Archive pour juillet, 2014

SIETE STATI COMPRATI A CARO PREZZO – 1Cor 6,9-20

http://www.padresalvatore.altervista.org/Corint06.htm

SIETE STATI COMPRATI A CARO PREZZO

LECTIO DIVINA SULLA PRIMA LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AI CORINTI

1Cor 6,9-20

Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!

«Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Ma io non mi lascerò dominare da nulla. «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!». Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si da’ alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

APPUNTI PER LA LECTIO

Paolo, avendo impiantato il cristianesimo a Corinto, città nota in tutto l’impero romano per la sua dissolutezza, ha sentito dire che, durante la sua assenza, l’influenza dell’ambiente ha determinato nei suoi discepoli un ritorno di fiamma a comportamenti immorali, peggiori di quelli che avevano da pagani. Perciò prende direttamente in mano la situazione, e tratta, senza peli sulla lingua, la vicenda d’un cristiano incestuoso, rimproverando la Comunità di non aver preso provvedimenti adeguati alla gravità del caso. Conseguentemente l’Apostolo, con l’autorità che gli viene dall’essere il fondatore di quella Chiesa, sancisce lui una forma di “scomunica”, in vista del pentimento di chi s’è macchiato di così grave immoralità (5,5).
Paolo, però, non è un moralista, è un Apostolo, perciò motiva le sue decisioni rimandando al mistero pasquale di Cristo, nel quale siamo stati innestati con il battesimo (5,7-8).
Allo stesso modo tratta il troppo facile ricorso dei cristiani di Corinto ai tribunali pagani (6,1-8); mostrando l’assurdo di tale pratica col ricordare ai battezzati che essi, ormai, sono uniti definitivamente al Giudice escatologico, Cristo, perciò non possono farsi giudicare da nessuno.
Con ancora più forza, Paolo cerca di convincere i Corinzi a rompere con ogni “ingiustizia”, e ad avere un comportamento conforme a quella “santità” che si addice a chi, per il battesimo, è stato «giustificato nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio».
L’Apostolo che ha predicato la libertà cristiana e l’ha difesa, in tutti i modi, dai giudaizzanti, deve intervenire anche per correggere i suoi discepoli di Corinto, perché questi, stravolgendo il suo messaggio, hanno confuso la libertà con il libertinaggio più sfrenato. Così, parlando della prostituzione, Paolo ricorda che questa pratica, così comune nelle città portuali, contraddice il nuovo essere del cristiano. Il battezzato, infatti, è definitivamente unito al Signore, «formando con lui un solo spirito». Anche il suo corpo, di per sé corruttibile, è divenuto «membra di Cristo e tempio dello Spirito Santo», e attende la risurrezione come partecipazione alla gloria del Signore. Il cristiano, dunque, non s’appartiene più; conseguentemente non può disporre di sé in modo da negare la sua relazione vitale con Cristo, il quale s’è meritato tale signoria «pagandola a caro prezzo», con la morte in croce. Dunque, anche il nostro corpo, da strumento di peccato e disordine sessuale, deve divenire parte attiva di quella glorificazione che Dio si aspetta da ogni salvato.

PER LA MEDITATIO

Come Gesù basa il suo discorso evangelico sul matrimonio cristiano, rifacendosi al primitivo progetto del Padre (cf. Mt 19,4-6), così Paolo fonda tutto il suo insegnamento morale sul mistero pasquale di Cristo, partecipato al credente attraverso il battesimo. L’Apostolo diventa, così, modello di un saggio comportamento pastorale. Dobbiamo, come lui, motivare sempre “cristologicamente” le nostre richieste etiche. Imitiamo Paolo, che anche nel trattare problemi delicati, ancora attualissimi, come quello della prostituzione, si rifà ad una “mistica sacramentale”, donandoci, così, una vera antropologia cristiana.
Quale insegnamento per i docenti di morale e per chi svolge il delicatissimo ministero del sacramento della penitenza! Ripartiamo, anche noi, da Cristo, perché solo in lui abbiamo speranza di edificare l’uomo nuovo, così come lo ha voluto e lo vuole Dio.

