SAN PAOLO (E I BAMBINI)
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SAN PAOLO (E I BAMBINI)
Basta aprire una Bibbia e guardare l’indice per rendersi conto che sui 27 libri che compongono il Nuovo Testamento, 13, portano il nome di Paolo. Paolo è stato al contempo missionario, fondatore di comunità, autore di scritti, teologo, mistico nella sua unione profonda con Gesù Cristo ed è stato martire, ha dato la sua vita per Gesù.
Sabato scorso ero nella grande basilica di S. Paolo, dove mi avevano chiesto di celebrare una messa per i bambini delle elementari. Non è facile predicare ai bambini, e per raccontare loro qualcosa su S.Paolo ho detto: “Voi capite che senza i vostri genitori, senza papà e mamma non sareste qui. Allo stesso modo, senza S. Paolo, noi non saremmo cristiani!”. Sembra una frase esagerata e sicuramente in parte lo è, ma almeno non saremmo cristiani come lo siamo ora, non sappiamo come lo saremmo stati senza di lui. Questo ci può già introdurre alla figura di Paolo, alla sua grandezza straordinaria nell’ambito del cristianesimo delle origini. Basta aprire una Bibbia e guardare l’indice per rendersi conto che sui 27 libri che compongono il Nuovo Testamento, 13, portano il nome di Paolo. Paolo è stato al contempo missionario, fondatore di comunità, autore di scritti, teologo, mistico nella sua unione profonda con Gesù Cristo ed è stato martire, ha dato la sua vita per Gesù. In lui incontriamo una persona che è stata a contatto con tre diverse culture: nato a Tarso, in Turchia, un territorio che faceva parte dell’impero romano e nel quale si parlava greco, però da famiglia ebraica della diaspora, e in possesso dela cittadinanza romana che era un grande privilegio. Sicuramente viene istruito già da bambino alla religione dei Padri. Scrive Luca- ma anche Paolo stesso- che era stato educato secondo la dottrina dei farisei, una delle correnti religiose interne all’ebraismo che avevano un grande rispetto verso la Legge e le tradizioni dei Padri. Sempre Luca negli Atti ci racconta che S.Paolo è stato formato alla scuola di Gamaliele (At 22,3), uno dei più grandi rabbini del tempo. Ma c’è un incontro che gli sconvolge la vita, per cui oltre a essere erede delle culture ebraica, greca e romana, soprattutto quello che feconda il suo pensiero e il suo agire è l’incontro con la persona di Gesù Cristo.
Ma quali sono le fonti su Paolo? Sono essenzialmente due: i suoi scritti, sette lettere da tutti comunemente ritenute paoline (protopaoline), 1Ts, 1Cor, 2Cor, Fil, Gal, Rom, Fm. Le altre, dette deutero-paoline, Ef, Col, 2Ts, sono paoline per pensiero, tono, contenuti teologici, ma molto probabilmente sono di suoi discepoli, che portano avanti il suo pensiero. Anche queste ci permettono di conoscere Paolo e l’influsso del suo pensiero su queste prime comunità da lui fondate. L’altra fonte per conoscere Paolo è opera di un biografo d’eccezione, l’evangelista Luca, che ha scritto anche gli Atti degli Apostoli. Dal titolo potremmo pensare che gli Atti raccontino le vicende dei dodici Apostoli, invece se lo sfogliamo, ed è raccomandabile farlo almeno una volta dall’inizio alla fine, perché è un bellissimo libro, avvincente, avventuroso, ci rendiamo conto che non vi è descritta la storia dei Dodici, ma di fatto soltanto di due, cioè almeno fino al cap. 15 si parla prevalentemente di Pietro, e poi di Paolo, prima con un primo accenno nel capitolo 6, per continuare con il cap. 9 nel quale viene raccontata la cosiddetta conversione di Paolo, fino a quando diviene lui il protagonista principale. È interessante notare che Luca non usa mai l’appellativo di Apostolo per designare Paolo, ma solo per Pietro, perché nella Chiesa degli inizi gran parte dei credenti in Cristo ritenevano Apostoli soltanto coloro che avevano vissuto accanto a Gesù la sua attività pubblica e avevano assistito alla sua morte e resurrezione. Paolo non aveva queste caratteristiche, non aveva conosciuto il Gesù terreno, non era stato suo discepolo durante l’attività pubblica di Gesù.
