SETTIMANA SANTA – VOLGERANNO LO SGUARDO AL CROCIFISSO

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SETTIMANA SANTA – VOLGERANNO LO SGUARDO AL CROCIFISSO

Bruno Maggioni

Il Getzemani, con il racconto dell’Eucaristia, è introduzione alla passione. In questi due passaggi, infatti, viene fornita la chiave di lettura teologica della passione. Nel Getzemani, come nella crocifissione, ci viene detto esattamente che cosa ha provato Gesù Cristo durante la passione. Negli altri racconti, invece, viene descritto solo che cosa gli veniva fatto. Possiamo, quindi, analizzare il racconto di Marco.
Allora costringono un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. E conducono Gesù al luogo del Golgota, che si traduce « luogo del cranio », e gli davano da bere vino mescolato con mirra, ma egli non lo prese. E lo crocifiggono, e si spartiscono le sue vesti gettando la sorte su di esse, per vedere quale toccasse a ciascuno. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E sull’iscrzione col motivo della condanna c’era scritto: « il re dei giudei ». E con lui crocifigono due malfattori, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. E coloro che passavano lo bestemmiavano scuotendo il capo e dicendo: « Ehi, tu che sei capace di distruggere il tempio e di ricostruirlo in tre giorni, salva te stesso scendendo giù dalla croce ». Similmente anche gli alti sacerdoti con gli scribi si dicevano gli uni agli altri, prendendolo in giro: « Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso. Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce, perché vediamo e crediamo ». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. E venuto mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alla tre del pomeriggio. E alle tre del pomeriggio Gesù gridò con voce forte: « Eloi, Eloi, lemma sabactani », che si traduce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Alcuni dei presenti, avendolo udito, dicevano: « Vedi, chiama Elia ». Ma uno corse via, inzuppò una spugna nell’aceto, la pose su una canna e gli dava da bere dicendo: « Aspettate, vediamo se viene Elia a liberarlo ». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. E il velo del tempio fu scisso in due, dall’alto al basso. Ma il centurione, che gli stava di fronte, avendo visto che morì in quel modo, disse. « Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio! ». Ma c’era anche delle donne ad osservare da lontano fra le quali anche Maria la Maddalena, Maria la madre di Giacomo il minore e Joses, e Salome, le quali lo seguivano e lo servivano quando era in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme (15,21-41).

Prima scena: la tappa di trasferimento (vv. 21-23)
Durante il tragitto dal pretorio al calvario, costringono
un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna,
a portare la croce di Gesù.
C’è dunque la figura del cireneo, che probabilmente viene tarsfigurata dalla narrazione di Luca nell’icona del discepolo che deve portare la croce per il suo Signore.
Curioso il fatto che venga sottolineata la parentela di questo cireneo: padre di Alessandro e Rufo, ciò fa pensare che Marco stesse scrivendo a qualcuno che poteva conoscere queste due persone.

Seconda scena: il momento della crocifissione (vv. 24-27)
Se stiamo bene attenti ci accorgiamo che all’evangelista non interessa tanto la crocifissione in quanto tale, quanto il significato che ci sta dietro, per questo insiste su determinati particolari come, ad esempio, « le vesti » o « le nove del mattino ».

Terza scena: gli oltraggi (vv. 9-32)
E’ la scena madre.

