LA CREAZIONE E L’ESCATOLOGIA IN S. PAOLO – (II PARTE) – DI GIUSEPPE BARBAGLIO
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LA CREAZIONE E L’ESCATOLOGIA IN S. PAOLO – (II PARTE)
SINTESI DELLA RELAZIONE DI GIUSEPPE BARBAGLIO
VERBANIA PALLANZA, 13-14 GENNAIO 1990
LA CREAZIONE IN PROSPETTIVA CRISTOLOGICA
Paolo caratterizza la creazione in senso cristologico, inserendo fin dalle origini Gesù Cristo nel rapporto tra « ktisis » e « ktisas », tra creatura e creante, con diverse formule: in Cristo, mediante Cristo, verso Cristo; sono modi per indicare la mediazione di Gesù Cristo nella creazione. Il rapporto « ktisis »- »ktisas » non è più un rapporto diretto, ma mediato da un terzo, Gesù di Nazareth. Dire che tutta la creazione è avvenuta in Cristo, mediante Cristo ed è finalizzata a Cristo, vuol dire che Gesù costituisce il senso di tutto. Uscendo dalle formule che riecheggiano il discorso della
causalità – la causalità strumentale o efficiente, la causalità formale, finale – potremmo dire che Gesù Cristo è il senso del mondo, di « ta panta », ed è impressionante che sia una persona individuo che dà senso alla totalità. Potremmo dire che Gesù è la chiave di lettura di « ta panta », è il centro aggregante per cui « ta panta » non è un insieme di cose, ma è un’unità unificata da lui. Gesù è la luce rivelante il senso della totalità, è il traguardo verso cui corre la totalità, è la forza traente: sono tutti modi per dire che Gesù di Nazereth, morto e risorto, é il senso del mondo.
Gesù, che è un uomo qualunque, un uomo debole, un uomo impotente, uno degli ultimi, uno dei vinti della storia, è il centro: lui, il crocifisso e il risorto. « Ta panta », il tutto, riflesso nell’uno Gesù di Nazareth. Però l’uno Gesù di Nazareth non è un individuo chiuso in sé, è il prototipo dell’umanità. Paolo questo l’ha visto chiaramente quando nel cap. 5,12 di Romani parla di Cristo come del secondo Adam, il secondo prototipo dell’umanità, oppure in 1 Corinti 15,20-29.45-49. L’uno Gesù non è separato dalla totalità dell’umanità, ma è il primo tipo e immagine nel quale c’è tutta l’umanità. La totalità trae senso dall’uomo qualunque, debole, fragile.
gli ultimi al centro della creazione e della storia
Il « ta panta » é fatto da Dio per gli ultimi, per i crocifissi, per i vinti: questo è il progetto di Dio creatore, un progetto che viene contestato dalla storia che mette in croce Gesù di Nazareth, che mette in croce gli ultimi, i deboli, gli impotenti. Il progetto di Dio viene contestato dagli uomini forti che creano la società dei violenti, dei privilegiati. Gesù di Nazareth crocifisso e risorto è segno di contraddizione nella storia: Dio ha risuscitato, rendendogli giustizia, colui che, rappresentativo degli ultimi, è stato messo in croce. In questo modo Gesù, benché l’umile, il debole, l’ultimo, il vinto, è il centro del creato.
Ecco allora la dialettica drammatica della storia: il progetto di Dio, che Dio può solo proporre e non imporre, di mettere Gesù al centro è rigettato dall’umanità, che rifiuta che gli ultimi siano al centro e li rimette al margine e crea la società dei forti, dei violenti, dei privilegiati; ma Dio risuscitando Gesù ricolloca al centro quelli che sono stati estromessi.
L’interpretazione che dà Paolo di Gesù come centro sconvolge il senso comune che attribuisce il centro ai violenti e ai potenti.
