IL PROBLEMA DELLA CHIESA COME POPOLO DI DIO E CORPO DI CRISTO (anche Paolo)

http://web.tiscali.it/cattolici/salvezza_sacrificio.htm

(non trovo la firma, ma mi sembra un studio fatto bene)

IL PROBLEMA DELLA CHIESA COME POPOLO DI DIO E CORPO DI CRISTO

La parola « popolo » per indicare il « popolo di Dio », il popolo che appartiene a Dio e che Egli salva, ricorre solo cinque volte nel Nuovo Testamento (Tt 2, 14; Eb 4, 9; 10, 30; 1 Pt 2, 9-10; Ap 18, 4). L’espressione è conservata nell’ecclesiologia patristica, sia per indicare la dignità sacerdotale dei cristiani (Origene), sia per concepire dinamicamente e storicamente la Chiesa pellegrina sulla terra.
Ma è solo nel XX secolo che tale espressione ha avuto un grande sviluppo e una grande affermazione, sia nelle opere di teologi (come Cerfaux, Schmaus, Congar, Colombo, Semeraro tra i cattolici; Schlier, Schnackenburg, Oepke tra i protestanti), sia nei documenti del Magistero.
In un recente libro di ecclesiologia, Casale afferma che « tutto ciò che si può e si deve dire della Chiesa – storicamente e sovrastoricamente – si riferisce al « popolo di Dio » come al suo oggetto ». 1 E più avanti: « Dio raccoglie un’Ekklesia, un popolo, il che avviene già in questa storia ». 2
L’idea di Chiesa come popolo di Dio è privilegiata in due documenti importantissimi del Magistero cattolico: la costituzione dogmatica del concilio Vaticano II Lumen Gentium (1964) e il Catechismo della Chiesa cattolica (1992).
Ma è proprio da un attento esame di questi due documenti che nasce quello che si può chiamare il problema della Chiesa come popolo di Dio. Problema che viene fuori anche dall’esame di alcuni passi di altri importanti documenti della Chiesa, come l’enciclica di Pio XII Mystici Corporis (1943), la dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1965) e l’esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi (1975).
Partiamo da due passi della Sacra Scrittura. In At 10, 35 Pietro afferma che « Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto ». Da notare che queste parole escono proprio dalla bocca di Pietro, il Vicario di Cristo, il primo papa. E in Gal 3, 28 Paolo afferma: « Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina, poiché tutti voi siete una sola persona in Cristo Gesù ». Vi è in essi la chiara attestazione che l’uomo buono, che fa la volontà di Dio, a qualunque popolo appartenga, è in Cristo e Dio lo salva.
E così è chiaro perché il Concilio Vaticano II possa dire che « quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio, e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna » (LG n. 16).
La domanda che a questo punto ci si deve porre è questa: se un ebreo, o un musulmano, o un induista, o un buddista, o qualunque uomo ignora il Vangelo di Cristo, oppure è stato chiamato ad entrare nella Chiesa cattolica e non vi è entrato, però compie con le opere la volontà di Dio, costui fa parte o no del popolo di Dio?
Se la Chiesa è definita « popolo di Dio », questa domanda è ineludibile, non si può evitare di dare una risposta.
La stessa domanda sorge se si considera la Chiesa come corpo di Cristo.
La definizione della Chiesa come corpo di Cristo ha un fondamento biblico nel corpus paolino. San Paolo afferma, infatti, che Cristo è un solo corpo che ha molte membra (1 Cor 12, 12), che noi siamo membra del corpo di Cristo (1 Cor 6, 15; 12, 27; Ef 5, 30), che formiamo un solo corpo (Rm 12, 5; 1 Cor 10, 17; 12, 13; Ef 4, 4; Col 3, 15) e che questo corpo di Cristo è la Chiesa (Ef 1, 22-23; Col 1, 18.24).
Anche il Magistero cattolico definisce in diversi documenti la Chiesa come corpo di Cristo: nell’enciclica di Pio XII Mystici Corporis (nn. 13-61); nel decreto conciliare Unitatis Redintegratio al n. 3; nel decreto conciliare Ad Gentes al n. 6; nel Catechismo della Chiesa cattolica al n. 830; nell’esortazione apostolica postsinodale di Giovanni Paolo II Ecclesia in Asia al n. 16.
