EFESO-MILETO: “HO SERVITO IL SIGNORE” IL TESTAMENTO DI PAOLO (ATTI 20,17-38)
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LABORATORIO DELLA FEDE
EFESO-MILETO: “HO SERVITO IL SIGNORE” IL TESTAMENTO DI PAOLO (ATTI 20,17-38)
Anche se l’episodio si svolge a Mileto, Paolo si rivolge ai presbiteri di Efeso e dintorni.
Efeso è la più grande metropoli dell’Asia Minore e condivideva con Antiochia ed Alessandria il primato nel Mediterraneo. A soli 5 Km dal mare all’imbocco della vallata da dove passava il percorso più rapido verso la Siria e l’interno del Medio Oriente, divenne ben presto un emporio tra i maggiori dell’ Asia. Fu sottomessa a Roma dal 133 a.c. divenendo centro amministrativo e religioso della provincia romana dell’Asia. La città era dedicata ad Artemide, dea della fertilità, e ne custodiva il grande tempio, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico. Nel mese dell’Artimisio (marzo-aprile) una gran folla di pellegrini rendeva omaggio alla dea, facendo la fortuna degli argentieri che preparavano gli ex voto. Durante la seconda visita di Paolo che si protrasse a lungo, costoro, vedendo minacciati i loro interessi economici, suscitarono una tumultuosa sommossa, che costrinsero l’apostolo ad abbandonare la città e che fece correre gravi rischi ad Aquila e Priscilla. Di ritorno dal terzo viaggio missionario, Paolo preferì incontrare i responsabili della comunità nella vicina Mileto, anziché ad Efeso. A questa comunità è indirizzata una lettera a lui attribuita.
LETTURA Atti 20,17-38
Paolo ormai alla conclusione del suo terzo viaggio Apostolico, sta tornando a Gerusalemme. Veleggiando al largo della odierna Turchia, la nave attracca al porto di Mileto. È durante quella sosta che l’apostolo convoca gli anziani di Efeso per un saluto. Il discorso che rivolge loro ha la forma di un “testamento”, come quello rivolto a Timoteo nella seconda lettera. Paolo avverte una atmosfera insolitamente cupa, con presagi minacciosi sul suo incerto futuro. Solo un fiducioso abbandono alla fedeltà del Signore dona squarci di sereno al suo animo.
Il discorso assume un importanza pastorale di assoluto rilievo e ci dona frammenti preziosi per capire il cuore di Paolo alla vigilia del suo arresto e della lunga detenzione che lo porterà a Roma in catene.
La predicazione di Paolo ad Efeso, durata circa due anni, costituisce un esperienza feconda di bene, capace di trasmettere uno stile di vita e di azione pastorale alla comunità… ora quella esperienza deve essere messa a frutto!
“voi sapete”… dice Paolo agli anziani… quasi a dire loro: “voi siete stati testimoni della mia predicazione… del mio servire il Signore… non dimenticate!!!
La memoria dell’amore e della dedizione di chi li ha condotti all’incontro con Cristo è senza dubbio un valore importante nella vita di un credente e dell’intera comunità. Il ricordo di quei giorni di grazia può sostenere la comunità.
Paolo vuole far cogliere in lui, l’immagine del servo del Signore, che ha obbedito al mandato affidatogli dal Cristo. Ovviamente egli ritiene titolo onorifico essere servo del Signore. E poiché tale compito si esplica nell’annunciare il vangelo alle genti, di tale servizio hanno beneficato le numerose chiese da lui fondate.
Tuttavia Paolo non si dichiara sevo delle comunità… ma servo del Signore Gesù. In questo modo egli rivendica la sua libertà nei confronti delle persone: non ha dovuto piacere a nessuno, né rendere conto a qualche membro della comunità, ma solo al suo Signore… questa medesima libertà di azione viene raccomandata agli anziani di Efeso.
Per Paolo, tale indipendenza non significa indifferenza… ne sono prova le umiliazioni e le lacrime versate durante questo servizio: sofferenze che considera un vanto (cfr. 1Cor 4,9-13; 2Cor 4,8-10; 11,21-33)… egli rimarca tale aspetto affermando infatti: “Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile”(20,20)… tutti infatti sapevano quante insidie gli avessero procurato i giudei, ed ognuno poteva testimoniare che nulla ha fermato il suo slancio ed il suo servizio missionario.
