Archive pour février, 2015

RIFLESSIONE PAOLINA SUL CELIBATO E LA VERGINITÀ NELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI

http://www.gliscritti.it/lbibbia/grecia2002/texts/meteore.htm

I MONASTERI DELLE METEORE E LA RIFLESSIONE PAOLINA SUL CELIBATO E LA VERGINITÀ NELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI (MEDITAZIONE SUL TERRAZZO DEL MONASTERO DI SAN NICOLA ANAPAFSAS)

Leggiamo sempre i testi della lettera ai Tessalonicesi, ma, fin da ora, vi invito poi, come in altri luoghi, a stare in silenzio un po’. Qui in particolare, faremo il cammino della discesa tutti in silenzio, per meditare.
Tanti vengono qui solo nella confusione dei turisti, solo per scattare fotografie, ma, così, non capiranno niente di questo luogo. Il motivo per cui questo luogo è nato è quello della ricerca di Dio nel silenzio della preghiera. Qui i monaci sono venuti, secoli fa, per questo motivo, quindi, anche per noi, assaporare momenti di silenzio è l’unico modo per capire veramente l’essenza di questo posto.
Allora innanzi tutto questo: la fede cristiana – e S.Paolo usa queste parole – ha inventato delle distinzioni, che sono di un’importanza grandissima e ci aiutano a capire la vita, per parlare del tempo. S.Paolo usa tre espressioni che sono fondamentali (non le ha inventate lui, ma le usa). C’è il “kronos” che è il tempo che scorre. Noi siamo nell’anno 2002 del kronos (del tempo che scorre).
All’interno di questo tempo che va continuamente avanti c’è un altro tempo che lui chiama il “kairos”. Kairos è il “momento opportuno”, se volete la “grande occasione”. Noi usiamo questa espressione per i saldi, o i ragazzi la usano quando gli scappa una ragazza – “ogni lasciata è persa”. S.Paolo usa questa espressione. “L’occasione” è quando si incontra Cristo. Il tempo non è uguale. Il tempo scorre sempre, ma c’è un momento – S.Paolo dirà per esempio, in un’altra lettera: “Questo è il momento favorevole, lasciatevi riconciliare con Dio” – c’è un momento del tempo, della vita, del tempo che scorre in cui a un certo punto tu devi entrare nella Salvezza. E’ il treno che non devi perdere, quella cosa decisiva che apre il tempo che scorre sempre in maniera orizzontale, ma che proprio allora si apre all’incarnazione di Cristo e si apre all’Apostolo che porta Cristo nella tua vita.
La terza espressione fondamentale è la “Parusia”, una parola che dobbiamo imparare ad usare. Noi parliamo troppo poco della parusia che è la seconda venuta nella gloria di Gesù, che è il giudizio finale. Quando il tempo finisce? Non quando si esaurisce il kronos, quando ad un certo punto la Terra tornerà ad essere un globo di fuoco e morirà tutta la vita. No! Il tempo finisce quando – parusia viene dal greco e significa sia “essere presente” sia “arrivare” – viene Cristo nella gloria. E’ la venuta – o la presenza rivelata pienamente – di Cristo. Allora la presenza monastica – ma ogni cristiano deve avere nella memoria e nella vita questo – è la presenza che ricorda sempre ai cristiani da un lato che oggi è il tempo della Salvezza, dall’altro che questa terra è destinata a finire. E non semplicemente perché viene consumata dal kronos, dal tempo, ma perché Cristo la verrà a rinnovare completamente e tutto ciò che non ha a che fare con Cristo verrà eliminato e tutto ciò che ha a che fare con Lui resterà. Allora è per questo ricordo della venuta ultima, delle nozze escatologiche, che nasce il monachesimo.
Sapete, molti non usano più la parola “escatologia”, ma è importantissima. Escatologico è il discorso sugli ultimi tempi. Il cuore degli ultimi tempi è la venuta di Gesù. E’ uno dei temi tabù. Molti cristiani non lo dicono, ma, tragicamente, non credono nella vita eterna, non credono nel paradiso, e così distruggono anche la loro fede. La vita viene allora giudicata solo in base a quello che uno fa o non fa, a quello che uno costruisce o non costruisce. Invece è fondamentale nel Cristianesimo, è al cuore della vita, la seconda venuta di Cristo. E’ unica, nei suoi molti aspetti: da la Resurrezione, la vita eterna, il perdono, la comunione con il Padre.
Allora S.Paolo ha questo orizzonte ampio del tempo, mentre l’uomo non cristiano vede solo il kronos, vede solo le giornate che sempre uguali oppure sempre diverse, si ripetono, vanno avanti in una linea senza mai nessun dialogo, nessuna relazione decisiva con la venuta del Cristo. Il monaco orientale e occidentale, il celibe o la vergine, è colui che non vive il matrimonio, non tanto per essere più pronto per gli altri – non è questa la cosa più importante – ma soprattutto per essere un segno per gli altri che invece sono sposati, che c’è la vita eterna, che c’è una vita in cui quello che si fa in questa terra avrà un valore diverso, avrà una trasfigurazione.
Allora nella prima lettera ai Tessalonicesi – sapete bene che esistono due lettere ai Tessalonicesi; ieri abbiamo cominciato a leggere la prima, lo scritto più antico di tutto il Nuovo Testamento, perché è inviata un anno prima che Paolo arrivi ad incontrare Gallione, come vedremo – al cap. 4, 6 troviamo:

Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

La prima cosa – notate il testo com’è preciso – è: “Perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza”. Qui c’è questa divisione netta – noi, gli altri – non per cattiveria, ma perché è la realtà, la verità della fede. Ci sono persone che non hanno speranza. Noi piangiamo, c’è la nostalgia, però non siamo totalmente afflitti, perché abbiamo la speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e resuscitato. Il testo continua: “Al suono della tromba di Dio, Gesù verrà”. E’ la Parusia – si usa proprio questa parola, la parusia di Gesù. Poi si dice anche: “Non pensate che voi che siete vivi siete meglio degli altri che sono già morti, perché tutti quanti il Signore richiamerà alla vita”. Allora non è che mio nonno è da meno di me perché io sono ancora vivo, ma la venuta del Signore è per lui e per me e per quelli che verranno dopo di me. E’ la stessa realtà di vita eterna che si apre quando il Signore tornerà. “Confortatevi a vicenda con queste parole”.
Subito dopo Paolo, come già Gesù ha insegnato, continua proprio perché non si sa quando questa attesa si compirà e c’è allora l’attenzione al kairos, al momento presente, all’occasione della salvezza oggi:

Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: “Pace e sicurezza”, allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.
Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte. Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni e gli altri, come già fate.