Poiché i pagani « sono chiamati in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo » (Ef 3, 6), e poiché Cristo è il salvatore di tutti, cristiani e non cristiani, è inevitabile porsi la domanda se i non cristiani fanno parte o no del corpo di Cristo.
Le risposte possibili alle due domande, relative al popolo di Dio e al corpo di Cristo, sono evidentemente solo due: o sì o no.
Facciamo l’ipotesi di rispondere no.
In tal caso ci troviamo di fronte a due possibilità conseguenti. Se quest’uomo, che non fa parte del popolo di Dio, non è salvato, allora occorrerà ammettere che solo gli appartenenti alla Chiesa cattolica, il popolo di Dio e corpo di Cristo, si salvano. Ma ciò è negato dalla stessa Chiesa cattolica, quando afferma nella Lumen Gentium che la persona, non cattolica, di cui stiamo parlando è uno tra quelli che « possono conseguire la salvezza eterna » (n. 16).
L’altra possibilità è che quest’uomo è salvato da Dio senza che appartenga al popolo di Dio o e salvato da Cristo senza appartenere al corpo di Cristo. Il che è assurdo.
Come è improponibile la possibilità che quest’uomo mentre è in vita non appartiene al popolo di Dio, e subito dopo morto vi apparterrà. Quest’ultima possibilità è contraddetta peraltro dalla stessa Lumen Gentium, quando afferma: « Alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri, passati da questa vita, stanno purificandosi, e altri godono della gloria contemplando « chiaramente Dio uno e trino, qual è »; tutti però, […] formano una sola Chiesa » (n. 49).
La risposta alla domanda che ci siamo posti non può dunque essere negativa. Occorre ammettere e accettare che l’appartenenza al popolo di Dio e al corpo di Cristo non è limitata agli aderenti alla Chiesa cattolica oggi visibile. Se, come afferma Ratzinger, « appartiene al popolo di Dio chi appartiene a Cristo », 3 se, come attesta il Concilio Vaticano II, Cristo « si è unito in certo modo ad ogni uomo » (GS n. 22) e se, come sostiene Giovanni Paolo II, compito fondamentale della Chiesa è di « far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi » (RH n. 13), allora occorre anche ammettere che la « Chiesa di Dio » (1 Cor 10, 32; 11, 22; 15, 9; Gal 1, 13; 1 Tm 2, 5) abbraccia l’universale popolo di Dio, nel quale si entra per l’accoglienza dei doni dello Spirito di Cristo donati a tutti, dei quali « più grande è la carità » (1 Cor 13, 13). E ancora, come afferma Füglister, che l’ecclesiologia « tratta dell’unico « corpus Ecclesiae », dell’unico e indiviso popolo di Dio ». 4 Del resto, è lo stesso Magistero cattolico ad attestare, nel decreto conciliare Ad Gentes (1965), che Cristo si è incarnato, è morto ed è risorto perché « tutto il genere umano costituisca un solo popolo di Dio » (AG n. 7).
A questo punto, però, nasce un problema. Se una parte del popolo di Dio è fuori della Chiesa cattolica, questa costituisce solo una parte dell’universale popolo di Dio, e non è, come vogliono la Lumen Gentium (n. 13) e il Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 782-783), « il popolo di Dio »; né in essa è presente la Chiesa universale. Si dovrebbe cioè accettare che la Chiesa cattolica è solo un’istituzione, è una Chiesa particolare e non universale; e così ridurre la sua cattolicità o a totalità o a missionarietà.
La cattolicità comprende la totalità nel senso che la Chiesa è cattolica anche perchè costituita dalla totalità delle Chiese locali, che sono essenzialmente identiche in ogni luogo e in ogni tempo, perché hanno tutte lo stesso Dio, la stessa fede, lo stesso Vangelo, gli stessi sacramenti (battesimo, eucaristia). « Soltanto tutte le Chiese sono la Chiesa totale, – scrive Küng – e ciò non in quanto addizionate o associate esternamente, ma in quanto interiormente unite nello stesso Dio, Signore e Spirito, attraverso lo stesso Vangelo, lo stesso battesimo, lo stesso banchetto eucaristico e la stessa fede ». 5
La totalità è sottolineata in alcuni passi del Magistero cattolico: « Cristo istituì questo nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11, 25), chiamando gente dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito e costituisse il nuovo Popolo di Dio » (LG n. 9); « Il popolo di Dio si raccoglie da diversi popoli » (LG n. 13); « Questa varietà di Chiese locali tendenti all’unità, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa » (LG n. 23).
