MARIA, GENITRICE DI LUCE
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di JEAN-PAUL HERNANDEZ sj
MARIA, GENITRICE DI LUCE
Il Concilio di Efeso proclama Maria Madre di Dio. Gli splendidi mosaici dell’ »arco di Efeso » a Santa Maria Maggiore (Roma) riflettono questa teologia.
L’iconografia mariana registra uno sviluppo decisivo con il Concilio di Efeso (431). In esso Maria riceve il titolo di Theotokos, cioè « genitrice di Dio ». Si sottolinea così la piena divinità di Cristo e l’unione inscindibile delle due nature nella sua unica persona.
Cirillo di Alessandria, il principale teologo a Efeso, spiega: «Poiché la Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente (=personalmente, ndr) alla carne, per questo noi diciamo che ella è Madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto l’inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all’inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio»(Terza Lettera a Nestorio). Già nel saluto evangelico di Elisabetta a Maria leggiamo: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,43), dove «Signore» (in greco «Kyrios») sta per « Dio », come nella traduzione greca della Bibbia ebraica.
Il primo uso cristiano dell’oro
Un anno dopo il concilio di Efeso, il papa Sisto III costruisce a Roma la basilica di Santa Maria Maggiore, dedicata alla Madre di Dio. All’interno si possono ammirare una serie di mosaici datati fra il 432 e il 440. Ad essi appartengono i mosaici dell’arco trionfale, conosciuto come « arco di Efeso ». Vi sono rappresentati diversi episodi dell’infanzia di Gesù.
Nelle scene dell’arco trionfale, come in molti dei pannelli musivi della navata, troviamo uno sfondo in gran parte dorato. Si tratta di uno dei primi esempi dove questo espediente è utilizzato in modo così massiccio.
L’oro richiama la luce, l’illuminazione divina. E, in definitiva, Cristo stesso, «luce degli uomini» (Gv 1,4). Mentre i mosaicisti classici prediligono gli sfondi chiari e producono delle superfici levigate con tessere solidamente inserite e infittite, i mosaicisti cristiani sistemano le tessere su uno strato ruvido, a diversa angolazione. Ottengono così un gioco interessante dove la luce viene riflessa diversamente da una tessera all’altra. Questa superficie scintillante è particolarmente evidente nei mosaici dell’arco di Efeso. La sequenza degli episodi della vita di Gesù che « risplendono di luce » sono il venire nel mondo della «luce vera» (cf Gv 1,9).
La luce dell’oro significa anche lo sguardo scintillante di Dio. Contemplare un mosaico con sfondo oro è mettersi sotto gli occhi di Dio, cioè entrare in preghiera. Osservare lo sfondo oro è poter dire: «Tu mi scruti e mi conosci» (Sal 139). E per la Bibbia conosce solo chi ama. L’oro è infatti il metallo della fedeltà, dell’alleanza. È il metallo che « dura per sempre ». L’oro dei mosaici interpreta il versetto del Salmo 118: «Per sempre è la sua misericordia».
I mosaici di Santa Maria Maggiore non rappresentano ancora l’episodio della Natività. Ma in alto a sinistra dell’arco di Efeso possiamo osservare un’interessante sequenza: un’Annunciazione (nel primo registro in alto) e un’Epifania (nel secondo registro). I due eventi che « inquadrano » la nascita di Cristo.
Un ricco simbolismo biblico
In posizione centrale nella scena dell’Annunciazione troviamo Maria seduta, raffigurata in vesti regali, color oro. È l’unico personaggio a essere così « avvolto » dalla luce divina. Il tema dell’Annunciazione con la Vergine seduta è già presente in una delle più antiche rappresentazioni mariane dell’arte cristiana (foto). Si tratta di un affresco conservato nelle catacombe di Priscilla e datato della fine del II secolo, cioè degli albori dell’arte figurativa cristiana.
