Archive pour janvier, 2015

I Tre Re Magi

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Publié dans:immagini sacre |on 5 janvier, 2015 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI – SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE (2009 anno paolino)

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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE (2009 anno paolino)

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Martedì, 6 gennaio 2009

Cari fratelli e sorelle!

L’Epifania, la « manifestazione » del nostro Signore Gesù Cristo, è un mistero multiforme. La tradizione latina lo identifica con la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivelazione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece, privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quando egli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dallo Spirito Santo. Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare « epifania » anche le nozze di Cana, dove Gesù, mutando l’acqua in vino, « manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui » (Gv 2,11). E che dovremmo dire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, che ogni giorno siamo testimoni e ministri dell’ »epifania » di Gesù Cristo nella santa Eucaristia? Tutti i misteri del Signore la Chiesa li celebra in questo santissimo e umilissimo Sacramento, nel quale egli al tempo stesso rivela e nasconde la sua gloria. « Adoro te devote, latens Deitas » – adorando, preghiamo così con san Tommaso d’Aquino.
In questo anno 2009, che, nel 4° centenario delle prime osservazioni di Galileo Galilei al telescopio, è stato dedicato in modo speciale all’astronomia, non possiamo non prestare particolare attenzione al simbolo della stella, tanto importante nel racconto evangelico dei Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi erano con tutta probabilità degli astronomi. Dal loro punto di osservazione, posto ad oriente rispetto alla Palestina, forse in Mesopotamia, avevano notato l’apparire di un nuovo astro, ed avevano interpretato questo fenomeno celeste come annuncio della nascita di un re, precisamente, secondo le Sacre Scritture, del re dei Giudei (cfr Nm 24,17). I Padri della Chiesa hanno visto in questo singolare episodio narrato da san Matteo anche una sorta di « rivoluzione » cosmologica, causata dall’ingresso nel mondo del Figlio di Dio. Ad esempio, san Giovanni Crisostomo scrive: « Quando la stella giunse sopra il bambino, si fermò, e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gli astri non hanno: prima, cioè, nascondersi, poi apparire di nuovo, e infine arrestarsi » (Omelie sul Vangelo di Matteo, 7, 3). San Gregorio di Nazianzo afferma che la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr Poemi dogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi in senso simbolico e teologico. In effetti, mentre la teologia pagana divinizzava gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compimento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signore dell’intero universo.
E’ l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio « l’amor che move il sole e l’altre stelle » (Paradiso, XXXIII, 145). Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore (cfr Enc. Spe salvi, 5). Se è così, allora gli uomini – come scrive san Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli « elementi del cosmo » (cfr Col 2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio. Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, « Parola-Ragione » che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia. C’è dunque nel cristianesimo una peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teologia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca, dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità.

Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un « libro » – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la « sinfonia » del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un « assolo », un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo « assolo » è Gesù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuova stella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani ad un nuovo sole. Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmo paragonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare, ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, al tempo stesso fisico e metafisico, che ha portato alla comparsa dell’essere umano quale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: « nato da donna » (Gal 4,4), come scrive san Paolo. Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. E’ il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera.
Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nel Cristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna anticipa il punto della « ricapitolazione » di tutto in Cristo (cfr Ef 1,10). Tutte le cose, infatti – scrive l’Apostolo –, « sono state create per mezzo di lui e in vista di lui » (Col 1,16). E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha ottenuto « il primato su tutte le cose » (Col 1,18). Lo afferma Gesù stesso apparendo ai discepoli dopo la risurrezione: « A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra » (Mt 28,18). Questa consapevolezza sostiene il cammino della Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo nei credenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla grande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni della terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del creato. Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro, conserva il suo valore e il suo senso – ho annotato nella già citata Enciclica Spe salvi – anche se apparentemente non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè « è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire » (n. 35).
La signoria universale di Cristo si esercita in modo speciale sulla Chiesa. « Tutto infatti – si legge nella Lettera agli Efesini – [Dio] ha messo sotto i suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose » (Ef 1,22-23). L’Epifania è la manifestazione del Signore, e di riflesso è la manifestazione della Chiesa, perché il Corpo non è separabile dal Capo. La prima lettura odierna, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre la prospettiva precisa per comprendere la realtà della Chiesa, quale mistero di luce riflessa: « Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme – perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te » (Is 60,1). La Chiesa è umanità illuminata, « battezzata » nella gloria di Dio, cioè nel suo amore, nella sua bellezza, nella sua signoria. La Chiesa sa che la propria umanità, con i suoi limiti e le sue miserie, pone in maggiore risalto l’opera dello Spirito Santo. Essa non può vantarsi di nulla se non nel suo Signore: non da lei proviene la luce, non è sua la gloria. Ma proprio questa è la sua gioia, che nessuno potrà toglierle: essere « segno e strumento » di Colui che è « lumen gentium », luce dei popoli (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1).
Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesa e, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’Apostolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidandoli fino a Gesù (cfr san Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244). Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una « corsa » per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cristo? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una « stella » per le genti. Il suo ministero è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente missionaria e a rinnovare l’impegno per l’annuncio del Vangelo, specialmente a quanti ancora non lo conoscono. Ma, guardando a san Paolo, non possiamo dimenticare che la sua predicazione era tutta nutrita delle Sacre Scritture. Perciò, nella prospettiva della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, va riaffermato con forza che la Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce, che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Parola di Dio. E’ la Parola che illumina, purifica, converte, non siamo certo noi. Della Parola di vita noi non siamo che servitori. Così Paolo concepiva se stesso e il suo ministero: un servizio al Vangelo. « Tutto io faccio per il Vangelo » – egli scrive (1 Cor 9,23). Così dovrebbe poter dire anche la Chiesa, ogni comunità ecclesiale, ogni Vescovo ed ogni presbitero: tutto io faccio per il Vangelo. Cari fratelli e sorelle, pregate per noi, Pastori della Chiesa, affinché, assimilando quotidianamente la Parola di Dio, possiamo trasmetterla fedelmente ai fratelli. Ma anche noi preghiamo per voi, fedeli tutti, perché ogni cristiano è chiamato per il Battesimo e la Confermazione ad annunciare Cristo luce del mondo, con la parola e la testimonianza della vita. Ci aiuti la Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione, a portare a compimento insieme questa missione, e interceda per noi dal cielo san Paolo, Apostolo delle genti. Amen.

EPIFANIA DEL SIGNORE GESÙ: « ABBIAMO VISTO LA SUA STELLA E SIAMO VENUTI PER ADORARLO »

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6 GENNAIO 2015 | EPIFANIA DEL SIGNORE GESÙ – ANNO B | APPUNTI PER LA LECTIO

« ABBIAMO VISTO LA SUA STELLA E SIAMO VENUTI PER ADORARLO »