Ma la cattolicità non può esaurirsi nella totalità, perché se così fosse tutte le Chiese (ortodosse, luterane, calviniste, ecc.) sarebbero cattoliche, avendo lo stesso Dio, la stessa fede, lo stesso Vangelo e gli stessi sacramenti. La Chiesa cattolica, invece, è tale proprio perché cattolicità è qualcosa in più rispetto a totalità.
Se il presupposto della cattolicità fosse solo l’identità di tutte le Chiese locali, la Chiesa cattolica non sarebbe più pienamente tale, in quanto diversa dalle altre. Ciò è riconosciuto dallo stesso Magistero quando afferma: « Le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa stessa attui la pienezza della cattolicità » (UR n. 4).
La cattolicità comprende anche la missionarietà della Chiesa, e ciò risulta da diverse affermazioni del Magistero. Leggiamo nella Lumen Gentium che « il popolo di Dio, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli » (LG n. 13); qui è chiaro che l’espressione « si deve estendere » non può intendersi nel senso di « si deve considerare esteso », bensì nel senso di « deve essere esteso ». Anche il decreto Ad Gentes collega, in due passi, cattolicità e missionarietà: « La Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini » (AG n. 1); « Per quanto riguarda gli uomini, i gruppi e i popoli, solo gradatamente la Chiesa li raggiunge e li penetra, e li assume così nella pienezza cattolica » (AG n. 6). E il Catechismo della Chiesa cattolica sostiene che la Chiesa « è cattolica perché è inviata in missione da Cristo alla totalità del genere umano » (CCC n. 831).
Ma questo legame tra cattolicità e missionarietà, che nessuno nega, non esaurisce la cattolicità della Chiesa. La Chiesa, infatti, ha da sempre, fin dalla sua fondazione, concepito se stessa come Chiesa universale, Chiesa di Cristo, Chiesa di Dio. « I cristiani – scrive U. Casale – hanno avuto fin dall’inizio il senso di appartenenza a un corpo unico di estensione universale ». 6
Già Paolo, rivolgendosi ai Corinzi, indica la Chiesa come « Chiesa di Dio che è in Corinto » (2 Cor 1, 2), non come la Chiesa « di Corinto ». E nella Lettera ai Galati parla delle « Chiese della Giudea che sono in Cristo » (Gal 1, 22). Abbiamo già parlato della teologia paolina della Chiesa come corpo di Cristo.
Giovanni, anche se non usa mai il termine « ekklesia », vede nella Chiesa un rapporto di comunione dei credenti fra loro e con il Padre e il Figlio (cfr. 1 Gv 1, 1-3). E nell’Apocalisse l’immagine della « Donna vestita di sole » e coronata « di dodici stelle » (Ap 12, 1) rappresenta la Chiesa come popolo messianico di Dio.
Nell’età subapostolica, Origene vede nella Chiesa « l’universo dell’universo » (In Ioh. 6, 59, 301), e parla di un Adamo spezzato riunito nel Cristo. Secondo la celebre formula di Cipriano, la Chiesa è « un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo » (De Dom. Orat. 23).
L’età patristica conosce la grandiosa ecclesiologia di Agostino, che applica alla Chiesa l’immagine di « città di Dio », pur considerandola sempre « il corpo di Cristo » (Sermo 45). Si tratta di una visione universalistica, come risulta chiaramente anche dal seguente passaggio: « Tutti siamo insieme membra e corpo di Cristo, non solo quanti ci troviamo in questo luogo, ma quanti siamo sparsi in tutto il mondo; né solamente quelli che esistono oggi, ma addirittura quanti sono esistiti o esisteranno da Abel e sin alla fine del mondo » (Sermo 341). Secondo Agostino, inoltre, « tutti quelli che fin dalle origini furono giusti, hanno per capo Cristo » (Ennar. In Ps., 36, 3, 4).
Nei secoli tra il VI e l’XI non vengono elaborate trattazioni sulla Chiesa che non ripetano l’impostazione agostiniana.
Con la scolastica (secoli XII-XV), insieme all’avvento di un nuovo paradigma culturale, l’aristotelismo, si apre una fase di nuova riflessione teologica. Si fa strada l’idea che la vera Chiesa è la « communio sanctorum », che non coincide con la Chiesa esteriore visibile, il che implica una critica (o autocritica) nei riguardi della Chiesa esistente.