La crocifissione nasce dall’esperienza della violenza coalizzata. I violenti fanno solidarietà fra loro a danno dei deboli. Nei testi della passione si legge che tutti sono coalizzati: le autorità giudaiche di vertice, gli anziani, i sommi sacerdoti, Pilato, la folla stessa: si crea la società dei violenti che violenta l’indifeso che è Gesù. Ma Dio risuscita il debole, il violentato, il crocifisso. Dio ricolloca al centro quelli che sono stati discriminati, contestando la società dei violenti che occupa il centro della storia. Oggi nel dialogo fra le religioni si tende a sottacere che Gesù è il centro, però questo vuol dire non riconoscere che è il figlio di Dio e farlo diventare uno dei tanti profeti. Ma se lo confessiamo figlio di Dio, se per noi è l’unico Signore, come dice Paolo, non dobbiamo avere delle remore, ben sapendo che è al centro come il crocifisso, come il prototipo dei crocifissi. Si ribalta la logica dei forti e dei violenti che si coalizzano per espungere i deboli. Paolo dice che Gesù è l’Adam, ha senso per l’umanità, un senso che noi cogliamo nella fede. Siamo liberi di coglierlo o no, ma se è l’Adam vuol dire che è il prototipo di ogni uomo, sia esso indiano, cinese, africano, occidentale, orientale. Come questo debba essere interpretato secondo le varie culture è un altro discorso, ma non è che avendo delle difficoltà dobbiamo negare i punti di partenza che sono l’oggetto elementare della nostra fede.
Per noi c’è un solo Dio, il Padre, ed un solo Signore, Gesù Cristo. Si può rinunciare a credere in questo, ma è in gioco il centro della fede non un elemento periferico. Gesù è il centro non in quanto Gesù di Nazareth, ma in quanto morto e risorto. Dire il risorto vuol dire esattamente l’universalizzazione del senso che ha Gesù di Nazareth per tutta l’umanità. E’ certo incarnato nella cultura, paga un debito alla cultura, c’è un problema di superamento della cultura, ma proprio per questo diciamo che è al centro in quanto crocifisso e risorto. Se dicessimo infatti che è solo Gesù di Nazareth, il problema sarebbe complicato perché bisognerebbe mettere al centro anche la sua
cultura. Se invece è Gesù morto e risorto, risorto vuol dire la capacità di Gesù di essere il simbolo di tutta l’umanità al centro della storia come essere debole, fragile, secondo il progetto di Dio.
animati dallo Spirito del risorto
Paolo dice inoltre che noi siamo « ktisis kainé » – nuova creatura – se siamo in Cristo, cioè se siamo animati dallo Spirito del risorto, se siamo investiti dalle forze nuove di questo Spirito vivificante. Spirito vivificante non vuol dire qualcosa che è immateriale nei confronti di ciò che è materiale, ma qualcosa che è vita nei confronti di ciò che è morte. L’antitesi è tra vita e morte, non tra immaterialità e materialità. Lo Spirito del risorto, con il suo dinamismo, viene donato a tutti e da questo punto di vista Gesù è simbolo per tutta l’umanità. Lo Spirito non è monopolio di alcuni gruppi o di alcune culture. Su questo ha visto molto bene Giovanni quando dice: « lo Spirito soffia dove vuole », come il vento, giocando sul doppio significato di « pneuma » e « ruah » in ebraico. Lo Spirito non ha confini. Cristo è universalizzabile, è simbolo di tutta l’umanità in quanto dona il suo Spirito a tutti gli uomini. Tutti gli uomini ricevono lo Spirito se sono in Cristo.
Il dinamismo delle scelte allora diventa dinamismo dell’agape, dell’amore oblativo, comunicativo, costruttivo.
