con il nostro Signore, « …allora ciascuno avrà la sua lode da Dio » (1 Corinzi 4:5). Ciò che facciamo intanto che siamo qui con il corpo è significativo, di esso siamo responsabili perché il nostro corpo ora è in volonteroso servizio di Dio: « Perché, come un tempo prestaste le vostre membra per essere serve dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così ora prestate le vostre membra per essere serve della giustizia, per la santificazione » (Romani 6:19).
Infine, un ultima questione: quando moriremo, vi sarà un periodo temporaneo per noi di esistenza priva del corpo, dato che la nuova creazione sarà ancora da venire? Una sorta di « sonno dell’anima », come qualcuno si esprime? No: al momento della morte usciremo dall’attuale dimensione temporale per entrare nell’eternità di Dio in cui tutto è presente. Per quelli sulla terra il nuovo cielo e la nuova terra è nel loro futuro, ma per chi muore nel Signore, Egli stesso lo accoglie nell’eternità, là dove tutte le promesse di Dio si sono già realizzate. Chi muore in Cristo abita con il Signore, il Signore Gesù lo accoglie. Al ladrone sulla croce che Gesù salva, Egli dice: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso» (Luca 23:43).

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