SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE – 20 AGOSTO – L’ULTIMO PADRE DEL MEDIO EVO

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SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE – 20 AGOSTO

L’ULTIMO PADRE DEL MEDIO EVO

E’ impossibile non unirsi a tutti coloro che hanno scritto e commentato la figura di San Bernardo di Chiaravalle. Questo figlio di nobili borgognoni è l’ultimo dei “padri” del monachesimo benedettino, e con lui la vocazione monastica giunge ad uno dei punti più alti della storia. Nato intorno al 1090 presso Digione, nel castello paterno, figlio di nobili cavalieri, ebbe una educazione tipicamente feudale, ed incarna in sé quello spirito che fu dei monaci e dei cavalieri medievali, fatto di preghiera e combattimento, ascetismo e disciplina, una disciplina spirituale che somiglia molto a quella cavalleresca. Da piccolo entra nella scuola dei Canonici di Châtillon, una delle più importanti della Borgogna, dove studia gli scrittori latini e i padri della Chiesa. Dopo la morte della madre, a cui egli era molto legato, nel 1107, entrò in una crisi che gli fece sentire lontano quel mondo di “donne cavalier armi ed amori” che era proprio della sua famiglia, e forte invece il desiderio di cercare e trovare Dio nella pace e nella quiete del monastero, lontano dal fragore e dalla violenza del mondo. Così a ventidue anni, nel 1112 si reca a Citeaux, nel monastero diretto da Stefano Harding, assieme a trenta compagni. Questo arrivo segnerà una svolta non solo per il monastero, ma nella storia della Chiesa e dell’ Europa occidentale. Anche se differenti nel temperamento, Bernardo fece propria l’idea che aveva ispirato San Roberto di Moleste, Alberico e Stefano. Questi si erano allontanati da Moleste nel 1098 per recarsi in un luogo solitario a 20 chilometri da Digione, in un luogo chiamato Cistercium, per seguire uno stile di vita più semplice e più rigoroso, recuperando lo spirito e la lettera dell’antica regola benedettina, ormai inficiati dalla grande potenza temporale acquisita dai monasteri clunicensi. Il luogo originale, in cui Bernardo condivise i primi anni di una rigorosa vocazione, stava però stretto a Bernardo, che, in cerca di solitudine, ma anche di luoghi aperti e ameni per essere a più stretto contatto con Dio, lasciò Citeaux. Il nuovo luogo sarà ancor più distante dal consesso civile, e si chiamerà Clairvaux , in italiano Chiaravalle. Qui divenne abate e qui rimase fino alla morte, avvenuta nel 1156, nonostante numerosi viaggi, dispute ( celeberrima quella con Abelardo), la predicazione della seconda crociata e l’amministrazione spirituale di un ordine, che alla sua morte contava più di 300 monasteri.
Possiamo dire che i quattro padri dell’ordine cistercense fondarono una vera e propria scuola di spiritualità, di cui San Bernardo costituisce il maestro indiscusso ed il punto di riferimento per le future generazioni di monaci. La sua devozione per la vergine Maria e per il Bambin Gesù rimane una caratteristica della sua spiritualità. La tradizione di chiudere la giornata di preghiera con il Salve Regina deriva proprio da una sua idea. Egli prediligeva per la preghiera luoghi aperti ed ameni, valli luminose ed vicine ai corsi d’acqua. Da qui l’abitudine, tutta cistercense, di fondare monasteri nelle valli. Ben tre città in Italia ci ricordano quindi, con il nome Chiaravalle, la loro fondazione per opera dei monaci di San Bernardo. Umiltà, amore verso Dio con un cammino di unione del cuore, duro lavoro nei campi e profonda devozione mariana sono alcuni dei tratti della spiritualità di San Bernardo. Spirito che si riversa anche nelle strutture architettoniche dei monasteri e delle chiese abbaziali, prive o quasi di decorazioni e tutte slanciate verso l’alto. La sua riforma spirituale quindi segna il passaggio nell’arte dal romanico al gotico. Egli, come tutta la spiritualità monastica, vede la vita spirituale come un cammino fatto di gradi di perfezione, per essere sempre più uniti all’amore di Dio. Amore che si riversa poi sul prossimo, in quanto si ha la piena consapevolezza di essere tutti peccatori. Egli fu anche scrittore molto prolifico: trattati, lettere, prediche, poemi, un “corpus” di scritti che occupa un posto molto rilevante nella storia medievale, e che lo pone come il terzo “padre” medievale, dopo S. Gregorio Magno e S. Benedetto da Norcia. Tra le opere più importanti si possono ricordare « De gradibus humilitatis et superbiae », « De gratia et libero arbitrio », « De diligendo Deo ». Egli fu quindi quel faro di luce spirituale che avrebbe illuminato tutta l’Europa occidentale del XII secolo. Fu infatti capace di recuperare in maniera originale e geniale tutto il pensiero cristiano precedente a lui, pur in una prospettiva monastica e benedettina. Egli, a differenza dei clunicensi, non vede infatti l’uomo semplicemente come un peccatore, ma come una creatura buona, capace cioè di recuperare sempre la dimensione d’amore verso Dio e verso il prossimo. L’uomo, con il peccato ha deformato questa immagine, ma proprio attraverso l’ Incarnazione del Figlio di Dio e la disponibilità di Maria Santissima, Dio può riformare l’uomo a sua immagine. L’uomo è chiamato a prendere parte a questa opera, con la conversione e l’ascesa dell’anima verso Dio, descritta nel trattato De diligendo Deo. L’Incarnazione quindi occupa un posto centrale nella spiritualità cistercense. Questa esperienza chiama l’uomo alla sequela di Cristo, fatta nell’oscurità della fede, si attua nella carità.
Ma San Bernardo non fu solo un mistico chiuso in un monastero, lontano dal mondo e tutto teso alla ricerca spirituale di comunione con Dio. Egli, spirito indomito e combattente, vero cavaliere dello Spirito, partecipò attivamente anche alle turbolente vicende della Chiesa e dell’Europa occidentale del suo tempo. Infatti predicò, su ordine di papa Eugenio III, la seconda Crociata, quella di Luigi VII, Riccardo Cuor di Leone e Federico Barbarossa (1148-1151), aiutò papa Innocenzo II, fuggito a Cluny dopo l’elezione dell’antipapa Anacleto. Al Concilio di Etampes, grazie al suo intervento, il re Luigi VI riconobbe Innocenzo come il legittimo papa. Intervenne anche al famoso Concilio di Troyes (1128) che segna la fondazione dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio (Templari), un mito ancor oggi intramontabile. Per la prima volta infatti i due ordini, bellatores e oratores , cioè cavalieri e monaci, distinti nella società feudale, vengono fusi in uno solo, con lo scopo di difendere i pellegrini in Terra Santa e i luoghi della vita di Cristo. Fu anche impegnato nella disputa con Abelardo e con i nuovi maestri di filosofia che ai suoi occhi pretendevano di spiegare la fede con la ragione, ed alla fine ne ottenne la condanna al concilio di Sains (1140). Erano due personalità forti, i due, ed esprimevano, ognuno nella sua ottica, due modi di vedere il ruolo della fede e della ragione che sono ancor oggi presenti in terra di Francia.
In effetti San Bernardo rivolse parole di esortazione e di rimprovero, di incoraggiamento e di aiuto, di luce spirituale e di fede a tutte le categorie della società del suo tempo, divenendo un punto di riferimento per la sua epoca. Senza di lui il XII e la civiltà feudale che egli rappresenta forse non sarebbe stata gli stessi. Ma fondamentalmente egli fu prima di tutto un uomo di preghiera in un tempo di guerre, crociate, odi e violenze private. Mi ha colpito molto una frase che introduce il suo “De diligendo Deo”, quando all’inizio dice:

“In Dio voglio vivere e in Dio morire: per me preghiere e non domande.”
(Domino vivere et in Domino mori. Orationes a me et non quaestiones)

Un uomo che quindi prediligeva la preghiera alle dispute filosofiche (dette appunto quaestiones) e che preferì la quiete del monastero alla nobile arte della cavalleria e della guerra. Una scelta quanto mai attuale.

Ecco un brano tratto dalla « Patrologia Latina Database » in francese medievale.

CI ENCOMENCENT LI SERMON SAINT BERNAVT KIL FAIT DE LAVENT ET LES ALTRES FESTES PARMEI LAN.
Nos faisons ui, chier freire, len comencement de lavent, cuy nons est asseiz renomeiz et conuiz al munde, si cum sunt li nom des altres sollempniteiz, mais li raisons del nom nen est mies per aventure si conue. Car li chaitif fil dAdam nen ont cure de veriteit, ne de celes choses ka lor salveleit apartienent, anz quierent . . . les choses . . . faillanz et trespessaules. A quel gent . . . nos semblans.. les homes de ceste generation, ou a quei gent evverons nos ceos cunos veons estre si ahers et si enracineiz ens terriens solaz, et ens corporeiens kil repartir ne sen puyent? Certes semblant sunt a ceos ki plongiet sunt en ancune grant auve, et ki en peril sunt de noier. Tu varoyes kil ceos tienent, kes tienent, ne kil par nule raison ne vuelent devverpir ceu ou il primier puyent meltre lor mains quels chose ke ce soit, ancor soit ceu tels choses ke ne lor puist niant aidier, si cum sunt racines derbes ou altres tels choses. Et si ancune gent vienent a ols por ols asoscor, si plongent ensemble ols ceos kil puyent aggrappeir ensi kil a ols nen a ceos ne puyent faire nule ajué. Ensi perissent li chaitif en ceste grant mer ke si es large, quant il les choses ki perissent ensevent et les estaules layent aleir, dont il poroyent estre delivreit del peril ou il sunt . . . prennoyent et salveir lor airmes. Car de la veriteit est dit, et ne mies de la vaniteit, Vos la conessereiz, et ele vos deliverrat. Mais vos, chier freire, a cuy Deus revelet, si cum a ceos ki petit sunt celes choses, ke receleis sunt as saige et as senneiz, vos soiez entenduit cus encenousement envor celes choses, ke vrayement apartienent a vostre salveteit: et si penseiz di merrement a la raison de cest avenement, quareiz et encerchiez ki cest soit ki vient, et dont il vient, ou il vient, et por kai il vient, quant il vient, et par quel voie il vient. Certes molt fail aloeir ceste curiositeit, et molt est saine. Car tote sainte Eglise ne celeberroit mies si devotement cest avenement, saucuens grant Sacrement ne estoil en lui receleiz.

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