PER L’ORATIO

Alla luce dell’antropologia cristiana propostaci dall’Apostolo, preghiamo il Salmo 112. Esso è una composizione sapienziale che elogia “il santo” perché, come dicono i cristiani d’Oriente, egli “è il più somigliante a Dio”.

Beato l’uomo che teme il Signore
e trova grande gioia nei suoi comandamenti.

Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza dei giusti sarà benedetta.
Onore e ricchezza nella sua casa,
la sua giustizia rimane per sempre.

Spunta nelle tenebre come luce per i giusti,
buono, misericordioso e giusto.

Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
Il giusto sarà sempre ricordato.

Non temerà annunzio di sventura,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
finché trionferà dei suoi nemici.

Egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua potenza s’innalza nella gloria.

L’empio vede e si adira, digrigna i denti e si consuma.
Ma il desiderio degli empi fallisce.

Gloria a te, Padre, fonte d’ogni bene.
Lode a te, Figlio giusto, sacrificato per noi ingiusti.
Onore a te Spirito, che ci conformi a Dio. Amen.

Preghiera salmica:
Lavora in noi, Spirito di Dio perché, almeno alla fine della vita, possano emergere di noi i tratti disegnati in questo salmo. E se non potremo essere giudicati totalmente: «buoni, misericordiosi e giusti», almeno si trovi in noi quella misericordia che ci faccia accogliere nel Regno, con tutti i perdonati. Amen.

Publié dans:Lettera ai Corinti - prima |on 29 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

29 LUGLIO : SANTA MARTA – Tra storia e leggenda

http://www.taroni.net/SA3_storia_e_leggenda.htm

29 LUGLIO : SANTA MARTA

Tra storia e leggenda

Il nome Marta in aramaico significa « padrona ». Era sorella di Lazzaro e di Maria, e la sua storia la troviamo nei Vangeli. Si incomincia a festreggiare S. Marta nel secolo X a Costantinopoli. Però dal diario di una monaca, che fece un pellegrinaggio in Terra Santa verso l’anno 400, si sa che a Betania , sopra una tomba di Lazzaro, sorgeva una Basilica e si è scoperta una iscrizione greca in cui si fa riferimento a Marta e Maria. Troviamo le prime tracce del suo culto in Provenza a partire dall’anno 813-814. Nella stessa regione, a Trascona, nel X secolo si trova la prima chiesa dedicata a S. Marta.
La leggenda di S. Marta compare solo nel XII secolo. Essa narra che Lazzaro, Marta, Maria Maddalena ed altri sarebbero stati imbarcati dagli infedeli su di una imbarcazione senza vele ne remi, nè timone, nè provviste. Fu cosi che approdarono a Marsiglia. Santa Marta, « molto eloquente ed amabile con tutti » operò delle conversioni. Liberò dalla terribile Tarasca la città, che si sarebbe chiamata Tarascona, e fece molti miracoli.La leggenda racconta che nei tempi in cui Santa Marta evangelizzava la Provenza, un terribile dragone, la Tarasca, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano ed impedisse agli uominidi vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di acqua benedetta e segnandola col segno della croce. Infine, mansueta ed addomesticata, la legò alla sua cintura e la portò nella citta di Tarascona, che dal drago aveva derivato il suo nome.. Il giorno 29 giugno la chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne procesione aperta dal gigantesco fantoccio della Tarasca che minaccia la popolazione con le sue fauci spalancaate. Vicino a lei una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto.

The Archangels in the Divine Liturgy – Orthodox Christian icon

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Publié dans:immagini sacre |on 28 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)

http://www.giannigiletta.it/home/beati.html

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)

Makàrioi hoi eirenopoioì, hoti autoi hyioì Theou klethesontai.

