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SAN PAOLO: L’UNITÀ INTERIORE, SEGRETO DI SANTITÀ E FECONDITÀ APOSTOLICA (Alberione)

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SAN PAOLO: L’UNITÀ INTERIORE, SEGRETO DI SANTITÀ E FECONDITÀ APOSTOLICA

IL BEATO GIACOMO ALBERIONE, INTERPRETE ATTUALE DELL’APOSTOLO DELLE GENTI

04 Luglio 2012

di padre José Antonio Pérez, ssp

ROMA, mercoledì, 4 luglio 2012 (ZENIT.org).- Una persona si realizza nella misura in cui ha un principio interiore che si rivela in tutto il suo modo di essere, donandogli una fisionomia inconfon­dibile e un’unità d’azione. Nel credente, l’unità inte­riore dipende da un principio dinamico ricevuto da Dio stesso, vissuto in tutta la sua esigenza e portato alle ultime conseguenze. Tutto ciò che egli realizza, porterà il sigillo della sorgente profonda da cui pro­viene.
Coscienza e affermazione dell’unità personale
La scoperta dell’apostolo Paolo da parte del beato Giacomo Alberione risale al primo contatto con gli studi teologici. San Paolo sapeva che in Gesù Cristo abita corporalmente la pienezza della divini­tà e che tutto abbiamo pienamente in lui (cf. Col 2,9-10); di conseguenza, non si può servire Gesù Cristo se non con una risposta di grande «pie­nezza» e sforzandosi perché tutti acquistino la piena intelligenza del mistero di Dio, che è Cristo (cf. Col 2,2-3); e in questo ministero impegnò tutte le risorse personali di natura e di grazia (cf. Col 1,28-29). Tutto questo colpì profondamente l’animo delgiovane ed inquieto Alberione.
«L’ammirazione e la devozione – scriveva nel 1954 – cominciarono specialmente dallo studio e dalla meditazione della Lettera ai Romani. Da allora la personalità, la santità, il cuore, l’intimità con Gesù, la sua opera nella dogmatica e nella morale, l’impronta lasciata nell’organizzazione della Chiesa, il suo zelo per tutti i popoli, furono soggetti di meditazione. Egli parve veramente l’Apostolo: dunque ogni apostolo ed ogni apostolato potevano prendere da lui». Da allora la conoscenza andò sviluppandosi e divenne «devozione», con tutta la carica che questa parola comporta: conoscenza sempre più approfondita, amore e volontà di identificazione, confronto continuo sul piano del pensare e dell’agire, decisione di far conoscere, amare, seguire e imitare l’Apostolo.
Questa «devozione» andò intensificandosi quando la figura dell’Apostolo fu associata alla nuova forma di apostolato che il giovane Alberione avviava con le sue fondazioni. «Tutte le anime che presero gusto agli scritti di San Paolo, divennero anime robuste», affermava. Ed esortava: «Preghiamo san Paolo che formi anche noi persone di carattere, che non si scoraggiano…, che sanno dare un valore giusto alle cose. Gente pratica che sa giocare il “tutto per tutto”, cioè dando tutto a Dio per riceve in cambio Dio stesso. E questo avviene quando vi è un grande amore, la convinzione che aveva san Paolo da farlo esclamare: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”».

L’unità in Gesù Cristo, ricevuto da san Paolo
Per garantire l’unità di ispi­razione e di azione, Don Alberione si riporta sempre al punto essenziale, e così lo offre alla sua Famiglia: «L’unio­ne di spirito: questa è la parte sostanziale… vivere nel Divin Mae­stro in quanto egli è via, verità e vita; viverlo come lo ha compreso ilsuo discepolo san Paolo. Questo spirito forma l’anima della Famiglia Paolina, nonostante che i membri sia­no diversi ed operanti variamente… “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”», diceva nel 1960.
L’unità si trova dunque in Gesù Cristo, ricevuto da san Paolo. Per dono di Dio, don Alberione ha sentito a fondo la Parola rivela­ta circa la pienezza apostolica di san Paolo ed è stato mosso dallo Spiri­to all’impegno di riprodurlo, oggi, nella totalità del suo carisma aposto­lico. È questa la sorgente e l’unità profonda della Famiglia Paolina. È di qui che emanano le differenti fisionomie dei dieci gruppi che la costitui­scono.
Afferma don Silvio Sassi, Superiore generale della Società San Paolo, nella sua lettera annuale, “Ravviva il dono che hai ricevuto”, che per essere fedeli oggi in modo creativo a Don Alberione, occorre interpretare san Paolo per le urgenze della nuova evangelizzazione del nostro tempo: una profonda esperienza di Cristo, che si trasforma in fede missionaria nella comunicazione attuale, in contemplazione nella liturgia, in laboriosità nella pastorale parrocchiale, nel suscitare vocazioni, nel vivere lo stato di vita laicale in stile paolino e nella cooperazione alle opere di bene paoline. Sono questi, appunto, i vari raggruppamenti che debbo­no trovare in san Paolo il loro vincolo di unità e il loro dinamismo contemplativo-attivo verso Dio e verso gli uomini.

Unità, santità e fecondità apostolica
Il beato Giacomo Alberione considera san Paolo non solo padre e ispiratore, ma addirittura «fondatore», «forma» sulla quale la Famiglia Paolina deve riprodurre Gesù Cristo per essere «san Paolo vivo oggi»: «Gesù Cristo è il perfetto originale. Paolo fu fatto e si fece per noi forma: onde in lui veniamo forgiati, per riprodurre Gesù Cristo. San Paolo è forma non per una riproduzione fisica di sembianze corporali, ma per comunicare al massimo la sua personalità… tutto. La Famiglia Paolina, composta da molti membri, sia Paolo-vivente in un corpo sociale».
Il motivo dell’elezione di san Paolo è stata la sintesi che l’Apostolo ha saputo realizzare in se stesso di tutte le dimensioni della sua personalità:
Santità e apostolato: «Si voleva un santo che eccellesse in santità e nello stesso tempo fosse esempio di apostolato. San Paolo ha unito in se la santità e l’apostolato».
Amore a Dio e amore alle anime: «Se san Paolo oggi vivesse… adempirebbe i due grandi precetti come ha saputo adempierli: amare Iddio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la mente; e amare il prossimo senza nulla risparmiarsi».
Attività e preghiera: «Sovente si dà risalto all’attività di san Paolo; ma prima bisogna mettere in risalto la sua pietà».
Il segreto: la vita interiore: «Perché san Paolo è così grande? Perché compì tante opere meravigliose? Perché anno per anno la sua dottrina, il suo apostolato, la sua missione nella Chiesa di Gesù Cristo vengono sempre più conosciuti, ammirati e celebrati?… Il perché va ricercato nella sua vita interiore. È qui il segreto», affermava il Fondatore.
E concludeva costatando come la santità consiste appunto nella sintesi dello sviluppo armonico di tutte le dimensioni umane: «Per san Paolo la santità è la maturità piena dell’uomo, l’uomo perfetto. Il santo non si involve, ma si svolge… La santità è vita, movimento, nobiltà, effervescenza… Ma lo sarà solo e sempre in proporzione dello spirito di fede e della buona volontà».
Segreto per raggiungere la realizzazione personale, la santità, e la fecondità apostolica è dunque l’unità interiore. San Paolo ne è il maestro.

