ESPERIENZA DEI CARISMI NEI CORINZI

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ESPERIENZA DEI CARISMI NEI CORINZI

Tratto dalla rivista Rinnovamento nello Spirito Santo 7/2009

Nella Prima lettera ai Corinzi, l’apostolo Paolo analizza concretamente la relazione tra i diversi carismi per poi ricondurre, questa diversità, a un unico Spirito. Determinando inoltre una sorta di gerarchia dei carismi, sottolinea il fatto di saper riconoscere la presenza dello Spirito anche nei piccoli gesti di fede, e non solo in quelli eclatanti.

Premessa
La prima lettera ai Corinzi contiene, rispetto a tutte le altre lettere autentiche, in modo esplicito il pensiero teologico dell’apostolo Paolo circa l’esperienza dei carismi che caraterizza, in modo particolare, il vissuto della comunità di Corinto. E’ opportuno ricordare che quanto l’Apostolo scrive nelle sue lettere non è frutto di una elaborazione teorica degli elementi fondamentali della fede cristiana ma risposte a situazioni concrete, a problematiche storiche, reali, che caratterizzano le comunità da lui fondate. L’apostolo Paolo si lascia interpellare dal vissuto delle comunità offrendo loro tutta la sua esperienza, la sua sapienza derivante da una profonda conoscenza della Scritture (Antico Testamento), la sua grande capacità di elaborazione teologica forte della sua cultura greca ed ebraica. Per questo motivo, molti studiosi affermano che l’apostolo in realtà non ha scritto delle epistole ma delle lettere familiari il cui scopo è quello di comunicare con le comunità, di stabilire una relazione e non semplicemente di trasferire principi dottrinali. E’ utile non trascurare quest’aspetto onde evitare d’interpretare il pensiero dell’apostolo senza tener conto del contesto, delle reali esigenze storiche. Per quanto riguarda l’esperienza dei carismi è di fondamentale importanza comprendere il contesto della comunità di Corinto per cogliere i veri obiettivi che l’apostolo Paolo vuole raggiungere attraverso l’articolata argomentazione riportata nei capitoli 12, 13 e 14 della lettera in questione. Considerando, secondo una visuale d’insieme, i tre capitoli sopra citati, risulta particolarmente evidente l’unità tra i capitoli 12 e 14: in entrambi si parla dei carismi seppure con finalità differenti, mentre potrebbe apparire, a prima vista, non perfettamente in sintonia il capitolo 13 riportante il famoso « inno alla carità ». In realtà non si tratta di un semplice intermezzo o digressione perché, sin dai primi versetti, l’apostolo mette in relazione i carismi di glossolalia, di profezia e la conoscenza dei misteri con la carità (cf 1Cor 1-3).
La problematica sollevata dalla comunità di Corinto riguarda proprio questi due carismi: la glossolalia e la profezia considerati come i carismi per eccellenza; possederli significa essere pienamente uomini e donne spirituali. L’intervento dell’apostolo Paolo mira a regolamentare la concezione e l’esercizio di tali carismi, ridimensionando, senza però disprezzare, il carisma di glossolalia (varietà delle lingue cf 1Cor 12,10) per dimostrare invece la superiorità del carisma di profezia (cf 1Cor 14,5)

Unità nella diversità
Riguardo ai doni spirituali o carismi, nel capitolo 12 della prima lettera ai Corinzi, è possibile approfondire tre aspetti principali.

Carismi per il bene comune
Romani 12, 1-11.
In questa prima pagina l’apostolo Paolo (vv. 1-3) sottolinea come principio di discernimento, per comprendere l’agire dello Spirito, la confessione della Signoria di Cristo (cf 1Cor 12,2) per poi rapportare, secondo lo schema trinitario, la diversità dei carismi all’unico Spirito, i diversi ministeri all’unico Signore e le diverse operazioni all’unico Dio (cf 1Cor 12,4). Solo dopo questa premessa teologica, san Paolo elenca i nove carismi preceduti da un’importante defizione del termine carisma: « A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune » (cf 1Cor 12,7), concetto ripreso in 1Cor 12,11:  » Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole ». A ragione del vero, nel testo originale non troviamo la parola « bene comune » (cf 1Cor 12,7); si tratta, infatti, di un’aggiunta che si ritrova in diverse traduzioni della Bibbia. Come dimostra il biblista Vanhoye, il termine greco pros to sympheron si ritrova in altri due testi del Nuovo Testamento (Mt 5, 29-30) con riferimento all’utilità personale « è vantaggioso (utile-sympherei soi) per te che non perisca uno dei tuoi membri e che non venga gettato nella Geenna », e nella Lettera agli Ebrei (cf 12,10) dove il termine fa riferimento alla santificazione personale « Dio lo fa per il vostro bene (vostro vantaggio, la vostra utilità), allo scopo di farci partecipi della sua santità ». L’Apostolo, inoltre, afferma che non tutti i carismi sono finalizzati al bene comune, come nel caso della glossolalia che edifica soltanto chi l’esercita e non la comunità (cf 1Cor 14,2).

Un unico corpo
Romani 12, 12-27.
In questa sezione, l’Apostolo affronta il tema dell’unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. L’obiettivo è quello di affermare che la pluralità e la diversità sono costitutivi dell’unità; non può esistere una comunità senza la diversità dei carismi, poiché come il corpo umano è costituito da membra diverse con funzioni diverse, allo stesso modo è anche il Corpo di Cristo. Tutti i carismi nella comunità sono « utili e indispensabili »: « il piede » non può dire, « poiché io non sono mano, non appartengo al corpo » (1Cor 12,15), nè « l’occhio » dire alla « mano »: « non ho bisogno di te » (1Cor 12,21). Il « piede » rappresenta la parte depressa e scontenta della comunità, mentre « l’occhio e la testa » la parte super carismatica che si ritiene autosufficiente. Paolo vuole sradicare tale concezione della vita comunitaria per ribadire il primato della diversità nell’unità.

L’azione carismatica dello Spirito
Romani 12, 28-31.
L’Apostolo riporta un nuovo elenco dei carismi, determinando una sorta di gerarchia: « Alcuni però Dio li ha posti in primo luogo come apostoli, in secondo luogo….. » (cf 1Cor 12,28) aggiungendo, rispetto ai nove carismi sopra elencati, quelli di « governo e di assistenza ». La motivazione di questa aggiunta è dovuta al fatto che l’Apostolo vuole dimostrare ai super carismatici che l’autenticità delle manifestazioni straordinarie non è data dall’effetto esteriore, ma se queste contribuiscono all’edificazione comunitaria. I Corinzi, in altri termini devono imparare a riconoscere non solo nei fenomeni straordinari, ma anche in quelli meno straordinari, l’azione carismatica dello Spirito. « A questi spirituali Paolo impone un allargamento di prospettiva; debbono sapere che i fatti spettacolosi non sono l’unico modo in cui si manifestano la presenza e l’azione dello Spirto Santo. Un semplice atto di fede è già la sua opera, ed è anche, in realtà, un fatto straordinario, benché non sia spettacoloso ». (Vanhoye).

Publié dans : Lettera ai Corinti - prima |le 23 mars, 2015 |Pas de Commentaires »

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