Nel nostro mosaico di Santa Maria Maggiore la sovranità della Vergine è resa non solo dal piedistallo e dai vestiti, ma soprattutto dal diadema. Nella tradizione biblica esso ha la funzione di ricordare l’unzione sacerdotale o regale: cioè una scelta particolare di Dio, una vocazione molto specifica. Per Maria, il diadema rappresenta ciò che si cela in espressioni come «Benedetta tu fra le donne» (Lc 1,42), oppure «Hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Ma quest’ultima espressione corrisponde a un ulteriore significato del diadema. In Israele, è la sposa che « trova grazia » presso lo sposo. E in effetti, cingersi il diadema è uno dei gesti di preparazione al rito nuziale (cf Gdt 10,3).
Il diadema rimanda inoltre a Isaia (62,3-4): «Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo».
Nel mosaico dell’arco di Efeso vediamo Maria nell’atto del filare. È un tema preso dal Protovangelo di Giacomo. Questo scritto del IV secolo, molto usato nella catechesi dei primi secoli, racconta come per incarico dei sacerdoti Maria stesse tessendo una tenda per il tempio (una tale tenda, secondo Es 26,31-36 e 36,35-37, doveva essere rossa). Si tratta di quel velo che verrà squarciato con la morte di Cristo in croce. Questa tenda simbolizza dunque il corpo stesso di Gesù, « tessuto » nel grembo di Maria. Lo stesso vangelo apocrifo precisa che, fra i diversi colori, «a Maria toccò la porpora genuina e lo scarlatto: li prese e se ne ritornò a casa sua. [...] Maria preso lo scarlatto, lo filava» (cap. 10).
Sopra la figura di Maria riconosciamo la colomba, simbolo dello Spirito Santo, « soffio di Dio ». Ricordiamo il versetto: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1,35). Nella Bibbia ebraica, l’ »alito di Dio » ha un ruolo preponderante in almeno due momenti: la creazione dell’uomo (Dio soffia nelle narici dell’uomo per farlo diventare un essere vivente) e l’attraversamento del Mar Rosso (Dio soffia per asciugare le acque e far attraversare il suo popolo a piede asciutto). L’incarnazione è dunque la creazione dell’Uomo nuovo e il rinnovamento dell’esodo.
Inoltre la colomba richiama la fine del diluvio (Gen 8,8). L’incarnazione è interpretata così come la nuova alleanza con l’umanità purificata dal diluvio. Se i primi cristiani prediligono la figura della colomba, è anche perché la sua somma numerica (somma delle cifre corrispondenti al termine greco «peristera») corrisponde alla somma numerica di alfa e omega (prima e ultima lettera, rispettivamente, dell’alfabeto greco), cioè 301. Lo Spirito è la fedeltà di Dio che attraversa la storia dall’inizio al compimento.
Nel nostro mosaico la colomba è additata dall’angelo Gabriele che vola nel firmamento. Altri angeli popolano invece la terra. Essi indicano la presenza del cielo sulla terra. Mentre i loro piedi poggiano sullo sfondo verde, la loro testa raggiunge il blu celeste.
Sulla destra della scena, Giuseppe è mostrato in atteggiamento di ascolto attento, forse dubbioso. È l’unica figura la cui testa non raggiunge il blu celeste. La semplicità del suo vestito contrasta con quello di Maria. La sua capanna, il suo casato, è invece aperto, accogliente. «Non temere di prendere con te Maria» (Mt 1,20). All’estremo opposto, la casa di Maria ha le porte chiuse. Esse rappresentano la sua verginità.
Un bambino che è già Kyrios
Il registro inferiore presenta un’Epifania. I magi sono caratterizzati come personaggi orientali, con il berretto frigio e i pantaloni. Nel centro della scena, Gesù bambino siede su un enorme trono. È il trono del sovrano, del Kyrios. Ma sull’aureola del bambino si distingue una croce. Il suo vero trono sarà la croce. «Innalzato da terra» attirerà tutti a sé (cf Gv 12,34). Non c’è altro « potere di Dio » se non l’amore della croce.
