SUL PRIMATO DI CRISTO IN PAOLO E DUNS SCOTO
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SUL PRIMATO DI CRISTO IN PAOLO E DUNS SCOTO
La felice coincidenza storica del bimillenario della nascita di Paolo di Tarso (c. 8 d.C.) e il VII centenario della morte di Giovanni Duns Scoto (1300-2008) è un’occasione propizia per focalizzare l’attenzione su un punto strutturale del Cristianesimo, il Primato di Cristo, che nell’Apostolo delle Genti ha il rivelatore più acuto, e nel Dottor Sottile l’assertore teologico più qualificato della storia. Il confronto a distanza di secoli intende evidenziare la perfetta sincronia e armonia tra il dato ispirato e rivelato da Paolo e la riflessione speculativa offerta da Duns Scoto, l’esponente più ainsigne della Scuola francescana.
L’argomento del Primato universale di Cristo è certamente tra i più delicati e complessi della teologia cristiana. Pur non essendoci alcuna definizione dogmatica esplicita, la sua importanza speculativa è immensa, dal momento che la sua luce si riflette sull’intera interpretazione della storia della salvezza, e, quindi, della vita pratica della Chiesa con ripercussioni interessanti e in campo morale che in quello spirituale.
La traduzione in chiave moderna dell’espressione “primato di Cristo” è “cristocentrismo”, che viene distinto in cristocentrismo “funzionale” e cristocentrismo “assoluto”, a seconda del modo di interpretare il mistero dell’Incarnazione, se direttamente dipendente o meno dal peccato originale. Mentre in teologia prevale la concezione dell’incarnazione indipendente dal peccato originale, nella pastorale prevale sempre il senso della sua funzionalità.
All’interpretazione dell’argomento torna utile non solo la precisazione terminologica, ma anche la regola fondamentale dell’ermeneutica, la “pre-comprensione”. L’interprete, cioè, pur nella sua massima disponibilità oggettiva, si fa sempre guidare da una iniziale “precomprensione” dell’argomento che orienta e guida la stessa ricerca.
Affermazioni di Paolo
Le affermazioni più esplicite di Paolo circa il “primato di Cristo” si trovano sparse in diversi luoghi, specialmente quando parla del “disegno salvifico di Dio”. Il primo riferimento è ai Romani (8, 28-31): “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli che ha anche ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che giustificati li ha anche glorificati”.
Lo schema viene ripreso e sviluppato nell’inno che apre la lettera agli Efesini (1, 3-14): “Benedetto sia Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione sperituale nei cieli in Cristo. In lui [Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi [del Padre] per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo”.
E precisato nell’inno che introduce la lettera ai Colossesi (1, 15-20): “Egli [Cristo] è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è primo di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle che stanno nei cieli”.
Le due lettere hanno in comune alcune caratteristiche che possono sintetizzarsi così: disegno di Dio, ricchezza di titoli e universalità delle affermazioni. L’intento di Paolo è di far conoscere il segreto disegno di Dio ad extra, basato sul “beneplacito della volontà del Padre”, tutto incentrato sulla predestinazione di Cristo, da cui dipende la nostra elezione e la nostra stessa predestinazione. Il discorso di Paolo è al presente, perché sempre attuale e presente è la predestinazione di Cristo, da cui provengono tutti i benefici all’uomo. Per questo Cristo viene celebrato anche come l’unico e autentico Mediatore tra Dio e gli uomini e tra gli uomini e Dio.
E’ fuori dubbio che il soggetto principale del piano divino secondo i brani citati è Cristo, e che Cristo costituisce anche il Mediatore attraverso cui tutto ciò che Dio liberamente nella sua infinita bontà ha disposto di comunicare alle creature, lo vuole racchiuso in Cristo e da lui diffuso alle medesime. Difatti, per questo Dio “si compiacque di far abitare in Cristo tutta la pienezza della sua divinità”. Per esprimere questa priorità di Cristo in ordine alle creature, Paolo utilizza in poco spazio una tale ricchezza di “titoli” da far pensare a una cascata di gioielli: in ordine al Dio invisibile, lo presenta come “Immagine visibile”; in ordine alle creature tutte, come il “Primogenito”, cioè il Primo fra tutti; in ordine alla Chiesa, come Capo della sua elevazione; e in ordine a tutti gli esseri, come Principio della loro creazione e come Primogenito dei morti. E su tutti gli esseri, in cielo e sulla terra, Cristo è “al di sopra di tutto”, e “in tutte le cose Egli tiene il primato”.
Altra caratteristica delle due lettere può essere l’universalità delle affermazioni. In brevissimo spazio, Paolo utilizza il termine “tutto” ben sei volte. Tutto è sottoposto all’influsso di Cristo: di tutte le creature egli è il Primo, perché causa efficiente, formale e finale; tutti gli esseri creati, perciò, devono a lui esistenza e conservazione. Il termine “tutto” viene anche chiarito da un passo della prima lettera ai Corinzi : «Quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa» (15, 27), cioè “tutto” vuol dire eccetto Dio, perché Dio non può essere soggetto a nessuno.
2. Riflessione di Duns Scoto
Il pensiero di Duns Scoto intorno al primato universale di Cristo gravita intorno al concetto biblico di Dio: Ego sum qui sum (Es 3, 14) e Deus charitas est (1Gv, 4, 16). Identificando in Dio Essere e Carità, il Dottor Sottile pone a fondamento della sua speculazione e della sua spiritualità proprio il concetto di Dio Essere-Carità. L’Essere infinito, in quanto verum infinitum e bonum infinitum, è l’Amore per essenza: «dilectio per essentiam, formaliter dilectio et formaliter caritas, et non tantum effective».
