PAOLO, UN « INATTUALE » PERENNE

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PAOLO, UN « INATTUALE » PERENNE

di VINCENZO VITALE

Vita Pastorale n. 6 giugno 2007

Studi specialistici di ogni genere hanno affrontato la figura e l’opera dell’apostolo delle genti. L’ultimo libro è di un grande studioso di san Paolo, Jerome Murphy O’Connor, e si intitola Paolo. Un uomo inquieto, un apostolo insuperabile. L’autore, in una veste narrativa, che non rinuncia alla ricostruzione storica di ambienti e situazioni, presenta un ritratto realistico e vivo di Paolo. Proteso in avanti, ma anche vivamente inserito in precise coordinate storico-culturali.
La vicenda biografica e i temi teologici dell’apostolo Paolo sembrano appassionare gli studiosi – tanto che ogni anno escono articoli e monografie specialistiche –, ma un po’ meno i divulgatori e il grande pubblico, anche se non manca ogni tanto qualche opera del genere « giornalistico » (ad esempio Paolo di Tarso di Dreyfus). È ancora più raro che a uno studioso esperto venga l’idea di una « riscrittura » in forma narrativa di quanto ha esposto altrove in forma « accademica ». È quanto ha fatto invece Jerome Murphy O’Connor, un’autorità da decenni nel campo degli studi paolini, docente all’École Biblique di Gerusalemme, con Paolo. Un uomo inquieto, un apostolo insuperabile (San Paolo 2007, pp. 322, € 22,00).
L’autore aveva già all’attivo, infatti, un ponderoso studio, Vita di Paolo (Paideia 2003, pp. 480; titolo originale: Paul. A critical life, 1997): un’opera davvero ricca, ma anche densa e zeppa di discussioni e note faticose per un lettore medio.
L’ultimo libro ha il pregio di presentare un ritratto estremamente realistico di Paolo e della sua parabola apostolica (la personalità, vista nel vivo dell’interazione con eventi, persone, situazioni), dell’accuratezza storica nell’ambientazione, del piacere della narrazione che, con estrema naturalezza, sa inserire digressioni storiche, notizie su città e ambienti.
Vita di san Paolo(IX secolo). In alto: punta estrema della penisola iberica. Paolo progettava un viaggio fin là.
Vita di san Paolo(IX secolo). In alto: punta estrema della penisola iberica.
Paolo progettava un viaggio fin là (foto Lores Riva).

Un quadro realistico e vivo
Curiosando un po’ tra opere degli anni ’40 su Paolo, troviamo titoli eloquenti: Dux Verbi. L’apostolo delle Genti (1942) di Vincenzina Battistelli; L’Apostolo Paolo (1939), di Joseph Holzner (un classico all’epoca), il cui titolo originale (tedesco) suonava Paolo. Una vita d’eroe al servizio di Cristo (1937). Basta leggerne alcune pagine per rendersi conto della luce idealistica in cui l’apostolo è immerso, anche quando si racconta della sua vita di persecutore: «Evidentemente Saulo spirava odore di martirio; odore che inebria, consola e stordisce» (Dux Verbi, p. 16). Abbonda la terminologia militaresca: «Conquistare il mondo alla verità cristiana», «la sua salda armatura» (p. VII), «capitano designato a quelle gesta gloriose» (p. VIII). Un personaggio così tutto d’un pezzo lo si ammirerà forse, ma difficilmente ci si può identificare o simpatizzare.
È proprio su questo terreno che a Murphy O’Connor riesce uno dei tratti migliori del suo libro: presentarci un Paolo umanamente vivo, uomo coraggioso senz’altro, ma pure animato da sentimenti ed emozioni di grande impatto anche sul tono e la qualità della sua comunicazione (Prefazione, pp. 8-9). L’autore evidenzia più volte il temperamento forte dell’apostolo, con i limiti umani che questo comporta: esemplare è il caso della corrispondenza con la comunità di Corinto (pp. 201-206), in cui Paolo arriva a dare risposte sferzanti fino al sarcasmo (cf 1Cor 3,3-4 e 4,7), finendo per avere un impatto disastroso sulla comunità: e Paolo deve faticare non poco per « riconquistarsi » la comunità offesa (cf seconda Lettera ai Corinzi, dove con un accorto uso della retorica può attaccare gli avversari senza colpo ferire, pp. 220-229).
Altrove ci mostra un Paolo possessivo verso le comunità che ha fondato e non si fa scrupoli ad attaccare chi non è d’accordo con lui (così con i Galati, p. 82; con i Corinzi riguardo ad Apollo, sentito come possibile rivale, p. 157); un Paolo che non riesce a mettersi nel punto di vista di altri, oggi diremmo poco empatico (p. 140); un Paolo addirittura manipolatore (p. 188).
Questi tratti sono ben lontani dallo « sfigurare » l’apostolo: anzi, su di essi risaltano le qualità positive: il non avere mezze misure (prima della conversione come dopo), la capacità di andare al cuore delle questioni, come nel caso delle comunità cristiane miste, cioè con fedeli provenienti sia dal giudaismo che dai « gentili ». Quello che ne esce è una figura umanamente credibile, in cui si vede quasi tangibilmente come il tesoro della grazia di Dio sia racchiuso in vasi di creta e la forza si manifesta nella debolezza (cf 2Cor 4,7; 12,9).
Insomma: un uomo vivo, « in carne ed ossa », come ha scritto Ravasi su Il Sole 24 Ore. Osserva l’autore che «egli [Paolo] era tutta un’altra cosa dal pensatore impassibile che la maggior parte degli studiosi ha fatto di lui» (p. 10). E questo proprio perché poco o nulla è stata presa in considerazione la sua componente emozionale, accanto alla sua intelligenza.