Questa venuta del Signore, questo ritorno che può avvenire anche fra un momento – noi non lo sappiamo – è come le doglie di una donna. A quei tempi non c’erano neanche le ecografie e anche adesso, se non c’è un cesareo non è una cosa che tu puoi dire con sicurezza: “Avverrà in questo giorno”. E così è certo che quel bambino nascerà. E’ certo che nascerà, ma quando nascerà, questo la persona non può che attenderlo. Non dipende da lui, ma dipende da un altro, dipende dal Signore stesso. Noi abbiamo, notate già la triade che è molto forte, la fede, la speranza e la carità. Si dice qual è l’armamento del cristiano, la corazza della fede e della carità, l’elmo della speranza della Salvezza. Siccome poi alcune persone avevano interpretato questa lettera come se S.Paolo fosse sicuro che Cristo sarebbe arrivato proprio fra pochissimo, abbiamo la seconda lettera ai Tessalonicesi. Non è proprio sicuro che l’abbia scritta S.Paolo, perché ci sono molte parole uguali, che sembrano delle vere e proprie copiature dello stile paolino ed allora qualcuno dice che potrebbe essere stata scritta da un suo discepolo che ha preso le sue parole e le ha inserite poi in un messaggio comunque paolino. Come sapete ci sono alcuni testi che sono sicuramente autentici, altri che sono della tradizione paolina, ma non proprio della mano di S:Paolo. Tutti sono comunque “di origine apostolica” (come dice la Dei Verbum) ed ispirati da Dio.
S.Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi sottolinea che non è detto che la parousia arrivi subito. Leggiamo 2 Tessalonicesi, al capitolo 2:

Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo!

E poi continua e spiegherà. Paolo comincia dicendo che non è sicuro dell’immediatezza di questa venuta. Lui è sicuro della parousia, ma il fatto che non si sappia il tempo vuol dire che può essere immediata come no. Evidentemente circolavano a quel tempo degli scritti fatti passare a nome di Paolo, come se la parousia fosse una cosa che doveva proprio avvenire da un giorno all’altro. La lettera ai Tessalonicesi – leggiamo l’ultima parte, da 3, 6 – spiega che, per questo, la gente non deve usare l’attesa della vita eterna per non fare niente, per vivere nell’ozio e nella pigrizia. E’ un testo molto divertente questo.

Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi. Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quando diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello.