Le due grandi fonti sono dunque gli Atti degli Apostoli e l’epistolario paolino, poi ci sono gli apocrifi che possono raccontarci qualche particolare, come gli Atti di Paolo e gli Atti di Tecla, una sua discepola. Per esempio le fonti che ci raccontano del martirio di Paolo alle Tre Fontane risalgono alla fine del V, inizio del VI secolo, mentre abbiamo fonti del III secolo sulla sepoltura di Paolo sulla via Ostiense.
Luca racconta per ben tre volte l’incontro di Paolo con Gesù sulla via di Damasco. La prima volta in At 9, poi in At 22 e infine in At 26, quando Paolo ne parla di fronte al governatore, dopo essere stato arrestato. Se questo evento viene raccontato tre volte, vuol dire che Luca gli riconosce un’importanza decisiva per il cristianesimo degli inizi.
Vorrei leggervi la fine degli Atti degli Apostoli, il cap. 28. Dopo aver raccontato tutte le vicende di Paolo, dopo aver raccontato nel capitolo 27 il viaggio da Cesarea, dove era prigioniero, fino all’Italia, passando per il Mediterraneo, facendo naufragio, poi l’approdo a Malta, poi Pozzuoli, l’arrivo alle Tre Taverne e infine a Roma, l’ultimo capitolo così continua:
At 28, 16-31
16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia. 17Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. 18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. 19Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. 20Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». 21Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione».
La setta di cui si parla sono i cristiani. All’interno del giudaismo del tempo i giudei che avevano riconosciuto in Gesù il Messia venivano chiamati Nazorei, cioè i seguaci del Nazareno, era considerata una setta all’interno del giudaismo, e non era l’unica,
23E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio;
Paolo era agli arresti domiciliari
egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. 24Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere 25e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri:
26Và da questo popolo e dì loro:
Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete;
guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete.
27Perché il cuore di questo popolo si è indurito:
e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi;
hanno chiuso i loro occhi
per non vedere con gli occhi
non ascoltare con gli orecchi,
non comprendere nel loro cuore e non convertirsi,
perché io li risani.
28Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l’ascolteranno!». 29.
Questo rispecchia tutta la prassi paolina, l’annuncio nell’Asia Minore era rivolto in prima istanza ai giudei, dove Paolo andava a predicare di sabato nella sinagoga, essendo lui stesso giudeo, e predicando loro la venuta del Messia, Gesù Cristo. Solo dopo che, quasi dappertutto, veniva opposto un rifiuto a questa predicazione, Paolo si rivolgeva ai pagani, così farà anche a Roma.
30Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, 31annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.
Franchezza è qui la traduzione del termine greco parresia che esprime anche coraggio, verità, trasparenza.
Così finisce la storia di Paolo, non finisce con la sua morte, non finisce con il racconto del suo martirio. Sicuramente gli Atti degli Apostoli sono stati scritti intorno agli anni 80, molto probabilmente il martirio di Paolo è avvenuto a Roma intorno al 60, quindi quando Luca scrive sono passati almeno venti anni dall’evento. Tutti sapevano che Paolo era morto martire a Roma. Perché Luca finisce così gli Atti? Perché questo finale tronco, senza una vera conclusione? Queste domande hanno incuriosito gli studiosi e molte ipotesi sono state fatte per tentare di dare una risposta. Il libro finisce così probabilmente per un intento letterario, è un’opera che finisce, ma in modo aperto, senza realmente finire. Luca che ha raccontato continuamente la corsa di questa parola in tutti i luoghi nei quali veniva annunciata, dopo aver detto all’inizio degli Atti:
At 1,8
8ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra
alla fine del libro è come se ci mostrasse che Roma rappresenta i confini della terra, quindi l’intento iniziale del racconto è raggiunto, la parola ha compiuto la sua corsa fino al centro dell’impero, ma non viene arrestata, impedita. In qualche modo, e questa è l’interpretazione che danno diversi autori, e che mi sento di condividere, Luca vuol mostrare che questa parola non ha terminato la sua corsa, che in qualche modo Paolo è ancora vivo, che continua a predicare.
