COMMENTO A : 1 CORINZI 7,29-31

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BRANO BIBLICO SCELTO – 1 CORINZI 7,29-31

29 Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero;
30 coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godesse­ro; quelli che comprano, come se non possedessero;
31 quelli che usano del mondo come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!

COMMENTO
1 Corinzi 7,29-31
La vita cristiana nella prospettiva della fine
I corinzi avevano posto per iscritto a Paolo alcuni quesiti, di cui il primo riguarda la vita sessuale nel matrimonio e nel celibato. L’apostolo risponde nel c. 7, chiarendo dubbi e indicando loro nuove prospettive. L’esposizione si apre con alcune direttive pratiche riguardanti anzitutto i coniugi (vv. 1-7), poi i non sposati, le vedove, le coppie in crisi e i cristiani sposati con non cristiani (vv. 8-16); Paolo passa poi a delineare il principio generale a cui si ispira, quello cioè secondo cui ciascuno deve restare nella condizione di vita in cui si trovava al momento della conversione (vv. 17-24). Infine ritorna ai casi specifici, soffermandosi su quello dei celibi (vv. 25-35), dei fidanzati (vv. 36-38) e nuovamente su quello delle vedove (vv. 39-40).
Nel brano riguardante le direttive sul celibato Paolo afferma che, per quanto riguarda le vergini, non dispone di un comando del Signore, ma si limita a consigliare che, a causa della presente «necessità», ciascuno rimanga nella situazione in cui si trova; tuttavia chi si sposa non pecca, ma avrà «tribolazione» nella carne (cfr. vv. 25-28). Con il termine «necessità» (anankê) si indica, nel linguaggio apocalittico, la crisi degli ultimi tempi, mentre il termine «tribolazione» (thlipsis) indica le sofferenze (disastri cosmici, guerre, carestie ed epidemie) che l’accompagnano. Paolo ritiene dunque che al sopraggiungere della crisi finale le sofferenze ad essa connesse saranno più pesanti per chi ha sulle spalle la responsabilità di una famiglia. A questo punto inizia il testo liturgico che si apre con un principio generale (v. 29a), a cui fanno seguito alcuni esempi illustrativi (vv. 29b-31a); il testo termina con una breve conclusione (v. 31b).
L’introduzione del brano contiene un altro riferimento agli ultimi tempi: Paolo afferma infatti che il tempo «si è fatto breve» (synestalmenos) (v. 29a). Questa espressione significa che la fine del mondo si è ormai avvicinata. Al vecchio mondo dominato dal peccato sta ormai per subentrare un mondo nuovo, contrassegnato dalla sovranità di Dio, nel quale l’egoismo dell’uomo lascerà il posto a rapporti nuovi ispirati dall’amore. L’apostolo riecheggia l’annunzio di Gesù (cfr. Mc 1,15: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino»), riferendosi però al tempo che separa la prima dalla seconda venuta di Gesù. Egli dimostra così di condividere le idee tipiche dei circoli apocalittici circa l’imminenza degli ultimi tempi (cfr. 1Ts 4,15; 1Cor 15,51; Rm 13,11), ma più in profondità vuol dire che, con la venuta di Cristo, la fine del mondo è stata decretata in modo inderogabile. Lunga o breve che sia, l’esistenza di questo mondo prosegue ormai sotto il segno della fine: anzi il regno di Dio, anche se in modo nascosto, è già in una certa misura presente.
La prospettiva della fine ormai vicina esige un cambiamento di atteggiamento nei confronti di questo mondo. Paolo indica in particolare cinque categorie di persone le quali devono rivedere il loro rapporto con le cose terrene. La prima categoria è quella degli sposati: «Quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero» (v. 29b). Con questa direttiva egli non vuole certo proibire e neppure sconsigliare ai coniugi i normali rapporti sessuali, che poco prima aveva loro raccomandato di esercitare normalmente (cfr. 7,3-4); ciò che egli esclude è l’egoismo di coppia, che spinge i due a cercare l’uno nell’altro unicamente il proprio piacere e la propria realizzazione personale. Vengono poi citate due categorie contrapposte: «Coloro che piangono, come se non piangessero» (v. 30a), «quelli che godono come se non godessero» (v. 30b). Anche il piangere e il gioire non devono essere visti come assoluti, l’uno da evitare e l’altro da cercare a ogni costo, ma devono essere vissuti come realtà transitorie, destinate a finire, e quindi relative e superabili.
Infine Paolo considera altri due tipi di persone: «quelli che comprano » (v. 30c) e «quelli che usano i beni del mondo » (v. 31a): ai primi dice di comportarsi come se non possedessero i beni acquistati, ai secondi come se non li usassero pienamente. Per il loro carattere transitorio, i beni di questo mondo non devono essere considerati come lo scopo della vita, ma devono essere utilizzati con il dovuto distacco. In altre parole l’apostolo vuole dire che le cose di questo mondo, come anche i rapporti tra le persone e addirittura i propri stati d’animo, devono essere gestiti non per se stessi ma in vista di un fine più grande, cioè come un mezzo per raggiungere la piena comunione con Dio e con i fratelli che è tipica del nuovo mondo che è ormai all’orizzonte.
Paolo conclude questa prima parte del brano con le parole: «Passa infatti la figura di questo mondo» (v. 31b). Il termine «figura» (schêma) può indicare anzitutto la parte esterna e visibile (l’apparenza) di una cosa: se così fosse egli intenderebbe dire che il mondo è una realtà apparente, destinata a passare, diversamente da quelle realtà più vere e sostanziali che non avranno mai fine perché sono costruite sulla giustizia e sull’amore. Lo stesso termine può indicare però anche la parte che un attore recita in un’opera teatrale: in questo caso l’apostolo direbbe che il mondo è come un attore che ha esaurito la sua parte e sta per lasciare il palcoscenico. In ogni caso la frase significa che il mondo non è che una realtà limitata e transitoria, alla quale non conviene appoggiarsi.

Linee interpretative
Paolo raccomanda ai cristiani di Corinto un atteggiamento di profondo distacco nei confronti delle cose di questo mondo. A prima vista si potrebbe supporre che ciò comporti un abbandono delle realtà terrene, come se costituissero un campo alternativo, meno nobile rispetto a quello della fede e della vita comunitaria. Invece non si tratta di abbandonare il mondo a se stesso, ma di vivere in esso senza cedere a quei meccanismi di possesso che condizionano il comportamento della gran parte degli esseri umani. Il distacco di cui si parla implica perciò non un impegnarsi di meno nelle cose del mondo, ma piuttosto il proporsi come fine non semplicemente il bene proprio o del gruppo a cui si appartiene, ma un bene più grande, che riguarda tutta l’umanità. Ciò comporta una piena adesione, nei limiti del possibile, a ideali di giustizia e di solidarietà, e il rifiuto netto di ogni corruzione. Chi si comporta in questo modo difficilmente potrà arricchirsi, ma supererà gli alti e bassi della condizione umana e sarà arricchito di rapporti fecondi non solo con gli altri cristiani, ma anche con tutte le persone di buona volontà.

 

Publié dans : Lettera ai Corinti - prima |le 23 janvier, 2015 |Pas de Commentaires »

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