Qui c’è l’invito a non vivere disordinatamente, senza fare nulla. Mi ricordo che, nel gruppo giovanile della parrocchia dei SS.Protomartiri usavamo questo passo per prendere in giro un ragazzo. Il nostro vice-parroco ci fece notare che era un segno che tutti cominciavamo a conoscere la Bibbia, perché la usavamo anche per scherzare, citando frasi ormai note a tutti. C’era un ragazzo che era sempre agitato e allora dicevamo che c’era una versione di questo testo di S:Paolo – appunto “Sentiamo dire che alcuni vivono disordinatamente, in continua agitazione, senza fare nulla” – che terminava con le parole: “Li esortiamo: prendi il bibitone”, cioé un litro di camomilla per calmarsi!
Allora questo è un testo che appunto dice questa importanza, nell’attesa, di vivere bene il momento presente.
L’ultimo brano che leggiamo qui è un testo importantissimo, scritto alla comunità di Corinto, dove andremo poi. Ma, probabilmente, queste due lettere sono state lette poi anche a Tessalonica, da dove veniamo. Nella I lettera ai Corinzi al cap. 7 c’è il famoso brano in cui S.Paolo spiega il valore della verginità e del celibato nella Chiesa e nella sua diversificazione e complementarietà rispetto al matrimonio. Possiamo avere nella mente, commentandolo, quello che Gesù aveva detto del celibato e della verginità: “Vi sono alcuni che si fanno eunuchi per il Regno di Dio”. E’ un brano importantissimo questo di 1Corinzi 7, proprio per comprendere il senso di quelle parole del Signore che aveva proposto agli uomini una parola sorprendentemente diversa – almeno apparentemente – dalle parole di Dio nella Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo”.
Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.
Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.
Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie.
Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi: perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù: Dio vi ha chiamati alla pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie? Fuori di questi casi, ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese. Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! E’ stato chiamato quando non era ancora circonciso? Non si faccia circoncidere! La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.
Quanto alle vergini io non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così. Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele.
Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni.
Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell’età, e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure! Chi invece è fermamente deciso in cuor suo, non avendo nessuna necessità, ma è arbitro della propria volontà, ed ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene. In conclusione, colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.
La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò che avvenga nel Signore. Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio.
Notiamo solo alcuni aspetti. Servirebbe una lunga discussione per approfondire tutto, ma ci sono alcune cose che sono subito chiarissime e che sono di un’importanza capitale. Paolo innanzi tutto affronta alcune cose concrete – ed ha il coraggio di farlo, a differenza del tempo presente! – ma poi arriva, al culmine del brano, a parlare del monachesimo appunto, della vita che si conduce qui alle Meteore, come in ogni altro luogo dove vivono vergini e celibi cristiani.
Per quel che riguarda i punti concreti cui accennavo, vedete che parla delle vedove, per esempio, di cui non si parla mai. Lui dice che la vedova può essere vergine anche lei. Sapete che molte delle monache erano in realtà sposate prima, come S.Melania. Ma, da quel momento in poi, dal momento della morte del marito, scelgono di vivere la loro vita come una presenza di dono a Dio, come un segno di vita eterna. Non è sprecata la vita di una vedova perché è un annunzio fondamentale! Nel nostro mondo sembra che una persona vedova non abbia niente da fare, non abbia alcuna testimonianza da dare. S. Paolo dice: “Manco per niente!” E’ una cosa fondamentale, è un annunzio grandissimo che viene portato.
Parla anche del famoso “privilegio paolino” (così lo chiamerà poi il diritto canonico). Cosa fare se uno è sposato con una persona che non crede o addirittura si oppone alla fede. Paolo dice: “Qui è il mio consiglio, non è legge del Signore”. Il diritto canonico darà la possibilità, se una persona viene ostacolata nella sua fede e nell’educazione dei figli, e se è chiaro che era in aperta opposizione alla fede dall’inizio del matrimonio e prima ancora di sposarsi, di dichiarare nullo il matrimonio, di fare un altro matrimonio perché la persona viene impedita dalla sua relazione a vivere realmente la fede. E’ molto realista Paolo, è una persona estremamente concreta, attenta a questi casi veramente reali che accadono. Quante donne – io le chiamo scherzando le “crocerossine” – si sposano volendo essere madri, più che compagne dei loro mariti e si illudono di cambiarli, di salvarli dai loro vizi e macelli e scoprono, dopo poco dall’inizio del matrimonio, che l’altro resterà esattamente com’era prima. A loro Paolo dice: “E che ne sai tu , donna, se salverai il marito?”. E’ un invito all’attenzione, alla lucidità nell’amore. Lo ripetiamo: l’amore non è cieco, ci vede benissimo. Sono l’innamoramento o la superficialità o l’illusione ad essere ciechi.
Ma il grande annuncio paolino è che esiste una dignità altissima: quella dello stato del vergine e del celibe che è “più perfetto” dello stato dello sposato perché anticipa già in questa terra quello che poi tutti vivranno, in qualche modo, nel mistero del Paradiso.
La Chiesa proclamerà nel Concilio di Trento, con un pronunciamento magisteriale, che appunto lo stato del matrimonio e quello del celibato e della verginità cristiana non sono uguali oggettivamente: “Se qualcuno dirà che il matrimonio è da preferirsi alla verginità o al celibato e che non è cosa migliore e più felice rimanere nella verginità e nel celibato che unirsi in matrimonio, sia anatema (Sessione XIV, canone 10 sul sacramento del matrimonio).
Questo resta vero anche se ognuno ha, a livello soggettivo, la sua vocazione e non può seguire quella di un altro, ma la sua perfezione personale è quella della sua vocazione.
Per questo i monaci – monaco, sapete, vuol dire “monos”, solo, non sposato – vivono questo dono come un segno per tutti quanti gli altri. Qui l’affermazione paolina più importante – nonostante ci dica anche, notate bene, lo abbiamo visto prima, che bisogna lavorare, che se uno arde è meglio che si sposi e stia tranquillo, lo faccia tranquillamente – è che, in fondo, le cose che noi viviamo non sono così importanti. Noi diamo loro troppa importanza. Notate bene, Paolo non si unisce a coloro che le disprezzano – S. Paolo dirà anche che chi disprezza il matrimonio, la carne, il mangiare, il cibo, non ha capito niente – ma, lo stesso, ci dice che il rischio è che noi diamo troppa importanza a questo tempo che passa. Dice: “Sei circonciso, non sei circonciso; ma ti rendi conto che non conta nulla? La cosa fondamentale, quella che conta, è se sei in Cristo o se non sei in Cristo”. Questo può avvenire sia che tu sia sposato, sia che non sia sposato. Però conclude: “Il tempo si è fatto breve”. Letteralmente è un’espressione greca molto bella: “Il tempo ha ammainato le vele”, cioè è come una barca che ormai ammaina le vele per entrare in porto. Il tempo, il kronos, è quasi arrivato alla parusia, la cosa più importante. Il kairos, l’evento di Cristo, è avvenuto, stiamo per arrivare alla fine. Allora, chi piange, pianga ma si renda conto che in fondo è più importante un’altra cosa. Chi gode, goda, chi ha moglie, se la tenga, chi non ha moglie, non la prenda, perché passa la scena di questo mondo. Ripeto, passa non perché non è importante – come dicono i manichei – ma passa perché c’è un’altra realtà più importante, che la giudica e la salva. Un posto come le Meteore, come qualsiasi monastero del mondo, è la vita concreta in mezzo a noi, è la testimonianza di questo fatto: c’è qualcuno in mezzo a noi che dice “Cristo tornerà”, il Figlio dell’Uomo tornerà, grazie a Dio, e la vita sarà diversa, sarà rinnovata, sarà nella piena comunione con Lui e questo è il cuore di tutta quanta la vita del mondo.
Si diviene celibi, nella Chiesa, non tanto per essere più disponibili per gli altri, ma soprattutto per amore di Cristo, come segno dell’attesa della sua venuta. Ecco perché il celibato è così diverso dall’essere “single” – scherzando dico sempre che uno “scapolo” non è un “celibe” ed una “zitella” non è una “vergine” – poiché nasce da una vocazione a testimoniare che la parousia è alle porte, poiché il tempo è compiuto ed il Signore è arrivato e presto tornerà. Ed il suo amore basterà!
Dobbiamo sempre tornare ad annunciare questo, tanto più in un tempo che sembra dire sempre e solo che l’unico amore che esiste è quello fra un fidanzato e la sua ragazza e che ti illude facendoti credere che questo ti basterà e che questa è l’unica vera attesa della vita. La Santa Madre Chiesa, con la presenza dei celibi e delle vergini, continua a rispondere alla domanda superficiale del perché i preti ed i monaci non si sposano, con la domanda: “Come è possibile che l’uomo continui a non cercare l’amore di Dio e l’amore di ogni fratello, che solo basta?”

Publié dans:Lettera ai Corinti - prima |on 23 février, 2015 |Pas de commentaires »

Conversion of St. Paul, Sts. Peter & Paul Church, Mississauga, Ontario, Canada.

Conversion of St. Paul, Sts. Peter & Paul Church, Mississauga, Ontario, Canada. dans immagini sacre

http://prwomanforchrist.blogspot.it/2013_01_01_archive.html

Publié dans:immagini sacre |on 21 février, 2015 |Pas de commentaires »