Lo sfondo storico
Un altro pregio del libro è la straordinaria vividezza con cui l’attività di Paolo è inserita nel mondo di allora. L’autore ci fa sfilare davanti, con il loro brulichio umano, i grandi centri dell’epoca, che furono il campo di azione di Paolo: Tarso, Damasco, Gerusalemme, Filippi, Corinto, Tessalonica, fino a Roma. Da eccezionale conoscitore delle fonti antiche, vediamo con estremo realismo i pericoli di cui Paolo parla (cf 2Cor 11,26-27): apprendiamo così dettagli sui viaggi via mare e via terra, sulla vita e i problemi delle grandi città.
Straordinario lo squarcio su Corinto (pp. 104-123, cf di Murphy O’Connor lo studio sui testi e l’archeologia di Corinto: St. Paul’s Corinth: texts and archaeology): una città opulenta, ma in cui era forte il senso dell’assurdità della vita, della sproporzione tra sforzo e risultati, come testimonia la popolarità del mito di Sisifo nella città: dunque un’epoca d’ansia, in cui «il carattere arbitrario della riuscita generava un mondo interiore abitato dal timore e dall’incertezza [...] c’era un vuoto di pessimismo che andava colmato con la buona novella del Vangelo» (p. 108-109). Il Vangelo attecchì a Corinto con straordinaria velocità e ciò non per l’oratoria di Paolo (egli stesso lo esclude: cf 1Cor 2,1-4), ma perché col suo paradosso di un Salvatore crocifisso ebbe «una risonanza nelle vite di Corinzi preminenti dando loro un senso» (p. 112). Viene spontaneo un parallelo con le città del mondo odierno; non a caso Pasolini, in quella sceneggiatura di un film su san Paolo che non ebbe mai modo di portare a compimento, aveva voluto ambientare la sua vicenda nelle grandi città del Novecento: Parigi, Roma, New York.