Si potrebbe dire che, in un certo senso, la festa dell’Epifania è un secondo Natale. Con questa differenza, però: mentre il Natale accentua di più l’aspetto dell’abbassamento e del misconoscimento del mistero della nascita del Signore, l’Epifania vuol esserne la proclamazione al cospetto del mondo, rappresentato qui dai « magi », che vengono « dall’oriente » (Mt 2,1) proprio alla sua ricerca.
Cosicché Gesù non è soltanto per gli « Ebrei » che, ad eccezione dei « pastori » di cui ci parla san Luca (2,8-20), non sembrano neppure essersi accorti di lui, ma anche per i « pagani » che, con i primi, sono ormai chiamati a « formare lo stesso corpo », come ci ricorderà tra poco san Paolo (Ef 3,6). Gesù è veramente il « cuore » del mondo e tutti gli uomini, senza differenza di razza, di lingua e di cultura, possono finalmente trovare in lui la salvezza.
In questo senso, l’Epifania dilata e approfondisce la portata teologica del Natale: quel piccolo fanciullo, che i pastori e i magi « adorano », riconoscendolo come Figlio di Dio, è l’atteso non solo di Israele ma di « tutte le genti ». La luminosità e la festosità, di cui la Liturgia odierna è carica, più di quella stessa di Natale, è il riflesso di questa dilatazione del mistero della salvezza, che i « magi » portano come a spalla per il mondo, quale « primizia » delle nazioni.
« Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce »
Proprio su questo « universalismo » della salvezza si intrattiene, con commozione e lirismo insieme, la prima lettura in cui il Terzo-Isaia preannuncia lo splendore della futura Gerusalemme, che diventa come un faro nella notte, polo di attrazione non solo degli Ebrei che ritornano dal loro forzato esilio, ma anche di tutti i popoli.
« Alzati, rivèstiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te… Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere… Le ricchezze del mare si riverseranno su di te… Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso, e proclamando le glorie del Signore » (Is 60,1-6).
I tesori del « mare » vengono dall’ovest, con le navi fenicie o greche; le ricchezze dell’Oriente e dell’Egitto vengono invece con le carovane attraverso i deserti della Siria e del Sinai. Madian, Efa e Saba sono appunto popoli della penisola arabica. Le allusioni alle ricchezze dell’Oriente e la prospettiva « universalistica » di tutto il brano hanno indotto la Liturgia ad applicare questo brano al mistero dell’Epifania.
Ma al di là di questo, è soprattutto il tono di « luminosità » che domina tutto il brano a richiamare la Epifania, che nella Chiesa di Oriente viene detta appunto « festa dei santi lumi ». La « stella », infatti, farà da protagonista a tutto il racconto dei magi. Più che essere una indicatrice del viaggio, essa appare una calamita che attira irresistibilmente questi misteriosi personaggi.
La « luce » di Cristo « splendente sul volto della Chiesa »
Nell’applicazione che la Liturgia fa del brano di Isaia alla festa dell’Epifania, indubbiamente al centro non sta più Gerusalemme, ma Gesù in quanto « luce » e, se mai, Betlemme, « infima » fra le città di Giuda, diventata luminosa solo perché in essa è nata la « luce del mondo », come di fatto egli si chiamerà nel Vangelo. Perciò la polarizzazione avviene tutta intorno a lui, che però riflette la sua luce su quelli che a lui si avvicinano, e sulle aggregazioni o istituzioni che vogliono ispirarsi al suo messaggio.
In questo senso è chiaro che la « nuova » Gerusalemme, che dovrebbe effondere sino alle estremità della terra la luce di Cristo, è la Chiesa. È esattamente quanto leggiamo all’inizio della Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa: « Essendo Cristo la luce delle genti, questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera con la luce di lui, splendente sul volto della Chiesa, illuminare tutti gli uomini, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cf Mc 16,15) ».
È qui richiamato il compito fondamentale della Chiesa, che è quello di essere la « epifania » di Cristo al mondo con l’annuncio del Vangelo e la trasparenza della vita dei suoi membri.
« Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni »
È quanto ci richiama la seconda lettura, in cui san Paolo, dopo aver illustrato il disegno « misterioso » della salvezza, da sempre presente al pensiero di Dio (Ef 1,3-14) e consistente nella « ricapitolazione » di tutte le cose « in Cristo » (v. 10), con l’abbattimento del « muro di separazione » (2,14) che c’era fra Ebrei e Gentili, presenta se stesso come « ministro » dell’annuncio di questo « mistero ».
« Penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio a me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero…: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo » (Ef 3,2-3.6).
È dunque per mezzo dell’irradiazione del « Vangelo », dall’apostolo annunciato a tutte le genti, che la « epifania » del Signore si dilata sempre più e si estende anche ai pagani, i quali sono ormai « chiamati, in Cristo Gesù », a formare uno « stesso corpo » con gli Ebrei e a « partecipare » della stessa « promessa » salvifica.
I « magi », rappresentanti dell’immenso mondo pagano, sono entrati di pieno diritto nella Chiesa, mentre gli Ebrei purtroppo sono rimasti alla porta, proprio come i sommi sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme che seppero indicare Betlemme come luogo della nascita del Messia, ma loro non si mossero per andare a rendergli omaggio.
Mentre Gesù « si manifesta » ad alcuni, sembra « nascondersi » ad altri! Nella luminosità della festa odierna non si dimentichi, perciò, la parte di dramma e di tensione che essa porta con sé.
« Nato Gesù a Betlemme, alcuni magi giunsero da oriente »
E così siamo arrivati al racconto di Matteo (2,1-12), che dà il senso di fondo alla Liturgia odierna.