Quarta scena: la morte di Gesù (vv. 33-41)
Dal punto di vista della sequenza della narrazione, risulta con estrema chiarezza la solitudine di Gesù. Solo dopo che è morto il centurione dichiara: Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio! E, a scena avvenuta, si viene a sapere che dalla sua parte c’erano alcune donne. Il Cristo in croce di Marco è un Cristo davvero immerso in una totale solitudine che non esita anche a esprimere chiedendo: « Eloi, Eloi, lemma sabactani », che si traduce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? »
Ma il racconto contiene riferimenti culturali che diventano una chiave interpretativa non indifferente. Il salmo 22 è l’ordito di fondo e fa risaltare la figura del giusto sofferente che, tuttavia, non ha perso la speranza. I due ladroni, uno a destra e uno a sinistra, potrebbero riferirsi a Isaia, mentre la bevanda può richiamare il salmo 68. Si intravede, allora, sullo sfondo una figura che va sempre più delineandosi e prendendo corpo nella vicenda del morire di Gesù: quella dei giusti condannati proprio perché giusti, un’esperienza che l’Antico Testamento conosceva benissimo.
Ma il credente sa bene che il crocifisso è il Messia e questo è lo scandalo rivelatore. Non basta, dunque, dire che Gesù realizza la profezia del giusto sofferente; bisogna invece sottolineare con forza che lui è il Messia atteso e dal quale ci si aspettava un cambiamento radicale delle cose. Questa è la novità. Un altro elemento, che a livello globale potrebbe colpire il lettore, è costituito dal fatto che il racconto della morte di Gesù è scandito dalle ore e chi ha dimestichezza con questo codice sa che l’ora nona, l’ora sesta e l’ora terza erano momenti importanti nella liturgia del tempio. Si parla, quindi, per allusioni: nonostante ci si trovi fuori dal tempio, l’evento è scandito dallo schema del tempio.
Passiamo ora a condurre un’analisi più dettagliata.
… col motivo della condanna c’era scritto: « il re dei giudei »: il titolo « re » è uno dei più delicati, perché con esso si applica a Gesù una categoria che va purificata, anzi, capovolta nel suo contenuto rispetto a quella che noi siamo abituati a intendere quando pensiamo agli altri re umani. La festa di Cristo re, per esempio, è una delle feste più ambigue: Cristo sì è re, ma è un re totalemnte diverso. Non dobbiamo immaginarci il suo come un avvento effettuato in potenza e gloria, al suono delle fanfare e delle trombe regali, tra il garrire degli stendardi. Il contenuto della regalità di Gesù è segnalato, da Marco, nel momento e attraverso la croce, non prima: è un contesto tutt’altro che trionfalistico. Attraverso la croce Gesù non ha meritato di essere re, ma ha mostrato la sua regalità. La croce indica che la regalità di Cristo è fatta di servizio e non di dominio.
E con lui crociffigono due malfattori: la vera icona cristiana non è solo il Cristo in croce, ma in croce con due malfattori. In questo modo si dice da un lato che viene condannato come un malfattore, dall’altro che è morto non solo per i peccatori, ma insieme ai peccatori. Un’icona splendida! Il racconto, in genere, usa verbi all’aoristo, cioè il presente storico, proprio perché sono azioni puntuali. Quando invece arriva alla scena degli oltraggi, il narratore passa all’imperfetto, per descrivere azioni lunghe, ripetute: … e coloro che passavano, lo bestemmiavano … similmente gli alti sacerdoti, prendendolo in giro, dicevano … e anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Questo modo di raccontare è significativo: è come se la macchina da presa indugiasse sulla scena.
Ma chi sono i suoi oltraggiatori e in che modo viene insultato? I suoi oltraggiatori comprendono varie categorie di persone: i sacerdoti, gli scribi, che sono descritti un po’ più diffusaemnte perché .. si dicevano gli uni gli altro, prendendolo in giro …, parlottavano tra di loro per farsi sentire, i passanti e i due malfattori, di cui, però, non si dice granché.
Che cosa c’è, in Gesù, che merita insulto e derisione?
Ehi, tu che sei capace di distruggere il tempio e di ricostruirlo in tre giorni, salva te stesso scendendo giù dalla croce. Qui, a mio avviso, c’è la ragione dell’ironia della gente: uno scontro tra l’evidenza del crocifisso e la pretesa di distruggere il tempio e riscostruirlo in tre giorni. Certo che se scendesse giù dalla croce, non ci sarebbe più questo scontro che causa tanta ilarità! Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso: gli alti sacerdoti non ridono per lo scontro tra l’evidenza della debolezza e la pretesa di fare miracoli, loro insistono sul contrasto tra l’aver salvato gli altri e l’incapacità di salvare se stesso. Quindi, se non riesce a salvare se stesso, vuol dire che non ha fatto gli altri miracoli. Anche loro lo sfidano a scendere giù dalla croce. Per tutti l’essenziale è che scenda dalla croce, solo così sarebbero disposti a credere in lui. L’invito a « salvare se stesso », c’è anche nel primo oltraggio, quello dei passanti. Ma se riflettiamo con attenzione, ci rendiamo conto che dal contrasto fra la pretesa di « distruggere il tempio » e la debolezza che si manifesta nell’incapacità di « salvare se stesso », emerge la verità di Gesù. Prendendolo in gira, la gente finisce per cogliere la sua originalità. Infatti se una persona ha un certo potere, è logico che lo utilizzi innanzitutto per se stesso. Chiunque avrebbe salvato prima se stesso, mentre la novità di Gesù sta proprio nel fatto che salva gli altri e non sé. Si forma come uno spartiacque: il non credente, non vedendolo scendere dalla croce, dice che non può essere il Figlio di Dio; il credente invece, vedendolo rimanere in croce dice che è il Figlio di Dio. Se il Figlio di Dio fosse sceso dalla croce per togliersi dallo scandalo, ci avrebbe ingannato, non ci avrebbe rivelato il vero volto di Dio.
E’ necessario, quindi, cambiare la nostra idea di Dio: finché riteniamo che Dio è potenza, saremo portati a negare che il crocifisso sia il Figlio di Dio. Ma se incominciamo a capire che Dio è amore, che è dono di sé, allora restiamo incantati dal suo essere rimasto sulla croce e leggiamo questa scelta come la piena rivelazione non della sua impotenza, ma del fatto che Gesù usa la sua potenza per amare, per salvare, non per dare spettacolo. Concludendo, diamo ancora un colpo d’occhio sintetico a tutta la scena: prima della morte, c’è la gente che prende in giro Gesù perché rimane sulla croce; dopo la morte, c’è un centurione che, vedendolo morire, capisce qualcosa. Questo, per me, è lo spartiacque tra falsi credenti e veri credenti: Dio dona se stesso perché il suo attributo è l’amore. Lo spartiacque, dunque, è la croce.