SAN PAOLO – SPERANZA

http://digilander.libero.it/speran/spera/paolo.htm

SAN PAOLO – SPERANZA

Paolo si difende e ricorda ai fratelli e padri della sua gente che lui, vero giudeo era «pieno di zelo per Dio, come lo siete voi» (At, 22, 3) Zelo sbagliato, però, che lo portava a perseguitare a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne. Dice anche in sua difesa davanti al re Agrippa: «Quanto a me, io ritenni di dover fare molte cose contro il nome di Gesù di Nazaret» (At. 26, 9). Queste due difese hanno offerto a Paolo buone occasioni per rispondere e dare le ragioni della speranza che era in lui, secondo quel consiglio che Pietro scrive nella sua prima lettera: «pronti sempre a dare una risposta a chi vi chiede il motivo della vostra speranza» (1 Pt 3, 15). Al re Agrippa, Paolo dice testualmente: « Ora mi trovo sotto processo per la mia speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, quella promessa di cui le nostre dodici tribù, servendo incessantemente Dio notte e giorno, attendono il compimento. È per questa speranza che io sono accusato dai Giudei! Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti? ». (At 26, 6-8).
La domanda trappola dei sadducei fatta a Gesù dimostra che non capivano bene in cosa consisteva la risurrezione. Dopo aver raccontato la storia dei sette fratelli che sposano una sola donna, alla fine i sadducei domandano: «Nella risurrezione, quando essi risorgeranno, di chi ella sarà moglie, giacché tutti e sette l’ebbero per moglie?» (Mc 12, 23). Quando Gesù ordinò ai discepoli di raccontare la trasfigurazione solo «dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risorgere dai morti.» (Mc 9, 9) Ma la risurrezione annunciata da Gesù è ben altra cosa! «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1 Cor 2,9) e questo è l’oggetto della nostra speranza.
Che cosa ha provocato in Paolo una speranza così grande da fargli cambiare rotta? Paolo racconta: «Caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 22, 7) I tre racconti degli Atti affermano che Paolo ha visto una luce e ha sentito una voce, una voce che lo chiama per nome! Solo dopo il suo ritorno a Gerusalemme, mentre pregava nel tempio, Paolo fu rapito in estasi «e vidi Lui» (At 22, 17-18).
Come Saulo stesso racconta era: «Pieno di zelo per Dio» (At 22, 3). Che cosa aveva potuto generare in Lui un cambiamento radicale in così poco tempo? Saulo aveva capito che la speranza che coltivava in cuor suo doveva rompere tutti i limiti per abbracciare Colui che è eterno. Ha visto che il suo era un amore possibile, non solo, ma anche reale e attingibile, anche se arduo.
Paolo ha visto che Dio compie le sue promesse, e le ha compiute in Cristo Gesù. Per questo, davanti al re Agrippa, poteva dire «Null’altro affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani» (At 26, 22-23).
La domanda di Saulo: Che devo fare? ci fa riflettere che la speranza non è passiva, non è un semplice aspettare. Dice, infatti, Paolo ai Filippesi «ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di averla raggiunta. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Gesù Cristo.» (Fil 3, 12-14)
I tre racconti della conversione la vedono in vista di una missione. Nel primo il Signore disse a Anania: «Và, perché egli è lo strumento che ho scelto per me affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli di Israele» (At 9, 15). Nel secondo, Anania dice a Saulo: «Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito» (At 22, 14-15). Nel terzo, è Gesù che dice a Saulo: «Ma ora alzati e mettiti in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò.» (At 26, 16).
La grande speranza ci è donata, ma non ci è data come regalo. Fondata sulla fede e alimentata dall’amore, la speranza diventa la forza motrice per parlare della persona amata, e «insisti a tempo e fuori tempo» (2Tm 4,2), ed essere sempre: «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» ( 1 Pt 3, 15).
Se in «In speranza noi siamo stati salvati» (Rm 8,24), non possiamo ricadere nella paura perché abbiamo: «ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abba! Padre!». Ci saranno tentazioni tuttavia Dio ci insegna come affrontarle, e perciò non bisogna avere paura, perché: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?». (Rm 8,31). Per «Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.» (2 Tim 4, 8).
Per ora: « Sappiamo infatti che tutte le creature gemono, e soffrono fino ad oggi le doglie del parto. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo ». (Rm 8, 22-24). La nostra speranza si basa su quello che abbiamo visto e udito per mezzo della fede, la fede è alla base della nostra speranza.
«Abbiate gioia nella speranza, siate costanti nelle avversità, assidui nella preghiera» (Rm 12,12), ci «Il Dio poi della speranza vi ricolmi di ogni gioia e pace nel credere, in modo che voi abbondiate nella speranza» (Rm 15,13) E illumini «gli occhi della mente perché possiate comprendere quale è la speranza della sua chiamata, quale la ricchezza della sua gloriosa eredità tra i santi, e quale la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo» (Ef 1,18) e ci dia sapienza per «vivere nel secolo presente con saggezza, con giustizia e pietà, rinunciando all’empietà e ai desideri mondani, in attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo» (Tt 2,12-13).
La speranza come la passione si distingue dal desiderio, poiché quest’ultimo ha come oggetto semplicemente il bene e l’appetito dei sensi, mentre la speranza ha come oggetto un bene futuro, arduo e possibile e poiché si riferisce al bene, essa appartiene alla facoltà di chi desidera vivamente anziché a quella dell’apprendere.
Oggetto della speranza è un bene futuro, arduo e possibile. La speranza dall’amore e dal bene che si spera. La speranza gioiva all’opera, poiché favorisce la naturale inclinazione.

CHE COS’È LA SPERANZA
La speranza è una virtù. Virtù, perché ha come oggetto Dio e da Lui, desidera l’aiuto necessario per camminare sicuri per gli impervi sentieri del mondo e anche per raggiungere un futuro di gloria. Virtù, perché conforma agli atti umani la regola superiore e perfetta di Dio.
L’oggetto della speranza poiché è Dio sul quale si appoggia e spera un bene infinito, è la beatitudine eterna. La beatitudine eterna, ciascuno la spera per se stesso, ma per atto di carità è bene sperarla anche per gli altri.
La speranza, avendo direttamente per oggetto Dio, sommo bene, è virtù teologale. Alcuni sperano solo negli uomini, ma da essi potranno solo ottenere aiuti secondari.
La speranza, poiché ha come oggetto Dio quale principio di conoscenza e verità, si distingue dalla fede e carità che hanno per oggetto Dio quale termine di unione per l’anima, mediante l’amore.
La speranza conferma la fede, ma non esiste prima, della fede, perché questa ci fa conoscere quel Dio in cui si spera.
La carità viene dopo la speranza, ma da parte sua la perfeziona.

LA SPERANZA E IL SUO SOGGETTO
La speranza risiede nella volontà che è un appetito razionale, essa ha come oggetto il bene e quindi riguarda, come abbiamo visto, la facoltà di chi desidera vivamente una cosa, ossia il bene divino.
La speranza non c’è più nei beati poiché per loro Dio non è più un bene futuro ma presente. Non la possono avere i dannati poiché ora che conoscono il Sommo Bene, non possono raggiungerlo. La speranza, viceversa, è nelle anime purganti che non hanno ancora raggiunto Dio, ma sanno che sarà il loro futuro.
Nella Chiesa militante la speranza assurge a certezza, poiché procede dalla fede e da una perfetta carità.