Dietro al trono, quattro angeli stanno a ricordare che la presenza del Verbo incarnato implica l’unione fra cielo e terra. In mezzo agli angeli si fa spazio una stella a otto rami. È la stella della natività, indicata dal mago di sinistra. Ma la simbolica dell’otto, in tutta l’arte paleocristiana, indica la risurrezione. Essa ha luogo «il giorno dopo il sabato», cioè il giorno dopo il settimo giorno del calendario ebraico. Chiamare la domenica «ottavo giorno» e non più «primo giorno» significa considerare la risurrezione come l’ingresso in una temporalità radicalmente nuova. Non si ripete più il ciclo settimanale di prima, ma siamo in un nuovo giorno «che non avrà mai più fine». Così questo mosaico collega sull’asse verticale: incarnazione, morte e risurrezione.
L’asse orizzontale sembra invece sviluppare il tema della regalità di Cristo come capacità di attirare a sé tutti i popoli. I magi simboleggiano nella teologia di Matteo il pellegrinare dei pagani verso il Cristo. Nel nostro mosaico, essi sembrano uscire da una città non meglio caratterizzata se non dalla rappresentazione di templi pagani. Una città molto diversa da Gerusalemme e da Betlemme, rappresentate nello stesso arco trionfale.
A sinistra del trono riconosciamo Maria, vestita come sopra, ma che si fa da parte davanti alla grandiosità della scena. Con una mano si appoggia sulla porpora, con l’altra si copre il petto, quasi a indicare il suo «serbare tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Ella infatti ha lo sguardo fisso sul suo figlio.
Sulla destra del trono, la figura femminile seduta e rivestita di blu scuro ha dato adito a numerose interpretazioni. Essa appoggia il mento sulla sua mano destra, in parte ricoperta dal vestito. Nella sinistra tiene invece un rotolo in parte aperto.
Nel 1956 Cecchelli identifica questa figura come la Sapienza divina, che «siede accanto a te in trono» (cf Sap 9,4). Altri studiosi vi vedono invece la rappresentazione della Chiesa ex circumcisione.
Quest’ultima interpretazione si basa sul parallelo iconografico visibile nella navata di Santa Sabina a Roma, contemporaneo del nostro mosaico. Il rotolo nella mano sinistra rappresenta allora la legge di Mosè e le profezie di Israele che si compiono in Cristo. Se questa figura simboleggia la componente ebraica della Chiesa, essa completa bene i tre magi che ne rappresentano la componente pagana. Sul trono della croce, Cristo «ha fatto dei due un popolo solo, [...] per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo» (Ef 2,14.16).
Secondo una terza interpretazione questa figura è Eva, «madre dei viventi». Essa farebbe da pendant a Maria, madre dell’«uomo nuovo» e «nuova Eva». Eva era stata creata prima del peccato. Ciò spiega il suo primo vestito dorato, simile a quello di Maria, visibile nella parte inferiore delle gambe. Questa prima condizione (=vestito) è ricoperta dal vestito oscuro del peccato, commesso proprio con quella mano qui in parte coperta, che più tardi l’iconografia orientale ricoprirà del tutto. Questo accostamento di Eva alla scena dell’Epifania avrebbe come parallelo la sovrapposizione della creazione di Eva e dell’Epifania nel cosiddetto « Sarcofago dogmatico » (intorno al 400). In questa interpretazione, il rotolo in mano a Eva può rappresentare la promessa fatta al serpente dopo il peccato: «la sua [di Eva] stirpe ti schiaccerà la testa» (Gn 3,15).
I due registri che abbiamo analizzato nell’arco trionfale di Santa Maria Maggiore corrispondono così ai primi passi della «luce» sulla terra. I mosaicisti, diventati teologi raffinati, ne offrono un’immagine da contemplare, un « testo figurativo » da pregare.

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