*Postulatore generale della Famiglia Paolina

Our Lady of Mount Carmel

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SAN GIOVANNI PAOLO II E IL SUO LEGAME CON I CARMELITANI

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SAN GIOVANNI PAOLO II E IL SUO LEGAME CON I CARMELITANI

Studente di Giovanni della Croce: il suo pontificato riflette l’influenza carmelitana

Sono venute milioni di persone per il canonizzazione del Papa Giovanni Paolo II. Molti nelle piazze e nelle Chiese, avevano storie di incontri personali con il Papa. Qualche volta questi incontri avvenivano nella folla, ma per la persona era un momento davvero personale con il Papa.
Anche i carmelitani hanno molte storie di incontri personali da raccontare. In ventisei anni Giovanni Paolo II ha visitato molte Chiese e ospitato parecchi gruppi. Tra questi alcuni erano gruppi carmelitani. Ha scritto una « biblioteca » di documenti, e diversi indirizzati ai carmelitani.
Come ben documentato, questo Papa ha una profonda devozione per Maria e in particolare per la B. Vergine Maria del Monte Carmelo. Era forte il suo amore allo Scapolare carmelitano (vedere la storia allegata). Spesso per i suoi scritti utilizzava esempi tratti dalla vita e dagli scritti di santi carmelitani. Conosceva bene la vita del mistico carmelitano Giovanni della Croce vissuto nel XVI secolo. È stato oggetto della tesi di dottorato: Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce.
Tra i vescovi che ha consacrato diversi sono stati carmelitani, presenti in varie diocesi del mondo. Durante il suo Pontificato sono stati eretti diciotto monasteri di monache di clausura.
Il Papa ha mostrato di essere a conoscenza dei Carmelitani di oggi e dei nostri ministeri nella Chiesa in tutto il mondo. Nella lettera al Priore Generale, Joseph Chalmers, in occasione del Capitolo Generale 2001, il Papa Giovanni Paolo II ha ricordato il 2001 come 750° anniversario dello Scapolare, il 7° centenario della nascita del santo vescovo carmelitano Andrea Corsini, come anche il Terzo Millennio nel quale egli aveva introdotto la Chiesa. Ha descritto Elia e Maria come simboli dell’Ordine e ha parlato circa il « viaggio » intrapreso dall’Ordine. Significative le sue parole: « Voi siete chiamati a rileggere il ricco patrimonio della vostra famiglia alla luce delle sfide di oggi così che le gioie, le speranze, le tristezze e l’angoscia dell’umanità, del povero, e soprattutto di quelle sofferenze che sono la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia dei discepoli di Cristo (Gaudium et Spes 1) e, in modo speciale, di ogni carmelitano ».
Lo Scapolare carmelitano
Quando si avvicinava la festa della Madonna del Monte Carmelo, il Papa spesso parlava dello Scapolare carmelitano nel contesto del suo valore oggi. In una udienza del 16 luglio 1988, con un gruppo di alpini, ramo dell’esercito italiano, Giovanni Paolo II ha ricordato l’esortazione del suo predecessore Pio XII a scegliere lo Scapolare tra le molte espressioni di devozione a Maria. Qualche giorno dopo nella residenza estiva di Castel Gandolfo, il Papa definiva lo Scapolare « una grazia particolare di Maria ». Così il cuore cresce in comunione e familiarità con la B. Vergine Maria. E lo Scapolare infatti è « un nuovo modo di vivere per Dio e di perpetuare in terra l’amore di Gesù Cristo, il Figlio, per sua Madre, Maria ».
Nel 1989 in un discorso ai giovani della Parrocchia Carmelitana di Santa Maria in Traspontina il Papa disse di essere stato nella sua giovinezza debitore allo Scapolare carmelitano e paragonò il modo con cui Maria ci veste del suo Scapolare a una madre che gode nel vedere i suoi figli vestiti come si deve: « Maria del Monte Carmelo ci veste in senso spirituale. Lei ci veste con la grazia di Dio e ci aiuta sempre… »
Maria – Signora del Monte Carmelo
La profonda devozione del Papa Giovanni Paolo II verso Maria nei suoi titoli è stata largamente approfondita nei ventisei anni del suo Pontificato. Già alla folla riunita in San Pietro per la sua prima benedizione Urbi et Orbi disse che accettava l’elezione « nello spirito di obbedienza al Signore e nella fiducia totale a sua Madre, Maria Santissima ». Il suo essersi salvato dall’attentato del 13 maggio 1981 lo attribuì alla Madonna di Fatima di cui quel giorno ricorreva la memoria.
La sua dedizione a Maria è stata manifesta durante gli anni del Pontificato. Nell’udienza generale del 13 luglio 1988 il Papa esortava i giovani a riflettere sul loro rapporto con Maria e suggerì loro di guardare alla Madonna del Monte Carmelo. Nella stessa udienza agli ammalati disse: « La Madonna del Carmelo versa luce sulla bellezza del mistero della sofferenza ». Invitò anche gli sposi novelli presenti in piazza « a mettere il loro amore sotto la protezione della Madonna del Carmelo » e li rassicurò: « la sua preghiera e la sua intercessione proteggerà il vostro amore da ogni pericolo e lo renderà sempre più fedele e ricco ».
All’Angelus celebrato a Castel Gandolfo il 24 luglio 1988 il Papa ricordava che due dei mistici carmelitani avevano sperimentato Dio nella loro vita come « via della perfezione » e « salita al Monte Carmelo » sempre alla presenza di Maria come Madre, Patrona e Sorella. E disse che per quanti fanno parte della famiglia carmelitana e per ogni anima profondamente carmelitana una vita di intensa comunione e vicinanza alla vergine Maria è vita feconda.
Quando Giovanni Paolo II visitò la Parrocchia carmelitana di Traspontina nel gennaio 1989 ricordò ai giovani di aver ricevuto un grande aiuto, quando lui era giovane, dalla Madonna del Carmelo: « Io non so esattamente quanto ma penso che mi abbia aiutato enormemente. È stata lei ad aiutarmi nel trovare la grazia della mia vocazione »
Durante l’Angelus domenicale del 16 luglio 2000, mentre era in vacanza ad Aosta, il Papa parlò ancora dei Carmelitani: vedendo tutto intorno le montagne il suo pensiero andò al Monte Carmelo in Palestina. E pensando al Carmelo come simbolo di totale adesione alla volontà divina e alla nostra salvezza eterna, disse: « Siamo chiamati a scalare questo monte spirituale con coraggio e senza fermarci. Camminando insieme con Maria, modello di totale fedeltà a Dio, non dovremmo aver paura degli ostacoli e delle difficoltà. Sostenuti dalla sua materna intercessione, come Elia noi saremo in grado di vivere in pienezza la nostra vocazione di autentici « profeti » del vangelo nel nostro tempo ». E si rivolse a Maria dicendo: « Che la B. Vergine del Monte Carmelo… ci aiuti a salire instancabilmente verso la vetta del monte della santità e a non avere niente di più caro che Cristo che rivela al mondo il mistero dell’amore divino e la vera dignità dell’uomo ».
Possa la sua preghiera diventare realtà nella nostra vita.

SUL MONTE DI MARIA – IL MONTE CARMELO

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SUL MONTE DI MARIA – IL MONTE CARMELO