The ark of Noah and the cosmic covenant

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http://www.artbible.net/1T/Gen0601_Noah_flood/pages/12%20ST%20SAVIN%20PIERRES%20ROMANES%20ARCHE%20DE%20NOE.htm

Publié dans:immagini sacre |on 20 février, 2015 |Pas de commentaires »

PRIMA LETTERA DI PIETRO 3,18-33 – CRISTO TRIONFA PER MEZZO DELLA SOFFERENZA

http://www.ilcristiano.it/2010/ott10/libri_bibbia.htm

PRIMA LETTERA DI PIETRO 3,18-33 – CRISTO TRIONFA PER MEZZO DELLA SOFFERENZA

Incoraggiamento per il pellegrini

La conoscenza della sofferenze affrontate da Cristo per compiere l’opera di salvezza per l’umanità e, soprattutto, la conoscenza del suo trionfo sulla morte dovevano costituire un forte motivo di incoraggiamento per i cristiani del primo secolo, nel loro tormentato pellegrinaggio terreno, quotidianamente esposto a persecuzione e prove. Ma incoraggiano anche noi, “pellegrini” del ventunesimo secolo.

Introduzione
Il nostro brano (1P 3:18-22) si apre con una frase incredibilmente ricca di significato. Partendo dal fatto che molti dei suoi lettori erano chiamati a soffrire per il nome di Cristo, l’apostolo li incoraggia con l’esempio della sofferenza del loro Signore. Ma, nel parlarne, riassume, in termini indimenticabili, sia il motivo della morte di Cristo sia ciò che essa ha prodotto. Ecco la frase:
“Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio” (v. 18a).
Il brano si chiude con un riferimento all’ascensione di Cristo e alla sua posizione attuale:
“Gesù Cristo… asceso al cielo, sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti”.
Fra queste due dichiarazioni Pietro mette in relazione con la risurrezione trionfale di Cristo le seguenti cose: gli angeli che si ribellarono al tempo di Noè, il diluvio e il battesimo (vv. 18b-21). Per la sua brevità questo brano risulta di difficile interpretazione. Allo stesso tempo il fatto che l’apostolo considera il diluvio una pietra miliare nell’amministrazione divina della storia (si veda 2P 3:5-6; cfr. 2:4-5), aiuta a comprendere la sua scelta di servirsi di alcuni fatti inerenti a quest’evento come analogici dell’esperienza dei suoi lettori.
Il valore della sofferenza di Cristo (v. 18a)
Nel secondo discorso di Pietro riportato nel libro degli Atti, Pietro parla di Gesù come il Messia Servo venuto per soffrire (At 3:18, 26; cfr. 4:27). Nel nostro brano egli spiega il perché di tale sofferenza, ponendo l’enfasi innanzitutto sulla sua unicità:
“Cristo una volta…”.
Ne seguono delle parole che ne descrivono lo scopo: “per i peccati ha sofferto”.
Il valore unico e permanente della sua sofferenza trovò eco in un evento concomitante con la sua morte sulla croce.
Ecco come l’apostolo Matteo lo descrive:
“Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo…” (Mt 27:51).
Quest’evento indicò in modo figurativo l’obiettivo che era stato raggiunto con la morte di Cristo. Per usare una frase di Paolo, il Messia Servo “ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce” (Cl 2:14).
A rendere necessario il sacrificio unico di Cristo erano sia la giustizia di Dio sia il suo amore che l’ha indotto a provvedere a soddisfare la propria giustizia per mezzo dell’incarnazione del Figlio che si è sostituto all’umanità peccatrice, “lui giusto per gli ingiusti”, come aveva predetto il profeta Isaia (53:11).
Alla luce del valore unico, sufficiente e permanente del sacrificio del Figlio di Dio incarnato, ogni pretesa di offrire a Dio ulteriori sacrifici per espiare i peccati evidenzia una mancanza di comprensione del valore di questo suo sacrificio. Dal momento che Cristo è morto al nostro posto, noi non dobbiamo più morire per i nostri peccati!
L’unica cosa che dobbiamo fare, per “fare le opere di Dio” (Gv 6:28-29), è di credere in Gesù, che ha compiuto l’opera che il Padre gli aveva affidato (Gv 17:4).
La frase termina con le parole: “…per condurci a Dio”, facendo comprendere che il sacrificio di Cristo rende Dio propizio nei nostri confronti. Quando noi ci presentiamo al Padre nel nome di Cristo, Dio Padre ci riceve come persone ubbidienti in quanto rivestiti della giustizia di colui che ha ubbidito al Padre per conto nostro (Ro 5:19). In altre parole, la morte di Cristo ha effettuato la riconciliazione fra Dio tre volte santo e l’uomo peccatore.
Chi si affida al Salvatore non è più distante da Dio e non ha bisogno di altri mediatori umani per avvicinarsi a Dio quando prega o adora il Dio vivente e vero.

Il trionfo di Cristo (vv. 18b, 22)
Sempre come esempio del valore che la sofferenza ingiusta possa rappresentare nella vita dei pellegrini cristiani, Pietro descrive l’esito della sofferenza di Cristo. Ecco le sue parole:
“Messo a morte nella carne ma vivificato nello spirito… essendo passato attraverso il cielo, Egli è alla destra di Dio, essendogli sottoposti angeli, principati e potenze” (vv. 18b, 22).
Come, nella sua morte Gesù ha trionfato sul peccato che aveva separato l’umanità da Dio, così nella sua risurrezione ha trionfato sulla morte stessa per poi ascendere in cielo e prendere il posto che gli spetta alla destra del Padre da dove regna supremo sopra ogni altra autorità. Ricordarsene può essere di grande incoraggiamento per i cristiani pellegrini che affrontano vari tipi di persecuzione e ingiustizia, in quanto partecipano nel trionfo di Cristo, loro sostituto.
Prima di considerare il resto del brano è importante notare il parallelismo e il contrasto fra “carne” e “spirito” nella seconda parte del v. 18. Gesù fu “messo a morte quanto alla carne” e fu “vivificato quanto allo spirito”, quale premessa della sua posizione attuale di supremazia nell’universo (si veda anche Mt 28:18). Il soggetto indicato dal verbo “vivificare” (zoopoietheis) non può essere altro che la sua risurrezione, in quanto il verbo presuppone che ciò che viene vivificato sia passato per lo stato di morte. In altre parole non può riferirsi all’esistenza spirituale di Gesù durante il periodo che va dalla sua morte alla sua risurrezione.
Come previsto per il corpo di risurrezione di “quelli che sono di Cristo” (1Co 15:22-23, 42-46), il verbo zoopoieo è usato da Pietro per descrivere la risurrezione in un nuovo tipo di corpo, compatibile con la sfera “spirituale” (gr. en pneumati), esattamente come il corpo di “carne” aveva reso il Figlio di Dio partecipe della vita sulla terra, per poter morire come nostro sostituto.