Luca negli Atti non nomina mai gli scritti di Paolo e se avessimo solo gli Atti non sapremmo nemmeno che Paolo ha scritto delle lettere. Questa è un’altra domanda alla quale non si è ancora data risposta: perché Luca non accenna mai agli scritti di Paolo? Questo messaggio molto bello, molto forte, è però che questa parola portata da Paolo continua a correre per annunciare il Regno di Dio, e questo Regno di Dio ha il suo centro in Gesù Cristo. Luca è il grande, entusiasta biografo, che racconta le vicende di Paolo, i suoi tre viaggi missionari, il primo negli anni 36-48, il secondo negli anni 50-52 e il terzo nel 52-55. Soltanto in base al racconto di Luca conosciamo questi viaggi, che attraverso le lettere di Paolo non potremmo mai ricostruire. L’ultimo viaggio verso Roma avviene negli anni 58-60. Le lettere di Paolo sono tutte state scritte negli anni 50. Tra la prima lettera scritta alla comunità di Tessalonica (Salonicco) e quella scritta ai Romani sono intercorsi meno di dieci anni. Sicuramente Paolo ha scritto altre lettere oltre a quelle che conosciamo, per esempio due lettere alla comunità di Corinto che sono andate perdute, a cui lui fa riferimento sia nella prima lettera ai Corinzi (che sarebbe in realtà la seconda) che nella seconda lettera ai Corinzi (che in realtà è la quarta).
È vero che il grande biografo di Paolo è Luca, ma se vogliamo conoscere ciò che Paolo dice di se stesso dobbiamo ricorrere ai suoi scritti. L’evento principale della sua storia è raccontato da Luca in tre brani come vi ho già detto, ma è raccontato da Paolo in Gal 1,11-2,14 e in Fil 3,1-11. Si parla spesso di conversione di Paolo, tra l’altro questo è l’evento simbolico per esprimere ogni conversione, quasi diventa il simbolo di ogni uomo che nel suo cammino cambia idea, si ricrede e abbraccia una nuova via che lo trasforma. Ebbene, Paolo non usa mai questo termine per descrivere quello che gli è successo sulla strada di Damasco, non usa la parola conversione in nessuna delle accezioni che abbiamo nel NT, per esempio quando Gesù dice: convertitevi e credete al vangelo (Mc 1,15), nel vangelo troviamo una parola greca, metànoia, che significa cambiate mentalità, ricredetevi. Questa parola o altre che vogliono dire volgersi da una vita di peccato ad una vita virtuosa, non c’è in Paolo. Quando lui racconta quello che gli è successo usa la parola rivelazione o illuminazione o, soprattutto, chiamata. In Gal 1,15-16 troviamo:
15Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque 16di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo
questo è il linguaggio che usa Paolo per descrivere questo evento. Lo stesso vocabolario che incontriamo nella chiamata di Geremia (Ger 1) oppure nel canto del servo di Yahveh in Is 42,6
6Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano;
Quando Paolo scrive la lettera ai Galati (54 d.C.), sono passati venti anni dall’evento di Damasco (32-33), ma lui mantiene tutta la freschezza nel raccontare l’episodio che gli ha cambiato la vita, come se fosse appena successo, usa il tono che ci potremmo aspettare da un neoconvertito e nei termini con cui i profeti dell’AT avevano ricevuto la loro chiamata. Paolo rilegge la sua chiamata alla luce della storia della rivelazione, della salvezza nell’AT. Come questi profeti erano stati chiamati e avevano fatto obiezione alla chiamata di Dio, come vediamo per esempio in Is 6, 4-7
4Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo. 5E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
6Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. 7Egli mi toccò la bocca e mi disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua iniquità
e il tuo peccato è espiato».