di fra Rosario Pierri ofm

Quello che comunemente è chiamato Monte Carmelo non è che il promontorio di una catena montuosa di 150 chilometri quadrati, sulle cui pendici costiere si estende la città di Haifa. La cima della collina più a sud-est della catena è alta 482 metri ed è chiamata el-Muhraqa, «il Sacrificio». Qui la tradizione pone il luogo dove si riunirono il popolo e i profeti di Baal convocati dal profeta Elia.
La tradizione ebraica lega strettamente la vicenda del profeta dalla sua apparizione al suo rapimento in cielo al Carmelo (2Re 18.21; 2Re 1-2). Elia, che significa «il mio Dio è proprio il Signore», è il campione per eccellenza della resistenza all’idolatria, e questa sua missione egli l’affida al suo successore Eliseo (1Re 2,1-18). Il Carmelo fa da sfondo anche ad alcuni episodi della vita di quest’ultimo (2Re 4,8-37).
Tradizione monastica. La storia del Carmelo a partire dal quarto secolo d.C. è indissolubilmente connessa al monachesimo, che in Palestina fiorì tra il quarto e il settimo secolo su impulso di san Caritone e sant’Ilarone.
L’Anonimo di Piacenza (ca. 570) dice di aver visto il «Monastero di Eliseo». È probabile che il piacentino abbia visto piuttosto il monastero di Elia, l’antico monastero del Beato Brocardo, i cui resti sono visibili nel Wadi ‘ain es-Siah «Valle dei martiri», località a 5 chilometri dal santuario Stella Maris. Le fonti ricordano che nello stesso sito sorse intorno al 1200 un monastero dedicato a santa Margherita o santa Marina. Va detto che la fase antica di questi siti è molto complessa e difficile da ricostruire. L’essenziale è sapere che i luoghi principali intorno a cui ruota la storia dei santuari cristiani del Carmelo sono due, Wadi ‘ain es-Siah (monastero di Santa Margherita) e la spianata del Monte Carmelo (santuario Stella Maris), a cui si può unire la Grotta di Elia, chiamata el Khader («il verdeggiante») dai musulmani. Questo sito si trova ai piedi del promontorio, in corrispondenza del faro.
I pellegrini. Con la conquista musulmana, i pellegrini diretti a Gerusalemme che percorrevano la via marittima, giunti a Haifa potevano visitare e fare sosta in diversi luoghi, tra i quali la Grotta di Elia e l’abbazia di santa Margherita. A Wadi ‘ain es-Siah i pellegrini erano accolti dai Carmelitani, potevano attingere acqua alla Fonte di Elia e visitare le grotte di Elia e Eliseo. In questo stretto wadi i Carmelitani eressero una chiesa e un monastero.
I Carmelitani. L’ordine dei Carmelitani è nato in Terra Santa proprio sul Monte Carmelo. Fu il patriarca di Gerusalemme Alberto a dare una «regola» a un gruppo di eremiti latini che dimoravano presso la Fonte di Elia. Per quale motivo Elia aveva attratto lungo i secoli monaci bizantini ed eremiti latini? Perché nella tradizione cristiana il profeta era diventato un modello della vita religiosa. Girolamo (347-419/20) e Cassiano (360-435), infatti, vedevano in Elia ed Eliseo gli iniziatori della vita religiosa. La spiritualità carmelitana, perciò, porta l’impronta di Elia, considerato fondatore dell’Ordine. Il nesso è naturale: a partire da Elia, senza interruzione, avevano vissuto sul Monte Carmelo una schiera di suoi seguaci, dei quali gli eremiti latini facevano parte. L’approvazione della regola di Alberto da parte di papa Onorio diede un’identità definitiva a questo gruppo di religiosi.
Maria. La costruzione di una chiesa in onore di Maria presso la Fonte di Elia rivela un tratto interessante della storia della spiritualità carmelitana. La fusione della tradizione di Elia e quella della Vergine si deve principalmente a due carmelitani che vissero in Europa. Il primo, John Baconthorpe, nei primi decenni del 1300, applicò a Maria il testo di Isaia 35,2, dove si profetizza che a Gerusalemme «è dato lo splendore del Carmelo». Maria è presentata, dunque, come Signora del monte. Qualsiasi avvenimento compiuto sul monte nel passato, concludeva il frate, era stato fatto in onore di Maria. Elia ed Eliseo, inoltre, prefiguravano Cristo, figlio di Maria. Jean de Cheminot, una cinquantina d’anni più tardi, affermò che Elia e Maria appartenevano alla tribù di Aronne e che entrambi avevano professato la verginità. Siccome, poi, Maria era apparsa più volte agli eremiti, in suo onore costoro avevano eretto una chiesa vicino a una fonte.
Il santuario. Alla conquista dei Mamelucchi nel 1291 seguì la distruzione di tutti i monasteri cristiani disseminati sul Monte Carmelo e il martirio dei religiosi. A causa dell’eccidio i Carmelitani si trasferirono in Europa, ma il desiderio di ritornare al luogo delle origini non venne mai meno, anche se il ritorno fu tutt’altro che semplice. Solo nel 1627 la Congregazione di Propaganda Fide permise ai Carmelitani di ritornare al Carmelo, non prima però di aver assicurato ai religiosi l’appoggio diplomatico della Francia.
Il principale promotore della ricostruzione dei conventi e delle chiese fu padre Prospero dello Spirito Santo, che iniziò la sua opera nel 1631. Nel 1719 si fece strada il progetto di costruire un convento sulla spianata del promontorio. Della sua realizzazione fu incaricato padre Filippo di san Giovanni, che nel 1762 riprese innanzitutto possesso delle proprietà. Nell’attesa di edificare il nuovo convento sulla spianata, padre Filippo decise di eseguire alcuni lavori urgenti al convento costruito da padre Prospero. Ben presto padre Filippo e il nuovo arrivato, fra Giambattista di sant’Alessio, si concentrarono sulla costruzione del convento sulla spianata. L’inaugurazione del santuario avvenne il 16 luglio 1768, nel giorno della solennità della Madonna del Santo Carmelo.
Il convento fu poi distrutto da Abdallah, il pascià di Acco. Nel giugno del 1827 fu posta la prima pietra di un nuovo edificio, che per volontà del re di Francia, doveva servire da santuario, convento, ospizio per pellegrini, ospedale e fortezza.

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San Bonaventura

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BONAVENTURA DA BAGNOREGIO – 15 LUGLIO

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BONAVENTURA DA BAGNOREGIO – 15 LUGLIO