La proclamazione trionfale di Cristo (vv. 19-20)
La parte centrale di questo brano inizia con la locuzione “in esso” (gr. en ho). Tale pronome relativo corrisponde, quanto a numero e genere, alle parole “in spirito” (gr. en pneumati, v. 18b), quindi fa riferimento allo stato di risurrezione di Cristo.
Prendendo sul serio questo dettaglio grammaticale, il ventaglio di possibili interpretazioni di questi versetti si riduce notevolmente. Infatti gli interpreti che, basandosi sull’uso del pronome relativo altrove nella lettera (si veda 1:6; 2:12; 3.16; 4:4) attribuiscono a questa locuzione il senso generico di “nel periodo che passava fra la morte e la risurrezione di Cristo”, trascurano il fatto che qui, a differenza degli altri casi citati, esiste una precisa corrispondenza grammaticale.
In pratica l’interpretazione che attribuisce alla locuzione il senso generico di “nel periodo che passava fra la morte e la risurrezione di Cristo”, si ispira più al testo del Credo Apostolico, nella versione del 390 d. C., secondo cui Gesù “fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese all’inferno, il terzo giorno risorse dai morti…”, che non al testo della 1Pietro.
Questa serie di eventi fa comprendere che Gesù avrebbe fatto il suo annuncio agli “spiriti trattenuti in carcere” dopo la sua morte e prima della sua risurrezione e, per farlo, avrebbe dovuto visitare l’inferno. Ma il testo di un Credo dovrebbe basarsi sul testo biblico e non vice versa. L’idea che Cristo sia sceso nell’inferno dopo la sua morte è una deduzione da brani quali Romani 10:7, Efesini 4:8-9 e dal riferimento a “morti” in 1Pietro 4:6, però nessuno di questi brani richiede una simile interpretazione. D’altra parte la dichiarazione di Gesù al ladrone sulla croce: “oggi sarai con me in paradiso” (Lu 23:43) nonché le sue parole: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Lu 23:46), sembrano escludere tale ipotesi.
Secondo Grudem i versetti 19-20 insegnerebbero che Cristo aveva predicato agli spiriti ora tenuti in carcere tramite Noè mentre questi costruiva l’arca. Anche quest’interpretazione ignora sostanzialmente la corrispondenza grammaticale fra il pronome relativo “in esso” (v. 19) e l’ultima frase del v. 18, secondo cui a predicare fosse il Cristo risorto.
Inoltre, quest’interpretazione presuppone che gli “spiriti” a cui si fa riferimento nel v. 19 siano quelli degli uomini che erano ribelli al tempo di Noè. Ma in questo caso sarebbe stato più naturale scrivere “gli spiriti trattenuti in carcere di coloro che una volta furono ribelli” e non già “gli spiriti trattenuti in carcere che una volta furono ribelli”. Prese alla lettera le parole di Pietro sembrano indicare esseri spirituali.
Secondo una terza interpretazione, “gli spiriti trattenuti in carcere che una volta furono ribelli” nel periodo in cui Noè stava preparando l’arca, sono da identificare con degli angeli ribelli che tentarono di far scomparire la discendenza che faceva capo a Set, che temeva Dio (Ge 4:26). Avrebbero corrotto queste persone o simulandosi esseri umani e avendo rapporti sessuali con i discendenti di Set, per compromettere spiritualmente la loro prole, oppure inducendo le persone che discendevano da Set e che temevano Dio a sposare i discendenti profani di Caino (cfr. Ge 6:1-3; 2 P 2:4-5).
Pietro stesso conferma che angeli ribelli furono coinvolti nel peccato che provocò il giudizio del diluvio (2P 2:4-5). Se, come credo, questa è l’interpretazione giusta, le parole “in esso andò anche a predicare” si riferirebbero a un annuncio fatto da Cristo, della sua definitiva vittoria, a questi angeli.
Tali angeli sarebbero da identificare con “i principati e potenze” su cui Cristo aveva trionfato “per mezzo della croce” (Cl 2:15). Il Cristo risorto avrebbe fatto quest’annuncio mentre attraversava i cieli nella sua ascesa alla destra di Dio, da dove esercita un potere assoluto sopra di loro (1P 3:22; Eb 2:14-15; 4:14; 1 Co 2:6-8).

Battesimo e risurrezione di Gesù Cristo (vv. 20-21)
Dopo la menzione dell’annuncio fatto da Cristo ai “spiriti trattenuti in carcere”, Pietro inserisce una parentesi in cui parla delle persone che scamparono al giudizio divino che cadde sull’umanità indotta a peccare al tempo di Noè.
Il soggetto in questi versetti è la salvezza di alcune persone dal diluvio, una circostanza che Pietro considera analogica con la salvezza di cui sono eredi i suoi lettori.
Un dettaglio del v. 20 suggerisce che il motivo di questo accostamento sia il contesto di persecuzione in cui queste persone erano chiamate a vivere. Mi riferisco alla precisazione che nell’arca “poche anime, cioè otto, furono salvate…”. In modo simile i lettori della prima lettera erano una minoranza nel mondo pagano e quindi costretti a vivere “come forestieri dispersi” spesso incompresi e trattati ingiustamente (1:1). Le otto anime salvate dal diluvio e i primi lettori della 1Pietro avevano in comune anche l’esperienza di essere in qualche modo “salvate attraverso l’acqua”.
Nel caso dei lettori della 1Pietro, l’immersione (gr. baptisma) in acqua corrispondeva al momento in cui avevano confessato la loro fede in Gesù Cristo come il loro Salvatore e Signore (cfr. Mr 16:15-16; At 2:38; 10:43-48). Pertanto, come non era stata l’acqua in sé a salvare Noè e la sua famiglia, bensì l’arca costruita in obbedienza alla Parola di Dio, così il battesimo, comandato da Cristo, non era stato la causa efficace della salvezza dei pellegrini cristiani a cui Pietro scriveva; lo era stato il trionfo di Cristo sul peccato e sulla morte.
Infatti Pietro precisa:
“… battesimo (che non è l’eliminazione di sporcizia dal corpo, ma la richiesta di una buona coscienza verso Dio). Esso ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo”.
Infatti “se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Ro 10:9).
In definitiva la nostra giustificazione e la nostra salvezza eterna sono rese possibili dalla risurrezione del Salvatore, ovvero l’esito trionfale della sua morte vicaria (si veda Ro 4:25; 1 Co 15:12-23).
Pietro invita i suoi lettori a riflettere sul fatto che il loro battesimo faceva riferimento al trionfo di Cristo, che dopo aver sofferto una volta sola per i peccati, era stato totale. La sua risurrezione aveva dato inizio alla nuova creazione. Quindi non dovevano scoraggiarsi quando si trovavano a soffrire per la giustizia o come cristiani; anzi dovevano “glorificare Cristo come Signore” nei loro cuori (v. 15), sapendo che i nemici di Dio sono stati informati della sua vittoria e ora Cristo “sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti” (v. 22).