Obiettivamente Dio annunzia ‘la pace per il suo popolo’ (Sal 85,9), ma per cercare di comprenderla a modo suo, siamo intenzionati a fermare l’ attenzione sulla settima beatitudine in Matteo, cercando di fare nostre le Sue Parole. Una beatitudine va letta, come ogni altro insegnamento di Gesù, nella Sua persona. Per questo, le beatitudini non si riferiscono a otto categorie distinte di persone, ma così come sono riscontrabili in Gesù, tali da formare un ritratto per il discepolo. Nelle beatitudini non sono evidenziate le diverse virtù quanto piuttosto una promessa di liberazione. Esse sono ‘la promessa di un futuro che porta con sé il mutamento radicale del presente’.

DALLE PAROLE AL CONTESTO BIBLICO
Nel mondo greco, l’aggettivo makários, tradotto con beati, originariamente vuol dire ‘essere liberi dalle preoccupazioni quotidiane’: è la condizione degli dei e di coloro che sono ad essi associati. Poi l’uso si diffuse ed il termine indicò semplicemente la parola ‘felice’. Le espressioni che si aprono con questo termine si dicono ‘macarismi’ e indicano gli eventi considerati positivi nella vita: si felicitano i genitori per la nascita dei figli, i ricchi per la loro ricchezza, etc.
Nella LXX, makários traduce l’ebr. ‘ashere , espressione che indica anch’essa augurio e felicità. Secondo Chouraqui, “il termine evoca la rettitudine dell’uomo in cammino su una strada che va diritta verso JHVH”.
L’aggettivo eirenopoiós = pacificatore, operatore di pace, appare solo nel Nuovo Testamento. Esso è composto da eirêne, pace, e dal verbo poiéo, che significa fare, produrre, causare, compiere, determinare, far nascere. La beatitudine degli operatori di pace non indica solo un atteggiamento, ma anche una meta esterna, ‘una cosa da realizzare’, cioè la pace.
E’ la pace, eirêne, la condizione di tranquillità, di assenza di guerra, di ordine e diritto, da cui scaturisce il benessere. Da condizione esterna giunge poi a esprimere un atteggiamento personale. Nell’Antico Testamento, eirêne traduce nei LXX l’ebr. shalom, che esprime la prosperità che viene da Dio; traduce anche altri vocaboli che indicano tranquillità, quiete, sicurezza, libertà da preoccupazioni, condizione di fiducia. “Shalom abbraccia tutto quello che è dato da Dio, su qualunque piano, e si avvicina al concetto di salvezza, come bene che viene all’uomo da parte di Dio. In Gdc 6,24 si dice “Il Signore è la pace”. È dono di Dio, ma occorre che gli uomini facciano cose giuste per conservare e conquistare la pace. Shalom è orientato in senso sociale ed è in stretto rapporto con tsedaqah, giustizia:
“Se avessi prestato attenzione ai miei comandi,
il tuo benessere (shalom, gr. eirêne) sarebbe come un fiume,
la tua giustizia (tsedaqah, gr. dikaiosýne) come le onde del mare” (Is 48,18).
Il tardo Giudaismo afferma che bisogna operare la pace, sia nel rapporto con l’altra persona, sia nel rapporto con Dio. I rabbini lodano gli operatori di pace, cioè coloro che riconciliano due che sono in lite (persone, nazioni). La comunità di Qumran, vissuta dal II sec. a.C. al I sec. d.C., si ritiene la comunità salvifica definitiva, nella quale è già iniziato il bene escatologico della pace.
La pace nel Nuovo Testamento è nello stesso tempo la realtà nuova operata da Dio in Cristo, e secondariamente un nuovo rapporto tra uomo e uomo e fra Dio e l’uomo. Come atteggiamento interiore, è partecipazione alla pace di Dio che tutto abbraccia. La pace nel NT si caratterizza come pace di Cristo e dono del Padre e del Figlio, ottenuto nella comunione con Cristo. Il regno di Dio è giustizia e pace (Rm 14,17), quindi include la pace fra gli uomini. Gesù infatti è venuto ad annunziare la pace: “Questa è la parola che Dio ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti” (At 10,36, citazione di Is 52,7).
La pace è un bene da cercare. Così viene esortato Timoteo dall’ apostolo Paolo:
“22Fuggi le passioni giovanili: cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro.
23Evita inoltre le discussioni sciocche e non educative, sapendo che generano contese. 24Un servo del Signore non dev’essere litigioso, ma mite con tutti, atto a insegnare, paziente nelle offese subite,
25dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità
26e ritornino in sé sfuggendo al laccio del diavolo, che li ha presi nella rete perché facessero la sua volontà” (2Tm 2,22-26).

