Archive pour juillet, 2014

Jesus and childrens, for childrens

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Publié dans:immagini sacre |on 22 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

IL CREDO CHE FA NASCERE

http://www.comunitasanteusebio.com/2014/05/03/perle-in-giro-e-dieci/

IL CREDO CHE FA NASCERE

La semplicità del testo non deve trarre in inganno: si tratta di una cosa voluta, frutto di una opzione. Come altrettanto voluto è l’intreccio tra i fondamenti e la vita che si suppone sia basata su questi fondamenti. Non per niente Schmemann comincia la sua trattazione sul Credo ricordando che la nascita del Simbolo di fede è il battesimo, cioè il dono della vita nuova. Il Credo non è un elenco di verità astratte, ma l’introduzione a questa vita, la gioia, il gusto, la gratitudine per questa vita e la tristezza per le nostre cadute e i nostri tradimenti. Il cristianesimo non è né una morale né un rituale, ma il dono della vita nuova in Cristo che, nella sua pienezza, abbraccia tutta la vita dell’uomo. Il piccolo libro che presentiamo è bello perché pieno di vita. E, nella sua semplicità, può essere letto con profitto spirituale al livello in cui si trova il lettore con uguale gusto e intensità: dal principiante nella fede a chi già cammina da tempo.
Maria Campatelli

L’essenziale è non tradire la sete spirituale che ci è stata donata, aprire gli occhi e le orecchie al torrente di luce, di amore e di bellezza che eternamente si riversa su di noi. Dio aiuti tutti noi ad essere fedeli, saldi, umili e amanti. Allora, questa luce che brilla da sempre nell’universo e questa salvezza donata al mondo non potranno più essere nascoste. La fede, per la sua stessa natura e per la sua essenza, è qualcosa di profondamente personale, e perciò vive realmente solo nella persona e nella sua esperienza personale: la fede cristiana è un incontro personale con Cristo, un’accettazione di Cristo stesso.
Anche se la fede non si può dimostrare, può essere raccontata: il Vangelo stesso è infatti essenzialmente una narrazione della fede, e non un catalogo di fatti scientifici. E’ un racconto trasmesso da coloro che hanno visto e ascoltato Cristo, che hanno creduto in Lui e che lo hanno amato al punto che Egli è diventato la loro stessa vita. E’ un racconto della loro esperienza. La fede consiste nella certezza misteriosa che tutto quello che Cristo ha fatto e detto lo ha fatto per me, lo ha detto a me; che né il tempo, né lo spazio, né alcun’altra cosa lo possono separare da me se non la mia mancanza di fede, la mia dimenticanza, i miei innumerevoli tradimenti.
Nei miei trenta anni di sacerdozio sono arrivato a capire che la cosa più difficile nel mondo è parlare di ciò che è più semplice e più essenziale. Ma come è difficile parlare da cuore a cuore! “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”. La fede è la conoscenza, l’incontro con ciò che la persona attende, senza che lo sappia sempre lei stessa; aspirazione e sete che determinano la sua vita. E’ essenzialmente un incontro, l’incontro reale tra ciò che è più profondo in una persona con ciò verso cui questa sete è diretta, anche se non ne siamo coscienti. “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” S. Agostino.
La fede è un movimento di risposta non solo dell’anima, ma dell’uomo nella sua totalità, di tutto il suo essere. All’improvviso ha sentito qualcosa, all’improvviso ha visto qualcosa e si abbandona interamente a questo movimento. La fede viene da Dio, dalla sua iniziativa, dalla sua chiamata. E’ sempre una risposta a Dio, un abbandono della persona a Colui che dona se stesso. Dio mi ha donato questa fede e me la dona continuamente; me l’ha donata proprio come un dono, come un regalo. Questo è attestato dalla gioia e dalla pace che io sento in me, totalmente indipendenti dagli eventi di questo mondo e di questa vita. “Pace e gioia nello Spirito Santo” e non esistono altre parole, perché quando si crede e si vive di questa fede non si ha più bisogno di parole, che divengono quasi impossibili da formulare. “Dio ci dice: tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato“ Pascal.
“Credo in Dio”…..non è per ragionamento che arrivo alla fede in Dio, ma la trovo semplicemente in me. La scopro con sorpresa, gioia e gratitudine. La scopro come la presenza misteriosa, eppure così perfettamente percepibile, di Colui che è tutto La fede è una risposta dell’uomo a Dio. Tuttavia questa risposta presuppone che l’iniziativa della relazione tra l’essere umano e Dio, che noi chiamiamo fede, non appartenga all’uomo, ma a Dio. Dio si rivela all’uomo; e l’uomo accoglie questa rivelazione, le risponde, risponde a Dio “dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”.
Ogni conversione, ogni incontro dell’uomo con Dio è un mistero della grazia divina che non ci è dato penetrare. Come nasce la fede nell’anima umana rimane un mistero. Il cristianesimo non è semplicemente un’emozione o un sentimento; no, è un incontro con la Verità, e questo esige il difficile sforzo di accoglierla con tutto il nostro essere: colui che ha creduto in Cristo, che l’ha amato, deve ora prendere conoscenza del contenuto della sua fede e di ciò a cui essa lo impegna.
Chi desidera sapere che cosa crede la Chiesa, che cosa è la nostra fede, in che cosa consiste questa Verità che il cristianesimo offre al mondo, trova la risposta nel Credo. Io dico “credo” solo quando mi riferisco a qualcosa che non posso vedere con i miei occhi, ascoltare con le mie orecchie, toccare con le mie mani ……..io credo, grazie a questa fede , io so.“Nessuno ha mai visto Dio”.In questo senso la fede può essere chiamata sia un miracolo che un mistero. E’ come se non fossi io, ma una qualche forza in me che dice “credo” in risposta a questo incontro; io non posso spiegarlo con delle parole. La fede vede, riconosce, sente nel mondo la presenza di Dio “prova delle cose che non si vedono ancora”.
Miracolo, mistero, conoscenza, gioia, amore: tutto questo risuona nella parola “Credo”, che è nello stesso tempo una affermazione e una risposta. E’ una risposta a Colui che mi ha amato per primo, e una affermazione della mia accettazione di questo amore e della realtà di questo incontro. “Credo” e tutto ciò che segue nel credo è il racconto, la testimonianza di ciò che l’anima ha imparato in questo incontro.
Alexander Schmemann

“Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio: in verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entra in esso”.
L’incontro che il Signore ha con ognuno di noi è personale e speciale, se ci lasciamo “prendere” dalle Sue braccia, sarà Lui a farci tornare bambini e sentiremo la Sua benedizione.
Gesù s’indignò e disse “Lasciate”… che ognuno di noi possa, nel cammino della propria vita, essere libero, di dire “Credo”!
Teresa

Publié dans:MEDITAZIONI, SPIRITUALITÃ |on 22 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

LA “NOBILE SEMPLICITÀ” E LA BELLEZZA DELLA LITURGIA: UN AFFACCIARSI DEL CIELO SULLA TERRA (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis)

http://comunitapastoralecassina.org/ver2/2014/06/la-nobile-semplicita-e-la-bellezza-della-liturgia-un-affacciarsi-del-cielo-sulla-terra/

LA “NOBILE SEMPLICITÀ” E LA BELLEZZA DELLA LITURGIA: UN AFFACCIARSI DEL CIELO SULLA TERRA

(Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis)

On 27/06/2014, In Prima pagina, By Jerry

Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione.
La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra.
La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria.
La bellezza di Cristo si riflette soprattutto nei santi e nei cristiani fedeli di ogni epoca, ma non bisogna per questo dimenticare o sottostimare il valore spirituale delle opere d’arte che la fede cristiana ha saputo produrre per metterle a servizio del culto divino.
La bellezza della liturgia si manifesta concretamente attraverso oggetti materiali e gesti corporei, di cui l’uomo – unità di anima e di corpo – ha bisogno per elevarsi alle realtà invisibili e rafforzarsi nella fede.
La natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa, come madre, ha stabilito alcuni riti per rendere più evidente la maestà di un sacrificio così grande [l’Eucaristia] e introdurre le menti dei fedeli, con segni visibili, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio.
L’arte sacra, le vesti e le suppellettili, l’architettura sacra: tutto deve concorrere a far consolidare il senso di maestà e di bellezza, a far trasparire la nobile semplicità della liturgia cristiana, che è liturgia della vera Bellezza.
Giovanni Paolo II ha ricordato l’episodio evangelico dell’unzione di Betania, per rispondere alla possibile obiezione sulla bellezza delle chiese e degli oggetti destinati al culto, che potrebbero risultare fuori luogo se posti di fronte alla grande massa dei poveri della terra.
Egli ha scritto: «Una donna versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli – in particolare in Giuda – una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno “spreco” intollerabile.
Ma la valutazione di Gesù è ben diversa.
Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare, Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona».
E ha concluso: «Come la donna dell’unzione di Betania, la Chiesa non ha temuto di “sprecare”, investendo il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono immenso dell’Eucaristia.
Sull’onda di questo elevato senso del mistero, si comprende come la fede della Chiesa nel Mistero eucaristico si sia espressa nella storia anche attraverso una serie di espressioni esterne, volte ad evocare e sottolineare la grandezza dell’evento celebrato.
Su questa base si è sviluppato anche un ricco patrimonio di arte. L’architettura, la scultura, la pittura, la musica, lasciandosi orientare dal mistero cristiano, hanno trovato nell’Eucaristia, direttamente o indirettamente, un motivo di grande ispirazione».
È necessario perciò avere tutte le attenzioni e le cure possibili perché la dignità della liturgia risplenda sin nei minimi dettagli nella forma della vera bellezza.
Bisogna ricordare che anche quei santi che hanno vissuto la povertà con particolare impegno ascetico, hanno sempre desiderato che gli oggetti più belli fossero destinati al culto divino.
Un esempio è quello del Santo Curato d’Ars.
Don Vianney aveva subito amato quella vecchia chiesa di Ars come la casa paterna. Per abbellirla iniziò dall’altare, centro e ragione d’essere di tutto il santuario. Per rispetto all’Eucaristia, volle quello che di più bello era possibile avere. Quindi aumentò il guardaroba del buon Dio, come diceva lui, nel suo linguaggio colorito e immaginoso. Visitò a Lione i negozi di ricamo, di oreficeria, e vi acquistò ciò che vi trovava di più prezioso. “Nei dintorni – confidavano i suoi fornitori meravigliati – c’è un piccolo Curato, magro, malmesso, che ha l’aria di non averne mai neanche uno in tasca e che, per la sua chiesa, vuol sempre ciò che c’è di meglio!”

Spirito Santo, il libro la Sacra Scrittura, affresco, Cappella al Kovilj Monastery

Spirito Santo, il libro la Sacra Scrittura, affresco, Cappella al Kovilj Monastery dans immagini sacre CRH_7991-Version-2

This image comes from the frescos that cover the interior of a small chapel at Kovilj Monastery. The dove symbolizes the Holy Spirit, and the book symbolizes Scripture.

http://www.cbu.edu/newsletter/arts/2013/09/the-spirit-in-belgrade-by-dr-james-b-wallace/

Publié dans:immagini sacre |on 21 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