Per la riflessione personale e lo studio di gruppo
1. Quante verità apprendiamo da 1Pietro 3:18?
2. L’interpretazione di 1Pietro 3:19-21 proposta sopra tiene presenti i diversi contesti del brano, in particolare quello grammaticale, quello del contesto storico in cui vivevano i primi lettori e quello rievocato di Genesi 6-9. A proposito di questo ultimo, c’è da notare che Pietro attribuisce valore storico al diluvio. In quali altri brani delle lettere di Pietro l’apostolo prende le distanze dalla categoria di miti, quando tratta eventi di carattere soprannaturale?

Rinaldo Diprose
(Assemblea di Roma, Borgata Finocchio)

OMELIA I DOMENICA DI QUARESIMA: « LO SPIRITO SOSPINSE GESÙ NEL DESERTO… »

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/6-Quaresima/1a-Domenica-B-2015/12-01a-Quaresima-B-2015-SC.htm

22 FEBBRAIO 2015 | 1A DOMENICA – T. QUARESIMA B | APPUNTI PER LA LECTIO

« LO SPIRITO SOSPINSE GESÙ NEL DESERTO… »

Il periodo di Quaresima è come un lungo itinerario attraverso gli aspri sentieri del « deserto », con una più avvertita presenza di Dio nel silenzio degli uomini e delle cose, verso la luce splendente della Pasqua: essa viene offerta da Dio come un « dono » completamente gratuito, ma nello stesso tempo come un premio che soltanto coloro, che non si saranno sperduti o scoraggiati nel faticoso cammino, hanno il diritto di ricevere. Una « terra promessa », dunque, la Pasqua, che sta a disposizione di ognuno che verso di essa si protende con tutta l’ansia della conquista faticosa e con tutto l’ardore di chi anela ad un gioioso « riposo » dopo l’arsura della lunga traversata.
L’intreccio di questi vari temi (la prova del deserto, l’esperienza di Dio, il rinnovamento dello spirito, la purificazione del cuore, ecc.) costituisce la trama di fondo delle tre letture bibliche che ci vengono proposte per questa prima Domenica di Quaresima.