Nel vangelo di Marco leggiamo
Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippi; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: « Chi dice la gente che io sia? ». Ed essi gli risposero: « Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti ». Ma egli replicò: « E voi chi dite che io sia? ». Pietro gli rispose: « Tu sei il Cristo ». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E incominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: « Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini » (8,27-33).
Pietro, che si ribella, si sente chiamare Satana. Perché? Perché ragiona secondo gli uomini e non secondo Dio. Nel vangelo di Marco, Satana ha un modo esterno e uno interno di parlare contro Gesù: il primo consiste nel negare che è Messia; il secondo nell’ammettere che Gesù è il Messia, ma proprio perché tale, dovrebbe eliminare la croce. Se è davvero il Figlio di Dio, non può morire in croce. Ancora una volta, è la croce lo spartiacque, è qui che si gioca la fede. L’ultima sorpresa che ci riserva Marco è che ha continuato a parlare dei discepoli come di coloro che seguono un itinerario per arrivare a capire, perché per capire bisogna essere preparati.
E invece chi capisce è il centurione, che non ha seguito nessun itinerario. Il bello della narrazione, che è anche la sua forza, il suo realismo, è che, in un primo momento, il lettore vede i discepoli che abbandonano tutto per Gesù ed è portato a considerarli un modello; ma poi, gli stessi discepoli vengono rimproverati e il modello cade. Solo in questo modo si comprende che l’unico modello da seguire è Gesù Cristo, l’unico che non cambia è proprio lui.