Tommaso d’Aquino, restando nell’ambito del modello ecclesiologico della Chiesa come corpo di Cristo animato e vivificato dallo Spirito, sottolinea l’unità e l’universalità della Chiesa. « Abbracciando tutti i tempi, – egli scrive – Cristo è capo di tutti gli uomini, ma secondo gradi diversi. Prima e principalmente è capo di coloro che sono uniti a lui nella gloria, poi di coloro che gli sono uniti in atto mediante la carità, poi di coloro che gli sono uniti attualmente mediante la fede, poi di coloro che gli sono uniti soltanto in potenza » (Sum. Theol. III, 8, 1). Da notare in questo passo che, secondo l’aquinate, prima sono uniti a Cristo coloro che praticano la carità, e solo dopo coloro che hanno la fede; non solo, ma vi sono alcuni che anche se « in potenza » tuttavia « gli sono uniti ».
Dopo la riforma protestante e l’ecclesiologia luterana, che, partendo dall’oppo-sizione biblica natura/grazia, la identifica sostanzialmente nell’opposizione sensibile/spirituale o esteriore/interiore, e giunge a negare che un organismo sensibile e visibile come la Chiesa possa essere legato, o in relazione, alla grazia, cioè a qualcosa che Dio comunica liberamente e gratuitamente all’uomo, e ad affermare che nella parola di Dio c’è « tutta la vita e la sostanza della Chiesa » (M. Lutero, W. A. 7, 721), concependo l’essenza della Chiesa come comunione dei santi spirituale e invisibile, in cui si entra solo attraverso la fede, il Concilio di Trento (1545-1564) concepisce la Chiesa come « popolo sparso per l’universo » (cfr. D. S. 1544), in cui non si entra solo con la fede, ma anche con la speranza e la carità (cfr. D. S. 1531).
Dopo l’inevitabile chiusura della Chiesa in se stessa (« la cittadella assediata ») seguita alla costituzione dogmatica del Concilio Vaticano I Pastor Aeternus (1870), incentrata sul primato del pontefice e sul suo infallibile Magistero, che garantirebbe l’unità della Chiesa, Pio XII, con l’enciclica Mystici Corporis (1943), dà un importantissimo contributo all’autocomprensione della Chiesa cattolica come corpo mistico di Cristo, organico e unitivo di visibilità e invisibilità. Scrive Pio XII: « La Chiesa non consta soltanto di elementi e argomenti sociali e giuridici. Essa è certamente molto più eccellente di qualunque altra società umana e la supera come la grazia supera la natura e come le cose immortali trascendono tutte le cose caduche » (MC n. 61). E ancora: « Nessuna vera opposizione o ripugnanza può esistere tra la missione invisibile dello Spirito Santo e l’ufficio giuridico che i Pastori e i Dottori hanno ricevuto da Cristo » (MC n. 64).
Il Concilio Vaticano II, con la Lumen Gentium, accentra il carattere di universalità della Chiesa cattolica, che si apre alla prospettiva dell’universale popolo di Dio. Leggiamo alcuni passi che evidenziano questa apertura. « Tutti i giusti a partire da Adamo, dal giusto Abele fin all’ultimo eletto, saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale » (n. 2); « La società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà » (n. 8); « Questa unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica » (n. 8); « Questo carattere di universalità che adorna e distingue il Popolo di Dio, è dono dello stesso Signore » (n. 13); « Tutti gli uomini sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla quale in vario modo appartengono e sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono chiamati alla salvezza » (n. 13).
Secondo l’ecclesiologia conciliare, dunque, l’universalità della Chiesa è sia sincronica che diacronica, ne fonda la cattolicità ed è fondata sull’universale volontà salvifica di Dio.
Successive affermazioni magisteriali dell’universalità della Chiesa si trovano in altri documenti. Nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) Paolo VI afferma che « la Chiesa è universale per vocazione e per missione » (n. 62). Nel Catechismo della Chiesa cattolica (1992), promulgato da Giovanni Paolo II, si afferma che nella Chiesa cattolica « sussiste la pienezza del Corpo di Cristo » (n. 830). E nell’enciclica dello stesso Giovanni Paolo II Ut Unum Sint (1995) si legge che « questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. […] Appartiene all’essere stesso di questa comunità. Dio vuole la Chiesa, perché egli vuole l’unità. […] Volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l’eternità » (n. 9).
