ENZO BIANCHI: «PER IL CRISTIANO LA CORPOREITÀ NON È UN MALE, MA UNA CHANCE CHE CI FA « TOCCARE » E « VEDERE » IL SACRO»

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Come arrivare a Dio attraverso l’esperienza fisica?

Quanto spirito nei cinque sensi

ENZO BIANCHI: «PER IL CRISTIANO LA CORPOREITÀ NON È UN MALE, MA UNA CHANCE CHE CI FA « TOCCARE » E « VEDERE » IL SACRO»

(« Avvenire », 16/9/’05)

La parola « senso » (« sensi » al plurale) è polisemica, cioè capace di esprimere realtà diverse ma significativamente correlate. Dire « senso » può significare innanzitutto il « sentire »: l’uomo sente, e questo è evidente! Questa esperienza è declinata con molte parole: sensibilità, sensazione, sentimento, sensualità, risentimento… La capacità di « sentire » è propria degli animali (anche se, in modo diverso, potrebbe essere riconosciuta a tutte le creature, anche vegetali e minerali) e l’uomo ha consapevolezza di questa sua capacità sensoriale. I sensi dell’uomo percepiscono dunque la realtà multiforme e complessa: la vista percepisce l’immagine, l’odorato percepisce i profumi, l’udito percepisce il suono, il palato il gusto, il corpo, tramite il tatto, tocca ed è toccato.
Ma non possiamo dimenticare che la parola « senso » può anche significare direzione, orientamento nello spazio. Così diciamo « vado in quel senso », oppure « senso vietato ». Ma è proprio tramite i « sensi » che individuiamo l’orientamento: normalmente con la vista, ma anche con l’udito, con l’olfatto o con il tatto.
Infine, la terza possibilità di intendere la parola « senso » è quella di « significato ». « Che senso ha? », ci chiediamo di fronte a un evento; cioè: « Cosa vuol dire? Cosa significa? ». Noi cerchiamo il senso profondo di quanto ci circonda, e anche questa ricerca di comprensione del significato richiede l’esercizio dei « sensi » di cui è dotato l’uomo.
Una riflessione sui sensi spirituali non è allora un esercizio esoterico o riservato a elites spirituali: essa riguarda ogni essere umano e ogni credente. Da parte mia vorrei riflettere quindi sui sensi spirituali come esperienza che il credente fa attraverso la fede cristiana, perché l’incontro con Dio avviene sì nella fede e non nella visione, come ricorda san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinti, ma è un incontro che si impone a tutto l’uomo, spirito e corpo, sensi compresi. L’esperienza di Dio che il credente fa e che, con difficoltà e in modo limitato, cerca di raccontare a se stesso e agli altri, deve essere integrata nell’esperienza sensoriale, altrimenti è ridotta o a una dimensione puramente intellettuale (un parlare, un discutere su Dio) oppure a un’attività filantropica sociale che, sempre necessaria, rimane tuttavia insufficiente a un’esperienza autentica del Dio Vivente nelle cui mani è terribile il cadere!
Almeno tre millenni di fede – quella degli ebrei e quella dei cristiani – attestano che uomini e donne vivono e testimoniano un’esperienza spirituale, una realtà vissuta con i sensi umani. Quando Agostino scrive: « O Dio, mi chiamasti, e il tuo grido lacerò la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti il tuo profumo e respirai e anelai verso di te; gustai fino ad avere fame e sete; mi toccasti e bruciai di desiderio della tua pace » (Confessioni X, 27, 38), non fa che enumerare la propria esperienza di fede e la narra ricorrendo alle azioni inerenti ai sensi umani: in questo modo fa emergere i sensi spirituali.
L’uomo « sente » attraverso i sensi, ma un’enorme carica simbolica viene a innestarsi sul suo esercizio dei sensi. Attraverso i sensi l’uomo percepisce, prende le distanze, concettualizza, fa discernimento: tutta la nostra conoscenza viene dai sensi, la più elementare come la più raffinata, quella più empirica come quella più spirituale. Ne sono prova le parole che usiamo: anche quando sono « astratte », lasciano apparire la propria origine nello spazio della sensibilità. « Sapienza » non deriva forse da « sapere », cioè gustare?
È attraverso i sensi che noi costruiamo noi stessi: odorato e gusto, per esempio, ci insegnano il discernimento, la scoperta della differenza; così come vista e udito ci consentono di cogliere la realtà nel suo insieme. La vista si nutre di simultaneità, l’udito implica la dinamica del tempo; la vista ci fornisce l’immagine che ci fermiamo a guardare, l’udito non ci consente di fermarci ma ci chiede di ascoltare il suono come un flusso che scorre… Sì, dire sensi significa evocare un corpo e una psiche in funzione, un essere umano vivo nella propria singolare identità. E siccome per noi cristiani il corpo, soma, non è la tomba, sema (secondo l’antico gioco di parole dei greci), ma è l’uomo vivente a immagine e somiglianza di Dio, anzi il corpo è il luogo, il tempio, la dimora di Dio attraverso il suo spirito, allora i sensi umani non sono negati né disprezzati, ma sono chiamati a diventare sensi spirituali. La fede cristiana è la fede nel Dio che si è fatto uomo, carne, materia e, quindi, tutto ciò che è umano è per Dio bello e buono (tob), secondo l’annuncio della prima pagina della Bibbia: tutto va assunto dal credente e reso conforme all’uomo per eccellenza – Ecce homo! – Gesù di Nazaret. Così il senso della fede, essenziale nella vita del cristiano, è sempre connesso a un vissuto, a una conoscenza amorosa e pratica di Dio che porta ad assumere il discernimento, il senso delle cose spirituali. Il cristiano non si limita a dire: « Io credo che Dio esiste », ma afferma anche: « Io amo Dio senza averlo visto », si rivolge a Dio con un « tu » e gli confessa il suo amore, il suo stupore, il suo desiderio. 

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