II DOMENICA DEL T.O. OMELIA: « SEGUITEMI, VI FARÒ DIVENTARE PESCATORI DI UOMINI »

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25 GENNAIO 2015 | 3A DOMENICA – T. ORDINARIO B | APPUNTI PER LA LECTIO

« SEGUITEMI, VI FARÒ DIVENTARE PESCATORI DI UOMINI »

Anche nel Vangelo di questa Domenica c’è una scena di « chiamata », la vocazione dei primi quattro discepoli del Signore (Mc 1,14-20), proprio come nel Vangelo che abbiamo commentato la Domenica scorsa (Gv 1,35-42).
Questa volta, però, l’accento di tutta la celebrazione liturgica è posto non tanto sul « senso » della chiamata, quanto sull’ »urgenza » dell’appello di Cristo a « convertirsi » per avere salvezza: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » (v. 15). È come l’offerta di un’occasione che non verrà più riproposta: se si lascia cadere, l’uomo avrà perduto per sempre la possibilità di diventare diverso, più felice, più ricco, più aperto all’amore e alla vita.

« Il tempo ormai si è fatto breve »
Questo senso di « urgenza » si avverte già nella prima lettura, che ci descrive la predicazione di Giona a Ninive: « Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta ». Proprio perché non c’era tempo da perdere, « i cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo… e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece » (Gio 3,4-5.10). L’aver accettato nel tempo giusto l’appello del profeta è valso ai Niniviti la salvezza loro e della città: pochi momenti possono decidere per una vita intera!
Soprattutto questo senso di « urgenza » si avverte nel brevissimo tratto paolino, proposto come seconda lettura e ripreso dalla 1ª lettera ai Corinzi. In esso Paolo, per far cogliere meglio ai suoi lettori il valore della « verginità » come scelta radicale che fa aderire « con cuore indiviso » al Signore, fin da questo momento, ricorda che tutta la vita cristiana è sotto il segno della « provvisorietà » e della « fugacità », che non consentono ritardi nella decisione per Iddio. « Questo vi dico fratelli; il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero, e quelli che godono come se non godessero…; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo! » (1 Cor 7,29-31).
Non c’è dunque alcun valore nella vita, come quello della famiglia (« aver moglie »), della gioia, del commercio, del lavoro, ecc., che può fare da diaframma fra Dio e l’uomo e « ritardare » la nostra totale adesione al Signore: il « vergine » è precisamente colui che si è trasferito affettivamente al di là degli illusori giochi della « scena di questo mondo », per radicarsi solo in Dio. Pur rimanendo nel tempo, è già al di là del tempo, perché ha « sposato » Cristo come valore definitivo e assoluto! Ciò che gli permette fin dal presente di inserirsi nell’éschaton, non è la fuga dal precipitare delle cose verso la fine, quanto l’aver fatto irrompere nella sua esistenza la « pienezza » di vita del Cristo, quello che, con termine evangelico, possiamo appunto dire « il regno di Dio ».
È il « regno di Dio », manifestato e realizzato in Cristo, che porta la definitività, la pienezza, che fa maturare il tempo, e che obbliga gli uomini a decidersi. In questo senso il « tempo » non si misura più per lo scorrere degli anni o dei giorni, ma per una ricchezza che ad esso si accompagna e che viene offerta a chi sa valutarla ed accoglierla: chi la rifiuta o non sa vederla, rimarrà per sempre travolto dai gorghi della temporalità, nella povertà di un esistere senza valore e senza significato.
« Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo »
E così ritorniamo al brano del Vangelo di Marco, che tutto questo ci dice in una forma anche più efficace, facendoci riascoltare, nella sua densità scarna e sconvolgente, il primo annuncio di Gesù che propone agli uomini la novità del suo « Vangelo »: « Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo »" (Mc 1,14-15).
È interessante, prima di tutto, l’annotazione cronologica preposta da Marco al racconto dell’inizio della predicazione di Gesù: « Dopo che Giovanni fu arrestato », quasi per mettere in evidenza la continuità fra l’opera del Battista e quella di Cristo: quando il primo termina la sua missione, il secondo, quello che lui aveva definito il « più forte » (Mc 1,7), la inizia, ormai investito dalla « forza » dello Spirito che è disceso sopra di lui.
E la inizia dalla Galilea, che già Isaia chiamava « Galilea delle genti », cioè la regione settentrionale della Palestina, in cui c’erano forti insediamenti di pagani, lontano dalla Giudea e da Gerusalemme, dove aveva operato Giovanni; già con questo l’evangelista intende esprimere la maggiore apertura del Vangelo, a Ebrei e pagani nello stesso tempo, che Dio chiama egualmente alla salvezza.
Ma vediamo adesso il contenuto di questo « lieto annunzio » che Gesù andava « proclamando » nella regione della Galilea. Esso consta di quattro affermazioni, che si susseguono con forza martellante e dànno, in forma scheletrica, il compendio del messaggio completamente nuovo annunziato da Cristo.

« Il tempo è compiuto »
La prima è esclusiva di Marco, e spiega il perché dell’urgenza con cui Cristo sollecita l’adesione al suo messaggio: « Il tempo è compiuto ». La forma, al passivo perfetto, indica una « pienezza » che viene dal di fuori, e non è perciò da intendere quasi si trattasse di un normale svolgimento del tempo che, attraverso alle sue varie successioni, arriva da se stesso a completarsi: è piuttosto Dio che lo compie, realizzando in esso il suo disegno di salvezza.
E questo significa almeno due cose: la prima è che c’è una misteriosa continuità fra le varie tappe della salvezza, che si sovrappongono quasi l’una sull’altra fino a raggiungere il « colmo ». Dio ha disseminato i segni della sua presenza e gli interventi della sua salvezza lungo tutte le piste del tempo e del mondo, ben al di là dello stesso popolo eletto!
La seconda è che, pur nella continuità del disegno salvifico, quello che avviene adesso in Cristo rappresenta la « pienezza » radicale: non è una tappa che viene dopo le altre, ma è la tappa che tutte le altre assorbe e a tutte dà significato, perché tutto, anche prima di lui, già marciava verso di lui. Proprio per questo il momento presente è decisivo: esso viene chiamato, infatti, non « chrónos », ma kairós, cioè tempo carico di significato, un attimo che sfugge portandosi dietro la nostra salvezza o la nostra rovina.

