L’URLO DI MUNCH (Golgotha di Munch) vedi (1)
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L’URLO DI MUNCH
(Golgotha di Munch) vedi (1)
“Estate del 1893. Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. [...] Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare… Ma nessuno mi stava ascoltando: Ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io. [...]” L’Urlo di Edvard Munch, un’opera che rappresenta la ricca, quanto esistenzialmente tormentata figura di pittore, di cui quest’anno si celebra il centocinquantesimo anniversario della nascita. L’arte di Munch esprime il dolore più profondo dell’uomo, come un grido d’angoscia che sale dall’inconscio. L’uomo che urla è Munch stesso, urla perché ha paura della morte, urla perché è già morto, la testa è un teschio, il corpo è molle e filamentoso, non è un corpo ma uno spirito, il centro pittorico del quadro è la bocca spalancata, da quella bocca escono le onde sonore dell’urlo che deformano ondularmente il paesaggio, come fanno in uno stagno le onde concentriche prodotte dal tonfo di una pietra. L’Urlo è da ritenersi il manifesto dell’angoscia, della solitudine e dell’incomunicabilità degli interrogativi dell’uomo contemporaneo «La mia arte affonda le sue radici nella mia ricerca di una spiegazione alle incoerenze della vita: Perché non ero come gli altri? Perché ero nato quando non mi era stato chiesto? ». Un grido che sale dall’anima, un’invocazione. Nell’arte di Edvard Munch, troviamo anticipati tutti i grandi temi dell’espressionismo: dall’angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi, dalla solitudine umana, l’incomunicabilità, all’incombere della morte; dall’incertezza del futuro alla disumanizzazione di una società borghese e moralista. “Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo dipingere”. Edvard Munch nasce il 12 dicembre del 1863 a Loten (Norvegia), cittá situata a pochi chilometri da Christiania, (Oslo). Sin dall’infanzia si trova a dover convivere con le immagini della malattia, del dolore, della morte. « La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla e mi seguirono per tutta la vita » La madre del pittore muore di tubercolosi, quando Edvard aveva cinque anni; pochi anni dopo anche la sorella Sophie che si era occupata di lui in assenza della madre, muore allo stesso modo all’etá di sedici anni. Un’altra sorella impazzisce; nel 1889 muore suo padre e poi suo fratello. Anche la sua salute è molto precaria, ricoveri e malattie punteggiano la sua vita. Il disegno e la pittura si rivelano da subito per il giovane Edvard strumenti molto efficaci per ricordare, per far rivivere a quei morti che hanno riempito la sua vita e per permettergli di convivere con essi, con l’angoscia e il dolore, esorcizzando la stessa morte. “L’arte è un mezzo con cui si possono esprimere le proprie emozioni ed espiare i propri dolori”.
Nel dipinto La madre morta e la bambina (1899-1900) – Munch rappresenta ciò che vide all’età di cinque anni, il letto di morte della madre, la sorella di sei anni con gli occhi sbarrati dal terrore, muta, « le mani sulle orecchie per allontanare l’urlo silenzioso della morte » (Bishoff, 1994). Del capolavoro Bambina malata (1886) replicato per ben cinque volte, egli «scava» letteralmente il quadro con infiniti colpi di pennello, lo raschia lo espone alle intemperie, lo riprende e lo rinnova; sarà uno dei temi ossessivi della sua pittura. Di quest’opera disse: «Credo che nessun pittore abbia vissuto il suo tema fino all’ultimo grido di dolore come me quando ho dipinto La bambina malata [...]. Non ero solo su quella sedia mentre dipingevo, erano seduti con me tutti i miei cari, che su quella sedia, a cominciare da mia madre, inverno dopo inverno, si struggevano nel desiderio del sole, finché la morte venne a prenderli…Nella casa della mia infanzia abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l’infelicità di allora, io vivo con i morti; mia madre, mia sorella, mio nonno, mio padre — lui soprattutto”. Ovviamente incompreso, le sue opere esposte a Oslo e a Berlino vennero definite dalla critica come « la produzione pseudopittorica di un nevrastenico ». L’arte era allora ancora sinonimo di bellezza, di armonia, non di deformazione e di dolore, i quadri di Munch dagli accostamenti cromatici insoliti, dalle forme incomplete, accennate, deformate furono per lungo tempo derisi, giudicati come delle ridicole bozze non finite. Per comprendere la produzione artistica di Munch, è necessario considerare il periodo storico in cui si realizza Quel processo di modernizzazione che ha coinvolto l’Europa soprattutto dal secolo XVIII, e che ha posto lentamente in crisi quel mondo “governato da Dio” che da sempre dava senso e sicurezza, e che ora invece sembra soffocarlo, nascondendogli quella verità “oggettiva” che il progresso scientifico gli offre pur senza dare le risposte alle domande fondamentali: chi siamo? Perché viviamo? cosa c’é dopo la morte?”