Vita e opere. Giovanni (nome di battesimo di Bonaventura) da Fidanza, nato intorno al 1217 a Bagnoregio, nell’Italia centrale, oblato nel convento dei francescani di Bagnoregio a 17 o 23 anni, fu poi a Parigi negli anni 1235-1243, studente alla Facoltà delle Arti; nel 1243 entrò effettivamente nell’ordine francescano, e forse iniziò gli studi in teologia sotto la guida di Alessandro di Hales. Nel 1248 iniziò a commentare la Scrittura come baccelliere biblico e nel 1250-1252, come baccelliere sentenziario, scrisse il commento alle Sentenze. Alla fine del 1253 o ai primi anni del 1254 divenne maestro reggente nell’Università di Parigi. Dal 1257 divenne ministro generale dell’ordine francescano da lui interamente riorganizzato. Nel 1273 fu nominato arcivescovo di Albano e cardinale. Bonaventura morì durante il Concilio di Lione del 1274. Lo scritto fondamentale del Doctor seraphicus è senza dubbio il Commentarius in quattuor libros Sententiarum, composto a partire dal 1248, durante il suo insegnamento parigino. Il suo capolavoro mistico è l’Itinerarium mentis in Deum (1259). Altri scritti di notevole importanza sono il De scientia Christi, le Quaestiones disputatae, il Breviloquium, le Collationes in Hexaëmeron. Bonaventura scrisse inoltre molti opuscoli mistici, sermoni e scritti relativi al suo operato all’interno dell’ordine francescano. Mentre negli scritti teologici Bonaventura accoglie come punto di partenza il pensiero di Agostino per riassumere tutta la tradizione scolastica, negli opuscoli mistici egli trova ispirazione nella mistica di Bernardo, nei Vittorini (Ugo e Riccardo di San Vittore).
La scienza e la necessità dell’illuminazione della fede. Per il Doctor seraphicus, rispetto alle verità di fede, è maggiore l’adesione alla verità che si ottiene attraverso la fede. Infatti, rispetto alle altre verità, la fede possiede una certezza di adesione maggiore rispetto alla certezza di speculazione della scienza. L’adesione implica un affectus, mentre la speculazione il puro intellectus. La certezza della scienza è un puro fatto teoretico, indubitabile relativamente al campo in cui resta costretta; non esige l’adesione che è senza dubbio l’impegno personale del fedele. Fede e scienza, o fede e opinione possono tuttavia coesistere. Il fedele può possedere non solo l’adesione alle proprie verità di fede, ma può anche sostenerle attraverso molte ragioni probabili. In tal modo la scienza coadiuva la fede, che tuttavia non esclude la scienza perché è da molti punti di vista superiore ad essa: si può infatti dimostrare indubitabilmente che Dio esiste ed è uno; ma scrutare l’essenza divina accettando la sua coesistenza con la pluralità delle persone, necessita l’illuminazione della fede. La fede implica l’impegno dell’essere umano nei confronti della verità.
La conoscenza. Alla questione, se ogni conoscenza derivi dai sensi, il Doctor seraphicus risponde di no: l’anima conosce se stessa e tutto ciò che è al suo interno senza l’aiuto dei sensi esterni; tuttavia l’anima non può fornire la conoscenza intera. Quest’ultima deve provenire, per la maggior parte, dall’esterno, veicolata dai sensi. Tutto ciò costituisce una forte concessione all’aristotelismo. In particolare sembra di poter affermare che Bonaventura dell’aristotelismo assume specialmente il linguaggio: nei commenti alla Scrittura e alle Sentenze il francescano non si sottrae alla generale influenza dell’aristotelismo; tuttavia, pur accettandone la terminologia e i concetti fondamentali, come atto e potenza, forma e materia, sostanza e accidente, ne legge le dottrine all’interno di una prospettiva agostiniana che ne modifica anche profondamente il significato. Dai sensi, infatti, non può che pervenire il materiale della conoscenza: le species (le similitudini delle cose, quasi pitture delle cose stesse) e i termini oggettivi da cui la conoscenza risulta. In realtà l’anima è stata creata nuda (In Sententiarum), priva delle species. In questo, per Bonaventura, ha ragione Aristotele, che affermava che l’anima è una tabula rasa. Ma la conoscenza, sebbene necessiti dell’ausilio dei sensi, è condizionata e fondata su quei principi che sono indipendenti dai sensi, innati ed infusi direttamente da Dio. Affermando questa linea fondante della conoscenza, il Doctor seraphicus riprende in modo completo la tesi fondamentale dell’agostinismo. La certezza della conoscenza è garantita all’anima umana da un lumen directivum, da una directio naturalis. Tale lumen proviene direttamente da Dio. Nel De scientia Christi il francescano afferma a chiare lettere, basandosi sulle parole e l’autorità di Agostino, che la mente, nella sua conoscenza certa deve essere guidata da norme immutabili ed eterne, non da una sua disposizione (habitus). Il nostro intelletto risulta quindi congiunto con la Verità eterna. Attraverso l’analisi dell’Itinerarium è possibile stabilire quali siano le condizioni a priori della conoscenza umana. Il mondo esterno entra nell’anima attraverso i sensi, producendo nell’essere umano l’apprendimento, il giudizio e il diletto. Nell’anima entrano tuttavia non le sostanze stesse delle cose, bensì le species, cioè le immagini delle cose. Il giudizio astrae la specie sensibile, portandola dai sensi all’intelletto. Già l’atto del giudizio implica l’illuminazione divina: infatti il giudizio è l’atto della ragione che astrae dal luogo e dal mutamento. Quindi il giudizio è eterno, e ciò che è eterno è Dio stesso. Le species astratte dal giudizio sono l’oggetto dell’attività intellettuale, che si esplica in tre momenti: la percezione dei termini, delle proposizioni e delle illazioni. La percezione dei termini procede la successiva definizione di un termine con il ricorso ad un termine superiore, cioè più esteso, fino ad arrivare a termini supremi per estensione. Il termine più esteso è quello di essere. L’essere può essere anche imperfetto; ma poiché, secondo quanto afferma Averroè, la negazione non può intendersi se non in base all’affermazione, possiamo comprendere l’imperfezione dell’essere solo in relazione all’Essere completissimo, attualissimo e purissimo. Così funzionano anche gli altri due tipi di comprensione: la nostra mente, per natura mutevole, non potrebbe comprendere la verità immutabile delle proposizioni, se non per illuminazione di una luce immutabile, né potrebbe, senza questa luce, formulare delle illazioni in cui le conclusioni discendono direttamente dalle premesse. L’intelletto è subordinato alla volontà per una iniziale spinta al bene detta sinderesi. Nell’Itinerarium la sinderesi è l’apex mentis ed è fatta coincidere con l’ultimo grado dell’ascesa a Dio, che precede di poco il rapimento finale.
Metafisica e teologia. Bonaventura accoglie il principio dell’ilemorfismo universale da Avicebron e dall’aristotelismo ebraico. Una materia deve essere attribuita non solo agli esseri corporei, ma anche a quelli spirituali. L’essere spirituale risulta quindi non essere affatto semplice: è composto di potenza ed atto, traducibili con materia e forma. La materia spirituale non è soggetta, come quella delle cose corporee, alla privazione e alla corruzione: non è estesa, non è quantitativa, generabile o corruttibile. Essa è pura potenza e costituisce, con la materia corporea, un’unica materia omogenea. Questa dottrina diventa uno dei capisaldi dell’agostinismo francescano. Ogni essere creato è quindi costituito di materia e forma. Ma quale sarà la sua individuazione? Non dipenderà da un principio esterno, ma dall’unione e dalla communicatio tra la materia e la forma. La materia è per il Doctor seraphicus potenza non solo passiva, ma anche attiva, capace di trarre da sé le forme. La potenza attiva della materia è la ratio seminalis. La luce è la prima forma di tutti i corpi, a questa forma si aggiunge l’informatio specialis di ciascun esistente attraverso le successive forme che costituiscono gli esseri nella loro concretezza. Secondo Bonaventura la natura interessa come luogo della manifestazione di Dio. È questa la tesi dell’esemplarismo, che indaga il mondo creato per ritrovarvi le orme di Dio. In questo senso la natura, l’insieme delle creature, può costituire una delle « vie » della dimostrazione dell’esistenza di Dio: non però l’unica né la privilegiata. Nella Quaestio disputata de mysterio Trinitatis, che risale agli anni 1253-57 (gli anni dell’insegnamento parigino) Bonaventura si chiede se l’esistenza di Dio sia una verità indubitabile e risponde di sì, seguendo una « triplice via »: sostiene infatti che (1) è una verità naturalmente impressa in ogni intelligenza; (2) è proclamata da ogni creatura; (3) è verissima e certissima in se stessa. Nella prima e nella terza via l’esistenza di Dio è in verità, più che dimostrata, mostrata intuitivamente, seguendo un percorso per molti aspetti vicino a quello di Anselmo d’Aosta, il cui Proslogion è richiamato più di una volta. La seconda via si sviluppa secondo dieci argomenti, di cui a mo’ di esempio ricordiamo il primo: se c’è un ente che viene dopo, c’è un ente che viene prima; ma il primo relativo rinvia a un primo assoluto, che è Dio; nelle creature c’è un prima e un dopo, dunque c’è un primo principio.
Itinerarium mistico. L’Itinerarium vuol essere una guida per ascendere alla contemplazione di Dio attraverso i gradini scanditi dal carattere di vestigium e di imago Dei della realtà, rispettivamente infraumana e umana, per compiere poi il balzo oltre l’umano (supra nos). È stato già detto come, relativamente all’Itinerarium e agli opuscoli mistici, i veri punti di riferimento siano Bernardo e i Vittorini. Al pari di Ugo di San Vittore, Bonaventura ravvisa tre occhi o facoltà della mente umana: il primo occhio è rivolto alle cose esterne ed è la sensibilità; il secondo è lo spirito, rivolto a se stesso; l’ultimo, rivolto al disopra di sé, è la mente. Ognuna di queste facoltà può scorgere Dio per speculum, cioè attraverso l’immagine di Dio riflessa negli enti creati, o in speculo, cioè attraverso la traccia che l’essere di Dio lascia nelle cose stesse. Le facoltà determinano sei potenze dell’anima. Seguendo il cisterciense Isacco della Stella, Bonaventura enumera le sei potenze: il senso, l’immaginazione, la ragione, l’intelletto, l’intelligenza, l’apex mentis o scintilla della sinderesi. Ad ognuna di queste potenze dell’anima corrisponde uno dei sei gradi dell’ascesa dell’anima a Dio. Nel primo le cose sono considerate nel loro ordine, nella loro bellezza e nella loro origine divina. Il secondo grado coincide nella considerazione delle cose nell’anima umana che ne apprende le species e le purifica, astraendole dalle condizioni sensibili, attraverso il giudizio. Nel terzo grado si contempla l’immagine di Dio nella memoria, intelletto e volontà, poteri naturali dell’anima. Nel quarto si contempla Dio nell’anima umana illuminata e perfezionata dalle tre virtù teologali. Nel quinto Dio è contemplato nel suo primo attributo, l’essere. Nel sesto Dio è contemplato nella sua massima potenza, il bene, per il quale si diffonde nelle tre persone della Trinità. Al termine di questa fase “attiva” di ascesa a Dio, l’anima completa e perfeziona la sua ascesa mistica attraverso l’attuazione di una sorta di trascendenza radicale rispetto alle cose e a se stessa, e tramite l’abbandono di tutte le operazioni intellettuali per porre tutto l’affetto in Dio. Questa è la condizione di estasi (excessus mentis), descritta da Bonaventura con le parole dello ps. Dionigi: una sorta di docta ignorantia, un momento non più intellettuale, ma unione vivente dell’uomo con Dio, attraverso la quale l’uomo è ammesso a penetrare l’essenza del suo Creatore. (EC)

L’ARMATURA DI DIO

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L’ARMATURA DI DIO

La vita cristiana viene paragonata ad un combattimento ed il credente ad un soldato.
La battaglia che i figli di Dio sono chiamati a combattere è speciale e, di conseguenza, necessita di un’armatura speciale. Questa armatura non possiamo procurarcela da noi, con i nostri mezzi o con i nostri sforzi, Dio stesso c’è la fornisce e ci ordina di indossarla.