o in Ger 1,6:
6Risposi: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare,
perché sono giovane».
anche Paolo si sente in questa condizione, di colui al quale Dio affida una grande missione malgrado sia uno strumento debole ed incapace. Tutto il pensiero paolino si sviluppa a partire da questo evento fondamentale. Anche se lui lo racconta pochissime volte, non racconta i dettagli ma solo in cosa è consistito questo evento. Il brano forse più forte è nella lettera ai Filippesi
1Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore.
Questa comunità di Filippi era quella alla quale lo legava anche un affetto molto forte. Paolo nelle comunità che ha fondato non ha mai accettato dei compensi, non ha mai chiesto di essere mantenuto, per togliere ogni sospetto che la sua attività avesse come scopo l’interesse personale, l’unica comunità dalla quale ha avuto degli aiuti è questa di Filippi.
A me non pesa e a voi è utile che vi scriva le stesse cose:
Segue uno dei versetti più duri di tutte le lettere:
2guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere!
Qui entriamo nel tema cruciale per cui ho detto all’inizio che senza Paolo noi non saremmo cristiani così come lo siamo adesso, perché la grande questione che agitava la Chiesa degli inizi era questa, la questione della Legge, della circoncisione, delle pratiche alimentari. In una parola per diventare cristiani, per entrare a far parte della comunità dei seguaci di Gesù bisognava o no passare attraverso l’ebraismo? Il primo concilio della storia, anche se non viene usata questa parola, si è svolto proprio su questa questione cruciale. Viene raccontato in At 15 ed è interessante mettere a confronto il punto di vista di Luca, che scrive a trenta anni da quell’evento e ciò che Paolo racconta di quello stesso evento, di questo confronto con gli Apostoli:
Gal 2,1-10
1Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: 2vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano.
Qui vediamo il legame che Paolo ha con coloro che erano apostoli prima di lui ed il rispetto che ha nei loro confronti. A Gerusalemme c’erano Pietro, Giacomo e Giovanni, e Paolo si rivolge a loro per essere confermato nel Vangelo che lui va predicando.
3Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere.
Questo vuol dire che una nuova comprensione si era già impiantata nella Chiesa
4E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
6Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – 9e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.
Questa è la questione cruciale: bisognava chiedere ai pagani che si convertissero e passassero attraverso la Legge di Mosè sulla circoncisione, l’osservanza dei precetti alimentari, l’osservanza del sabato, oppure c’era un’altra via? Luca racconta la soluzione di questo grande problema ponendo in At 10 Pietro come primo tra gli apostoli che assiste alla conversione di un pagano, Cornelio, e lo battezza. Cornelio viene battezzato non da Paolo, ma da Pietro. Pietro deve infatti difendersi dall’accusa dei suoi confratelli giudeo-cristiani che lo accusavano di aver ammesso nella comunità dei seguaci di Gesù, dei salvati, dei pagani non circoncisi. Pietro racconta che neanche per lui è stato facile accettare questa idea, che ha avuto la visione di una tovaglia che scendeva dal cielo,
At 10,11-15
11Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. 12In essa c’era ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo. 13Allora risuonò una voce che gli diceva: «Alzati, Pietro, uccidi e mangia!». 14Ma Pietro rispose: «No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo». 15E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano».
Luca strategicamente racconta che è Pietro il primo a battezzare i pagani, a mostrare come lo Spirito Santo era sceso anche sui pagani.