Da questo punto di vista (Galati 5,16-25, Romani 8,1-17) la nuova creatura nasce là dove c’è l’uomo « pneumatikos », animato dallo « pneuma », spirituale, non nel senso di uomo dedito alla vita del pensiero, immateriale, ma dedito ad una vita umana condotta secondo il dinamismo dello Spirito che è alternativo al dinamismo della « sarx », all’egocentrismo che induce a costruirsi un mondo chiuso in se stesso, un microcosmo senza porte e senza finestre, autosufficiente. La creazione nuova, dice Paolo, è già presente dove l’uomo si lascia animare dal dinamismo dello Spirito che è donato a tutti. L’uomo può rifiutare lo Spirito, contrastandolo, facendosi guidare dall’altro dinamismo che è dentro di noi, il dinamismo della « sarx ». La nuova creazione a livello personale vuol dire l’uomo che vive eticamente non guidato da leggi esterne, da norme, da comandamenti – questa è la grande rivoluzione di Paolo – ma guidato dallo Spirito che è dentro di noi, dal dinamismo dell’agape. Docilità al dinamismo dello Spirito: questa è la spiritualità. In Matteo la spiritualità non ha questo senso, è semplicemente una vita condotta nell’obbedienza alla legge di Dio che è manifestata attraverso Cristo. Paolo ha sostituito ad una guida esterna dell’uomo – le leggi, le norme, le autorità, le parole – il dinamismo interno donato dallo Spirito di Cristo.
« Vi dico però, – scrive Paolo Galati 5,l6 – camminate (agite) nello Spirito e in questo modo voi non porterete a compimento le cupidigia della carne ». La « sarx » per Paolo è l’uomo che vive nella cupidigia (epitsumìa) delle cose, del possedere per sé, nello strappare agli altri, nelle gelosie, nelle invidie. Già nella tradizione biblica e giudaica del tempo c’era l’equiparazione tra peccato e cupidigia. « La « sarx » nelle sue cupidigie si oppone allo Spirito e lo Spirito ha impulsi contrari alla carne. Queste cose sono antitetiche le une alle altre, affinché voi non facciate quello che desiderate fare nella cupidigia. Se voi vi lasciate condurre dallo Spirito non siete sotto la legge ».
La nuova creatura, resa possibile dal dono del risorto e che si realizza alla condizione di lasciarsi guidare dallo Spirito, manifesta la presenza dell’escatologia. Non c’è da una lato la vecchia creazione vigente e dall’altro la nuova creazione che verrà, ma già esiste la « kainé ktisis ». E’ la nuova e originale concezione che Cristo e poi Paolo hanno portato: la fine è dentro la storia, il traguardo è già dentro il cammino, l’oggi è pieno delle forze vivificanti del mondo ultimo, futuro. Sullo sfondo c’è la concezione del mondo creato che si è alienato negando la propria creaturalità, seguendo i percorsi della « sarx ». Il mondo creato alienato è ora in via di riscatto. La nuova « ktisis », creazione, è condizionata: si rende presente se e nella misura in cui siete in Cristo, in cui vi lasciate guidare dallo Spirito, in cui contrastate il dinamismo della carne. Il riscatto è soltanto incominciato, la sua realizzazione piena è oggetto di speranza; ma ciò che noi attendiamo per il futuro già lo possiamo anticipare e vivere nell’oggi se siamo in Cristo. La svolta è già avvenuta nel dono dello Spirito che dà il principio del nuovo mondo. Importante è che questo principio attivo e creativo abbia spazio, non sia contrastato, negato, soffocato. Il futuro, la nuova creazione, è una possibilità
aperta che possiamo realizzare attraverso la solidarietà con Cristo risorto, sia pure incoativamente e precariamente perché permane il peso di quell’altro dinamismo.
L’AT era approdato, attraverso il filone profetico che inventa l’escatologia – il salto di qualità nella storia – alla soluzione apocalittica: Dio ha fatto due mondi perché questo mondo si è corrotto a tal punto da essere irrecuperabile e quindi destinato alla distruzione. Alla fine sarà sostituito, verrà gettato come una zavorra e scenderà dal cielo un nuovo mondo bello e fatto. In queste nuova scialuppa che verrà data all’umanità entreranno quelli che sono fedeli alla legge mentre gli altri saranno estromessi una volta per sempre. Gesù e Paolo non hanno accolto questa visione apocalittica, perché non ammettono il principio dei due mondi creati. Questo mondo è l’oggetto di tutte le loro speranze però non rimandate al futuro: la svolta ha inizio nella risurrezione di Cristo in cui è dato il principio del nuovo mondo. Questa situazione dialettica di storia ed escatologia, di presente e futuro ultimo, di fine e cammino, è la soluzione cristiana. Il rapporto tra creazione ed escatologia si colloca dentro questa concezione: non sono due realtà separate, ma l’escatologia è dentro la creazione.