INDRODUZIONE
Alcuni episodi ricordati con dovizia (grande abbondanza di particolari,) trascendono il loro significato storico per esprimere una lezione spirituale.
Questo è uno di quelli perché qui si propone una lezione di dottrina cristiana che possiamo definire fondamentale.
L’apostolo Paolo esprime chiaramente questo concetto: “Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate star saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (Efesini 6:11,12).
Stando così le cose sarebbe assurdo voler affrontare un tale combattimento con mezzi umani o con le nostre sole forze quando Dio ci mette a disposizione quanto ci serve per combattere e vincere.
La nostra è una gara, una battaglia nella quale “non basta partecipare”, è indispensabile vincere, perché soltanto così regneremo con il nostro amato Maestro per l’eternità.
“Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche e Io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre Mio e davanti ai Suoi angeli” (Apocalisse3:5).
Le promesse di Dio sono per chi vince (Apocalisse 2:7,11,17,26; 3:12,21); i perdenti hanno solo il vituperio e le pene eterne.
Il nostro Padre celeste non ci manda allo sbaraglio, ma ha provveduto per noi il necessario affinché possiamo essere soldati che onorano il loro Signore con le vittorie che conseguono nel Suo Nome.
Le armi che ci ha provveduto sono utili sia per difenderci che per offendere e tutte portano il marchio di appartenenza di Colui che ci ha assoldati.

“Prendete la verità per cintura dei vostri fianchi…”.

Primo elemento dell’armatura di Dio:
LA CINTURA DELLA VERITA’
“Che cos’è verità” (Giovanni 18:38); Pilato aveva posto questa domanda a Gesù e senza aspettare risposta uscì verso i Giudei nel tentativo di dissuaderli dal loro intento di far morire Gesù.
I Giudei, la folla, non vollero saperne e, poco dopo, gridarono: “Crocifiggilo”.
La domanda che Pilato fece a Gesù è rimasta posta in ogni tempo, a ogni generazione: “Che cos’è verità?”.
Per i credenti è importante sapere che cosa è verità, perché l’apostolo Paolo afferma che è un elemento importante dell’armatura di Dio di cui non possiamo fare a meno.
Molti nel tempo passato e presente hanno cercato di identificare la verità nelle persone, nelle idee, nelle cultura, ma invano.
Noi abbiamo trovato la risposta a questa domanda nella Parola di Dio. E’ fondamentale conoscere che cosa è la verità perché soltanto allora potremo indossarla ed andare così, ben equipaggiati alla battaglia.
“Gesù disse: Io sono…la verità” (Giovanni 14:6).
“Padre…la Tua Parola è verità” (Giovanni 17:17).
“Lo Spirito è la verità” (1 Giovanni 5:6).
Adesso noi abbiamo la risposta alla domanda di Pilato e desideriamo, come soldati di Cristo, indossare l’armatura di Dio, iniziando proprio col prendere “la verità per cintura dei fianchi” (Efesini 6:14).

1. Scegliere la verità.
La Bibbia afferma che satana è padre della menzogna e combatte i figli di Dio attraverso la menzogna. Come abbiamo già visto, la Bibbia afferma anche che Cristo Gesù è la verità e che “la verità vi farà liberi” (Giovanni 8:32).
Come credenti siamo messi ogni giorno dinanzi ad una scelta: menzogna o verità?
Non credo basti aver scelto una volta per tutte, ogni giorno dobbiamo confermare con atti concreti la scelta fatta al momento della nostra conversione, perché la menzogna spinge continuamente dall’esterno e cerva di soffocare la verità che è in noi.
Scegliere la verità significa scegliere ogni giorno Cristo, la Sua Parola, la Sua volontà. Tutti fanno delle scelte e credo che ognuno di noi vive le conseguenze delle proprie scelte. Scegliere bene è importante e il più grande bene che l’uomo possa fare a se stesso è scegliere Cristo Gesù il Signore, Colui che è l’unica verità che salva e rende liberi.
Indossa la cintura della verità, scegli la verità e conoscerai una vita di trionfo in Cristo Gesù.

2. Saldi nella verità.
Dopo aver scelto la verità per cintura dei nostri fianchi, bisogna rimanere saldi e coerenti nella nostra scelta.
La menzogna ci bombarda continuamente.
Nel campo sociale: sono tanti i falsi messaggi che giungono all’uomo, messaggi che evidenziano una vita facile, che puntano sulla popolarità, sul successo e sulla prosperità, fino al punto da far credere che il tutto dell’uomo sta nel possedere molti beni e godere, se è possibile, di una buona reputazione.
Menzogna!
Nel campo religioso: si è perso il senso del limite. Quello che molti religiosi vanno affermando è che ciò che importa è avere un credo, non importa quale, basta averne uno.
Menzogna!
La Bibbia continua ad affermare che Gesù è l’unica via, l’unica verità, l’unica via e che nessuno va al Padre se non per mezzo di Lui (Giovanni 14:6).
Nel campo degli affetti: è diffusa l’idea che proclama un amore libero, perché ciò che è importante è amare, affermano tanti. Così facendo, scusano e spiegano ogni immoralità, conducendo gli uomini nel baratro dell’abisso.
Menzogna!
Nel campo morale: ormai viviamo in tempi dove tutto è lecito. E’ lecito uccidere bambini mentre sono ancora nel grembo delle loro madri, e per farci credere che tutto va bene, ciò viene anche autorizzato dalle leggi dello Stato. Non si arrossisce più se si viene scoperti a commettere fornicazioni, anzi, alcuni si vergognano se si dovesse venire a sapere che non ne hanno mai commesse. “L’adulterio, un toccasana per il matrimonio”, affermava un noto sociologo.
Tutte menzogne!
Chi commette tali cose cadrà sotto il giudizio di Dio se non si ravvede.
Noi credenti abbiamo scelto di rimanere saldi nella verità e ciò sarà possibile se giudicheremo ogni cosa non secondo la morale corrente, ma se tutto lo faremo passare al vaglio della Parola di Dio.
Sii Geloso della verità.
Veglia sui tuoi pensieri; se qualcosa che hai in mente non è in armonia con la Parola di Dio che è verità, liberatene.
Se ti viene proposto di dire o fare qualcosa che entra in conflitto con la santità di Dio, evitala.
Rimani saldo nella verità, indossa la cintura, rimani saldo in Cristo Gesù il Signore.
“Se è la verità ci sto, altrimenti non contate su di me”, questa dovrebbe essere la regola di comportamento di un figliolo di Dio.
Indossa la cintura della verità.

3. Amare la verità.
Si ama quando si conosce.
Possiamo indossare stabilmente e volentieri la cintura della verità se nel nostro cuore coltiveremo dei veri sentimenti di affetto per essa.
Il nostro cuore deve essere attratto dalla verità,, perché questo sarà il segno distintivo che ci porterà ad essere identificati come figli di Dio.
I figli del diavolo amano la menzogna, la falsità, l’ipocrisia, l’inganno; i figli di Dio amano la verità, camminano nella verità.
Gesù disse ad alcuni Giudei che non credevano in Lui: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna. A Me, perché Io dico la verità, voi non credete” (Giovanni 8:44,45).
Chi non ama la verità non appartiene al Padre celeste; il nostro Maestro pregò per ognuno di noi, chiedendo a Dio: “Padre…non prego che Tu li tolga dal mondo; ma che Tu li preservi dal maligno…Santificali nella verità: la Tua Parola è verità” (Giovanni 17:15-17).
Ama la Parola di Dio, ama la verità, indossa la verità per cintura dei fianchi.
Il primo elemento dell’armatura che Dio ci fornisce è la cintura della verità.
Se vogliamo vivere da vittoriosi e così onorare il Signore, non possiamo farne a meno. E’ di vitale importanza rivestirci di questo elemento dell’armatura, perché solo allora potremo evitare di rimanere schiacciati dalla menzogna.
Indossa la cintura della verità, sarai forte ed onorerai il Signore.