Molto interessante è la ricostruzione storica di Murphy O’Connor sul lavoro di Paolo: Paolo veniva, egli sostiene, da una classe sociale relativamente agiata (p. 16), ma a un certo punto dopo la conversione scelse di fare il fabbricatore di tende (At 18,3). Perché, viene da chiedersi? Perché era un mestiere che gli permetteva di lavorare ovunque, anche spostandosi da una città all’altra, e di venire in contatto con tutte le fasce della popolazione (pp. 46-47): dunque costituiva anche un’occasione preziosa, conversando, per contatti iniziali in vista dell’annuncio del Vangelo (p. 110). Un lavoro dunque che corrisponde a una strategia missionaria di Paolo, la cui coscienza è « dominata » dall’imperativo di estendere la buona notizia del Vangelo ai « gentili » (i non ebrei), come aveva compreso dal suo incontro con il Risorto (p. 41).
Il quadro storico consente inoltre di inquadrare a grandi linee le lettere di Paolo, che l’autore presenta nella loro genesi e partendo dai rapporti instaurati tra l’apostolo e la sua comunità: un vantaggio che permette di rileggere tante espressioni delle lettere su basi estremamente concrete e, talvolta, più semplici di quello che si crede. Si capisce anche meglio perché Paolo spesso ricorra agli strumenti della retorica: vuole persuadere i suoi destinatari, dopo aver constatato l’impatto disastroso dell’attacco frontale sulla comunità con la prima Lettera ai Corinzi.
Interessante è l’ipotesi molto personale di Murphy O’Connor sull’origine del concetto di « Peccato » (maiuscolo dell’autore, ndr) in Paolo: in un mondo pieno di pericoli (cf 2Cor 11,26), l’insidia più forte è la preoccupazione per la propria sopravvivenza , per il proprio « io », che « porta » come per forza all’egocentrismo (pp. 70-75): uno stile di vita che è l’esatto contrario del Vangelo, di quell’«esistere completamente rivolto verso gli altri» (p. 71) che è l’ideale di Paolo da quando ha trovato il senso dell’umano esistere nella morte liberamente scelta da un Messia che finisce crocifisso (pp. 55-56). Questo contribuisce, secondo l’autore, alla comprensione di quell’impressionante affresco che Paolo fa dell’io alienato perché costretto a essere altro da quello che in realtà desidera essere (Rm 7).
Sono solo alcuni esempi, tra i tanti, di come una lettura autenticamente storica possa contribuire alla comprensione del messaggio e anche della spiritualità di Paolo.
Copertine di alcuni libri dedicati all’apostolo Paolo per una bibliografia essenziale.
Copertine di alcuni libri dedicati all’apostolo Paolo per una bibliografia essenziale.

Un pastore dalle mille risorse
Un aspetto che emerge dal libro con vivacità è il rapporto tra Paolo e le sue comunità: il « pastore » Paolo, con le sue immense risorse quanto a capacità di fondare comunità, con il suo apprendistato (impara dagli errori commessi e sa cambiare toni quando necessario: p. 222), ma anche con le sue ombre quanto al carattere, soprattutto quando sente messa in discussione la sua autorità.
Emerge con forza anche la capacità dell’apostolo di cogliere con molta lungimiranza il cuore di un problema che agita la comunità e di sapervi dare risposte appropriate. È il caso, ad esempio, del problema della comunione di mensa tra i cristiani provenienti dal giudaismo e quelli dai « gentili »: un problema che ad Antiochia, prima del famoso incidente con Pietro, veniva risolto, probabilmente, con la fiducia reciproca, ma anche in una separazione di fatto tra le due componenti; fu proprio Paolo a comprendere nella sua essenza il problema: accettare la legge in quel caso significava mettere a repentaglio la comunità e la sua unità e porre un principio di salvezza al di fuori della fede in Cristo (pp. 60-64). Si capisce da qui anche l’oscillazione, o se vogliamo l’evoluzione, delle valutazioni di Paolo sulla legge.
Un bell’esempio della sua capacità pastorale è la genesi della prima Lettera ai Tessalonicesi (pp. 116-118): nella comunità, che attenendosi alla sua predicazione attende a breve il ritorno di Cristo nella gloria, alcuni sono morti; qual è la loro sorte? La stessa convinzione dell’imminente ritorno di Cristo è all’origine della scelta di alcuni di vivere da sfaccendati. Queste due problematiche sollecitano Paolo a risposte chiare e precise.
Emerge con forza anche la capacità « strategica » di Paolo nel fondare le comunità in grandi centri urbani, crocevia cosmopoliti: con le persone qui convertite, Paolo si garantisce un intero territorio, così da potersi spingere più lontano. Fonda le comunità, ma poi le lascia e le affida a responsabili, con cui mantiene i contatti per avere notizie: sa scegliersi le persone e sa delegare (p. 161). Emerge il suo ideale di Chiesa, dove conta la capacità della comunità di irradiare il Vangelo con la parola e lo stile di vita, come riconosce ai Tessalonicesi (1,7-8). Nelle comunità Paolo non si impone mai con la costrizione del comando: «Sulle questioni morali fondamentali Paolo è disposto solo a dare consigli» (p. 148), perché per lui il bene supremo è la libertà della decisione, che deve essere spontanea. È il corrispettivo del suo atteggiamento antinomico (= contro la legge): «Egli non era disposto a obbedire ad alcuna legge, e non pretendeva che i suoi convertiti si sottomettessero ad alcun precetto. [...] Di conseguenza era fortemente limitato nella guida della comunità. Poteva indicare quello che si attendeva dai suoi membri; poteva cercare di persuaderli a modificare il loro comportamento; poteva proporsi come esempio (1Corinzi 8,13 e 11,1). Ma questo era tutto! [...] L’esperienza fatta ad Antiochia aveva insegnato a Paolo che operare mediante precetti costrittivi avrebbe inevitabilmente ricondotto sia lui, sia i suoi convertiti nell’orbita della legge» (pp. 149-150). L’unica legge che Paolo conosce e predica è la « legge di Cristo » (Gal 6,2), cioè l’amore: «La volontà di Dio è ormai incarnata nei comportamenti di Cristo, che esemplifica insieme la domanda fatta all’umanità e la risposta a cui essa è chiamata» (p. 146).