“ La presenza umana nel mondo diviene spesso incubo…. un essere gettato violentemente nel mondo… alla libertá… gratuita e inutile”. La sua vita trascorre senza amore rifiuta il matrimonio propostogli più volte da Tulla. “La donna che amministra la vita – scrive Munch – amministra anche la morte…un potere distruttivo”. Nel quadro “Madonna”, ad esempio, l’estasi amorosa è simile a un abbandono doloroso, in cui l’altro, l’uomo, vittima o carnefice che sia, è assente. Così nell’opera Va mpiro è espresso un abbraccio, sotto i lunghi capelli rossi, il sangue che uccide. Tuttavia nonostante l’incomunicabilità e l’angoscia Munch non fu un disperato, partecipò alla vita intellettuale di Christiania, fu amico di scrittori e poeti, e fu acclamato come il più grande artista, principalmente in Germania, conobbe la filosofia di Nietzsche e più tardi s’imbatté in quella di Kierkegaard « La sofferenza più profonda rende l’animo nobile ». Solo il dolore immenso, quel dolore lento e prolungato che brucia in noi come legna al fuoco ci obbliga a spingerci dentro noi stessi in profondità (…) ci spinge a farci domande più profonde, rigorose (…) ” “Senza paura e malattia – aggiunge Munch -la mia vita sarebbe una barca senza remi”. Quale fu la fede di Munch? Edvard nacque in una famiglia protestante e praticante. Ma il contatto con la vita anticonformista bohèmien, lo allontanò dalla fede paterna. Nel 1929 scrisse: «Si potrebbe dire che sono stato uno scettico, ma che non ha mai negato né preso in giro la religione. Il mio dubbio era più un attacco al superpietismo che ha dominato la mia educazione». A quel Dio ancora visibile scrive: «Tu sei una cosa inconcepibile che si trova in profondità all’interno del protoplasma…, Dio, l’inconcepibile, oltre il pensiero, il grande segreto, la giustizia. Se ho peccato sarò tormentato per sempre. Non l’ho chiesto io, questo mondo […] e ho sentito una voce dentro di me: Uomo, nessuno è cattivo, goditi il sole come le piante, che girano le foglie verso la luce, amatevi gli uni gli altri, siate tolleranti gli uni con gli altri. E quando verrà il tempo di morire, quando raggiungerai il sospirato traguardo, allora lascia te stesso volentieri all’aria e alla terra, e gioisci».
(1)
Golgotha (1900) È il dipinto più esplicitamente religioso di Munch, a fare da manifesto al suo confuso credere: un povero uomo nudo crocifisso vede scorrere intorno una folla irriverente e beffarda. Il cielo è colore della terra attraversato da una opprimente nube rossastra all’orizzonte.. e l’uomo in primo piamo col suo sguardo fisso….E’ un’opera che anticipa la domanda scandalosa del XX secolo “ Dove era Dio ad Auschwitz? cui hanno risposto Dietrich Bonhoeffer e Pavel Florenskj con un cammino di fede sino al martirio nei lager.
Nel 1934 Munch scrive: «La mia dichiarazione di fede: Mi inchino di fronte a qualcosa che, se si vuole, si potrebbe chiamare Dio; l’insegnamento di Cristo mi sembra il più bello che c’è”.
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