NEL CONFRONTO TRA FEDE E RAGIONE – IL GENIO DI SAN PAOLO

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2008/265q01b1.html

NEL CONFRONTO TRA FEDE E RAGIONE – IL GENIO DI SAN PAOLO

di Juan Manuel de Prada

La commemorazione di questo Anno paolino dovrebbe servirci da stimolo per riflettere su uno dei tratti più distintivi e geniali di san Paolo, l’impulso di universalismo che presto sarebbe divenuto un elemento costitutivo della fede in Gesù Cristo. Un universalismo che, oltre a dare compimento alla missione che Gesù aveva affidato ai suoi discepoli, avrebbe definito l’orientamento innovatore del cristianesimo come religione che incorpora nel suo patrimonio culturale la sapienza pagana. Questa assimilazione culturale trasforma il cristianesimo, fin dai suoi inizi, in una religione diversa da qualsiasi altra: poiché mentre le altre religioni stabiliscono che la loro identità si deve costituire negando l’eredità culturale che le precede, il cristianesimo comprese, grazie al genio paolino, che la vocazione universale della nuova fede esigeva di introdursi nelle strutture culturali, amministrative e giuridiche della sua epoca; non per sincretizzarsi con esse ma per trasformarle radicalmente dal di dentro. E questa illuminazione geniale di san Paolo – che senza dubbio fu illuminazione dello Spirito – deve servire da vigorosa ispirazione per noi cattolici di oggi, spesso tentati di arroccarci contro un mondo ostile.
San Paolo, nato a Tarso di Cilicia, in seno a una famiglia ebrea, fu anche cittadino romano; e questa condizione o status giuridico lo aiutò a comprendere che la vocazione di universalità del cristianesimo si sarebbe realizzata pienamente solo se fosse riuscita a introdursi nelle strutture dell’Impero padrone del mondo. Introdursi per beneficiare della sua vasta eredità culturale; introdursi, anche, per lavare dal di dentro la sua corruzione. Il cristianesimo non sarebbe riuscito a essere quello che in effetti fu se non avesse fatto proprie le lingue di Roma; e se non avesse adottato le sue leggi, per poi umanizzarle, fondando un diritto nuovo, penetrato dalla vertiginosa idea di redenzione personale che apporta il Vangelo. I cristiani avrebbero potuto accontentarsi di rimanere ai margini di Roma, come dei senza patria che celebrano i propri riti nella clandestinità. Addentrandosi nella bocca del lupo, armati solo della fiaccola della fede, rischiarono di perire tra le sue fauci; ma alla fine provocarono un incendio più duraturo dei monumenti di Roma.
Di quale potente lega era fabbricato quell’uomo che sconvolse per sempre il corso della storia? Sappiamo che nella formazione culturale di san Paolo si amalgamavano elementi ebraici e ellenistici. Possedeva una esauriente conoscenza della lingua greca, nutrita dalla Scrittura secondo la versione dei Settanta. Si distingueva però anche per una conoscenza affatto superficiale dei miti greci, come pure dei loro filosofi e poeti: basta leggere il suo discorso nell’Areopago di Atene per renderci conto della sua solida cultura classica. E anche, naturalmente, del modus operandi della sua missione evangelizzatrice: san Paolo inizia il suo discorso apportando riflessioni nelle quali pagani e cristiani potevano convergere, fondandosi anche su citazioni di filosofi; lo conclude però con l’annuncio del Giudizio Finale, pietra dello scandalo per i suoi ascoltatori – fra i quali, a quanto sappiamo, si contavano alcuni filosofi epicurei e stoici – che potevano accettare l’immortalità dell’anima, ma non la resurrezione della carne. Quel gruppo di filosofi probabilmente si sciolse prendendo san Paolo per matto; tuttavia, di ritorno a casa, mentre rimuginavano sulle parole che avevano appena ascoltato, forse riuscirono a scoprire che i principi sui quali si fondava il discorso di san Paolo si potevano cogliere attraverso la ragione. E questi principi assimilabili da un pagano che affiorano nel discorso dell’Areopago sono gli stessi che san Paolo incorpora nelle sue epistole: la possibilità di conoscere Dio attraverso la sua Creazione, la presenza di una legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, la sottomissione alla volontà di Dio come frutto della nostra filiazione divina. Principi sui quali in seguito san Paolo erigeva il suo portentoso edificio cristologico. Mettiamoci nei panni di quei filosofi pagani che ascoltarono san Paolo. Come non sentirsi interpellati da una predicazione che univa, in un modo così misteriosamente soggiogante, principi che la ragione poteva accettare con tesi che esigevano il concorso di una nuova fede? Come non sentirsi interpellato da questo Mistero che rendeva congruente ciò che ascoltavano e ciò che la mera intelligenza non permetteva loro di penetrare? E, nel cercare di approfondire quel Mistero, come non aprirsi agli orizzonti inediti di libertà e di speranza di cui Cristo era portatore?
Così accadde allora; e il genio paolino ci insegna che può continuare ad accadere ora. A un patrizio romano come Filemone non doveva sembrare più strano concedere la libertà al suo schiavo Onesimo, accogliendolo come un « fratello carissimo » nel Signore, di quanto deve sembrare a un uomo del nostro tempo – ad esempio – aborrire l’aborto. Se il genio paolino riuscì a far sì che un patrizio romano rinunciasse al diritto di proprietà su un altro uomo che le leggi gli riconoscevano, perché noi non possiamo far sì che gli uomini della nostra epoca recuperino il concetto di sacralità della vita umana, per quanto le leggi della nostra epoca sembrino averlo dimenticato? Per farlo, dovremo usare parole che risultino intelligibili agli uomini del nostro tempo; e così riusciremo, come a suo tempo riuscì il genio paolino, a minare dal di dentro una cultura che si è allontanata da Dio, senza arroccarci contro di essa.
Dobbiamo tornare a predicare in questa società neopagana che Dio si è fatto uomo; non per innalzarsi su un trono, ma per partecipare ai limiti umani, per provare le stesse sofferenze degli uomini, per accompagnarli nel loro cammino terreno. E, facendosi uomo, Dio ha fatto sì che la vita umana, ogni vita umana, divenisse sacra. San Paolo riuscì a farsi capire dagli uomini del suo tempo; e così trasformò in realtà la missione insostituibile che noi cristiani abbiamo nel mondo, descritta con parole sublimi nella Lettera a Diogneto: « Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani (…) L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo (…) Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare ».
Arroccarsi contro il mondo equivale ad abbandonare il posto che Dio ci ha assegnato. Il genio paolino ci insegna che possiamo continuare a essere l’anima del mondo, senza rinunciare ai nostri principi e senza rinnegare la nostra essenza.

