IL PRIGIONIERO DI CRISTO GESÙ» (Ef. 3,1) – Lucien Cerfaux *
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IL PRIGIONIERO DI CRISTO GESÙ» (Ef. 3,1)
Lucien Cerfaux *
Lucien Cerfaux, nato in Belgio nel 1883, si è dedicato all’insegnamento della Sacra Scrittura e ha avuto l’unica ambizione di mettere tutta la sua vita al servizio della Parola di Dio. La sua ricerca esegetica, fondata su una fede incrollabile, è caratterizzata dalla preoccupazione di ritrovare il senso originale dei testi, specie del Nuovo Testamento, fino a raggiungere quasi una connaturalità con gli autori sacri. Egli ha comunicato i frutti dei suoi studi attraverso numerosi articoli, notevoli per rigore scientifico: ma la sua prima grande opera su san Paolo l’ha pubblicata solo a 60 anni. Morto a 85 anni, ha lasciato una splendida testimonianza di vita sacerdotale e apostolica.
Paolo, vedendosi prigioniero, si è resoconto che ormai si avvicina il termine della sua corsa. Ha varcato la soglia della vecchiaia. Con coraggio conclude il suo viaggio apostolico cominciato sulla via di Damasco… Le catene lo tengono avvinto a Gesù Cristo, l’identificano a lui, lo consacrano. Per la Chiesa, corpo di Cristo, completa nella sua carne quel che manca alle sofferenze di Gesù (cfr. Col. 1,24). Egli sta al posto del «Servo sofferente»; non ha corso invano, non ha «lavorato invano».
E’ anche consacrato, come quei grandi sacerdoti-profeti che si collocano nella linea di Samuele e hanno l’incarico di offrire sacrifici e manifestare i segreti di Dio. In questo senso Paolo è stato scelto, perché rivelasse ai pagani la chiamata a Cristo, perché li offrisse a Dio quale sacrificio di odore soave.
Egli vuole che i suoi cristiani, come le vittime senza difetto che venivano scelte per i sacrifici, siano puri e irreprensibili, figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione traviata e perversa…, per custodire la parola di vita (Fil. 2, 15-16). Sul sacrificio liturgico offerto dalla loro fede, egli versa la libazione della sua sofferenza in una gioia santa, che vuole condividere con loro.
Nella liturgia spirituale che è ogni vita cristiana e specialmente quella di Paolo, sacerdote e vittima nella sua I corsa apostolica, consacrato in virtù della sua prigionia, egli rivolge a Dio una preghiera solenne per i suoi cristiani venuti dal paganesimo: Perciò, io Paolo, prigioniero di Cristo per voi, che eravate pagani… piego le ginocchia davanti al Padre (Ef. 3, 1, 14). Oggetto della sua ininterrotta preghiera sarà la gratitudine per l’ingresso dei pagani nella Chiesa dei santi, per il loro radicarsi nella carità, per la comprensione dell’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, a cui si aggiunge la supplica: che essi siano colmati in tutto della pienezza di Dio (cfr. Ef. 3, 19).
L’attività dell’apostolo si conclude nel suo restare immobile alla presenza di Dio. Così ai profeti dell’Antico Testamento non incombeva più l’obbligo del pellegrinaggio al tempio e dell’adorazione rituale per trovarsi «davanti al volto di Dio». In fondo la loro stessa missione era uno sperimentare la Presenza: «Viva Dio al cui cospetto io sto». Come loro, Paolo aveva ricevuto la sua vocazione in una visione inaugurale che aveva proiettato luce su tutta la sua vita apostolica, che era andata progressivamente trasformandolo in Cristo, di cui aveva contemplato il volto, immagine del volto di Dio. La preghiera che s’innalza dalla sua prigione costituisce il culmine del mistero del suo apostolato.
* L’itinéraire spirituel de saint Paul, Le Cerf, Parigi 1966 pp. 178-180.

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