OMELIA BATTESIMO DI GESÙ – 11 GENNAIO: « USCENDO DALL’ACQUA VIDE APRIRSI I CIELI E LO SPIRITO DISCENDERE SU DI LUI COME UNA COLOMBA »

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11 GENNAIO 2015 | BATTESIMO DI GESÙ – ANNO B | APPUNTI PER LA LECTIO

« USCENDO DALL’ACQUA VIDE APRIRSI I CIELI E LO SPIRITO DISCENDERE SU DI LUI COME UNA COLOMBA »

Credo che sarebbe un rimpicciolire la grandiosità e la ricchezza di contenuto della celebrazione liturgica del battesimo del Signore, se la interpretassimo esclusivamente o prevalentemente in chiave di anticipazione « prefigurativa » del nostro battesimo, come il più delle volte avviene. Il battesimo di Gesù ha un significato di « consacrazione » messianica e di proclamazione di lui come « Figlio di Dio » davanti al mondo: qualcosa, dunque, che riguarda soprattutto lui e la sua missione di salvezza in mezzo agli uomini. Il riferimento al nostro battesimo è solo una conseguenza, che dal battesimo di Gesù assume tutta la sua pienezza di significato.
Le riflessioni che seguono saranno perciò orientate a cogliere la dimensione « cristologica » di questo evento pieno di mistero, che ha indubbiamente colpito la curiosità e l’attenzione dei primi cristiani, se di esso fanno parola, sia pure in forma diversa, tutti e quattro i Vangeli e ripetutamente gli Atti degli Apostoli (1,5.22; 13,24, ecc.).
« Io vi ho battezzati con acqua… »
Il brano di Vangelo di Marco ci aiuta a « intravedere » qualcosa del misterioso evento che si è verificato in occasione del battesimo di Gesù: più esatto, però, sarebbe dire che è il battesimo stesso di Gesù, evento salvifico pieno di mistero, che viene come commentato e dilucidato sia dalle parole di Giovanni Battista che dall’irruzione dello Spirito Santo « in forma di colomba » sopra di lui. Centrale perciò rimane il « gesto » di Gesù che domanda di essere battezzato da Giovanni: tutto il resto tende a farci capire e a farci interpretare quel gesto!
Come è facile vedere, il brano di Vangelo, che ci è proposto per questa Domenica, si divide in due parti: la prima ci presenta il Battista che rende la sua testimonianza al Cristo (vv. 7-8); la seconda ci descrive la scena del battesimo di Gesù (vv. 9-11). Però è evidente che la prima è ordinata alla seconda e la seconda è illuminata dalla prima; perciò devono essere studiate congiuntamente.
Precedentemente Marco con rapidi tratti ci aveva presentato il Battista che, vestito alla maniera degli antichi profeti, « predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati » (v. 4). L’evangelista sottolinea ancora che moltissimi da tutta la Giudea e da Gerusalemme andavano a farsi « battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati » (v. 5).
A differenza degli altri evangelisti, egli non ci riferisce nulla sulla predicazione del Battista, salvo le parole sul « più forte » che verrà dopo di lui e che battezzerà « con lo Spirito Santo » invece che con l’acqua (vv. 7-8). Secondo il suo stile, Marco è più preso dai fatti che dalle parole: l’insegnamento più valido viene sempre da ciò che si fa, più che da ciò che si dice! E l’insegnamento del Battista è tutto nel « significato » del rito che egli amministrava.
Il giudaismo conosceva in quel tempo più di un rito di purificazione e di bagno sacro. I « monaci » di Qumran si purificavano ogni giorno. Esisteva anche l’uso di « battezzare » i pagani convertiti alla fede nel Dio d’Israele. All’esterno, perciò, il battesimo di Giovanni rassomigliava a tanti altri riti di abluzione in uso presso gli Ebrei del tempo: in realtà, però, il suo significato era fondamentalmente « diverso ». E questo per tre motivi.
Il primo, perché voleva essere una pubblica accusa dei propri peccati ed un impegno pubblico a « convertirsi » e a rinnovarsi interiormente: proprio per questo i sacerdoti e i farisei non vollero sottomettersi a quel rito che, di fatto, contestava le loro sicurezze e la loro chiusura alle nuove esigenze del regno di Dio, che già bussava alle porte.