Al termine di questa essenziale rassegna sulla cattolicità della Chiesa come universalità, non si può non notare che essa è stata, nel corso della sua storia, affermata, se si esclude Origene, da apostoli, santi, papi e concili, che costituiscono e rappresentano istituzionalmente alcuni tra i momenti più importanti della storia della Chiesa (Paolo, Giovanni, Cipriano, Agostino, Tommaso d’Aquino, Concilio di Trento, Pio XII, Concilio Vaticano II, Paolo VI, Giovanni Paolo II).
La Chiesa di Cristo è cattolica e universale essenzialmente per due motivi. Perché il corpo di Cristo è uno, come attestano i dati biblici che abbiamo visto. Non c’è un « altro corpo » dove siano altri, ma tutti sono nel « solo » corpo di Cristo. Poiché questo corpo è la Chiesa (lo dicono i dati biblici e le attestazioni magisteriali che abbiamo visto) e poiché in questo corpo sono anche i non cristiani, la Chiesa comprende tutti. L’altro motivo per cui la Chiesa di Cristo è cattolica e universale e la sua cattolicità non si esaurisce nella missionarietà è che Cristo non è solo nei cristiani, ma è in tutti; e ciò perché, come attestano i numerosi dati biblici e magisteriali che abbiamo già visto, lo Spirito Santo donato a tutti gli uomini è lo Spirito di Cristo. Se Cristo è in tutti, anche nei non cristiani, la Chiesa di Cristo comprende tutti.
Abbiamo fin qui visto da un lato che la Chiesa cattolica costituisce di fatto solo una parte dell’universale popolo di Dio, dall’altro che la sua cattolicità non si esaurisce né nella sua totalità-identità, né nella sua missionarietà; e che essa si è da sempre autocompresa come Chiesa di Dio Padre di tutti gli uomini, unica Chiesa di Cristo, Chiesa dell’universale popolo di Dio.
Il problema a questo punto è evidente. Come può un organismo che è legato a una parte di un tutto dire di essere legato al tutto? La Chiesa visibile si autocomprende come popolo di Dio, mentre il popolo di Dio è in gran parte nella Chiesa invisibile. La Chiesa visibile si autocomprende come Chiesa cattolica, ma non può legare la sua cattolicità alla Chiesa invisibile, perché allora la cattolicità sarebbe altrove ed essa riconoscerebbe di fatto di non essere pienamente cattolica. Né il visibile e l’invisibile si possono identificare, perché la libertà di Dio verrebbe legata a quella dell’uomo e quasi delimitata da un’istituzione. Dev’esservi allora una continua tensione del visibile verso l’invisibile, e cioè una permanente capacità e disponibilità delle forme istituzionali visibili a rinnovarsi per l’impulso dello Spirito.
Se Cristo si è incarnato, è morto ed è risorto perché « tutto il genere umano costituisca un solo popolo di Dio » (AG n. 7), come può la Chiesa essere fino in fondo di Cristo e al servizio di Cristo, rimanendo la Chiesa di una parte del genere umano? É un problema che il cattolicesimo non può evitare né nascondere. Esso viene fuori, del resto, come abbiamo visto, dall’esame dei documenti del Magistero stesso. É un problema cruciale che occorre affrontare e tentare di risolvere.

La soluzione a mio avviso c’è. E sarà articolata nelle pagine successive sotto due aspetti: uno relativo all’aderenza alla verità (biblico), l’altro relativo alla fattibilità (storico).

NOTE
Casale U., Il mistero della Chiesa. Saggio di ecclesiologia, Elle Di Ci, Leumann (TO), 1998, pag. 160.
Ibidem, pag. 195.
Ratzinger J., Le Sel de la terre, Flammarion – Éditions du Cerf, Paris, 1997; trad. it., Il sale della terra, ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, pag. 213.
Füglister N., Strutture dell’ecclesiologia veterotestamentaria, in Mysterium Salutis VII, pag. 112.
Küng H., Die Kirche, 1967, trad. it., La Chiesa, Queriniana, Brescia, 1972, pag. 347.
Casale U., cit., pag. 258.

Publié dans : CHIESA (sulla) |le 12 février, 2015 |Pas de Commentaires »

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