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TEMPO AVVENTO – ANNO LITURGICO B | 4 DICEMBRE 2011 – 2A DOMENICA AVVENTO B
Commento esegetico-spirituale della Parola di Dio
* Is 40,1-5.9-11 – Preparate la via del Signore.
* Sal 84 – Rit.: Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.
* 2 Pt 3,8-14 – Aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova.
* Mc 1,1-8 – Raddrizzate le vie del Signore.
« Alza la voce, annunzia:
Ecco, il Signore Dio viene! »
C’è una profonda unità tematica fra le varie letture di questa Domenica, che deriva non solo dal fatto che il Vangelo viene presentato come l’attuazione di un celebre testo di Isaia, ma anche dal fatto che tutti e tre i brani biblici esprimono un senso di attesa gioiosa e trepidante nello stesso tempo.
C’è « qualcosa » di molto importante che deve avvenire; c’è soprattutto « Qualcuno » che deve venire, il cui volto misterioso è ancora nascosto sotto la ruga delle vecchie pagine del libro sacro e nell’indeterminatezza delle parole taglienti di Giovanni il battezzatore.
Proprio per questo il credente è invitato a vivere nell’attesa, proiettato nel futuro, sapendo però che questo futuro non viene da sé, ma soltanto se sollecitato, invocato, quasi « creato » dal nostro desiderio.
« Nell’attesa di questi eventi, cercate di essere senza macchia »
È tutt’altro che un’attesa inerte la nostra, o fatalistica, ma un’attesa viva, creatrice addirittura: nel senso che solo nel cuore degli uomini aperti all’amore irrompe la « salvezza » che viene da Dio. Altrimenti, essa verrebbe non come « grazia » ma come « giudizio », come condanna. E questo non sarebbe un « Avvento » gioioso, ma una maledizione! Proprio per questo la seconda lettura mette in guardia i credenti dall’agire con leggerezza in attesa del « giorno del Signore »: « Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate di essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace » (2 Pt 3,14).
Su questa linea di preparazione e di vigilanza si muove anche la colletta con cui si apre la Liturgia odierna: « O Dio, grande e misericordioso, fa’ che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio, ma la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con il Cristo, nostro Salvatore ». L’attenzione ai problemi e all’impegno nel mondo, che pure è un dovere dei cristiani, non deve allentare la tensione verso ciò che deve ancora venire, e non solo per il breve spazio dell’imminente Natale, ma durante tutto l’arco della nostra vita: c’è sempre una parte di inedito e di incompiuto, che rimane per tutti noi ancora da « scontare » e da completare con grande pazienza e generosità.
« Consolate, consolate il mio popolo »
La prima lettura ci riporta il bellissimo inizio del cosiddetto « libro della consolazione » d’Israele, che abbraccia i cc. 40-55, che ormai gli studiosi attribuiscono concordemente al Deutero-Isaia, un profeta anonimo della fine dell’esilio.
Il brano si presenta come un coro a più voci. Apre il canto Dio stesso che annuncia la fine della schiavitù: « Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati » (Is 40,1-2).
La liberazione avviene non come un fatto meccanico, o per una felice combinazione di eventi e di rapporti di forza, ma perché Gerusalemme « ha scontato la sua iniquità », cioè si è convertita pagando il « doppio » di quello che aveva rubato al Signore: come i ladri che dovevano restituire il « doppio » (Es 22,3)! Come si vede, il fatto politico è riassorbito nella dimensione religiosa dell’evento.
« Nel deserto preparate la via al Signore »
A questo punto si inserisce una « voce » misteriosa, che il profeta lascia volutamente nell’anonimo per creare un clima di maggiore attenzione, la quale esorta a « preparare » la via al Signore che sta per ritornare nella sua terra, conducendosi dietro vittoriosamente il suo popolo: « Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato » (vv. 3-5).
Nei testi babilonesi si parla in termini analoghi di « vie » processionali o trionfali, preparate per determinate divinità o per il re vittorioso. Il riferimento al « deserto », oltre che una precisa indicazione delle steppe siriane che avrebbero dovuto attraversare i deportati in Babilonia, vuol essere soprattutto un rimando all’esperienza del primo Esodo, con tutti i prodigi che lo avevano accompagnato. Anche adesso Dio manifesterà la sua « gloria » nei prodigi che accompagneranno questa nuova liberazione: tanto che « ogni uomo la vedrà » (v. 5) con i propri occhi e quasi la toccherà con le proprie mani.
« Il Signore Dio viene con potenza »
Subito dopo il profeta immagina che uno si distacchi dal gruppo dei reduci e si affretti a portare il buon annuncio alla città di Gerusalemme, che ancora giace nella sua tristezza e nella sua desolazione: « Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce, con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere, annunzia alle città di Giuda: « Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri »" (vv. 9-11).
È il grande « Avvento » del Dio che « salva » nella sua terra: è perciò una « venuta » di riconciliazione e di amore! Con il popolo che ritorna dall’esilio anche Gerusalemme rifiorisce. Il prodigio è pertanto duplice: il ritorno d’Israele alle sue sorgenti e il « rifiorire » di ciò che era rimasto, quale simbolo di un mondo ormai in dissoluzione.