E’ l’escatologia di questo mondo, di questa storia, e non di un altro mondo, di un’altra storia. Questa è la risposta fornita da Paolo alle domande iniziali su chi siamo? donde veniamo? dove andiamo?
1 Tessalonicesi 4,13-18: una vita nella speranza
In 1Tessalonicesi 4,13-18 Paolo dice che la vita cristiana è una vita nella speranza e in essa non deve aver spazio la tristezza di fronte alla morte, l’ombra sinistra della morte che aleggia sulla vita come ultima parola sull’esistenza. Il fondamento della speranza è la risurrezione di Cristo, una speranza che poggia sulla fede.
Paolo fa una distinzione tra quei credenti che sono vivi alla venuta di Cristo (riteneva prossima la fine del mondo) che non passeranno attraverso la morte, ma entreranno nel mondo nuovo per rapimento sull’immagine di Elia o del patriarca Enoch che sono stati rapiti da Dio, e i credenti che sono già morti, che saranno risuscitati. Però sia i rapiti che i risuscitati andranno incontro a Cristo, per essere sempre con lui. Il traguardo della speranza, il traguardo finale dell’esistenza cristiana, già iniziato, consiste nella comunione indefettibile con il Signore Gesù oltre la morte o la fine dell’uomo.
1 Corinzi 7,29-31: il tempo si è contratto
C’è un altro testo caratteristico in 1 Corinzi 7,29-31 in cui Paolo fa una raccomandazione: « Questo vi dico fratelli: il tempo si è fatto conciso, dunque quelli che hanno mogli siano come se non le avessero, e quelli che piangono come se non piangessero, e quelli che godono come se non godessero, e quelli che acquistano come se non possedessero, e quelli che usufruiscono del mondo come se non ne usassero appieno; perché sta passando la figura di questo mondo ».
E’ da rimarcare questa concezione del tempo: « il tempo si è fatto conciso ». Nel mondo greco il tempo era considerato come un fiume che fluisce lentamente e indefinitamente, che va e ritorna. Per Paolo invece il tempo si è rattrappito, si è fatto una breve linea segnata dal passare di questo mondo sulla scena. Paolo pensa ancora alla fine imminente del mondo, la cui caducità viene vissuta in modo altamente drammatico e anche illusorio. In questa precarietà il nostro esistere, le nostre esperienze fondamentali non devono essere assolutizzate: bisogna viverle « os me », « come se ». Non sono cose indifferenti, ma sono esperienze da relativizzare. Gli stoici proclamavano l’epateia, l’essere emotivamente indifferenti di fronte alla realtà. Paolo dice che le esperienze umane non sono il tutto, non sono un assoluto. Questo mondo non è qualcosa di permanente ed eterno e pertanto le esperienze umane di questo mondo risentono della transitorietà. Sullo sfondo di questa visione c’è una certa escatologia e una conseguente etica.
1 Corinzi 15: Cristo primizia e risuscitatore
E’ la trattazione più completa e più profonda della escatologia in Paolo. Paolo parte dalla risurrezione di Cristo per fondare la speranza nella risurrezione nostra. Dice: se Cristo è risuscitato vuol dire che anche noi risusciteremo. In 1 Tessalonicesi si limitava a dire che se Cristo è risuscitato anche noi risusciteremo, senza approfondire le motivazioni. Nella prima lettera ai Corinzi invece Paolo riesce a trovare la spiegazione profonda. Cristo non è risuscitato come caso unico, ma come « aparché », come primizia. E’ un termine che ha una tradizione alle spalle: « aparché » erano i primi covoni raccolti che dovevano essere offerti al tempio come riconoscimento del dono di Dio.
Inoltre Paolo aggiunge un’altra formula: Cristo è risuscitato come nuovo Adam, come prototipo di una nuova umanità di risorti. Come il primo Adamo era il prototipo della prima umanità, Cristo è il prototipo, principio attivo della nuova umanità. E’ risuscitato come risuscitatore di altri. Paolo dice alla fine del cap. 8 « è il figlio in mezzo a tanti fratelli ». Questo è il disegno di Dio: Cristo centro della storia con tanti fratelli intorno, che siamo noi.