Secondo elemento dell’armatura di Dio:
LA CORAZZA DELLA GIUSTIZIA
Non possiamo limitarci all’indossare solo una parte dell’armatura, ma siamo chiamati a rivestire la “completa armatura di Dio affinché possiamo star saldi contro le insidie del diavolo”.
Rivestire la completa armatura di Dio, significa rivestirsi di Cristo: “La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezza; senza immoralità e dissolutezze; senza contese e gelosie; ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri” (Romani 13:12-14).
Quando indossiamo Cristo ci poniamo fuori dal regno e dal dominio della carne.
Se viviamo la nostra vita ad un livello spiritualmente basso, carnale, saremo vulnerabili agli attacchi del nemico delle anime nostre, ma se ci poniamo sotto il dominio di Dio rivestendoci di Cristo, il nemico non potrà prevalere su noi, ma saremo noi più che vincitori su di lui.
Tutto dipende dal livello della nostra vita spirituale; satana può toccare e danneggiare ciò che è al suo livello, ma se noi ci eleviamo alla statura di Cristo, viviamo seduti “nei luoghi celesti” (Efesini 2:6), saremo al sicuro e ben protetti. Ecco perché ci viene ordinato “non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri”; ciò significa: «non vivete al livello di satana».
Per poter vivere ad un alto livello spirituale è indispensabile indossare “la completa armatura di Dio”.
Il secondo elemento di questa armatura è la corazza della giustizia.
“Rivestitevi della corazza della giustizia” (Efesini 6:14).

1. La corazza della giustizia ci porta a comprendere il principio della confessione del peccato.
Pur godendo della nostra posizione in Cristo, siamo ben coscienti che a volte veniamo meno: nel modo di pensare, nel modo di agire e modo di parlare. Ciò non annulla l’opera salvifica di Cristo Gesù, ma dimostra la nostra tendenza al male, la nostra fragilità.
Siamo dei santi, dei figli di Dio che talvolta peccano!
Indossare la corazza della giustizia di Dio, significa capire e applicare il principio della confessione.
Chi vive nel peccato non capisce e non applica questo principio, ma il credente che viene meno sa che nella confessione, frutto di vero pentimento, e nell’abbandono del peccato, risiede il segreto per il perdono e per il ripristino della comunione con Dio: “Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” (Proverbi 28:13).
Confessare non significa dire soltanto “mi dispiace”, ma significa “riconoscere o essere d’accordo”. La vera confessione non ha nulla a che vedere con un atteggiamento di sola esteriorità, ma coinvolge interamente le nostre emozioni, i nostri pensieri e la nostra volontà. Affermare di essere dispiaciuti di aver commesso una cattiva azione o di aver parlato male del tal fratello, non significa star confessando la propria colpa. Significa constatare, anche con dispiacere, ciò che di male si è fatto.
La confessione gradita da Dio, per la quale noi possiamo ottenere il perdono, non solo deve comprendere il riconoscimento del male commesso accompagnato da sincero dispiacere, ma deve riportarci ad una profonda umiliazione dinanzi al nostro Padre celeste, consapevoli che prima di tutto abbiamo peccato contro il Signore. Dopo di che nel nostro cuore ci deve essere la ferma determinazione di abbandonare il peccato per il quale stiamo invocando il perdono divino. Il nemico renderà la confessione delle nostre colpe il più difficile possibile, cercherà di convincerti che è troppo tardi, che non c’è più nulla da fare, che Dio ha già cancellato il tuo nome dal libro della vita, perché anche lui sa che “se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9).
Non lasciarti distrarre dalle menzogne del nemico delle anime nostre, egli vuole schiacciarti sotto il peso delle tue colpe, vere o presunte che siano. Una cosa è certa: se hai confessato il tuo peccato e lo hai abbandonato, sei già stato perdonato, perché Dio non può mentire e la Sua Parola afferma chiaramente questa gloriosa verità.
Indossa la corazza della giustizia, appropriati del potere che c’è nel Sangue di Gesù: è per la Sua giustizia che tu sei giustificato dinanzi a Dio.

2. La corazza della giustizia alimenta la fede nella potenza del Sangue di Gesù Cristo.
E’ indispensabile per ogni credente questo elemento dell’armatura di Dio; non possiamo rinunciare alla corazza della giustizia.
E’ la corazza della giustizia che alimenta la nostra fede nell’incrollabile potere del Sangue di Cristo Gesù, il Signore.
E’ la corazza della giustizia che ci permette di presentarci dinanzi a Dio puri, come se non avessimo mai peccato, in quanto ci possiamo avvalere del carattere di Cristo e della Sua santità.
Una delle astuzie del nemico delle anime nostre è quella di farti vivere sotto condanna, schiavo del rimorso, perché sa che se riuscirà in questo renderà debole la tua testimonianza e inefficace le tue preghiere. Egli continuamente punterà il di te, ti ricorderà spesso quello che sei stato, le tue cadute e ogni volta ti suggerirà che non può esserci speranza per te, che è impensabile che Dio possa perdonarti.
Se Gesù non fosse morto per noi, il nemico forse avrebbe ragione, ma, gloria a Dio, Gesù è morto per noi, ha pagato il nostro debito e ci ha riconciliati con il Padre celeste.
Noi ora possiamo rivestirci della Sua giustizia ed essere giustificati dinanzi a Dio; non giusti in noi stessi, ma ritenuti giusti perché il prezzo per la nostra salvezza e stato pagato, il nostro Dio santo è stato soddisfatto.
Il peccato doveva essere giudicato e condannato, perché l’assoluta santità di Dio richiedeva la giustizia e la condanna del peccato e dei peccatori. Per far ciò si poteva ricorrere ancora una volta al diluvio come ai tempi di Noè, o far scendere fuoco dal cielo come ai tempi di Lot; ma non è accaduta né l’una né l’altra cosa.
La giustizia di Dio è stata soddisfatta con la morte espiatrice di Cristo.
La pazienza che Dio aveva dimostrato nel passato era stata possibile solo in vista del sacrificio della croce: “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio, mediante la fede nel Suo Sangue; per dimostrare la Sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato” (Romani 3:25).
Alla croce Dio non passa sopra il peccato, ma lo giudica condannando a morte il Suo Figliolo al nostro posto e provvedendoci così la corazza della giustizia.
Se teniamo indossata questa corazza provvedutaci dal nostro Padre celeste, le frecce che il nemico scaglierà contro di noi si sprezzeranno, perché alle sue accuse potremo rispondere come l’apostolo Paolo: “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è Colui che li giustifica” (Romani 8:33).
Indossa la corazza della giustizia, abbi fede nel potere del Sangue di Gesù, sparso per la remissione dei nostri peccati.

3. La corazza della giustizia ci dà vittoria sul senso di colpa.
Spesso mi succede di incontrare credenti che sono schiacciati dal loro senso di colpa, dal pensiero che per loro non c’è più alcuna speranza.
Ultimamente ho avuto modo di parlare con una giovane credente proprio di questo problema. Il nemico sta lavorando nella sua mente fino al punto che è riuscito a toglierle la pace di Dio e la certezza della salvezza. La tattica è sempre la stessa: insinuare il dubbio del perdono di Dio e portare alla mente tutti i peccati commessi prima ancora di far pace con Dio. Questa ragazza non era in grado di godere dei frutti della salvezza, perché nella sua mente c’era una guerra continua.
Da una parte, razionalmente, credeva che il Signore avesse perdonato il suo peccato e l’aveva accolta nella Sua famiglia; dall’altra, emotivamente, non riusciva a godere del fatto di essere figlia di Dio, perché veniva assalita dal dubbio e dal senso di colpa.
Il segreto, certamente, è vivere in comunione con Dio, perché la Sua costante presenza dentro di noi aumenta la certezza di ciò che siamo e di ciò che possiamo.
Un credente riconciliato con Dio per il sacrificio della croce, non può e non deve lasciarsi schiacciare dal senso di colpa, perché le sue colpe sono state immolate sulla croce del Calvario.
Se dopo aver confessato il tuo peccato ed esserti sinceramente pentito, se dopo aver abbandonato il peccato e aver fatto di Gesù il tuo Salvatore e Signore continui a soffrire del senso di colpa e senti il rimorso che ti attanaglia, probabilmente ciò deriva dal fatto che non hai riposto la tua fede nel Sangue di Gesù cristi che ci lava e ci “purifica da OGNI peccato”.
Il Sangue di Cristo non solo ci purifica da ogni peccato ma ci rende giusti dinanzi a Dio: “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio” (Romani 5:1,2).
Non possiamo fare a meno delle della corazza della giustizia, abbiamo bisogno di indossarla continuamente, perché soltanto allora le frecce infuocate dell’accusatore dei figli di Dio, potranno infrangersi e diventare inoffensive.