Il secondo motivo era costituito dalla sua stessa ambientazione geografica: Giovanni amministrava il battesimo in una zona desertica (v. 4), lungo il fiume Giordano (v. 5).
Il « deserto » richiama subito alla mente la lunga peregrinazione degli Ebrei, liberati dalla schiavitù di Egitto, alla ricerca della terra promessa; il Giordano, poi, ricordava la prodigiosa traversata del fiume, che rappresentava l’ultimo ostacolo per l’ingresso d’Israele nella Palestina, sotto la guida di Giosuè che fece erigere un cippo di dodici pietre in ricordo di quel prodigioso avvenimento (Gs 4,21-23).
Con tutto questo Giovanni voleva chiaramente alludere ad un nuovo « esodo » e ad una nuova « salvezza » che si sarebbe realizzata non per opera sua, ma per opera di colui che egli, per disposizione divina, era venuto ad « annunziare » a Israele e al mondo.
« … ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo »
E così veniamo al terzo motivo per cui il battesimo di Giovanni era un rito di purificazione completamente « diverso » da tutti gli altri in uso al suo tempo: esso era ordinato ad annunciare e a « predisporre » la venuta del Messia, di cui delineava allusivamente la missione. Non aveva perciò tanto valore in sé, quanto per quello che preannunciava.
È quanto ricaviamo appunto dalle parole (le uniche che Marco mette in bocca a Giovanni!), con cui il precursore presenta Gesù alla folla che viene a farsi battezzare da lui: « Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo » (vv. 7-8).
L’immagine del « più forte » evoca le antiche speranze messianiche dell’eroe divino, che in maniera efficace e coraggiosa interviene per liberare gli oppressi: « Si può forse strappare la preda al forte? Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno? Eppure dice il Signore: « Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda sfuggirà al tiranno. Io avverserò i tuoi avversari; io salverò i tuoi figli »" (Is 49,24-25).
Nella tradizione cristiana primitiva Gesù sarà presentato appunto come « il più forte » che vince l’avversario, Satana, e libera gli oppressi. La missione di Giovanni è precisamente quella di far spazio al « più forte » che, pur venendo « dopo » di lui, gli passerà « avanti » e di fronte al quale egli è poco meno che un servo che « scioglie i legacci dei sandali » al suo padrone.
Proprio perché « più forte », il Messia avrà possibilità di rinnovare e di trasformare il cuore degli uomini molto più di quello che non riuscisse a fare il battesimo di sola « acqua » di Giovanni: « Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo » (v. 8).
Queste ultime parole vogliono certamente richiamare a quella « pienezza » trasformante dello Spirito, che i profeti avevano preannunciato per i tempi messianici.
Basti qui ricordare solo due passi: uno di Isaia, in cui si predice che sul futuro Messia « si poserà lo spirito del Signore; spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore » (Is 11,2). L’altro passo è ripreso da Ezechiele, il quale preannuncia per i tempi ultimi una grande « purificazione » nell’acqua e nello Spirito: « Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati… Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi » (Ez 36,25-28). Lo Spirito, dunque, secondo il profeta, sarà il nuovo principio « vitale » che dall’interno animerà tutta l’esistenza dei « rinnovati » figli di Dio. Una grande « immersione » nello Spirito: questo è il battesimo nuovo con il quale Gesù « battezzerà » tutti i credenti nel suo nome!
« In quei giorni venne Gesù e fu battezzato nel Giordano da Giovanni »
Alla luce di quanto abbiamo detto è certamente più facile comprendere la seconda parte dell’odierno brano di Vangelo, in cui ci è presentata in termini scarni la scena del battesimo di Gesù: « In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: « Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto »" (vv. 9-11).