Siamo indubbiamente davanti ad una storia, che ha troppo di prodigioso per essere vera in tutti i suoi dettagli. D’altra parte, stupisce che Luca la ignori del tutto, data la almeno apparente clamorosità del fatto secondo la presentazione che ne fa Matteo; il quale, poi, non sembra avere molte informazioni circa l’identità di questi personaggi, che chiama genericamente « magi », circa la loro provenienza, salvo il dirci che vengono « da oriente » (v. 1).
Appartenevano alla casta sacerdotale, nota con questo nome, nel regno dei Medi e che durante la conquista persiana abbracciarono la dottrina di Zarathustra, secondo le informazioni che ci fornisce lo storico greco Erodoto? Oppure erano sapienti babilonesi, dediti allo studio dell’astronomia e dell’astrologia, come sembra più probabile da tutto il contesto? Quanti erano? Da quale paese venivano?
San Matteo non sa dirci nulla al riguardo. Eppure è interessatissimo alla loro storia, che per lui diventa « esemplare » per dirci il diverso atteggiamento che gli uomini talvolta assumono davanti a Cristo: i vicini, cioè gli Ebrei, lo ignorano, addirittura gli tendono insidie come Erode; mentre i lontani, cioè i pagani, sospinti dalla « luce » della fede, lo cercano, lo riconoscono, pur sotto il segno della povertà e della umiltà. « Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (vv. 11-12).
« Da Giacobbe spunterà una stella »
È indubbio perciò che l’interesse « teologico » ha avuto il sopravvento su quello storico, che certamente rimane, anche se non riusciamo a ricostruire la vera entità del fatto. Del resto, anche il preciso riferimento a Erode il Grande, che fu re della Palestina, pur sotto il severo controllo di Roma, dal 37 al 4 a.C., depone in favore di una certa veridicità dell’episodio. In ultima analisi, saremmo davanti a quello che gli studiosi chiamano « racconto midrashico », dove storia, poesia, teologia, interesse parenetico si mescolano per trasmettere un messaggio di « fede », più che un racconto cronachistico.
Naturalmente il problema della consistenza storica del fatto afferra anche la « stella », che in realtà è la protagonista di tutto il racconto: è lei che guida i magi fino a Gerusalemme, poi scompare, poi riappare fino a fermarsi precisamente « sopra il luogo dove si trovava il bambino » (v. 9). Antichi scrittori ecclesiastici, come Origene, pensarono ad una cometa; scienziati moderni, dopo Keplero, ricordano la congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci avvenuta esattamente il 7 a.C.A nostro parere, si tratta di una « stella » simbolo, che vuole significare due cose; la prima è che solo la « luce » interiore della fede guida a Cristo: non si può né conoscere né incontrare davvero Gesù se il Padre, come ci dice san Giovanni, « non ci attira » verso di lui (Gv 6,44). La seconda è che l’evangelista vede realizzato finalmente il famoso oracolo di Balaam, che preannunciava il Messia sotto il segno della « stella »: « Io lo vedo, ma non ora; io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele » (Nm 24,17).
In Gesù di Nazaret si realizzano dunque le promesse dell’Antico Testamento e la sua « luce » ormai s’irradia sul mondo, perché nella fede egli viene accettato anche dai pagani.
« Al vedere la stella provarono una grandissima gioia »
È significativa l’espressione con cui l’evangelista commenta il ritrovamento, da parte dei magi, della stella, che si era occultata al loro arrivo a Gerusalemme: « Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia » (v. 10). È un tratto analogo al racconto della nascita in Luca 2,10 e a quelli della risurrezione. Esso sta a dire la sorpresa dell’uomo davanti a qualcosa di inaspettato e che dà senso finalmente alla propria vita o ai propri sforzi.
Normalmente la « gioia » non è offerta a poco prezzo: essa è sempre frutto di grande fatica e viene al termine di lunghe lotte, e talvolta anche di delusioni. La storia dei magi sta a dimostrare quello che veniamo dicendo. Ogni esperienza autentica di fede non è mai un incontro facile con Cristo: egli si mostra e poi scompare e poi si fa ritrovare, proprio perché il suo « mistero » sta sempre « oltre », ed anche perché l’uomo non si illuda che il trovare Cristo sia facile.
Perciò la luminosità, in cui viene immersa la festa dell’Epifania, non ci tragga in inganno: Cristo è « luminoso », ma solo per chi ha il coraggio di percorrere un lungo e faticoso, talvolta deludente, itinerario per trovarlo: proprio come è accaduto ai magi.
« Avvertiti in sogno, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese »
I quali, perché docili all’ispirazione di Dio, diventano a loro volta diffusori di luce. È quanto possiamo intravedere nel versetto, con cui l’evangelista conclude il suo racconto: « Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese » (v. 12).
« Ritornare da Erode » significava non soltanto fornire pretesto al tiranno per uccidere Cristo, ma soprattutto ripiombare nelle tenebre: a Gerusalemme infatti era scomparsa la stella! Dove c’è ambizione, lotta per il potere, presuntuosità culturale, sicurezza di sé e delle proprie idee, strumentalizzazione della « parola di Dio », acquiescenza a ciò che è abitudinario, non può entrare la « luce » di Cristo. Qualora vi entrasse, infatti, farebbe crollare tutto, perché svelerebbe i « pensieri dei cuori ».
Nell’Oriente, invece, che è « il loro paese », possono diffondere la « luce » di cui ormai è invaso il loro cuore. È interessante questo muoversi da « Oriente » per ritornare a « Oriente »: è la « luce » che diventa sempre più intensa!
Anche per noi cristiani deve realizzarsi questo andare di « luce in luce ». E questo in una doppia maniera: facendoci illuminare sempre più profondamente da Cristo, in modo che la nostra vita diventi come la sua « trasparenza »; e aspirando verso la « rivelazione » definitiva del Cristo nella « gloria » eterna.
È quanto ci fa supplicare la mirabile colletta, con cui si apre la Liturgia odierna: « O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria ».

