QUELLI CHE NON SI SPOSANO (il passo è successivo al testo di domenica…

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QUELLI CHE NON SI SPOSANO (il passo è successivo al testo di domenica…

…ma non mi piaceva nessun altro commento che ho trovato)

Categories: Bibbia

Dalla prima lettera ai Corinti (1Cor 7,32-40)

Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni. Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell’età, e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure! Chi invece è fermamente deciso in cuor suo, non avendo nessuna necessità, ma è arbitro della propria volontà, ed ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene. In conclusione, colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio. La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore. Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio.
Commento
Ultimo brano dove Paolo mette a confronto due stati di vita: quello matrimoniale con quello dell’uomo libero. L’esordio è improntato a serenità: “Vorrei vedervi senza preoccupazioni”. C’era bisogno di parole così distensive. Probabilmente a Corinto qualcuno si arrovellava oltre misura, incerto sulla strada da imboccare per il suo futuro; se cioè metter su famiglia o consacrasi totalmente a Dio. Davanti a interrogativi così impellenti, Paolo invita tutti quanti alla calma. Come visto in precedenza, alla fine, nell’esistenza cristiana, ciò che conta veramente è essere di Cristo Gesù. Tutto il resto, invece, è solo un dettaglio, una sottigliezza, un’inezia. Essere sposati o essere celibi non è la questione prioritaria nella vita di nessuno. Ciò che conta è aver conosciuto Dio, e amare. Tutto il resto, invece, è secondario.
Se dunque dalla penna di Paolo – come vedremo tra poco – stillerà qualche goccia d’inchiostro in decisa simpatia nei confronti del celibato, questo non significa che il matrimonio sia una cosa da rigettare, o da buttare via. Matrimonio e celibato non si pongono in alternativa da un punto di vista morale, dove una scelta è giusta e l’altra sbagliata. Semmai vanno confrontati come opportunità, ugualmente apprezzabili. Si tratta insomma di due modi stupendi di realizzare la vocazione cristiana all’amore. Anche se è bene non essere ingenui, e capire che si tratta di strade molto diverse una
dall’altra.
Per comprendere questo brano, dobbiamo anzitutto identificare le persone cui Paolo si sta rivolgendo. Probabilmente non si tratta di corinzi in genere, ma di una particolare categoria di cristiani: vale a dire i fidanzati di cui abbiamo già parlato, che si erano rivolti a lui, per avere una delucidazione circa il comportamento da tenere. Come sappiamo alcuni giovani corinzi avevano scritto all’apostolo, trepidanti e ansiosi, incerti sul da farsi: le loro promesse spose erano seriamente tentate di abbracciare una vita di castità. La notizia deve essere esplosa all’interno di qualche litigio tra fidanzati in maniera non proprio tranquilla. In più, aggiungiamo: ci doveva essere stata qualche contaminazione di senso inverso. Perché l’attrattiva dell’ideale verginale non doveva aver avvinto solo le giovani di Corinto, ma anche diversi maschi. Dunque, nella capitale dell’Acaia, tutti quanti sono in ricerca vocazionale, e si domandano per quale strada debbano mai servire il Signore. Metto su famiglia, o mi dedico interamente al servizio del vangelo?
Da questi interrogativi posti all’apostolo ricaviamo un ritratto decisamente positivo dei giovani di Corinto. Si tratta di ragazzi raffinati, potremmo dire aristocratici, che non volevano sprecare la propria vita bruciandola sull’altare di qualche ideale spento. Tutti a far progetti per costruire al meglio il futuro: lavoro, gli studi, la famiglia, il volontariato. Intorno ai vent’anni si è sempre un po’ idealisti. Ma tra tutti questi progetti, uno risultava indubbiamente prioritario, quasi a far da cornice di tutto: piacere al Signore. I giovani di Corinto si portavano in cuore questo pungolo, questo desiderio: che la loro vita non fosse vuota, che non fosse consumata all’idolo della carriera e del potere sociale, ma fosse in qualche misura consacrata all’eterno. In questo panorama si inquadra quella domanda che fuoriesce sottilmente da questi versetti. Che cosa devo dunque fare nel mio futuro? La risposta è chiara: devo piacere al Signore. Ma qualcuno insiste: qual è la migliore via per piacere a Dio? Meglio che mi sposi, o cerchi di servire Dio in una vita totalmente consacrata a Lui?
È significativo notare come Paolo, davanti a questi interrogativi che qualcuno viveva con una certa dose di ansia, provvede anzitutto a rovesciare un bel secchio d’acqua sul fuoco. Già lo aveva fatto qualche versetto prima, spiegando a chiare lettere che, se una persona non fosse riuscita a mantenere il proposito dell’astinenza, allora si poteva benissimo sposare: il matrimonio non è peccato. Con buona pace di certi spirituali estremisti l’apostolo non coltiva una visione negativa dell’amore coniugale, visione che invece era presente in alcune sacche della cultura greca, e che sarà ricorrente in certe teste un po’ troppo calde, normalmente condannate dalla Chiesa. Che piaccia o no, dalle lettere di san Paolo non emerge una visione del matrimonio come “rimedio della nostra concupiscenza”. È invece un sacramento, un luogo dove, attraverso l’amore degli sposi, Dio si rende presente. Non dice forse Paolo, in un brano della lettera agli Efesini, spesso scelto nella liturgia di chi si sposa, che i mariti devono amare le loro mogli come Cristo amò la Chiesa?