Questo era il problema principale, ma c’erano altri problemi di questa Chiesa nascente che Gesù non aveva affrontato nel suo apostolato, Gesù non aveva predicato tante cose che si potevano applicare ai pagani, anzi di per sé lui non è mai uscito dalla terra di Israele, non ha parlato quasi mai con i pagani, tanto è vero che il mandato ai Dodici era di andare prima alle pecore perdute della casa di Israele. La Chiesa nascente si trova di fronte a cose nuove, delle quali Gesù non aveva parlato, a cui non aveva offerto soluzione, e che però la Chiesa nascente affronta ispirata dallo Spirito di Gesù. La questione principale è proprio questa, che i credenti in Gesù non devono passare per l’ebraismo in questo senso, e Paolo è il primo che fa questa esperienza su di sé. Se Paolo è così duro da chiamare cani quelli che spingono questi pagani di Filippi a osservare la legge mosaica e a farsi circoncidere, è proprio perché ne va del messaggio centrale del vangelo, è questione di vita e di morte per Paolo. Proseguiamo la lettura di Fil 2,3
3Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne,
Carne non è il corpo fisico, ma aver fiducia nelle prerogative umane, in quello che siamo, nella nostra discendenza, nei titoli di studio, nell’intelligenza umana. Tutto questo significa “fiducia nella carne”.
4sebbene io possa vantarmi anche nella carne. Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: 5circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; 6quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge.
Quello che Paolo descrive qui era tutta la gloria di un ebreo, fiero, consapevole di se stesso, con un grande attaccamento alla Legge e alla tradizione dei padri, tutte queste cose erano preziosissime agli occhi degli ebrei, e tutte queste cose facevano la gloria di Paolo, e aggiunge che lui non solo era un fariseo zelante, ma era talmente zelante che questo zelo lo aveva spinto ad opporsi e a fronteggiare qualsiasi minaccia. Una delle minacce era rappresentata per lui da questa nuova setta che metteva in dubbio il valore della Legge e il luogo più sacro per l’ebraismo, cioè il Tempio. Stefano, il primo martire, viene accusato proprio di questo:
12E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. 13Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. (At 6,12-13)
Per lo stesso motivo Paolo si trova ad avversare questa setta. Tra l’altro si racconta che coloro che lapidano Stefano depongono i loro mantelli ai piedi di un giovane che si chiama Saulo. Quindi lui ha assistito alla lapidazione e l’ha approvata interiormente. Paolo dice quindi di aver perseguitato la Chiesa, e se voi leggete il primo racconto che Luca fa al capitolo 9 degli Atti degli Apostoli, la voce che sente Paolo, caduto a terra, gli dice: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. È una frase strana perché Paolo avrebbe potuto rispondere che non stava perseguitando Gesù, ma i suoi seguaci, ma l’identificazione forte tra Gesù e i suoi seguaci è già un valore ecclesiologico, che poi troveremo molto forte nelle lettere di Paolo, la Chiesa è il corpo di Cristo. Lui ricorda che ha perseguitato Cristo e la sua Chiesa e per questo, ancor più, fa esperienza della Grazia, del dono immeritato di Dio, un dono che non è condizionato da nessun merito, da nessuna opera buona, anzi, visto che lui è stato persecutore della Chiesa e di Cristo stesso, Paolo aveva solo dei demeriti, delle colpe. Non era uno neutro, che per la prima volta conosceva Cristo, ma lo aveva perseguitato. In Gal 2,7 abbiamo la svolta:
7Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. 8Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura,
Il termine spazzatura è abbastanza nobile nella traduzione italiana, ma in greco la parola peripsema significa quello che rimane attaccato nelle pentole dopo aver cucinato.
al fine di guadagnare Cristo 9e di essere trovato in lui,
Questa è un’espressione tipica paolina. Essere cristiani per Paolo è essere in Cristo, oppure essere trovati in Lui. Dove sei? Dove ti trovi? Vi ricordate la domanda di Dio ad Adamo nel Paradiso terrestre?