Questa pace non deve essere concepita né come la distanza dello stoico da ciò che gli succede intorno e nemmeno come pura spiritualizzazione e ‘interiorizzazione’, ma come certezza di avere parte alla pace di Dio che è già cominciata.
Giacomo dice che, a nostra volta, siamo chiamati a ‘produrre la pace’, assicurando che “un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace” (karpós dè dikaiosúnes en eirêne speíretai tois poioûsin eirênen) (Gc 3,18). La promessa “saranno chiamati figli di Dio” ( l’espressione hyioì Theou riferita agli esseri umani appare in Matteo solo qui in 5,45 ) è riferita proprio agli operatori di pace perché gli sforzi di pace spesso non corrispondono alle tendenze umane spontanee: ci vuole un risoluto sforzo di volontà per realizzarli. In questo Paolo è un gigante della fede.

IL VANGELO DELLA PACE NELLE SCRITTURE EBRAICO-CRISTIANE (anche Paolo)

http://www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Db.Sintesi?num=168

IL VANGELO DELLA PACE NELLE SCRITTURE EBRAICO-CRISTIANE

SINTESI DELLA RELAZIONE DI GIUSEPPE BARBAGLIO

VERBANIA PALLANZA, 17 GENNAIO 2004

L’espressione « vangelo della pace » si trova in Paolo nella lettera agli Efesini: è la lieta notizia della pace, annunciata e realizzata da Dio stesso.
La parola pace ha molti significati, sia nel mondo biblico che in quello greco-romano.
Può anzitutto indicare una condizione in cui il popolo si trova, negativamente la condizione in cui non c’è guerra, positivamente la condizione di benessere, soprattutto materiale.
Può avere un significato collettivo, indicando rapporti buoni tra i popoli e tra i gruppi.
Nella tradizione biblica è presente la concezione della pace come rapporti buoni tra l’umanità e Dio e della pace come salvezza.
Meno presente è la concezione di pace come serenità d’animo, o come rapporti interpersonali buoni.
ubi desertum faciunt pacem appellant
L’anelito alla pace emerge anche nel mondo greco romano. Nel 9 a.C. Augusto, sconfitti i nemici, inaugura un’era di pace e fa costruire l’Ara pacis, l’altare alla dea della pace. Era una svolta per una città, Roma, la cui divinità principale era Marte, il dio della guerra.
Nel frattempo, Tacito, molto critico nei confronti della politica imperiale afferma con ironia che i romani fanno deserto della terra e la chiamano pace (ubi desertum faciunt pacem appellant).
pace e sicurezza
Stupefacente la modernità di alcuni testi scritturistici antichi. Paolo, nel più antico scritto neotestamentario, chiama figli della luce i membri della piccola comunità di Tessalonica che vivevano in un contesto molto ostile, mentre sostiene che per la stragrande maggioranza, che si illude di vivere nella pace e nella sicurezza, sarà la rovina: Quando dicono pace e sicurezza allora all’improvviso verrà su di loro la rovina…
la pace nella bibbia ebraica