Prima di tutto, c’è da notare che Gesù viene presentato come un normale Giudeo del suo tempo che va a ricevere il battesimo di Giovanni, che Marco ci ha descritto come « un battesimo di conversione per il perdono dei peccati » (v. 4). Gesù perciò compie un gesto di abbassamento, che lo colloca alla pari di tutti e non ha altra spiegazione se non quella di esprimere la sua « solidarietà » con tutti noi che siamo figli del peccato: un gesto, dunque, che anticipa la sua estrema umiliazione, quella della croce, in cui Cristo, al dire di san Paolo, diventa « maledizione » e « peccato » per tutti noi, perché noi ricevessimo la  » benedizione  » e diventassimo « giustizia di Dio in lui ».
Proprio per questa paradossalità di situazione, in cui volutamente Gesù si pone, il Vangelo di Matteo ci descrive la opposizione di Giovanni che, inizialmente, si rifiuta di battezzarlo: « Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? ». Gesù però risponde che bisogna « adempiere ogni giustizia » (Mt 3,14-15), cioè il disegno salvifico di Dio in lui.
La « visione » successiva, con la « voce » che viene dall’alto, ricalca alcuni tratti delle « teofanie » dell’Antico Testamento e delle scene di « vocazione profetica » e vuole esprimere sia l’approvazione del cielo al gesto di abbassamento, con cui Cristo inaugura davanti al mondo la sua missione di salvezza, sia il « corroboramento » che viene dall’alto per un compito così difficile che, di fatto, culminerà con la morte di croce. Questo è il significato dei cieli che « si aprono » e che richiama certamente il passo di Isaia (63,15) in cui il profeta supplica Dio, in nome della sua paternità nei riguardi di Israele, di rompere finalmente il suo troppo lungo silenzio e di « scendere » dal cielo per mostrare al popolo il suo volto e salvarlo, inaugurando così i tempi messianici: « Se tu squarciassi i cieli e scendessi! ».
L’immagine poi dello Spirito, che scende « in forma di colomba », evoca la tenerezza amorosa del Padre celeste che si china sul proprio Figlio diletto, allo stesso modo con cui una colomba si avvicina ai suoi piccoli svolazzando attorno a loro. Alcuni esegeti vi vedono un riferimento a Genesi 1,2, dove si parla dello « spirito di Dio » che si muoveva sulle acque primordiali: in tal caso si vorrebbe alludere alla forza rinnovatrice e « plasmatrice » dello Spirito che agisce in Cristo.
 » Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto »
Particolarmente carica di significato è la proclamazione fatta dalla « voce » che viene dall’alto e che, a differenza di Matteo (3,17), è rivolta direttamente a Gesù in seconda persona: « Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto ». Essa è fatta di tre riferimenti biblici, che dànno una risonanza anche più profonda, non appena si ricostruiscono nel loro contesto.
« Tu sei il Figlio mio » è citazione letterale del Salmo 2,7, che è un salmo regale e che già la tradizione giudaica interpretava in senso messianico: applicata a Gesù di Nazaret, la formula esprime il suo particolare ed « unico » rapporto di filiazione con il Padre e la sua dignità messianico-regale.
Una dignità regale, però, quella di Cristo, che passa attraverso la sofferenza e l’umiliazione. È quanto esprime l’aggettivo « prediletto » (agapetós), equivalente di « unico », che richiama automaticamente la figura di Isacco, chiamato così per tre volte nella Genesi (22,2.12.16) proprio quando Dio domanda ad Abramo di offrirglielo in sacrificio, per dimostrare che lo « ama » più di qualsiasi cosa al mondo. È quanto viene espresso, soprattutto, nella terza parte della formula: « In te mi sono compiaciuto » e che è ripresa proprio dall’inizio del primo canto del « Servo sofferente » di Jahvè: « Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni » (Is 42,1).
Indubbiamente in questa solenne proclamazione della « voce » celeste si riflette la fede della comunità primitiva che, reinterpretando l’inizio della missione pubblica di Gesù, la vede sotto il segno dell’abbassamento e della solidarietà con i peccatori che egli, quale nuovo Mosè e nuovo Giosuè, guida alla libertà « uscendo dall’acqua » (v. 10) del Giordano, simbolo di tutto un vecchio mondo che crolla, per avviarsi verso la nuova terra promessa, che conquisterà per sé e per il suo popolo nella umiltà e nella offerta martoriante di tutta la sua vita.