non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. 10E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, 11con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
Tutto il mondo valoriale che Paolo aveva prima, il suo essere totalmente orientato, zelante, religioso, il suo obbedire alla Legge, tutte queste prerogative che erano preziose e in qualche modo restano tali, perché non è che queste cose in sé siano spazzatura, che non abbiano valore, ma tutte queste cose, con tutta la loro preziosità, se vengono messe a paragone con Cristo, diventano spazzatura. Non sono spazzatura in sé, ma lo divengono in questo caso, se messe a confronto con Cristo. Allora si capisce perché quando Paolo scrive le sue lettere, per affrontare i problemi concreti delle sue comunità, con i drammi, le disgrazie, ma anche gli errori e le eresie, Paolo non parte mai dal problema per arrivare alla soluzione, ma, come felicemente ha detto un suo studioso, Paolo parte sempre dalla soluzione per poi arrivare al problema. La soluzione che si staglia nettamente davanti ai suoi occhi è Cristo. Prima di tutto c’è Cristo, la sua morte e resurrezione, è il centro, per questo si dice che il pensiero di Paolo è cristocentrico.
Qui si accenna al grande tema della giustificazione in base solo alla fede, senza le opere della legge. Paolo è il grande teologo della Grazia, questo dono immeritato da parte di Dio si esplica soprattutto nella giustificazione del peccatore. C’è una frase in Rom 4,5
5a chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia,
che non si era mai sentita, nemmeno nell’Antico Testamento. Non si era mai detto che Dio giustifica l’empio, semmai che Dio giudica l’empio, fino a condannarlo, qui si dice che l’amore di Dio precede ogni merito umano. Questo per Paolo è il vangelo più puro, e non è una sua invenzione, qualcosa che Gesù non ha detto, corrisponde al nucleo della bella notizia tramandataci da Gesù. Sarebbe una buona notizia se noi avessimo una religione per la quale, come in altre religioni, l’uomo viene amato e salvato da Dio solo se inizia a comportarsi bene, a rispettare i comandamenti? Non solo non sarebbe una buona notizia, non sarebbe nemmeno una notizia, nel senso di novità. La buona notizia è che Dio prende l’iniziativa, come vediamo in Rom 5,6
6Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito,
non quando siamo stati bravi, quando abbiamo iniziato una vita virtuosa, ma quando siamo peccatori. E qui capite quanto l’esperienza di Paolo sia stata decisiva per elaborare questo pensiero. Dio ha iniziato a volerci bene prima, anzi proprio il suo volerci bene, il suo venirci incontro ha reso possibile che noi potessimo fare esperienza della Grazia. Quindi giustificazione in base alla fede, che non è un’opera, ma un grande dono per accogliere il quale si possono soltanto aprire le braccia e, in base a questa esperienza, sentirsi in debito con tutti come fa Paolo, il suo debito è quello di proclamare questa bella notizia a tutti.
Domande:
Mi colpisce il rapporto di Paolo con la povertà. Il Cristo povero che posto ha?
In 2Cor 8 e 9, si tratta il tema della colletta e Paolo dà tutte le motivazioni, tocca tutti i registri rivolgendosi a questi destinatari di Corinto, perché capiscano il senso spirituale e teologico del fare elemosina. Non è semplicemente privarsi di qualcosa per aiutare gli altri, ma è motivato dall’agire di Cristo. Cristo nella sua incarnazione assume la condizione di servo (Fil 2,5-9 “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, 6il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; 7ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. 9Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”) . Oppure in Gal 4,4 quando si dice che si è fatto uomo (4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge), dove si nomina l’origine umana di Gesù, come quella di tutti gli altri. In Fil si dice che il figlio di Dio si è fatto schiavo, un grande paradosso. Paolo non dice che questo avviene per amore, ma lo fa capire. Ancora in Gal 3,13 si dice che:
Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno o in 2Cor 5,21 Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.