Benché Dio comprenda e voglia tutte le cose ad extra nell’unico atto semplicissimo di amore del suo perenne presente, tuttavia, nota Duns Scoto, quest’atto semplicissimo si dirige verso ciascun essere in modo diverso, a seconda del grado di essere che riceve o per il quale è ordinato al suo fine. Questa fontale rivelazione metafisica illumina a giorno tutta la spiritualità scotiana, come documenta l’inizio del suo De primo principio: “O Signore, Creatore del mondo! Concedimi di credere, comprendere e glorificare la tua maestà, ed eleva il mio spirito alla contemplazione di te…O Signore, Dio mio, quando il tuo servo Mosè ti chiese il nome da proporre ai figli d’Israele -sapendo quello che di te la mente umana può conoscere- rispondesti rivelando il tuo santo nome ‘Io sono colui che sono’… Tu, o Signore, sei l’Essere vero! Tu, o Signore, sei l’Essere totale! Questo credo fermamente. Questo, se possibile, desidero conoscere. O Signore, aiutami a scoprire il vero Essere che sei tu. O Signore, aiutami a comprendere ciò che credo…”.
Con il principio di derivazione agostiniano-anselmiano credo ut intelligam, tradotto scotianamente con credo ut condiligam, Duns Scoto mette a fondamento della sua speculazione un atto sincero e indiscusso di fede nella verità della parola divina, dichiarando in questo modo di volersi istruire su Dio presso Dio e con Dio. Tra Duns Scoto e Dio non c’è mediazione di alcun filosofo, se non di Cristo, Unico suo maestro.
Illuminato e riscaldato nel profondo del suo essere dal dato rivelato, Duns Scoto punta direttamente pensiero e cuore su Dio per tentare di aprire dal di dentro di Dio stesso i segreti del suo mistero d’amore. E vi legge: “Solo Dio ama Dio. Dio vuole essere amato da altri condiligenti, vuole cioè che altri abbiano in sé il suo amore; e per questo eternamente predestina chi lo deve amare adeguatamente e infinitamente di un amore estrinseco» .
E con stringata logica continua: “Chi vuole ragionevolmente, vuole in primo luogo il fine; in secondo luogo, i mezzi che permettono di raggiungere immediatamente il fine; in terzo luogo, tutto ciò che consente di raggiungerlo remotamente. Ora, anche Dio, che vuole in modo ordinatissimo, vuole dapprima il fine, benché non con diversi atti ma con un’unico atto, in quanto il suo atto tende in diverso modo e ordinatamente verso gli oggetti. In secondo luogo, Dio vuole ciò che è ordinato immediatamente a tal fine, predestinando gli eletti alla gloria… In terzo luogo, Dio vuole ciò che è necessario per raggiungere questo fine, cioè i beni di grazia. In quarto luogo, Dio vuole per questi condiligenti tutto ciò che è più lontano dal fine, ad es. il mondo sensibile che deve a loro servire” .
Dal contesto dei passi citati, emerge chiaramente la presenza di una gerarchia nell’ordine degli esseri voluti e amati da Dio da sempre e con il medesimo ed unico atto infinito d’amore. Agli estremi di questo amore estrinseco di Dio, Duns Scoto vede alla sommità Cristo e al gradino più basso il mondo materiale, nel mezzo si trovano gli angeli e l’uomo. Il grado di maggiore o minore vicinanza da Dio è dato dal rispettivo grado di amore e di gloria che l’essere riesce a rendere per sua natura al Creatore. E questo perché «Dio compie tutto per la sua gloria» .
Affermazione che in Duns Scoto diventa la ragione stessa dell’agire di Dio: l’opera di Dio è buona perché egli così ha voluto, in sintonia anche con l’espressione lucana in cui si afferma che tutto esiste, si muove e vive in Dio. Tale dipendenza teologica si traduce in dipendenza ontologica, esprimendo la radicale contingenza dell’essere finito e collegandolo in strettissima a assoluta relazione con Dio creatore.
Da questa accennata gerarchia degli esseri, il Dottor Sottile ricava a tutto tondo la convinzione che la serie dei condiligentes è fatta da Cristo e a Cristo finalizzata. Cristo costituisce realmente il “mediazione unico e universale” sia nel campo della grazia sia in quello dell’essere. Ecco l’ordine dell’essere: Cristo-Maria angelo uomo materia. E’ la scala dell’essere che Duns Scoto, sull’insegnamento di Paolo , il suo Filosofo , vede presente nella mente di Dio da sempre ed esclama: “Nell’interpretare Cristo, io preferisco più eccedere nella lode che essere difettoso” .
Conclusione
Forte dell’affermazione che Dio tutto vuole per se stesso e per la sua gloria, Duns Scoto getta le basi per il primato e la centralità di Cristo, elaborando la sua dottrina intorno al mistero dell’Incarnazione, partendo direttamente da Dio e non dall’uomo, e trasforma con abilità di consumata perfezione speculativa lo pseudo-problema ipotetico “Se Adamo non avesse peccato…”, nella concreta e reale domanda: “Perché c’è Cristo? Perché è stato predestinato…?”.
E risponde: per amare degnamente Dio come Dio insieme all’intero universo: omnia a Deo per Christum et omnia ad Deum per Christum.
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