Terzo elemento dell’armatura di Dio:
LE CALZATURE DELLA PACE
E’ ormai chiaro che, per il credente, è indispensabile rivestire la completa armatura di Dio.
Abbiamo già considerato i primi due elementi dell’armatura: la cintura della verità e la corazza della giustizia, ma, prima di passare a considerare il terzo elemento, voglio brevemente ricordare qual è lo scopo dell’armatura.
Lo scopo è quello di impedire alle frecce del nemico di penetrare nel corpo e quindi ferire o, peggio ancora, uccidere il soldato.
Noi abbiamo un nemico che è sempre in azione e cerca continuamente di ferire e annientare la nostra fede.
Se non ci fosse la possibilità che le frecce di satana possano colpirci, non ci sarebbe bisogno dell’armatura che Dio mette a nostra disposizione.
L’esortazione a rivestire l’armatura ci fa comprendere che il nemico scaglia continuamente i suoi dardi contro i credenti e solo coloro che sono ben equipaggiati potranno resistere e riportare gloriose vittorie. Il nemico delle anime nostre fa uso di ogni astuzia malefica per bloccare la nostra marcia verso il cielo, ma noi non vogliamo affrontare il cammino impreparati, il Padre celeste mette a nostra disposizione i mezzi per poter combattere e vincere ed è bene che indossiamo l’intera armatura di Dio.
Abbiamo già considerato l’importanza dei primi due elementi dell’armatura, adesso considereremo il terzo elemento: le calzature della pace.
“Mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal Vangelo della pace” (Efesini 6:15).

1. Le calzature della pace ti proteggono.
Quando riceviamo Cristo Gesù come Salvatore e Signore, ecco che ci uniamo al Principe della Pace.
Una delle principali opere che Cristo compie in noi e per noi è quella di farci fare pace con Dio.
Il nostro peccato aveva creato inimicizia con Dio e i rapporti erano completamente deteriorati.
Non potevamo presentarci da soli a Dio, era necessario un mediatore che si impegnasse a presentarci al trono del Padre celeste e che nello stesso tempo fermasse la sua ira contro di noi peccatori, mettendo “una buona parola”, affinché il rapporto di comunione possa essere ristabilito.
Quest’opera di mediazione l’ha compiuta Cristo, infatti l’apostolo Paolo afferma che “giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” (Romani 5:1). Cristo fa quindi da “tramite”, tra noi e Dio, e la fede nell’opera della croce ristabilisce il rapporto con il nostro Padre celeste.
Ma fare pace con Dio non è sufficiente per vivere una vita gioiosa nella salvezza, ciò che è anche necessario è la realizzazione della pace di Dio.
Un ruolo chiave per far sì che noi realizziamo la pace, lo occupa la Parola di Dio: “E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente…” (Colossesi 3:15,16).
Se hai fatto pace con Dio mediante la fede nel sacrificio di Cristo, se hai realizzato nel tuo cuore e stai vivendo la pace di Dio mediante la Parola, ecco che le calzature della pace sono ai tuoi piedi e ti proteggono.
Sono le calzature della pace che portano i credenti ad adoperarsi per l’armonia, sventando i piani di divisione del nemico e cementando la comunione fraterna.
Sono le calzature della pace che ci ricordano che, benché diversi, siamo tutti figli di Dio e che quindi dobbiamo cercare “dunque le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Romani 14:19).
Sii un uomo di pace, usa le calzature della pace, sii strumento di riconciliazione. Ricorda cosa disse il nostro maestro: “Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5:9).

2. Le calzature della pace ti portano in trionfo.
Se camminiamo a piedi nudi su della ghiaia o su delle spine, sicuramente proveremo molto dolore.
Il cammino cristiano spesso si presenta come un sentiero pieno di ghiaia e di spine, siamo continuamente chiamati a misurarci con le circostanze, con le situazioni non sempre facili della vita. Nella lotta che siamo chiamati ad affrontare, le calzature della pace sono determinanti, perché soltanto se le indosseremo saremo portati in trionfo.
Sono le calzature della pace che ci fanno comprendere che le promesse di Dio sono per noi, creando nei nostri cuori e nella nostra mente quella serenità che contraddistingue i figli di Dio, in particolar modo quando si trovano in situazioni estremamente dolorose.
Qualcuno ha detto che nella Bibbia ci sono 32.500 promesse sulle quali possiamo fondarci. Se indossiamo le calzature della pace vivremo da trionfatori, perché sempre vedremo nella Parola di Dio e nella Sua presenza nei nostri cuori, la via di uscita per qualunque situazione.
Il nostro Padre celeste nella Bibbia viene chiamato anche Jehovah-Jireh, che significa “il Dio che provvede”.
Molti, purtroppo, vivono una vita di dolorose e sanguinanti esperienze, perché non portano le scarpe che Dio ha loro provveduto per affrontare il cammino. Il cammino del cristiano è un cammino speciale che si può affrontare solo con delle calzature speciali.
Indossa i calzari che Dio ti ha provveduto e vivrai una vita di trionfo nella consapevolezza che il nostro Padre celeste è Colui che guida i Suoi figli portandoli di vittoria in vittoria.

3. Le calzature della pace ti fanno un messaggero di buone notizie.
“Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annuncia la pace, che è araldo di notizie liete, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: Il tuo Dio regna!” (Isaia 52:7).
Chi può essere messaggero di buone notizie?
Solo colui che sta vivendo ed ha realizzato il messaggio che annuncia.
Noi siamo chiamati ad essere araldi di Dio, annunciatori di pace e di salvezza e tutte queste cose potremo adempierle, trasmetterle, se sono realtà nella nostra vita.
Non puoi essere portatore di pace se non la stai vivendo; non puoi annunciare la salvezza se non sei certo di essere salvato; non puoi portare agli uomini notizie lieti se il tuo cuore e nella tristezza e nell’angoscia.
Il credente può essere portatore di un messaggio che salva soltanto se ha indossato realmente i calzari della pace, perché soltanto allora sarà in grado di trasmettere quello che vive e che ha realizzato.
Sono le calzature della pace che ti fanno un messaggero di buone notizie.
Usa il tuo cuore per amare Dio, usa la tua mente per pensare a Dio, usa la tua bocca per lodare Dio, usa le tue orecchie per ascoltare la Parola di Dio, usa i tuoi piedi per diffondere la pace, per portare il messaggio di salvezza, per proclamare che Dio regna!
Per correre bene abbiamo bisogno dei giusti calzari.
Le uniche scarpe adatte alla lotta cristiana sono le calzature della pace di cui parla la Parola di Dio.
“Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il Sangue di Cristo. Lui, infatti, è la nostra pace; Lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel Suo corpo terreno la causa dell’inimicizia” (Efesini 2:13,14).