Il « diluvio » e il nostro « battesimo »
La prima lettura è ripresa dalla Genesi (9,8-15) e ci descrive l’ »alleanza » contratta da Dio con Noè ed i suoi figli, quali rappresentanti dell’umanità intera, dopo la devastazione del diluvio. Purificata dalle acque del diluvio, nasce un’umanità « nuova »: con essa Dio si impegna, mediante il segno iridato e pacificante dell’ »arcobaleno » (v. 13), a darle vita ed amore per sempre: « Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi… e non ci saranno più le acque del diluvio, per distruggere ogni carne » (vv. 14-15).
Non sarà dunque Dio a rompere il patto; ma l’uomo sarà capace di osservalo per sempre? Tutto il rischio sta da questa parte! La Quaresima vuole aiutarci a scoprire questa perenne ambiguità « rischiosa » che è nel cuore dell’uomo: il che implica l’invito ad una costante « conversione ».
La seconda lettura, ripresa dalla prima lettera di Pietro (3,18-22), è collegata con la precedente per un richiamo « tipologico » al diluvio che, se per i più fu causa di perdizione, per altri, anche se pochi, fu causa di « salvezza », cioè per coloro che poterono entrare nell’arca con Noè: « Figura, questa, del battesimo che ora salva voi; esso non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo… » (vv. 21-22).
È dalle acque del battesimo che, di mezzo al rottame e allo sfasciume del nostro « vecchio » uomo, nasce la « creazione » novella, che è già la Pasqua del Cristo « risorto » e la nostra: da parte del cristiano si tratterà precisamente di vivere secondo le esigenze della « buona coscienza » che la fede in Cristo ha formato in lui. La Quaresima dovrebbe essere uno sforzo di verificare, ed eventualmente di purificare, questa « buona coscienza », cioè l’impegno a vivere secondo le esigenze dell’amore e della fedeltà a Cristo, che ci siamo assunti nel battesimo.
Gesù « rimase nel deserto quaranta giorni, tentato da Satana »
Ma è soprattutto il brevissimo brano del Vangelo di Marco (1,12-15) che ci dà il senso drammatico e gioioso insieme della Quaresima, in quanto tempo di aspra lotta con Satana e anche tempo di vittoria e di trasformazione interiore, operata in noi dall’ascolto del Vangelo della salvezza.
Come si vede facilmente, il brano consta di due parti: il racconto della tentazione di Gesù nel deserto (vv. 12-13) e il primo annuncio del Vangelo nei suoi elementi più essenziali e di maggiore novità (vv. 14-15). È dal congiungimento di queste due parti che si può ricavare il significato « globale » della Quaresima, che la Liturgia intende proporci, anche se più indicativa rimane la prima parte del quadro, cioè il racconto della « tentazione » di Gesù.
Abbiamo detto la « tentazione » di Gesù. Ed è vero. Il testo di Marco, infatti, a differenza di quello di Matteo che pone come scopo del ritrovarsi di Gesù nel deserto proprio la tentazione (« Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo »: 4,1), non si dilunga sulle famose tre tentazioni, come fanno gli altri Sinottici.1 Questo sta a significare che la sua attenzione è rivolta all’insieme del quadro e non ad un solo particolare: proprio per questo, pur nella sua tipica laconicità, il racconto di Marco appare più pregnante ed efficace.
Al primo posto rimane, in ogni modo, anche in Marco, il fatto della « tentazione » di Gesù ad opera di Satana (v. 13); anzi, da come si svolge il racconto, si ha l’impressione che essa sia durata per tutti i quaranta giorni della sua dimora nel deserto. Perciò una « tentazione » particolarmente dura ed affaticante, il primo scontro violento contro la forza del male, impersonata dal suo primo artefice e responsabile, Satana.
Più d’una volta incontreremo Gesù in contrasto con il suo avversario irriducibile, dalla guarigione dell’indemoniato di Cafarnao quando tutta la folla è presa dalla meraviglia perché « comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono » (1,27), al « rimprovero » che egli farà agli spiriti del male che tentano di svelarne il « segreto » alla gente forse per disorientarla (3,11-12), all’accusa di peccato « contro lo Spirito » per coloro che diabolicamente lo accusavano di « cacciare i demoni per mezzo del principe dei demoni » (3,22): è piuttosto vero il contrario, che cioè « il più forte » ormai è venuto ed è riuscito a « legare » l’avversario e a « saccheggiarne » la dimora (3,27)!
Questa grande lotta di Gesù contro Satana comincia proprio dal suo ritiro nel deserto.
Marco non ci dice il contenuto della lunga tentazione di Gesù, ma è facile intuirlo: deve essere stato un sottile gioco di illusione per indurre Gesù a un messianismo « facile » e trionfalistico, piuttosto che a quello « duro » che passerà per la croce. Proprio questa sarà la tentazione che si ripresenterà al Salvatore nell’agonia dell’orto e che egli di nuovo vincerà affidandosi completamente alla volontà del Padre: « Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu » (14,36).
E sarà anche questa la « tentazione » che assalirà quotidianamente i discepoli del Cristo, sino alla fine del mondo. Però egli ripete a tutti noi, soprattutto in questo tempo di Quaresima, quello che disse allora agli apostoli addormentati: « Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole » (14,38).
Oltre a Satana, « nel deserto » si trova anche Dio
Accanto a Satana, però, Cristo trova nel deserto anche una più intensa presenza di Dio, che gli dà forza a superare l’attacco frontale dell’avversario. E non per nulla Marco, come del resto fanno gli altri Sinottici, sottolinea esplicitamente che è lo Spirito Santo che « sospinse Gesù nel deserto » (v. 12): proprio quello Spirito, che era disceso sopra di lui in forma di colomba, poco prima, durante il battesimo ricevuto da Giovanni, consacrandolo in maniera definitiva « Figlio di Dio », non tanto ontologicamente quanto operativamente, vale a dire in modo che Gesù attuasse sempre e solo la volontà del Padre.
Ora il deserto, con la sua immensa solitudine parlante, mette a contatto diretto con Dio e svuota l’anima di tutte le sicurezze umane: il deserto è il luogo dell’impotenza dell’uomo, della fragilità, della sua « perdibilità » ad ogni momento, davanti a un agguato improvviso o allo smarrimento della direzione di marcia. È nel deserto, perciò, che si sente con prepotenza il bisogno di Dio.
Certamente Gesù obbedisce a questa esigenza di un più profondo e prolungato contatto con il Padre quando si ritira nel deserto per « quaranta giorni ».
Il numero « quaranta » poi è un antico numero sacro nella Bibbia, e per di più collegato con l’esperienza del deserto: infatti Israele venne messo alla prova per quarant’anni nel deserto; per quaranta giorni e quaranta notti Mosè si intrattenne in cima al monte solo con Dio, pregando e digiunando; per quaranta giorni e quaranta notti Elia camminò attraverso il deserto fino al monte Oreb, sostenuto miracolosamente dal cibo apprestatogli da Dio.
Un periodo così lungo, dal quale deriva certamente l’ampiezza cronologica in cui è contenuta la nostra attuale Quaresima, sta a dire che un’esperienza di Dio è valida nella misura in cui è prolungata ed afferra la totalità del nostro essere: il disegno di Dio si scopre all’uomo, solo se questi si esercita a leggere in profondità il proprio cuore e, soprattutto, l’immensa profferta di amore fatta dal Padre celeste.
È per questo che, sull’esempio di Cristo, gli uomini che hanno fatto crescere la Chiesa hanno sempre ricercato ampi spazi di silenzio nella loro vita: a incominciare da san Paolo fino a Francesco d’Assisi, a Ignazio di Loyola, a padre Charles de Foucauld, o a padre Pio da Pietrelcina. La Quaresima deve riproporre a ciascuno di noi la via del « silenzio », la quale non è altro che un aspetto dell’esperienza del deserto, per incontrare di nuovo Dio: nel tumulto della nostra vita affannosa incontriamo il più delle volte solo la « contraffazione » del volto di Dio!
« Gesù stava con le fiere »
C’è un particolare curioso nella breve narrazione di Marco e che è esclusivo del secondo evangelista: « Gesù stava con le fiere » (v. 13). Che significato ha questa frase piuttosto strana?
Dato che Marco è così asciutto ed essenziale nel suo scrivere, non è a pensare che egli abbia voluto aggiungere una nota di colore per proporci in maniera più nitida lo sfondo del deserto; e tanto meno è a pensare che le « fiere » siano qui presentate come alleate di Satana nell’opera di seduzione del Cristo. « Si tratta di qualcosa di più: il Messia, il quale vive in intima comunione con Dio, ristabilisce la pace anche con le bestie feroci, che costituiscono per l’uomo un continuo pericolo. La frase può ben riecheggiare il Salmo 91, ma non nel senso di una vittoria sulle bestie « malvagie », quanto piuttosto nel senso di una riconciliazione con le creature di Dio. A dire il vero, il pensiero del « secondo Adamo » che ci riporta ai tempi del paradiso terrestre non affiora nel Vangelo di Marco. Ma si sa che per l’era messianica era atteso anche il ritorno alla mansuetudine di tutte le fiere; e il Messia pieno di Spirito di Dio sperimenta, nella sua lotta contro Satana, l’avverarsi di questa profezia ».
Vincendo Satana, Cristo rinnova l’universo, rappacifica la creazione, riporta gli uomini a colloquio con Dio e fra di loro. L’ultima annotazione di Marco, che gli è comune con gli altri Sinottici, sugli angeli che « lo servivano » (v. 13), non vuole alludere soltanto ad una specie di « compiacimento » del Padre per la vittoria del Cristo sul male, per cui gli mette a disposizione i suoi « ministri », ma anche a questa universale « trasformazione » che l’azione e il messaggio di Gesù operano nel cuore degli uomini. In questo senso la scena del deserto è un’anticipazione programmatica della missione salvifica di Gesù, che Marco narrerà nel seguito del suo Vangelo.
« Convertitevi e credete al Vangelo »
Le prime parole dell’annuncio di Gesù, dopo la grande esperienza del deserto, non fanno altro che dilatare e proclamare al mondo la necessità di questa novità e trasformazione che egli per primo ha realizzato in sé nella sua titanica lotta contro Satana: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » (v. 15). La « vera » conversione, quella che la Quaresima esige da noi, è di restituire a Dio il primo posto nella nostra vita, cacciando Satana da ogni angolo, anche il più nascosto, della nostra esistenza.

Da CIPRIANI S., Convocati dalla Parola. Riflessioni biblico-liturgiche,

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 20 février, 2015 |Pas de commentaires »

“Survival in the Wilderness”, Manna and Quail

 “Survival in the Wilderness”, Manna and Quail dans immagini sacre week13-large-1
http://blog.spu.edu/lectio/survival-in-the-wilderness/

Publié dans:immagini sacre |on 19 février, 2015 |Pas de commentaires »
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