Un’espressione quasi scandalosa: Dio ha reso suo Figlio peccato perché noi ricevessimo la giustizia di Dio. I termini diventano paradossali proprio per esprimere quasi l’indicibile, per far capire che dietro questa azione di Dio in Gesù Cristo c’è un grandissimo amore. Tutto questo a favore dei meno meritevoli, tra cui i poveri, nel senso che sono coloro che hanno più bisogno. C’è poi un passo che potremmo paragonare alle Beatitudini, 1Cor 1,26-29
26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. 27Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, 28Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, 29perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.
Dio non è rimasto al di sopra delle parti, senza scegliere. Dio ha scelto da quale parte stare, è quello che è stato chiamato “opzione preferenziale” per i poveri, per i deboli, per gli emarginati. Preferenziale che non significa esclusiva, ma appunto che c’è un amore speciale di Dio per chi ha più bisogno e questo corrisponde esattamente alle Beatitudini: Beati i poveri. Dio ha scelto da quale parte stare, questo è un suggerimento per noi come Chiesa nel mondo di oggi, quale parte scegliere? Chi sono oggi i più svantaggiati, emarginati, messi da parte?
Un chiarimento sul titolo di Apostolo
Luca non chiama mai Paolo apostolo, ma Paolo quando si presenta nelle sue lettere si presenta come tale. Le lettere nell’antichità non erano come quelle di oggi, dove si inizia rivolgendosi al destinatario, si continua con il contenuto, i saluti e infine si scrive il mittente. Nell’antichità le lettere iniziano sempre con il mittente: Paolo, al quale segue la qualifica: apostolo di Cristo Gesù (appartenente a Lui, al suo servizio), per Grazia, per volontà di Dio, e poi troviamo i destinatari. Paolo non è un battitore libero, non è uno che ha avuto una rivelazione privata di Gesù ed è andato per conto suo. Lui riteneva indispensabile avere l’approvazione delle colonne della Chiesa, ma soprattutto Paolo trasmette e predica ciò che ha ricevuto, non solo da Cristo, ma dalle comunità nelle quali lui è stato anche educato, formato. La prima comunità che incontra è quella di Damasco, tramite Anania, e lì viene battezzato. O la comunità di Antiochia dove Paolo apprende il catechismo, cioè quello che ha ricevuto come intuizione iniziale lo ha poi appreso:
1Cor 15,1-9
1Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, 2e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
3Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati
Questo è il nucleo dell’annuncio cristiano, il kerygma, il riassunto principale delle cose da credere
secondo le Scritture, 4fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.
Lui si mette per ultimo, ma si colloca in questa lista di apostoli. Tra l’altro questo titolo di apostolo Paolo non lo riserva soltanto a sé, ma anche ai suoi collaboratori, addirittura lo applica ad una donna, in Rom 16,7 7Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo gia prima di me. Capite che questo è scandaloso, perché Paolo stesso quando fa l’elenco dei carismi, mette l’apostolato al primo posto.
Perché Paolo lo conosciamo poco?
Uno studioso di S.Paolo, Daniel Marguerat, lo definisce l’enfant terrible, in italiano potremmo tradurre con pestifero, perché in qualche modo Paolo è stato sempre uno che ha scombussolato, ha detto cose scomode. Già nel Concilio di Gerusalemme non è che sia stato applaudito, in Gal 2,11 racconta di aver criticato Pietro
11Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto.
Albert Schweitzer ha affermato che “Paolo ha assicurato per sempre nel cristianesimo il diritto di pensare ». L’altro argomento è che le lettere di Paolo non sono facili da leggere, ma vale la pena faticarci un po’ perché ci permettono di andare alla freschezza del Vangelo. L’anno paolino avrà raggiunto il suo scopo se ciascuno di noi leggerà, mediterà e pregherà sulle lettere di Paolo.