Quarto elemento dell’armatura di Dio:
LO SCUDO DELLA FEDE
La vita del credente spesso è caratterizzata dal combattimento spirituale.
Più si è impegnati nel campo del Signore, più si desidera rimanere fedele al Signore, più intense sono le lotte.
Se tu non disturbi l’azione malefica del nemico, egli non disturberà te; ma se tu decidi di schierarti decisamente dalla parte di Dio e di combattere le forze del male con la potenza che viene dal Cielo, allora stai pur certo che incontrerai delle serie opposizioni.
A volte alcuni credenti mi chiedono: “come mai a quel credente che non si impegna per il Signore, che non è coinvolto nel servizio a Dio gli va tutto bene, mentre io che sono impegnato nel servire il Signore, che ho consacrato la mia vita a Lui devo affrontare tutte queste lotte e tutte queste difficoltà?”
Il nemico delle anime nostre non creerà mai ostacoli a un credente che non ha interesse per le cose di Dio, anzi farà di tutto affinché il suo disinteresse aumenti.
Non c’è lotta per chi giace nella tomba, perché è morto! Come non c’è lotta per chi è fisicamente morto, così non c’è combattimento per chi è spiritualmente morto.
Ad uno stato di morte spirituale senza lotta, preferiamo uno stato di vita spirituale anche se ciò comporterà continue lotte e continue prove.
L’apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo lo esorta dicendo: “Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Uno che va alla guerra non s’immischia in faccende della vita civile, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato” (2 Timoteo 2:3,4).
Questo testo ci rivela alcune cose importanti riguardo alla nostra vita spirituale.
Prima di tutto mette in evidenza che noi siamo dei soldati al servizio di Gesù; poi appare evidente che non siamo “soldati semplici o sedentari”, siamo dei buoni soldati, dei combattenti con l’armatura al suo posto; ancora questo testo ci parla del fatto che non possiamo portare a compimento la nostra missione se non la riteniamo prioritaria su ogni altra cosa, non possiamo immischiarci degli affari di questa vita se stiamo combattendo per il Signore; infine dobbiamo ricordare che siamo stati scelti dal nostro “Capitano” e che il nostro scopo di vita deve essere piacere a Lui.
Per far ciò abbiamo bisogno di indossare la completa armatura di Dio.
Il quarto elemento di questa armatura è lo scudo della fede.
“Prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno” (Efesini 6:16).

1. Lo scudo della fede sarà tanto grande quanto la nostra conoscenza di Dio.
L’armatura a cui si riferisce l’apostolo Paolo, era quella dell’esercito romano di allora.
Lo scudo (scutum) del soldato romano non era piccolo e circolare, ma grande e curvo; misurava 1,20 per 0,75 m. ed era fatto di legno ricoperto prima di lino e poi di cuoio, ed era tenuto insieme da fili di ferro o fissato su un’intelaiatura di ferro.
Lo scudo per il soldato era importante perché lo proteggeva e sarebbe stato impensabile andare alla guerra senza questo elemento dell’armatura.
Il nostro scudo nelle battaglia è composto dalla fede che abbiamo nel Signore.
La fede non ha nulla di mistico.
La fede biblica è semplicemente ciò che crediamo su Dio e della Sua Parola. Più conosciamo Dio e la Sua Parola, più la nostra fede aumenta, quindi aumenta la grandezza del nostro scudo di protezione.
Meno sappiamo su Dio e la Sua Parola, più si rimpicciolisce lo scudo di protezione e più si corre il rischio di essere colpiti dai dardi infuocati del maligno.
Il profeta Osea, ispirato dallo Spirito Santo, ci esorta dicendo: “Conosciamo il Signore, sforziamoci di conoscerlo! La Sua venuta è certa, come quella dell’aurora; Egli verrà a noi come la pioggia, come la pioggia di primavera che annaffia la terra” (Osea 6:3).
Se vuoi che il tuo scudo della fede diventi grande e protettivo devi impegnarti a conoscere meglio il Signore, devi imparare a confidare nelle Sue promesse, devi conoscere ed amare quello che Egli è, il Suo carattere, quello che Egli pensa, i Suoi progetti per la tua vita e per l’umanità.
C’è un solo modo per conoscere meglio il Signore e, quindi, far si che la fede aumenti: andare alla Parola di Dio.
L’apostolo Paolo ricorda che “la fede viene da ciò che si ascolta e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Romani 10:17).

2. Lo scudo della fede deve essere assolutamente impugnato.
Prima di entrare nel campo di battaglia, i soldati immergevano lo scudo nell’acqua così esso poteva spegnere le temute frecce del nemico che venivano bagnate nella pece bollente prima di essere lanciate.
Ancora oggi satana scaglia continuamente le sue frecce infuocate sui credenti.
Questi dardi del maligno possono assumere diverse forme e aspetti.
A volte questi dardi si presentano sottoforma di menzogne; d’altra parte il diavolo viene chiamato “bugiardo e padre della menzogna” (Giovanni 8:44). Egli si presenterà a te sul campo di battaglia e comincerà ad insinuare il dubbio nella tua mente cercando di convincerti che Dio ti ha dimenticato;…che non si interessa a te;…che le Sue promesse probabilmente sono per gli altri cristiani più santi di te, ma non per te;…che per la tua situazione ormai non c’è più alcuna speranza.
Tutte bugie del nemico!
Quando queste si affacceranno alla tua mente, eleva lo scudo della fede e riafferma la tua fiducia nel Signore.
Altre volte i dardi infuocati del maligno assumono la forma di accuse infamanti. Cercherà di dirti in tutti i modi che sei indegno per servire il Signore, che non sarai mai all’altezza di fare quello che Dio ti chiede a motivo dei tuoi peccati passati.
Se canti nel coro della chiesa egli ti accuserà in modo da non farti portare avanti il tuo compito, se suoni o sei impegnato in qualsiasi altro compito, il nemico ti sussurrerà che hai le mani sporche e il cuore impuro, che sei un disonore per il Signore a causa di quello che sei stato prima di conoscere la grazia di Dio.
Chi soccombe sotto le accuse del diavolo finisce per convincersi di essere un buono a nulla e che quindi Dio non potrà mai servirsi di loro.
Se questa è la tua situazione, fermati e rifletti, non sulla tua condizione umana, sulla tua debolezza, ma afferra lo scudo della fede e levalo in alto, proclamando che tu puoi ogni cosa, non in te stesso o per te stesso, ma in Colui che ti fortifica, Gesù Cristo il Signore.
Altre volte ancora i dardi infuocati del maligno giungono a noi sottoforma di tentazioni che bombardano la nostra mente.
Non c’è dubbio che il più grande campo di battaglia si trova nell’area della mente.
Colui che controlla la mente degli uomini è colui che controlla gli uomini.
Il Signore sa molto bene i conflitti che dobbiamo affrontare continuamente al livello della nostra mente ed è per questo che la Sua Parola ci invita ad amare Dio con tutta la nostra mente (Matteo 22:37). Ci viene anche detto che dobbiamo avere la mente di Cristo (1 Corinzi 2:16) e di vigilare sulla nostra mente affinché solo le cose buone siano oggetto dei nostri pensieri (Filippesi 4:8).
Noi possiamo sconfiggere il nemico delle anime nostre solo elevando lo scudo della fede è proclamando la Parola di Dio che ci da vittoria su ogni tentazione.
Cosa fece Gesù per proteggersi dalle frecce infuocate del maligno quando fu tentato?
Rispose con la Parola di Dio (Matteo 4), dimostrando così di credere in Dio e in quello che Egli afferma nella Sua Parola.

3. Lo scudo della vede deve essere tenuto in alto.
Troppi credenti si ritrovano feriti e abbattuti, perché hanno immerso il loro scudo nel dubbio e nell’incredulità.
Come abbiamo già detto il tuo scudo sarà proporzionato alla conoscenza che hai di Dio, per questo devi vivere la tua vita nel continuo impegno e nel continuo desiderio di conoscere meglio il Signore.
Lo scudo della fede deve essere sempre impugnato e tenuto in alto in modo da risultare ben visibile, anche perché il nemico, a volte, si traveste da angelo di luce mentre in realtà è un leone rapace ed è bene che sappia che tu hai a tua protezione lo scudo della fede.
Dichiara apertamente che hai fede nel Signore e non lasciarti convincere dalle circostanze.
Siamo chiamati a fondare la nostra vita sulla Parola di Dio, a dichiararla.
Non possiamo fondarci sulle nostre impressioni o sui nostri sentimenti; sulle percezioni o sulle nostre esperienze, perché queste sono mutevoli e incerte e, a volte, risultano anche ingannevoli. Dobbiamo fondarci sulla Parola del Signore e a questa Parola dobbiamo credere con fede.
Il nostro motto deve essere: “Dio lo ha detto… e io lo credo”.
Tieni alto lo scudo della fede ed afferma del continuo: “Io credo in Dio e nella Sua Parola”.
Se vuoi vivere da trionfatore ed al centro della volontà di Dio, tu non puoi fare a meno di questo elemento dell’armatura di Dio.
Dio lo ha provveduto per te, fa parte del tuo bagaglio, della tua dote, non rigettarlo.

“Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che Egli è e che è il ricompensatore di tutti quelli che Lo cercano” (Ebrei 11:6).

Angelo Gargano

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