Una volta messo al sicuro questo dato, Paolo si addentra nella questione, ponendo a confronto lo stato matrimoniale con quello celibatario. Ribadiamo: non si tratta di valutazioni morali, come per discernere ciò che è giusto, rifiutando invece ciò che è male. Le sue argomentazioni sono realiste, di natura prudenziale.
Chiaro che il matrimonio non è una scelta sbagliata, afferma l’apostolo. Lo sposato, però, deve mettere in conto una serie di preoccupazioni che appesantiranno la sua vita. Non potrà vivere quella forma di libertà che normalmente c’è nella vita di chi si consacra a Dio. L’apostolo lascia parlare i fatti.
Lo sposato giocoforza dovrà preoccuparsi di accumulare beni, per consegnare ai propri figli un futuro sicuro: difficile per lui abbracciare una povertà volontaria. Dovrà poi curare il rapporto di coppia, sforzandosi di piacere al proprio coniuge. Il tipo di vita che conduce, effettivamente qualche volta lo porterà ad essere distratto, dissipato. I miei amici sposati mi parlano con un po’ di nostalgia del tempo in cui vivevano ancora da celibi in oratorio, e c’era tempo per tutto: per i ritiri di preghiera, per le esperienze culturali, per la lectio divina, per la coltivazione della propria persona, per l’università, per le gite all’estero, per i servizi di volontariato. L’impressione di avere un progetto nitido in testa, e tanta energia in corpo. Poi ci si sposa, e vengono i doveri di famiglia. E allora, come all’improvviso, sembra non esserci più tempo per niente. Terminate le fatiche del lavoro, ci attendono altre incombenze, spesso più faticose delle prime: l’attenzione per i figli, le bollette da pagare, il tono di voce da alzare con l’adolescente che ha sbattuto la porta della sua camera, la casa da riassettare, un rapporto di coppia da tenere sempre vivo. Una signora mi confessava: non ho mai detto parolacce, ma da quando ho i figli… C’è una barzelletta simpatica che di solito non si racconta ai fidanzati. Suona così: sapete quando Gesù ha istituito il sacramento del matrimonio? Risposta: sulla croce, quando disse “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. La vita di una famiglia presenta dunque elementi di durezza che da giovani un po’ s’immaginano, ma che forse non si colgono proprio del tutto.
Il celibe, invece, allarga spazi di vuoto nella sua esistenza, che sono riempiti da Dio. Ha un’unica preoccupazione: quella di piacere al Signore. I tempi della preghiera, della riflessione, della crescita personale sono particolarmente presenti nella scaletta della sua giornata. È interessante notare come Paolo non qualifichi la scelta celibataria partendo da un’assenza (non avere una famiglia propria), ma da una risorsa. Se giocata bene, se non è sentita come una condanna, la scelta celibataria è l’occasione per coltivare maggiormente se stessi, per avere un dialogo più stretto con Dio, un luogo per essere più disponibili ai bisogni dei poveri. In questo senso è un’opportunità.
Questa dunque la situazione. Dalle parole di Paolo si evince come fosse simpatizzante per la scelta celibataria, che d’altra parte era lo stato di vita che aveva abbracciato lui stesso. Lo considera uno spazio dove una persona può consacrasi più facilmente al Signore. Ma le motivazioni che adduce alla sua tesi non sono di ordine morale, come se il matrimonio fosse una cosa impura, o una via di minor santità. Semmai di ordine prudenziale: la scelta di una via che favorisce maggior vantaggio.
Sarebbe interessante leggere questo brano di san Paolo ponendolo in sinossi con un testo di un filosofo stoico praticamente coevo: Epitteto. Il filosofo, pur non essendo cristiano, dice praticamente le stesse cose: raccomanda di vivere senza distrazioni, consacrandosi completamente al servizio di Dio. Suggerisce di non contrarre relazioni che alla fine si trasformano in impedimenti: il filosofo deve invece restare libero. Non si fa una sua famiglia, perché tutti gli uomini e le donne di questo mondo sono la sua famiglia. Il filosofo sceglie la forma celibataria per non avere alcuno possesso ed essere libero per tutti.
Chiaramente c’è una certa diversità tra il pensiero del filosofo greco e il brano della 1Cor che abbiamo letto. Un conto è la vocazione di un sapiente che si mette a servizio di Zeus, un altro conto quella di un credente che si dedica a Gesù e al suo regno. Ma il parallelismo ci aiuta a capire che il celibato non è un valore solo cristiano, che è presente nella cultura e nel pensiero di tanti uomini passati per questo mondo, e che non deve essere letto in maniera puramente negativa, come se si trattasse di una forma di vita abbracciata da persone represse o infelici.
L’ultima battuta di questo brano riguarda il caso della vedovanza. Non ci addentriamo in essa, perché ormai la traiettoria del pensiero di Paolo è ormai delineata.

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