Verranno presi in esami alcuni testi profetici.
Geremia
È un profeta dalla parola molto libera, osteggiato dal potere politico, ma anche da altri profeti, suoi avversari, che dicevano pace: dicono pace, pace, ma pace non è (8,11). Pace è utilizzato in senso negativo, come legittimazione di una situazione esistente ingiusta. O si cambia o non ci sarà pace, dice il profeta. In un altro brano Geremia afferma che Dio coltiva pensieri di pace (29,11).
Isaia
In Isaia 52,7 appare la categoria del vangelo della pace, del lieto annuncio da parte del profeta dell’esilio (l’attuale libro di Isaia è composto di almeno tre distinti testi di diversi autori): Come sono belli i passi dell’evangelista, del lieto annunciatore, che proclama la pace.
In Isaia 9,1-5, nel libro dell’Emmanuele che contiene gli oracoli del grande Isaia, si presenta l’ideologia regale del principe di pace. Dio dona la pace attraverso l’azione umana del principe, che instaura una pace senza fine, fondata sulla giustizia. La giustizia del re è una giustizia molto particolare, diversa da quella dei tribunali, ed è volta a rendere giustizia a chi giustizia non ha, a prendere le difese dei deboli.
L’anelito alla giustizia è il grande portato di Israele all’umanità.
Questa azione giusta del re è ampiamente descritta al capitolo 11: giudicherà con giustizia i poveri e emetterà sentenze giuste a favore dei miseri del paese.
Questa pace fondata sulla giustizia si estende a tutto il cosmo, a tutto il mondo creato: il lupo dimorerà presso l’agnello / e la tigre si accovaccerà accanto al capretto / il vitello e il leone pascoleranno insieme / e un bambino piccolo li condurrà…
Sulla stessa linea è il testo di Isaia 2,1-5, in cui si sogna il grande pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme. La pace diventa pace universale.
Zaccaria
Un testo famoso di Zaccaria, utilizzato anche da Matteo per illustrare Gesù messia pacifico, indica il re che entra a Gerusalemme cavalcando un asino. È la cavalcatura utilizzata in occasioni di pace.
la pace nel nuovo testamento