L’immagine conclusiva del brano è bellissima: Dio, che pur è potente e detiene nel suo pugno lo scettro del « dominio » (v. 10), è rassomigliato ad un « pastore », pieno di premura e di delicatezza verso gli « agnellini » appena nati e verso le « pecore madri » (v. 11). La potenza e l’amore disarmato, direi quasi infantile e materno nello stesso tempo, in lui non si contraddicono!
« In quei giorni si presentò Giovanni a battezzare »
Il brano del Vangelo dà un nome ed un volto alla « voce » misteriosa evocata dal profeta: essa viene dalle profondità del « deserto » di Giuda e ne riecheggia quasi l’ardore bruciante e il sibilo mulinante quando è percosso dal vento.
« In quei giorni si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati… » (Mc 1,4).
Il resoconto di Marco sulla predicazione del Battista è molto breve. Non ha nulla che corrisponda ai detti sull’ira imminente, sulla scure posta alla radice dell’albero, sul ventilabro nella mano di colui che viene, sulla pulitura dell’aia e sul bruciamento della pula in un fuoco inestinguibile. E neppure riporta le esortazioni alle folle, ai pubblicani, ai soldati (Lc 3,10-14). Tutto si concentra nella profezia della venuta del « più forte », cioè il Messia, e del battesimo « in Spirito » che egli amministrerà in contrasto con quello di sola acqua del Battista. Il presente « viene » (érchetai) dice tutta l’imminenza della venuta.
Più che negli altri Vangeli qui il Battista è soltanto una « voce »: direi che di suo non ha nulla! Grida soltanto ed annuncia che il Cristo sta per venire: per conto proprio, egli è tutto proteso verso questo personaggio misterioso, davanti al quale si sente come uno schiavo, « indegno » perfino di servirlo. A questo, infatti, allude l’immagine dello « sciogliere i legacci dei sandali » (v. 7).
Questo rapporto schiavo-padrone secondo qualche esegeta (E. Lohmeyer) sarebbe espresso anche dalla formula « dopo di me viene » (v. 7), che non avrebbe valore cronologico, ma vorrebbe appunto descrivere l’atteggiamento del servo che va avanti, facendo da battistrada al padrone. L’idea è suggestiva e mi pare che si inquadri benissimo nel contesto.
Le affermazioni « cristologiche » più importanti del brano sono due: a) Gesù è « più forte » di Giovanni; b) e battezzerà « con lo Spirito Santo ».
La prima espressione, con riferimento a Marco 3,27 e a Luca 11,22, in cui si parla di Satana che viene vinto da uno « più forte », dovrebbe significare che Gesù viene per combattere Satana: la sua opera di salvezza consisterà appunto nel « distruggere le opere del Diavolo » (1 Gv 3,8). Il Battista rappresenta appena l’avvisaglia di questa lotta spietata!
La seconda espressione allude al Messia come donatore dello Spirito. Secondo il messaggio profetico, infatti, negli ultimi tempi si attendeva una sovrabbondante effusione dello Spirito, anche se è vero che non sempre lo Spirito Santo veniva direttamente collegato al Messia. Per dei lettori cristiani, poi, è ovvio che il battesimo « nello Spirito » evocava il sacramento del battesimo, che costituiva il loro primo e fondamentale incontro con Cristo, il suo « avvento » glorioso e trasformante nella loro vita. L’acqua era solo simbolo dell’operazione più profonda prodotta in loro dallo Spirito Santo.
« Egli era vestito di peli di cammello… »
Ma non è solo con la sua « voce » secca e vibrata che Giovanni predicava e preparava l’avvento del Messia: anche il suo stile di vita, che riduceva all’essenziale i bisogni, quasi per dire che la cosa più importante di tutte è il Messia che viene, era una predica travolgente. Tanto che « accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati » (v. 5).
Il fatto che vestisse un abito intessuto di « peli di cammello » e mangiasse « locuste e miele selvatico » (probabilmente il succo di certe piante) e vivesse nel deserto sta a dire, più che il suo spirito di penitenza, la ricerca appassionata e macerante delle cose che più contano: Dio, la preghiera che lo può raggiungere, la libertà radicale della propria esistenza che non si lascia condizionare da nessun tipo di bisogno vero o artefatto, l’incontro con i propri fratelli per aiutarli a riscoprire, anche loro, la via del « deserto », là dove passa il Signore che ritorna in Gerusalemme.
Tutti questi elementi costituiscono quella « conversione per il perdono dei peccati » (v. 4), che Giovanni predicava e intendeva anche plasticamente esprimere mediante il suo battesimo di acqua. In tal modo voleva anche dire che il Messia lega il suo avvento alla « conversione » del cuore: là dove questa non c’è, neppure il Messia viene! O se viene, è solo per « condannare » gli uomini che si sono chiusi al suo amore.
DA CIPRIANI S., CONVOCATI DALLA PAROLA