Da CIPRIANI S., Convocati dalla Parola.

Madonna and Child, The della Robbia Workshop, c.1500, Florence

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Publié dans:immagini sacre |on 3 janvier, 2015 |Pas de commentaires »

SOGNO DI NATALE – DI LUIGI PIRANDELLO

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SOGNO DI NATALE – DI LUIGI PIRANDELLO

Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l’anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors’anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.
Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori… E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:
- Buon Natale – e sparivo…
Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d’incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d’un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita.
Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l’immagine di lui m’attrasse così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m’arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii.
Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d’una luce interiore, sorvolava su un’alta siepe di rovi, che s’allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant’egli era alto, via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo.
Dall’irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d’una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell’immenso arco dell’orizzonte. Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide.
A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d’una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava pretesto a gozzoviglie.
- Non dormono… – mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d’odio e d’invidia pronunziate nell’interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l’impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: – Anche per costoro io son morto…
Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch’ero la sua ombra per terra, non mi disse:
- Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.
Era una chiesa magnifica, un’immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e d’oro alla volta, piena d’una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava su l’altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d’incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d’argento splendevano a ogni gesto le brusche d’oro delle pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale.
- E per costoro – disse Gesù entro di me – sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte.
Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese:
- Cerco un’anima, in cui rivivere. Tu vedi ch’ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo… Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà.
- La città, Gesù? – io risposi sgomento. – E la casa e i miei cari e i miei sogni?
- Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.
- Ah! io non posso, Gesù… – feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.
Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo inchinato, m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa.

(Racconto di Natale di Luigi Pirandello)

Publié dans:LETTERATURA, NATALE 2014 |on 3 janvier, 2015 |Pas de commentaires »

“Se dunque Verbo significa Dio e carne significa uomo, …

 “Se dunque Verbo significa Dio e carne significa uomo, ... dans immagini sacre NataleElGreco

“Se dunque Verbo significa Dio e carne significa uomo, che cosa significa: il Verbo si è fatto carne se non «Colui che era Dio si è fatto uomo»? e perciò colui che era Figlio di Dio è divenuto figlio dell’uomo assumendo ciò che era inferiore, non mutando ciò che era superiore; prendendo ciò che non era, non perdendo ciò che era” (S. Agostino, Sermone 186,2; NBA XXXII/1, pag. 15)

http:///2011/12/il-verbo-si-fece-carne-e-venne-ad.html

Publié dans:immagini sacre |on 2 janvier, 2015 |Pas de commentaires »

COMMENTO SU EFESINI 1,3-6.15-18

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=30726

(commento al Siracide:

http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=Siracide%2024,1-4.8-12

COMMENTO SU EFESINI 1,3-6.15-18

MONASTERO DOMENICANO MATRIS DOMINI

II DOMENICA DOPO NATALE (05/01/2014)