La seconda cosa da notare in questo testo è la risurrezione dei corpi su cui Paolo insiste molto. A Corinto dicevano che noi siamo già risuscitati nella nostra anima, erano degli spiritualisti; Paolo invece dice che la risurrezione riguarda i corpi. Per corpo Paolo intende non la parte materiale, ma la struttura basica dell’uomo, per cui se c’è il corpo c’è l’uomo e se non c’è il corpo non c’è l’uomo. Questa struttura basica è una struttura relazionale, è la relazionalità verso Dio, verso gli altri e verso il mondo; se togliamo una di queste relazionalità non c’è l’uomo. La risurrezione coglie l’uomo in questa sua triplice relazionalità. Questa relazionalità ontologica, dice Paolo, noi la possiamo vivere esistenzialmente in termini negativi o in termini positivi. Posso viverla in termini negativi negando la mia creaturalità, considerando gli altri i miei schiavetti o assumendo un atteggiamento idolatrico o rapace nei confronti del mondo. In questo modo, vivendo in modo egocentrico la triplice relazionalità, per Paolo divento carnale (negando che Dio sia il nostro Dio, che gli altri siano i nostri fratelli, negando che il mondo sia l’habitat dell’uomo).
Per Paolo la risurrezione dei corpi è la trasformazione piena di questa triplice relazionalità vissuta in modo positivo, secondo il dinamismo dello Spirito per cui l’uomo accoglie Dio come il Padre suo, gli altri come suoi fratelli ed il mondo come l’habitat suo e di tutta la famiglia umana. Questa triplice relazionalità vissuta positivamente fa sì che il corpo sia pneumatico, spirituale, animato totalmente dallo Spirito, secondo il dinamismo dell’agape. Questa spiritualizzazione già è cominciata, dice Paolo: se voi vi fate condurre dallo Spirito non vivete più secondo la carne, siete i figli di Dio, vivete in Cristo. La speranza non riguarda qualcosa di totalmente nuovo, non si riferisce ad una realtà assolutamente assente dalla storia, ma tende alla pienezza di una realtà già iniziata nella storia. La pneumatizzazione della triplice realtà, che é al presente ancora precaria perché il dinamismo della carne continua ad agire e c’è un ritorno del passato dentro di noi, sarà piena con la risurrezione.
La spiritualizzazione del soma umano è data dallo Spirito vivificante di Cristo, a immagine di Cristo, l’uomo pienamente trasformato dallo Spirito. Cristo è il primo risuscitato, che ci risuscita a sua immagine.
Filippesi 3, 20-21: a immagine del suo corpo glorioso
Dice: « La nostra cittadinanza (politeuma) è nei cieli da cui aspettiamo che venga il Salvatore nostro Gesù Cristo », ‘cieli’ è il simbolo del mondo trasfigurato pienamente dallo Spirito « il quale trasfigurerà il nostro misero corpo a immagine del suo corpo glorioso ». La nostra triplice relazionalità che già é stata investita dalle forze dello Spirito sarà totalmente investita dallo Spirito
di Cristo il quale ci trasfigurerà, opererà la metamorfosi piena in modo che il nostro corpo sia glorioso, investito dello splendore divino dei risorti ad immagine sua.
Romani 8,12-25: anche la natura partecipa della risurrezione
Il testo più nuovo da questo punto di vista è Romani 8,18-25. Già parlando della risurrezione dei corpi Paolo introduce anche la natura, il mondo, dentro il processo di trasformazione perché una delle tre relazioni è verso il mondo. Però in questo testo »ktisis » (creazione) è solo il mondo creato naturale, a differenza del mondo umano. Dice: quello che è avvenuto avviene e avverrà di noi, passato presente e futuro, è avvenuto avviene e avverrà per la natura. Paolo mette in parallelismo la nostra vicenda di soggetti storici con la natura. E’ interessante la solidarietà tra il mondo umano ed il mondo inanimato ed animale.