« Il regno di Dio è vicino »
La seconda affermazione del « lieto annunzio » di Cristo è: « Il regno di Dio è vicino ». Ma che cosa intendeva dire Gesù quando parlava di « regno di Dio »?
L’Antico Testamento proclamava l’effettiva « regalità » di Dio sopra Israele; dopo il ritorno dall’esilio quando la regalità davidica era rimasta poco più che un ricordo, crebbero il desiderio e la speranza che Dio stesso avrebbe manifestato un giorno, in maniera clamorosa, la sua regalità in Sion e l’avrebbe estesa a tutta la terra. Il « regno di Dio » era dunque una certezza vissuta nella tensione, perché Israele rimandava sempre ad un momento più lontano la realizzazione di questa attesa. Orbene, Gesù annuncia che questa attesa è al suo termine, che il « regno di Dio » è già lì, « in mezzo a loro ». Si tratta solo di avere occhi per vederlo e coraggio per entrarvi!
Difatti, il « regno di Dio » si identifica con Cristo, in quanto egli, nel mistero dell’Incarnazione, con le sue parole e con le opere trasferisce già tra gli uomini la presenza e la potenza trasformante di Dio, anticipando così quella che sarà la fase definitiva della sua sovranità quando « tutto gli sarà sottomesso », anche « l’ultimo nemico », cioè la morte (1 Cor 15,27-28). Perciò in Cristo il « regno di Dio » ha già fatto irruzione nel mondo, anche se la sua completezza si potrà avere solo quando il ciclo della storia, che di questo regno porta i fermenti e le parziali realizzazioni, si sarà concluso.
Proprio perché il « regno di Dio » è già presente in Cristo, gli uomini non possono non prendere posizione: o entrarvi, o rimanerne fuori!

« Convertitevi e credete al Vangelo »
Però l’entrarvi non è facile. Se è vero che il « regno » è un’offerta gratuita da parte di Dio, è altrettanto vero che vi si entra solo a condizione di diventare noi stessi « regno », cioè a dire trasformandoci, diventando capaci di assimilare il dono che ci viene offerto, sintonizzando con tutte le esigenze nuove che nel dono stesso ci vengono proposte, rinnovando perciò la nostra vita.
È quanto viene espresso dal duplice invito o, meglio, comando imperioso, che segue alle precedenti affermazioni: « Convertitevi e credete al Vangelo ».
La « conversione », o « metánoia », come meglio si esprime il testo greco, significa cambiamento di « mentalità » (= nous), capovolgimento dei criteri di valutazione di tutta la realtà e di tutte le situazioni. Si pensi solo a qualche affermazione del discorso della montagna, per rendersi conto di quale capovolgimento opera la presenza del regno di Dio fra gli uomini: « Beati i poveri secondo lo spirito, perché di questi è il regno dei cieli… Beati coloro che sono perseguitati per la giustizia, perché di questi è il regno dei cieli » (Mt 5,3.10).
Tutto questo è possibile solo a condizione di accettare la nuova « logica » del regno, che però non quadra con le nostre categorie razionali.
È il senso dell’ultimo invito di Gesù: « E credete al Vangelo ». Il « credere » è come un’autoespropriazione, per affidarsi completamente a Cristo, facendogli credito di salvezza, di vita, di amore: in questo caso il « credere », più che un mero conoscere, è un « vivere » l’esperienza nuova che il Cristo offre ad ognuno di noi con la proposta del suo « Vangelo ».

« E subito, lasciate le reti, lo seguirono »
L’esempio concreto di una risposta « piena », direi quasi precipitosa, come a sottolineare l’urgenza dell’appello e della decisione davanti alla proposta del « regno », che ci sta davanti nella persona del Cristo, è costituito dalla successiva scena della chiamata dei primi quattro discepoli. La chiamata di Gesù li coglie di sorpresa, come pesci nella rete: « Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini » (v. 17).
Quello che colpisce in questa scena è la rapidità, direi la fretta con cui si svolgono sia la chiamata, sia la risposta. Nello spazio di appena cinque versetti Marco adopera per ben due volte il caratteristico avverbio « subito » (= euthús). Una volta è attribuito alla chiamata di Gesù: « Subito li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni, lo seguirono » (v. 20). Un’altra volta è detto per esprimere la prontezza, con cui Pietro e Andrea lo seguono: « E subito, lasciate le reti, lo seguirono » (v. 18). È una prontezza che non si lascia dietro nulla!
Questi uomini sanno rompere con il passato; persino la famiglia (il « padre ») passa in second’ordine; quello che vale è « seguire » Cristo, diventare « pescatori » di altri uomini, per partecipare al « regno di Dio » che è vicino, che ormai è in mezzo a loro. Essi sono il primo, grandioso esempio che Marco vuole offrire ai suoi lettori, di come si accetta il « regno di Dio »: « trasformandosi » e « credendo » al Vangelo.

Da CIPRIANI S., Convocati dalla Parola

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |le 23 janvier, 2015 |Pas de Commentaires »

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