La giustificazione per fede. Ci sono passi nei quali Paolo mostra il suo impegno come cristiano nella carità? Quale il rapporto tra Paolo e Giacomo che dice che la fede senza le opere è morta?
Giacomo probabilmente è già a conoscenza della dottrina paolina sulla giustificazione per fede e quindi esprime una visione del cristianesimo diversa su questo punto, difficilmente conciliabile. Innanzitutto emergono delle sfumature diverse sulla concezione di cristianesimo. Già il fatto che i vangeli siano quattro e non siano identici, ci fa capire che come il cristianesimo nasca già plurale, non monolitico, né uniforme, non tutti dicono la stessa cosa. Tutti riconoscono in Gesù l’essenziale, come Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza, ma il modo di vivere e concepire questo ha delle sfumature diverse, per esempio il vangelo di Giovanni, così come esprime la presenza di Gesù, è diverso dagli altri vangeli, ma non possiamo dire che uno è giusto e l’altro sbagliato, esprime una fede della comunità nascente in cui sono nati questi scritti, che aveva delle sfumature diverse, non che fossero in contrasto o in tensione fra loro, l’immagine che meglio descrive questa diversità è quella di un concerto di una grande orchestra, dove ognuno suona il suo strumento e l’insieme di queste diverse partiture alla fine compone un’armonia.
Per quanto riguarda la fede e le opere, Paolo non esclude le opere, soprattutto non esclude l’amore fraterno, fattivo. In Gal 5,6 Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità si sintetizza tutto questo. Paolo non dice mai che le opere non sono importanti, dice che non vengono mai prima, ma dopo. Qui possono conciliarsi la sua posizione e quella di Giacomo, come già aveva notato Sant’Agostino Paolo dice che la giustificazione, il perdono, la riconciliazione avvengono per fede, senza le opere della Legge, però dopo ci sarà anche il giudizio sulle opere, ed è a questo che si riferisce Giacomo. Sono due momenti distinti, uno è costituito dalla fede che ci giustifica, che ci inserisce in Gesù Cristo, che ci fa persone nuove, e comunque è rispondere ad una chiamata, ma non è che poi non ci sia nulla da fare, c’è da fare, c’è da vivere l’unità, l’amore fraterno, il perdono, la colletta, tutte opere concrete sulle quali saremo giudicati. La giustificazione è dono gratuito, ma poi il cristiano è chiamato a compiere le opere dell’amore.
Karl Barth, grandissimo teologo protestante, scrive: “Ci secca sentire che siamo salvati dalla grazia, e solo dalla grazia. Non apprezziamo il fatto che Dio non ci debba nulla, che la nostra vita dipenda solo dalla sua bontà, che non ci resta che una grande umiltà e gratitudine di un bambino a cui hanno fatto un mucchio di regali. In realtà non ci piace affatto distogliere lo sguardo da noi stessi, preferiremmo molto ritirarci nel nostro circolo chiuso e stare con noi stessi. Per dirla schiettamente: non ci piace credere”. Se voi prendete il messaggio di Gesù vi rendete conto di quanto questo sia vero. Pensate alla parabola degli operai dell’ultima ora, io non so che effetto vi faccia sentirla, se vi lascia tranquilli o vi suscita la sensazione che quello che vi si racconta sia ingiusto. È esattamente questo. All’ultimo arrivato che non ha faticato, viene dato lo stesso compenso ricevuto da quelli che hanno faticato dal mattino. Gesù risponde: “Forse il tuo occhio è cattivo? Mi rimproveri perché io sono buono?” Queste domande rimangono senza risposta. E se una cosa nel testo rimane senza risposta, vuol dire che dobbiamo rispondere noi, ognuno di noi deve dare la sua risposta.
(Testimoni della Fede) I 12 Apostoli e i 4 Evangelisti – autore: don Giuseppe Pulcinelli
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