Al presente, dice Paolo, noi gemiamo e viviamo una esperienza dolorosa e drammatica, viviamo la durezza del cammino umano nella storia; anche il mondo inanimato geme nella sofferenza. Noi gemiamo ed il mondo geme. Nel futuro noi aspettiamo il riscatto dei figli di Dio, la risurrezione, la pneumatizzazione piena o anche la glorificazione (nei testi biblici, gloria – « doxa » in greco e « kabòd » in ebraico – non è mai l’onore, come per noi, ma esprime lo splendore della presenza di Dio). Similmente la natura dovrà essere glorificata e liberata per partecipare della libertà dei figli di Dio. Nel passato condividiamo il peccato, la corruzione nostra e del mondo. La creazione segue il destino dell’uomo. La storia della salvezza coglie direttamente l’uomo e coglie la natura per partecipazione all’uomo.
dalla fede sgorga la speranza nella trasformazione dell’umanità e del mondo
Primo punto importante di questi testi è la connessione tra speranza e fede, la speranza nasce dalla fede nella risurrezione di Cristo e noi risorgeremo per influsso suo e ad immagine sua.
Secondo: la speranza riguarda la sorte di questa umanità e di questo mondo, non ci sarà sostituzione ma trasfigurazione, assumerà una nuova forma restando se stessa. I cieli nuovi e la terra nuova di cui parla Isaia sono questi cieli, questa terra, ma in una nuova forma; il futuro riguarda i nostri corpi attuali, non corpi nuovi creati ad hoc. Questo è importante perché la speranza non ci fa uscire da questo mondo, ma si tratta di essere attivi nella trasformazione di questo mondo.
Terzo: il futuro finale già è iniziato; la comunione indefettibile è già nella comunione non ancora salda con Cristo. Il riscatto futuro già è iniziato.
Il mondo sta partorendo nei dolori, nei contrasti, nelle contraddizioni della storia, nella crocifissione dell’esistenza. I dolori ci sono, ma sono i dolori di una nuova vita. La nuova nascita è già iniziata perché sono iniziate le doglie. La storia e l’escatologia sono mescolate, le forze del nuovo mondo sono già presenti, ma sono ancora in lotta con le forze del vecchio mondo, con la « sarx ». La nuova nascita avviene nella minaccia di impedire l’uscita del nuovo: non si tratta di un pacifico possesso. Questo nostro presente ha già in parte la configurazione del futuro; nel deserto sono già germinate le nuove pianticelle, in attesa della piena fioritura.
un mondo da non adorare
Questo è importante anche per i rapporti tra storia ed escatologia, e non solo tra creazione ed escatologia. Paolo, anche se non aveva i nostri problemi, è interessato alla natura. Nel mondo di allora era molto presente una tendenza alla divinizzazione della natura e delle sue forze. Le religioni immanentistiche divinizzano la natura, le sue forze vitalistiche, oppure le forze astrali. L’imperatore Amenofi IV in Egitto aveva sostituito la religione ufficiale del dio Amon con quella del dio Aton, il
disco solare. Invece la concezione creazionistica della Bibbia e di Paolo è contro la divinizzazione della natura che non è la grande madre da adorare. Chi ha una concezione divinizzata della natura, ritiene che la natura non possa essere violata. Sarebbe empio trasformare la natura, intervenire nei suoi sacri meccanismi.
Chi divinizza la natura ha un atteggiamento idolatrico nei suoi confronti ed adora le cose, divenendone schiavo. Invece, chi ha una concezione creazionistica si serve delle cose. Paolo dice: « tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio ».
un mondo di cui godere con gratitudine
La concezione creazionistica è anche contro il disprezzo spiritualistico-dualistico della natura e delle cose. Lo spiritualismo era presente oltre che nella filosofia greca, in tutto lo gnosticismo. Nello gnosticismo l’uomo era visto come una scintilla divina, che per un caso drammatico è caduta dagli altissimi cieli in questo mondo. L’uomo è quindi una scintilla divina rivestita della corazza materiale, che nell’assumere la mondanità non ricorda più la sua origine divina e si ritiene una cosa del mondo. Non ha più coscienza di sé, è totalmente alienata, si ritiene parte di questo mondo opaco. Ma ecco che viene, dagli spazi celesti, il logos, anch’esso scintilla divina, che assume il corpo come un vestito puramente esterno, per non dar troppo nell’occhio. Viene a ricordare alle scintille smemorate ed alienate la loro origine divina. Esse riacquistano la coscienza di sé e si liberano dalle corazze materiali con la « gnosi ». Questa coscienza di sé provoca un grande desiderio della morte come liberazione non solo interiore ma anche esteriore, al fine di potersi ricongiungere al grande fuoco divino. In questa concezione il mondo è visto come un carcere, che rende abietto e alienato l’uomo.