“Ora… mi attendono catene e tribolazioni”
L’avverbio “ora” sposta l’attenzione sul tempo presente e sulla situazione attuale di Paolo, in procinto di tornare a Gerusalemme. Egli spiega la sua decisione con l’azione dello Spirito Santo, che ne orienta le scelte e lo avverte delle prove e delle tribolazioni future. Paolo non si presenta in veste di eroe, quasi spavaldo e insensibile alle sofferenze… ma al contrario, appare soggiogato dal richiamo irresistibile dello Spirito, al quale non intende disobbedire. Sa bene che a Gerusalemme rischia l’arresto e la sua stessa vita… ma si considera già prigioniero, non legato dagli uomini, ma totalmente avvinto dallo Spirito di Cristo.
Egli… servo innamorato del Signore, ne segue le orme… fino alla fine… a Gerusalemme!
A questo punto compare un’immagine molto cara all’apostolo, ripresa anche in alcune sue lettere… quella della corsa!
Paolo la usa per rivelare che lui corre in vista del premio… come un corridore che gareggia nello stadio (cfr. 1Cor 9,24-27; Fil 3,13-14)…. Per questo stima un nulla la propria vita di fronte al dovere di proclamare il Vangelo.
“Non vedrete più il mio volto”… è la certezza di una partenza senza ritorno che lo spinge a fare un bilancio della propria vita… quasi una confessione pubblica… dove lascia trasparire la purezza del suo agire e la rettitudine del suo operare, mediante l’impiego di ogni energia.
Sono parole pesate… calibrate… verificate dall’esperienza diretta degli ascoltatori.
Non sono espressioni di ingenuità, bensì l’umile consapevolezza di aver agito così rettamente da poter proporre la sua opera come regola pastorale ai suoi successori.
Ancora una volta il futuro della Chiesa non è tutto da inventare, perché affonda le sue radici nella vita e nell’opera di chi ha servito il Signore prima di noi.
Terminata la sua confessione, Paolo detta le linee dell’azione di coloro che hanno compiti particolari a servizio della comunità. Richiamando l’immagine della sentinella, cara ad Ezechiele (Ez 33, 1-9), esorta gli anziani a vigilare anzitutto su se stessi, a non lasciarsi prendere dall’assopimento spirituale. Sa bene che a forza di vigilare sugli altri si rischia di non vegliare più su se stessi… anche il pastore fa parte del gregge di Cristo.
In questi primi anni della Chiesa, non esiste ancora la distinzione che oggi noi conosciamo tra vescovi e presbiteri… si strutturerà solo più avanti negli anni!
Il popolo cristiano appartiene al Signore e non agli uomini… e questo è un titolo di valore per ciascuno, che mette in risalto la responsabilità dei pastori verso Dio.
L’apostolo esorta alla vigilanza e alla responsabilità perché prevede un pericolo: maestri di errori e false guide insidieranno i fedeli, non solo all’esterno, con il ritorno a riti pagani o alla propaganda giudaica, ma anche all’interno della comunità (20,29-30). Gesù stesso aveva definito “lupi rapaci”, profeti, ingannatori e falsi messia (cfr Mt 7,15; Lc 21,8) ai lupi rapaci si affiancano poi, seminatori di eresie e dottrine fuorvianti, come se ne ha notizia nelle lettere pastorali (cfr 1Tim 1,3-4) e nelle lettere di Pietro (cfr 2Pt 2,1-3). Paolo esorta su tutto questo… memore che la vita e le sorti di ciascuno sono state pagate a caro prezzo dal sangue versato da Cristo… ma anche dalle sue tante lacrime!
Nel momento del congedo ed in vista di così gravi pericoli, potrebbero regnare incertezza e disorientamento. Cosa farà la comunità senza il suo apostolo? Paolo stesso dà la risposta: lui non ci sarà più, ma “Qualcuno” rimane: “Ecco ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia” (20,32). Bella questa affermazione… quasi a dire che gli stessi vescovi e presbiteri che sono gli uomini della Parola per eccellenza, si nutrono di essa e con essa nutrono il gregge!!!
Paolo dunque non lega la comunità alla sua persona, ma mostra al contrario, la libertà di chi sa bene che colui che salva è Dio!
Paolo ricorda di non aver vissuto alle spalle di alcuna comunità… ha lavorato guadagnandosi per vivere e lavorando anche per sostenere chi era nel bisogno… allo stesso modo invoca lo stesso comportamento per chi guiderà in futuro le comunità, ricordando loro una stupenda beatitudine “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (20,35).
La preghiera conclusiva orienterà tutto quanto è stato detto e rimanda ancora una volta all’esempio dato da Gesù (Lc 22,41)… “Si inginocchio con tutti loro e pregò”… pregare in ginocchio è un tratto distintivo dei cristiani, perché i giudei pregano sempre in piedi… infine il pianto e i baci riportano alla mente il bacio fraterno usato dai cristiani (cfr Rm 16,16) e indicano che si tratta dell’addio di Paolo alle comunità dell’Asia.