Leggiamo il racconto di Luca.
Lo portarono via, e per la strada presero un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi e gli misero la croce sulle spalle perché la portasse dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e lo piangevano. Giratosi verso di loro, Gesù disse: « Figlie di Gerusalemme, non piangete per me. Piangete piuttosto per voi stesse e per i vostri figli, perché verrà il tempo in cui si dirà: beate le sterili, beate le donne che non hanno portato figli in grembo e non li hanno allattati al seno. Allora si metteranno a dire ai monti: cadeteci addosso, e ai colli: copriteci. Perché se fanno questo al legno verde, che cosa accadrà a quello secco? » Assieme a lui venivano condotti per l’esecuzione anche altri due malfattori. Giunti al luogo detto « teschio », crocifissero lui e i due malfattori: uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. E Gesù diceva: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno ». Per spartirsi i suoi vestiti li tirarono a sorte. E il popolo stava lì a guardare. I notabili lo schernivano dicendo: « Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il prescelto ». Anche i soldati si divertivano alle sue spalle. Si avvicinavano porgendogli vino con aceto e dicevano: « Se sei il re dei giudei, salva te stesso ». In alto c’era anche una scritta ufficiale: « Questi è il re dei giudei ». Uno dei malfattori appesi lo bestemmiava dicendo: « Non sei il Cristo? Salva te stesso e noi ». Ma l’altro lo rimbeccò dicendo: « Non hai neanche tu timore di Dio? Eppure subisci la stessa condanna. E per noi è giusto che sia così, perché siamo ripagati per quanto abbiamo fatto. Ma lui non ha fatto nulla che fosse perseguibile ». Poi disse: « Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno ». Gesù gli disse: « In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso ». Era già quasi mezzogiorno e tutto il paese fu immerso nelle tenebre fin verso le tre, perché il sole si era eclissato, e la cortina del tempio si squarciò in due. Poi Gesù gridò forte: « Padre, affido il mio spirito nelle tue mani ». E ciò detto, spirò. Il centurione, visto quello che era accaduto, glorificava Dio dicendo: « Quest’uomo era veramente giusto ». Anche tutte le folle che si erano radunate per assistere allo spettacolo, ripensando a quanto era successo, ritornarono indietro percuotendosi il petto. Tutti i suoi amici e le donne che lo avevano seguito dalla Galilea si erano fermati lontano e stavano a guardare (23,26-49).
Ci sono molti elementi diversi rispetto a Marco: per esempio, manca del tutto la solitudine di Gesù, Luca dice che era seguito dauna gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e lo piangevano. La morte di Gesù in Luca è corale: le folle che lo accompagnano, le folle che stanno a vedere che si erano radunate per assistere allo spettacolo, ripensando a quanto era successo, ritornarono indietro percuotendosi il petto. Ecco, per Luca la crocifissione è lo spettacolo che bisogna vedere per potersi convertire.
Il Cristo di Luca parla, mentre quello di Marco, come si è visto, appare come soggetto solo due volte, attraverso il grido della preghiera e il grido della morte. Parla alle donne per strada: « Figlie di Gerusalemme, non piangete per me. Piangete piuttosto per voi stesse e per i vostri figli, perché verrà il tempo in cui si dirà: beate le sterili, beate le donne che non hanno portato figli in grembo e non li hanno allattati al seno. Allora si metteranno a dire ai monti: cadeteci addosso, e ai colli: copriteci. Perché se fanno questo al legno verde, che cosa accadrà a quello secco?
Parla ai crocifissori: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno ». Per Luca, Gesù è vissuto e muore perdonando, è vissuto e muore tra i peccatori e la croce è il momento conclusivo di quanto è stato fatto prima, non è qualcosa di diverso. Cristo ha perdonato e perdona, si è donato e si dona, ha confidato nel Padre e confida nel Padre. Poi c’è il discorso al buon ladrone e infine la preghiera che, però, è tutta diversa rispetto a quella di Marco: « Padre, affido il mio spirito nelle tue mani », è una preghiera di grande serenità, di grande confidenza.
Prima di soffermarci su questo punto, torniamo al buon ladrone. La tesi di Luca, secondo la quale si deve arrivare alla croce per potersi convertire, si mostra in pienezza proprio in questo momento. Il vangelo parla con il suo linguaggio sobrio: ci sono due malfattori, entrambi appesi alla croce, che vedono lo stesso Gesù. Uno capisce: « Gesù, ricordati quando entrerai nel tuo Regno », mentre l’altro no: »Non sei il Crristo? Salva te stesso e anche noi ». Perché? Il vangelo non lo dice. E’ una delle domande che il vangelo pone abbastanza spesso, ma senza dare risposta. Il vangelo è bello anche per questo, per questi interrogativi e noi rovineremmo tutto se pretendessimo di dare una risposta, anziché applicare la domanda a noi stessi e confrontarci con il racconto.
Dicevamo prima che Gesù sulla croce non fa nulla di diverso a ciò che ha sempre fatto durante la sua vita. La croce diventa, quindi, la chiave per capire tutta la vita di Gesù, e la vita diventa la chiave per capire a fondo il senso della croce. E’ morto come è vissuto. Credo che questa sia una delle grandi leggi dell’esistenza. Gesù nella sua vita si è sempre donato e fidato; le due cose sono strettamente legate perché chi vuole donarsi deve imparare ad affidarsi, infatti il dono di sé si accompagna all’esperienza della sconfitta, perché l’amore è perdente. E’ allora necessaria una grande fiducia in Dio, soprattutto nel momento della morte quando non rimane da compiere che un ultimo, radicale atto di affidamento e di offerta. Ma l’offerta nella morte diventa significativa quando si è offerta la vita, altrimenti, che senso ha, cosa serve? Gesù, sulla croce, ha vissuto questi due forti dinamismi: il dono di sè e la fiducia in Dio. Ma in realtà sono le due regole di tutta la sua esistenza, come del resto ha segnalato nel gesto eucaristico.
In conclusione, per sviluppare lo spunto missionario, riprendiamo dal racconto della crocifissione di Giovanni due frasi.
La prima: « Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce. Vi era scritto: « Gesù il Nazareno, il re dei giudei! ». Molti giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco (19,19-20).
Le tre lingue sono segno di universalità. Inoltre Giovanni sottolinea il fatto che la scritta era sotto gli occhi di tutti, per indicare che la croce è davanti al mondo.
La seconda: « Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto » (19,37). Questa è la Chiesa di ogni tempo: un popolo che guarda il crocifisso. Per cui si capisce che non è possibile essere autentici missionari se non si fa guardare il crocifisso, se non si spiega Dio e non lo si pone davanti agli occhi di tutti e in tutte le lingue. Perché la Chiesa è fatta da coloro che « volgeranno lo sguardo al trafitto ». Giovanni aveva già anticipato la stessa idea già al capitolo XII del suo vangelo, la dove Gesù dice: « Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me » (12,32). Questa parola di Gesù è anche la sua risposta ai greci, ai pagani che avevano rivolto a Filippo una richiesta: « Signore, vogliamo vedere Gesù »(12,21).
Chi attira è la croce innalzata, cioè la croce spiegata nel suo significato positivo: sulla croce si vede la malvagità degli uomini, ma anche la forza dell’amore di Dio, che risulta vincente. Questa « intenzione » che regna sulla croce e che la « spiega » è ciò che bisogna innalzare, rendere visibile.

E’ una sfida aperta.

da: Bruno Maggioni, I racconti della Passione

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