IL BIG BANG DI DIO (DI G.RAVASI)

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IL BIG BANG DI DIO (DI G.RAVASI)

Posted on 20 aprile 2008
Il rapporto fra creazione ed evoluzione, il dialogo tra fede e scienza, il futuro dell’universo: una riflessione di Gianfranco Ravasi

fonte: www.avvenire.it (19.04.08)

Per la tradizione giudeo-cristiana nella creazione è insita una rivelazione cosmica che non si oppone a quella soprannaturale. Il confronto fra le diverse cosmologie.

Nell’assemblea del tempio di Gerusalemme si fece silenzio; un solista si alzò e intonò il Grande Hallel, la lode a Dio per eccellenza, il Salmo 136: «Lodate il Signore: egli è buono! / I cieli ha fatto con sa­pienza, / la terra ha stabilito sul­le acque, / ha fatto le grandi lu­ci: / il sole a reggere i giorni, / la luna e le stelle a regger la not­te! ». E il popolo a ogni verso ac­clamava: Ki le’olam hasdò, «per­ché eterno è il suo amore!». In quella strofa, che avrebbe gui­dato un rosario di altre strofe dedicate alla storia sacra così da comporre il Credo d’Israele, ba­lenava la prima, indimenticabile pagina della Bibbia, quel celebre capitolo 1 della Genesi, aperto da un lapidario Bereshit bara’ E­lohìm,
«In principio Dio creò…». Era, quella della Gene­si, una pagina curiosa nella sua ieratica ripetitività. Essa sembra oggi elaborata al computer se­condo un complesso schema numerico: 7 giorni nei quali af­fiorano 8 opere divine scandite in 2 gruppi di 4; 7 formule fisse alla base dell’intera trama del racconto; 7 ritorni del verbo ba­ra’,
‘creare’; per 35 volte (7×5) risuona il nome di Dio; per 21 volte (7×3) entrano in scena ‘terra e cielo’; il primo versetto si compone di 7 parole e il se­condo di 14 (7×2)… Questa spe­cie di cabala, ritmata sul 7 della settimana liturgica, numero di pienezza, di perfezione e di ar­monia, era destinata a celebrare lo squarcio che nel silenzio del nulla e nella tenebra del caos compie la parola divina creatri­ce. Tutta la creazione, infatti, è riassunta in un possente impe­rativo: «Sia la luce! E la luce fu».
Forse il miglior commento a questa riga biblica è nell’orato­rio La creazione di Haydn, con la sua prodigiosa generazione di un solare Do maggiore che sboccia dal caos di una modula­zione infinita di suoni. Per la Bibbia Dio non crea il mondo attraverso una lotta primordiale intradivina, come insegnavano le cosmologie babilonesi per le quali il dio vincitore Mar­duk faceva a pezzi la divi­nità negativa Tiamat, com­ponendo con essa l’univer­so. In tal modo il creato reca­va in sé neces­sariamente e definitivamen­te la stimmata del male e del limite. Per la Bibbia, invece, co­me dirà l’evangelista Giovanni in quel capolavoro innico che è il prologo al suo vangelo, «in principio c’era la Parola (il Lo­gos) », il Verbo efficace divino.
Nel libretto del profeta Baruk si dice che «le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono. Dio le chiama per nome ed esse ri­spondono: Eccoci! E brillano di gioia per colui che le ha create» (3,34-35). Nell’idillio primaverile dipinto nel Salmo 65, la terra di­venta come un manto fiorito e chiazzato di greggi perché in es­sa è passato col suo cocchio il Signore delle acque e della fe­condità e «tutti gridano e canta­no di gioia». In modo più freddo e ‘teorico’ il libro della Sa­pienza, uno scritto biblico sorto forse ad Alessandria d’Egitto alle soglie del cri­stianesimo, osserverà che «dalla gran­dezza e dalla bellezza delle creature per a­nalogia si co­nosce l’autore» (13,5). E in que­sta stessa linea si muoverà Paolo nel suo capolavoro teologico, la Lettera ai Romani: «Dalla crea­zione del mondo in poi, le per­fezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intel­letto nelle opere da lui compiu­te » (1,20).
Il creato è, dunque, latore di una rivelazione ‘cosmica’ e ‘natura­le’ che non sostituisce ma nep­pure si oppone a quella ‘so­prannaturale’. Per ricorrere a un gioco di parole, possibile solo in greco, si potrebbe dire col filo­sofo ebreo alessandrino Filone (I secolo d.C.) che Dio ha com­posto dei poiemata, cioè delle ‘opere’ che sono anche ‘poe­mi’, atti che sono messaggi, realtà che sono parole. Dopo tutto in ebraico un unico voca­bolo, dabar, significa contem­poraneamente ‘parola’ e ‘fat­to’. L’orizzonte creato per il cre­dente ebreo o cristiano è, sì, un panorama mirabile che può es­sere contemplato con animo ro­mantico (nella Bibbia ci sono al riguardo pagine emozionanti) ma è soprattutto un ‘testo’, un bagliore del Creatore, una pre­senza nascosta ma reale.
Questa presenza, però, non si­gnifica identità panteistica tra creato e Creatore. La concezione ebraico-cristiana della natura comprende in modo vigoroso il senso del limite e della finitudi­ne. Dio stesso impedisce alla sua creazione – pur limitata e fragile – di dissolversi. È ciò che dichiara con un interrogativo re­torico Dio stesso a Giobbe: «Chi serrò tra due battenti il Mare, quando erompeva a fiotti dal suo grembo materno, quando spezzavo il suo slancio impo­nendogli confini, spranghe e battenti e gli dicevo: Fin qui tu verrai e non oltre, qui s’abbas­serà l’arroganza delle tue onde?» (38,8-11).
A questa forza negativa si asso­cerà anche la potenza oscura della libertà umana che irrompe sul creato, come insegna il capi­tolo 3 della Genesi, sfasciando­ne l’armonia col suo peccato di orgoglio e di egoismo e riducen­dolo a un deserto di ‘spine e cardi’.
Ma la grande attesa non è domi­nata dall’incubo di una dissolu­zione. Paolo, infatti, immagina la creazione come una donna che geme nelle doglie di un par­to e l’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia, dipinge il mondo futuro come un creato privo del mare-male e del dolore-morte: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più… Dio tergerà ogni lacrima dai loro oc­chi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (21,1.4).

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