Questa commuovente scena finale, dipinge in modo efficace il legame di affetto che unisce la Chiesa Efesina al suo apostolo… “Erano davvero un cuor solo ed un anima sola” (At 4,32). Ma il momento è drammatico… Paolo si sta avviando alla sua passione!
Qui c’è il passaggio della prima generazione (quella degli apostoli e di Paolo stesso) che cede il campo alla seconda.
Qui possiamo con certezza affermare che il libro degli Atti, al di la delle intenzioni dell’autore, è destinato al lettore di oggi… all’intera Chiesa.
Guardando a Paolo, dobbiamo apprendere che cosa è davvero essenziale nella missione della Chiesa, quale deve essere lo stile di vita di ogni pastore e di tutti coloro che hanno un compito educativo nella Chiesa (famiglie comprese).
Il discorso di addio è ricco di insegnamenti per tutti voi laici.
Anzitutto, la certezza che per poter guardare al futuro con serenità occorre conservare chiara la memoria del passato, inteso come valore da difendere e custodire… e infine… l’ancoraggio più importante per la vita del cristiano è quello dell’affidamento alla Parola di Dio.
RIFLETTIAMO INSIEME
• Paolo dice agli anziani di essere testimoni di ciò che lui ha trasmesso con la sua vita e il suo essere afferrato da Cristo… Chiediamoci: quale è lo spessore della nostra testimonianza della nostra fede… della nostra adesione a Lui?
• Le lacrime e la gioia non sono semplicemente sentimenti dettati da entusiasmi o depressioni emotive, ma denotano la sua intensa partecipazione alle vicende spirituali dei singoli. Lavorare in parrocchia significa soprattutto partecipare alle vicende spirituali della comunità, farsene carico umilmente nella preghiera e con gesti concreti. Esaminiamoci.
• I responsabili della comunità devono attendersi i momenti della prova come ci sono stati nella vita di Gesù e nella missione di Paolo. Le prove sono destinate a rivelare il cuore… questo vale anche per la vita ecclesiale e familiare. Come viviamo le vicissitudini che il Signore permette?
• Sull’esempio di Paolo, ogni educatore è chiamato a dare assoluta priorità e singolare attenzione all’annuncio della Parola, con una dedizione costante e multiforme. Che posto ha la Parola nella mia vita?
• Il metro di giudizio di una azione ecclesiale non è quello dell’efficienza ma della gratuità… assumere stili di vita coraggiosi per una testimonianza vera ed efficace. Sappiamo aiutare i nostri sacerdoti a non stancarsi di noi? Sappiamo donare loro collaborazione e aiuto nella gratuita, ber il bene e l’edificazione della comunità?
• L’orazione riempie l’ultimo momento di condivisione tra Paolo e i suoi presbiteri: so condividere momenti di preghiera con la comunità, con la famiglia e con gli amici?
PREGHIERA
Padre onnipotente e misericordioso,
tu hai chiamato Paolo,
lo hai riservato per te perché fosse testimone
ed annunciatore del vangelo in tutto il mondo.
Paolo non ha deluso le tue attese,
ha testimoniato il tuo amore che salva
senza mai tirarsi indietro,
anche a costo di subire catene e persecuzioni,
sofferenze ed umiliazioni.
Ha terminato la sua corsa
senza ritenere in nessun modo preziosa la sua vita
se non per dare voce al vangelo,
fino alla testimonianza suprema del martirio.
La fedeltà alla tua chiamata è costata a Paolo lacrime e sangue
… e lui ha continuato a dire
che si è più beati nel dare che nel ricevere.
Perdonaci Signore, se troppo spesso abbiamo il timore
che la Tua parola sconvolga la nostra vita
come è avvenuto per Paolo.
Ti chiediamo,
di mettere in noi una sana inquietudine
che non ci consenta mai di adagiarci nelle nostre certezze
dimenticando la luce della tua Parola.
Ti chiediamo la costanza
di lasciarci condurre dal tuo Spirito
nell’ascolto docile e fiducioso della tua Parola.
Allora, impareremo a capire che la croce del tuo Figlio,
scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani,
è la rivelazione
della potenza impotente del tuo amore per noi.
La tua salvezza,
manifestata e donata a noi nel Cristo crocifisso
e annunciata instancabilmente da Paolo
come dono gratuito da accogliere nella fede,
sia ogni giorno l’unica nostra forza.
Amen.

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