« O voi tutti assetati, venite all’acqua »
Pur essendo tutto centrato sul significato essenzialmente « cristologico » del battesimo di Gesù, rimane vero che il brano evangelico che abbiamo fin qui esaminato rimanda in qualche maniera anche al nostro battesimo. Infatti quando Giovanni dice di Gesù che egli « vi battezzerà con lo Spirito Santo » (Mc 1,8), certamente allude al battesimo cristiano che Gesù darà mandato agli Apostoli di conferire a coloro che avranno « creduto » in lui (cf Mc 16,16).
Ora, le due letture bibliche odierne, sebbene non contengano riferimenti precisi al battesimo e in qualche maniera siano perciò « adattate », di fatto contengono dei « richiami » che al battesimo cristiano si possono benissimo applicare.
Il primo brano, ad esempio, contiene una esortazione a partecipare ai « beni » della nuova alleanza (Is 55,1-5) e a « convertirsi » mentre c’è ancora tempo (Is 55,6-11).
I « beni » messianici sono espressi dalle immagini più vive ed intense per descrivere il desiderio di cose particolarmente preziose ed appetibili: così l’ »acqua » per chi è assetato, il « pane » per chi è tormentato dalla fame: « O voi tutti assetati, venite all’acqua, / chi non ha denaro venga ugualmente; / comprate e mangiate senza denaro / e, senza spesa, vino e latte. / Perché spendete denaro per ciò che non è pane, / il vostro patrimonio per ciò che non sazia? » (55,1-2).
L’immagine dell’ »acqua » dice un facile riferimento al battesimo, come sorgente « fontale » di tutta la vita cristiana, la quale non può staccarsi mai da ciò che continuamente l’alimenta. E ciò che l’alimenta è soprattutto la « parola » di Dio, che si presenta come realtà sempre nuova perché detta per ogni situazione della vita.
 » Come la pioggia e la neve scendono dal cielo… »
È per questo che l’immagine dell’acqua ritorna anche nella seconda parte, applicata però alla « parola » di Dio: « Come infatti la pioggia e la neve / scendono dal cielo e non vi ritornano / senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme al seminatore / e pane da mangiare, / così sarà della parola / uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata » (vv. 10-11).
Sappiamo adesso che cosa è l’acqua che « l’assetato » è invitato non solo a desiderare, ma addirittura a « comprare » (cf v. 1): è la « parola » di Dio. Però l’accento si è spostato dal desiderio intenso di una cosa preziosa all’ »efficacia » di questa « acqua » prodigiosa, che è la parola di Dio: essa scende sotto forma di pioggia o di neve e tutto « feconda » e rinnova, facendo « germogliare » ogni seme e dando grano e « pane » in abbondanza.
Tutto dunque è legato alla « parola » di Dio, che è efficacissima; ma non opera mai secondo progetti meramente umani: « Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, / le vostre vie non sono le mie vie… / Quanto il cielo sovrasta la terra, / tanto le mie vie sovrastano le vostre, / i miei pensieri sovrastano i vostri » (vv. 8-9).
« Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio »
Il secondo brano è più pertinente con il tema del battesimo. E questo per un doppio motivo.
Il primo perché parla della nostra « nascita da Dio »: e noi sappiamo che per san Giovanni tale « nascita » avviene proprio nel battesimo. Si ricordi quanto dichiara solennemente Gesù a Nicodemo: « In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio » (Gv 3,5). E bensì vero che qui il nascere, o 1′ »essere generati », è collegato con il fatto del « credere » in genere, ma lo sfondo è certamente battesimale: « Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti » (1 Gv 5,1-2).
Come conseguenza della nuova « nascita » da Dio per la fede, espressa nel battesimo, san Giovanni deriva la necessità d’ »amare » tutti i fratelli: non si può fare discriminazione fra i « nati » dallo stesso Padre! Il sacramento del battesimo, perciò, oltre che essere segno di rinnovamento e di rinascita, è anche, proprio per questo, segno di universale fraternità e di amore.
« Questi è colui che è venuto con acqua e sangue »
Il secondo motivo di un più stretto rapporto del nostro brano con il tema della festa odierna è che negli ultimi versetti sembra che si faccia esplicito riferimento al battesimo del Signore. Dopo aver ricordato che la fede in Gesù, come « Figlio di Dio », « vince il mondo » (v. 5), si elencano gli elementi particolarmente significativi che dimostrano questo speciale rapporto di Gesù con il Padre.
« Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che ha dato al suo Figlio » (vv. 6-9).
« L’acqua e il sangue » (v. 6), con cui Gesù ha reso testimonianza, dovrebbero riferirsi alla sua morte di croce, quando il centurione gli perforò il costato e « subito ne uscì sangue e acqua » (Gv 19,34); « l’acqua soltanto » (v. 6) dovrebbe invece riferirsi alla sua manifestazione nel Giordano, quando lo Spirito « scese » sopra di lui proclamandolo « Figlio di Dio ».
« La testimonianza di Dio è maggiore »
È sulla base di queste tre « testimonianze » (battesimo, morte di croce, la continua illuminazione dello Spirito) che noi scopriamo chi veramente sia Gesù di Nazaret e possiamo confessarlo davanti al mondo. Perciò l’autore giustamente conclude: « Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che ha dato al suo Figlio » (v. 9).
Il battesimo di Gesù rimane dunque uno dei momenti privilegiati in cui il Padre e il Figlio, nella luce dello Spirito, si sono resi « testimonianza ». Adesso tocca a tutti i battezzati annunciare che c’è un solo modo per « vincere » il male che c’è nel mondo: essere « fedeli » alla virtù trasformante del proprio battesimo, che deve però riassumere la tensione acutissima di quello di Cristo, per essere ancora credibile dagli uomini del nostro tempo come sacramento della « novità » cristiana. « E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede » (v. 4).

Da CIPRIANI S., Convocati dalla Parola

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |le 9 janvier, 2015 |Pas de Commentaires »

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