La concezione creazionistica invece è contro ogni visione dualistica e quindi la natura è « ktisis », è creatura, è dono, è grazia da accogliere, da godere, da usare con gratitudine dice Paolo nella 1 Corinzi 10,25-26 o in Romani 14,6. Questo uso deve essere fatto senza assolutizzazioni, con un distacco interiore, come se non ne usassimo. Da questo punto di vista si può inserire il discorso dell’uso corretto della natura, delle forze, delle energie, senza abusarne.
un mondo da condividere
Una terza considerazione: questo uso della natura, secondo la visione biblica e paolina, non solo deve avvenire all’insegna della parsimonia, ma soprattutto secondo la logica della condivisione. La preoccupazione dominante della visione biblica è la giustizia. A questo proposito Paolo si esprime in 1 Corinzi 11. Nella comunità si riunivano per la cena del Signore, al termine della quale si celebrava l’eucarestia. L’eucarestia era il punto terminale di un pranzo comune che era segno della commensalità, della solidarietà fra i credenti. Ci si riuniva intorno ad una tavola imbandita da chi aveva cibi e bevande. A Corinto la maggioranza erano schiavi, nullatenenti, oltre a scaricatori di porto, e a artigiani. Succedeva che i più ricchi, giunti con le loro provviste, mangiavano tra loro, bevevano e si ubriacavano, mentre i poveracci, impegnati nel lavoro, giungevano alla fine. Tutti insieme quindi celebravano l’eucarestia. Paolo dice che alcuni erano rimpinzati ed ubriachi e gli altri non avevano niente, ma questo afferma « non è celebrare il pranzo del Signore perché non fate il pranzo comune, anzi la vostra celebrazione è una condanna per voi ». Paolo dice che l’eucarestia è espressione della commensalità, dell’essere insieme alla stessa tavola sia con quelli che la imbandiscono perché hanno da portare cibi e bevande, sia con quelli che non hanno niente da portare se non lo stomaco da riempire. Questo è l’aspetto maggiormente sottolineato in tutta la Bibbia, tutta pervasa dalla sete di giustizia e quindi dalla logica della condivisione.
Il movimento ecologista dovrebbe essere molto attento oltre che ad un uso corretto, non rapace dei beni, ad un uso condiviso, perché ancor prima dell’uso rapace c’è il problema dell’uso ingiusto e discriminante. Oltre l’uso opulento dei saccheggiatori c’è la rapacità solo per sé sulla pelle degli
altri. Paolo sottolinea il tema della commensalità, della partecipazione, come aveva fatto Gesù con i suoi discepoli alla vigilia della morte nel segno della commensalità umana.
una natura coinvolta nella storia della salvezza
Un quarto filone di riflessione riguarda la natura in quanto coinvolta nella storia dell’uomo nel bene e nel male, perché la natura è una dimensione essenziale dell’uomo. L’essere dell’uomo al mondo caratterizza la storia della salvezza. Il mondo senza l’uomo non è immaginabile come non è immaginabile nella concezione creazionistica l’uomo senza il mondo. La natura non è soggetto della storia della salvezza, dato che l’unico soggetto è l’uomo, ma se l’uomo ha una dimensione mondana, la natura viene coinvolta in questa storia, sia nel bene che nel male. E’ coinvolta nel male quando la relazione uomo natura si concretizza in un atteggiamento di idolatria o di disprezzo o di rapina o di possesso esclusivo del mondo. E’ coinvolta nel bene quando la relazione uomo natura avviene nella logia del rispetto e della condivisione.
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