BRANO BIBLICO: EF 1,3-6.15-18

Collocazione del brano
Questo è uno dei tre grandi inni Cristologici di Paolo, che cantiamo anche durante i Vespri ogni lunedì e che ci fa riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. In particolare questo inno di Efesini ci parla della predestinazione dei credenti. E’ il Padre che sin dall’inizio dei tempi aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci suoi figli. Ciascuno di noi è chiamato a questa via di santità, cioè a una relazione di amore forte e incondizionato con il Signore.
Lectio
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
Questo inno apre la lettera agli Efesini. Paolo applica qui lo stile delle « Berakot », le benedizioni che ogni giorno gli ebrei osservanti rivolgevano al Signore, benedicendolo per tutti i suoi doni. Paolo benedice Dio perché ha benedetto gli Efesini. La benedizione, il « dire bene », augurare il bene è importante nella mentalità orientale. Dio ci ha benedetto perché grazie all’incarnazione e alla morte/risurrezione di Cristo si è chinato su di noi, ci ha dato accesso ai cieli e ci ha dato benedizioni spirituali. Qui si può leggere la presenza dello Spirito, quindi la benedizione si manifesta nella pienezza dell’incontro con tutta la Trinità.
4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
Paolo ci spiega ora in cosa consista questa benedizione. Si tratta della sua scelta, Egli ci ha scelti, ci ha eletto, come aveva scelto il popolo di Israele. C’è un’iniziativa gratuita di Dio che precede ogni presupposto o pretesa umana. E’ una gratuità che parte dal Padre e ha avuto inizio prima della creazione del mondo. Non si tratta tanto di un dato temporale, quanto piuttosto la gratuità di questa iniziativa di Dio, la sua presenza in ogni istante della nostra esistenza. Santi e immacolati ha una tonalità cultuale e liturgica indica cioè la condizione giusta per innalzare a Dio il vero culto, la vera celebrazione.
5 predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Continua la storia del processo di salvezza, la benedizione che abbiamo ricevuto. Il progetto di Dio si attua per mezzo di Gesù Cristo e consiste nel far partecipare tutti i credenti alla sua condizione di figlio unico e amato. Si parla di adozione, non per sminuire la realtà dell’essere figli ma per sottolineare la differenza con la figliolanza di Gesù, che è modello e fonte di quella di tutti gli altri figli. C’è un amore gratuito che si espande in tutta la sua pienezza!
11 In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – 12 a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
La liturgia salta i vv 6-10, che parlano del perdono dei peccati che abbiamo ricevuto grazie a Cristo. Con il v. 11 torniamo all’argomento dell’adozione e dell’eredità che riceviamo in quanto figli di Dio. Nei versetti 11-13 vi è la ripetizione per tre volte delle parole in lui che sottolinea l’idea dell’unificazione e del senso della storia in Cristo.
Non vi è più un privilegio di razza. Tutti sono ammessi a questa figliolanza. Certo Paolo qui parla di un prima del popolo di Israele, ma non vi è una preminenza. Solo i cristiani provenienti dal popolo di Israele hanno sperato prima nel Cristo ed erano pronti ad accoglierlo.
13 In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
Poi anche i pagani sono stati ammessi alla stessa figliolanza. Prima hanno ascoltato la parola della verità, il Vangelo, poi vi hanno creduto e quindi hanno ricevuto il sigillo dello Spirito Santo, tramite il Battesimo. E’ interessante notare la progressione del cammino per aderire al Signore.
14 il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Tre sono i momenti che accompagnano lo Spirito Santo. Esso viene promesso. Nella sacra Scrittura vi è un filo rosso segnato dalle promesse dello Spirito (Ez 36,25-28; Gl 3,1-5). Poi viene donato, sotto forma di sigillo, un marchio o un timbro che testimonia l’appartenenza a qualcuno, la presenza di un compito, una missione da realizzare. Infine lo Spirito è caparra, anticipazione di una realtà che sarà completa solo nel futuro, cioè la liberazione definitiva futura che il Signore ha promesso al suo popolo. In filigrana a questo discorso possiamo leggere il cammino battesimale.
15 Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi,16 continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere,
Dopo aver benedetto il Signore, Paolo eleva la sua preghiera ringraziamento. Egli ha saputo che a Colossi la fede prospera e si concretizza in opere di bene nei confronti dei fratelli della comunità, quindi ringrazia ininterrottamente il Signore e prega per i Colossesi.
17 affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui;
Cosa chiede Paolo per i suoi fratelli di Colossi? Chiede che sia dato loro lo Spirito di sapienza, di rivelazione, affinché conoscano Dio sempre più profondamente. Questi tre elementi sono un’unica realtà spirituale dinamica, dove è privilegiata l’esperienza e una maturazione della fede, l’entrata in una amicizia sempre più vera con Dio.
Non è un’esperienza intimistica, ma si concretizza nella vita quotidiana.
18 illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.
Si tratta di un’esperienza che non rimane orizzontale, ma si apre al futuro, alla gloria di tutti i santi. Questa preghiera è stata fatta da Paolo per i cristiani di Colossi, ma anche per tutti noi!
Meditiamo
- Mi sento destinato da Dio alla sua amicizia sin dall’inizio del mondo?
- Cosa significa per me essere figlio di Dio?
- Ho fatto esperienza vera della presenza e della vicinanza di Dio?
- Cosa spero per il mio futuro?

Publié dans:Lettera agli Efesini |on 2 janvier, 2015 |Pas de commentaires »
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