Qualche testo di riferimento
Concludiamo rimandando ad alcuni testi, scelti per brevità e autorevolezza, per avere una specie di « mappa di orientamento » nel mondo concettuale paolino. È utile infatti leggere Paolo avendo una specie di « fondale »: questo permetterà poi di collocare meglio i temi particolari. Un testo di lettura lineare ma di solido fondamento è Introduzione alla lettura di Paolo (Borla 2006, pp. 288, H 25,00) di Rinaldo Fabris e Stefano Romanello, con una trattazione sia della biografia che delle lettere e l’originale proposta, per ogni capitolo, di un « laboratorio », ossia di « esercizi » su passi delle lettere di Paolo.
Un libretto agile e di lettura piana, ma frutto anche di una grande conoscenza storica, è quello di Étienne Trocmé: San Paolo (Queriniana 2005, pp. 136, € 10,50): l’autore mette spesso a confronto le lettere di Paolo con la narrazione degli Atti, letta criticamente. Mette molto bene in luce come Paolo fu tutt’altro che compreso dai suoi contemporanei, che dovettero vedere in lui un «pericoloso avventuriero, le cui imprudenze compromettevano il Vangelo», tanto che «furono rari tra i suoi contemporanei della prima generazione cristiana quelli che seppero riconoscere in lui il pensatore più vigoroso della religione di Cristo e il precursore più audace della futura organizzazione della Chiesa» (p. 94).
Frutto di anni di ricerche di uno studioso che ha dato una svolta mettendo gli scritti di Paolo sullo sfondo del giudaismo della sua epoca e recuperandone così la fondamentale « ebraicità » è il San Paolo di E. P. Sanders (Il Melangolo 1997, pp. 144, € 11,36). Egli dà spazio soprattutto alla ricostruzione delle costellazioni concettuali fondamentali per capire Paolo: vi sono affrontati in sostanza i grandi temi teologici. Un lavoro breve, ma denso e istruttivo nel far vedere le cose sotto una « prospettiva nuova » che da allora si è affermata.
Infine segnaliamo, di Klaus Berger, L’apostolo Paolo (Donzelli 2003, pp. 154, € 19,00); creativo e imprevedibile come sempre, anch’egli attento a mettere in luce le radici ebraiche di Paolo (distinte da quelle farisaiche, che egli ritiene Paolo abbia in larga misura conservato e riletto alla luce della fede in Cristo: pp. 35-37) e il suo essere un outsider nel cristianesimo primitivo (pp. 39-46); una lettura più spirituale, sui riflessi concreti per una vita cristiana, quella di Ugo Vanni, L’ebbrezza nello spirito. Una proposta di spiritualità paolina (Adp 2000, pp. 238, € 10,00), e una lettura di taglio psicologico quella di Annamaria Verdi Vighetti: La conversione del cuore in San Paolo. Aspetti psicologici: una nuova chiave di lettura su Paolo di Tarso (Edizioni Appunti di Viaggio 2000, pp. 160, € 12,39).

Vincenzo Vitale

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