(L’Osservatore Romano 13 novembre 2008)

LA PAROLA DI DIO DALLA PRIMA LETTURA. IL LIBRO DELLA SAPIENZA (2). – C.MARIA MARTINI

http://gpcentofanti.wordpress.com/2013/11/14/la-parola-di-dio-dalla-prima-lettura-il-libro-della-sapienza-2-c-maria-martini/

LA PAROLA DI DIO DALLA PRIMA LETTURA. IL LIBRO DELLA SAPIENZA (2).

RIFLESSIONE DI C.MARIA MARTINI

SAP 7

22In lei c’è uno spirito intelligente, santo,
unico, molteplice, sottile,
agile, penetrante, senza macchia,
schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto,
23libero, benefico, amico dell’uomo,
stabile, sicuro, tranquillo,
che può tutto e tutto controlla,
che penetra attraverso tutti gli spiriti
intelligenti, puri, anche i più sottili.
24La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento,
per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa.
25È effluvio della potenza di Dio,
emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente;
per questo nulla di contaminato penetra in essa.
26È riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell’attività di Dio
e immagine della sua bontà.
27Sebbene unica, può tutto;
pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova
e attraverso i secoli, passando nelle anime sante,
prepara amici di Dio e profeti.
28Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza.
29Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione,
paragonata alla luce risulta più luminosa;
30a questa, infatti, succede la notte,
ma la malvagità non prevale sulla sapienza.

 

“Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana” (Salmo 143,10)
Dobbiamo riconoscere che normalmente della Santissima Trinità sentiamo più familiari le persone del Padre e del Figlio, mentre facciamo fatica a considerare una persona della Trinità lo Spirito Santo. Può venirci in aiuto ciò che il papa Giovanni Paolo II ha scritto nella sua enciclica, “Dominum et vivificantem”, definendo lo Spirito Santo “Persona-amore”.
Poiché l’amore si manifesta nel dono possiamo dire che lo Spirito Santo ne è uno splendido esempio perché ci regala non uno ma sette doni: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio.
Incontriamoli uno a uno per conoscerli da vicino e gustarli fino in fondo.
LA SAPIENZA
La parola sapienza deriva dal latino “sàpere”: “aver sapore, essere gustoso”. Grazie a questo dono diventiamo capaci di comprendere la bellezza del creato, il sapore delle cose della vita.
Anche l’esistenza più modesta e nascosta trova meraviglie e diventa essa stessa motivo di meraviglia e apre il pensiero a Dio Creatore.
Ancor più la sapienza ci aiuta a distinguere il bene dal male.Il re Salomone chiedendo a Dio il dono della sapienza, chiedeva di diventare “sapiente” proprio in questo senso. “Signore – pregava – io sono un ragazzo, non so come regolarmi: concedimi un cuore docile perché sappia distinguere il bene dal male”.
Il dono della “Sapienza”, è dunque, il dono che illumina la mente e la rende capace di vedere nel creatola meravigliosa opera di Dio e illumina il cuore, facendogli capire e distinguere il bene dal male.“La sapienza è quel dono che ci fa scoprire il “sapore” delle cose vere, delle persone care, degli affetti più profondi ti visita come la luce del mattino: ti rivela il bene che c’è in te, il cammino da compiere e quale sia la fonte inesauribile della speranza. E ti capita di sentirti stringere il cuore per le occasioni perdute, per i gesti, le parole, le dimenticanze maldestre con cui hai fatto soffrire le persone che ami di più. La sapienza ti suggerisce come chiedere perdono, come regalare di nuovo la gioia. E la gioia dell’agire si ridesta, il correre delle ore ritrova un ordine. Finalmente la vita ritrova in gesti di carità il suo sapore”.

Carlo Maria Martini

El Sembrador By Vincent Van Gogh Oleo on Cambas

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http://pictify.com/120088/el-sembrador

Publié dans:immagini sacre |on 18 juillet, 2014 |Pas de commentaires »
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