Nelle lettere di Paolo il saluto è: « grazia e pace », cioè vi auguro il dono della pace.
Romani 5,1: pace come salvezza
« …abbiamo pace nei confronti di Dio… » Paolo dopo aver detto che la lieta notizia è che Dio accoglie in modo indiscriminato tutti sulla base della fede, afferma che, sempre come dono di grazia, abbiamo un buon rapporto con Dio.
Romani 5,11: pace come riconciliazione
Paolo usa il termine riconciliazione in senso religioso: Dio ci ha riconciliato.
Dio non ha bisogno di essere riconciliato, al contrario di quanto sosteneva la religione romana tutta intenta a placare la ira Deum (l’ira degli dei) con riti e preghiere. C’era una concezione minacciosa del divino, che appare anche nella tradizione ebraica recente, come nel libro dei Maccabei. Paolo dice che è Dio a vincere la nostra distanza da lui.
Giovanni e Luca: pace come dono
Il Pace a voi del Cristo risorto nel vangelo di Giovanni, come il pace in terra agli uomini che sono oggetto della benevolenza divina di Luca (2,14) indicano la pace come dono di Dio. Dio ha donato la pace agli uomini sulla terra.
Matteo: la pace interpersonale
La beatitudine in Matteo 5,9: beati i creatori di pace, saranno chiamati figli di Dio. Nel rabbinismo, a cui Matteo è vicino, emerge il significato di pace interpersonale, di pace come riconciliazione tra persone.
Anche in Matteo 5,23: Se ti avviene di presentare il tuo dono all’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti…La comunione con Dio, espressa nel culto che si celebra, non avviene se due persone non sono in comunione tra loro.
Efesini 2: nella croce crollano i muri di separazione
È una lettera della scuola di Paolo, in cui si afferma che la chiesa universale è il luogo dove gli opposti si sono riconciliati. Nel mondo di allora c’erano molte divisioni. I greci distinguevano le persone tra greci e barbari (quelli che non parlavano greco). I romani tra romani, greci e tutti i barbari.
Anche nel mondo ebraico c’era una grande divisione di tipo religioso dell’umanità: gli incirconcisi (la maggioranza, 70 milioni di persone) e i circoncisi (la consistente minoranza di ebrei, 6 milioni di persone). Queste due parti si disprezzavano cordialmente (anche Gesù parla di « cagnolini » riferendosi alla Cananea). I non ebrei disprezzavano gli ebrei, accusati di ogni tipo di nefandezze (uccisioni rituali…)
…Ma ora in Cristo Gesù voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini mediante la morte violenta di Cristo. Egli infatti è la pace. Lui che ha fatto le due parti le ha ridotte ad unità. Ha sbriciolato questa parete che sta in mezzo e che separa. Cioè l’inimicizia l’ha distrutta mediante la sua carne, ha reso inoperante la legge mosaica dei comandamenti che si esprime nei precetti.
Gesù toglie le radici del conflitto, cioè la legge mosaica. La legge mosaica era il segno della separatezza: privilegio per chi la possedeva e handicap per gli altri.
Paolo dice che gli ebrei possono tenersi la legge, ma questa non può essere il motivo della identità del credente.
Le diversità non sono annullate, ma sono depotenziate. Le diversità (essere circoncisi o incirconcisi) non sono più elemento separatore. Il muro è abbattuto.
Egli è venuto ad annunciare, a dare la lieta notizia della pace, a voi che eravate lontani e pace a voi che eravate i vicini, perché mediante lui noi abbiamo questa entratura in un solo Spirito presso l’unico Padre.
La legge non è più la carta di identità dell’uomo.
Dietro questo testo c’è la teologia di Paolo, cioè la grazia incondizionata di Dio verso gli uni e verso gli altri e la giustificazione sulla base della sola fede, senza la legge. Giudei e non giudei sono su di un piede di parità nei confronti del vangelo della pace, del vangelo della riconciliazione.
Mentre la comunità di Gerusalemme, capitanata da Giacomo, il fratello di Gesù, era aperta al mondo pagano, a patto che si giudaizzasse, accettando la circoncisione, e mentre la comunità di Antriochia era composta anche da gentili a cui si chiedeva di osservare i precetti della legge, Paolo proclama la libertà dalla legge, non solo nella pratica ma anche attraverso una giustificazione, una riflessione.
i muri di separazione oggi
Anche oggi occorre saper far risuonare l’antica lieta notizia del vangelo di pace individuando quali sono i muri di separazione di cui annunciare l’abbattimento. Oggi la grande divisione non è più tra circoncisi e incirconcisi, ma tra nord e sud del mondo.
La lieta notizia per i deprivati, per gli esclusi, per i lontani di oggi ha come punto di riferimento remoto il Cristo in croce che viene a chiamare su di un piede di parità alla salvezza, e come punto di riferimento prossimo Paolo che ha annunciato e operato l’abbattimento del muro di separazione tra circoncisi e incirconcisi.
A noi spetta il compito di individuare il muro di separazione di oggi e di annunciarne anche fattivamente l’abbattimento, proclamando così la lieta notizia, il vangelo della pace.

San Giacomo il Maggiore

San Giacomo il Maggiore dans immagini sacre saint-james-the-greater-14

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Publié dans:immagini sacre |on 25 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI: GIACOMO, IL MAGGIORE

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060621_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 21 giugno 2006

GIACOMO, IL MAGGIORE

Cari fratelli e sorelle,

proseguendo nella serie di ritratti degli Apostoli scelti direttamente da Gesù durante la sua vita terrena. Abbiamo parlato di san Pietro, di suo fratello Andrea. Oggi incontriamo la figura di Giacomo. Gli elenchi biblici dei Dodici menzionano due persone con questo nome: Giacomo figlio di Zebedeo e Giacomo figlio di Alfeo (cfr Mc 3,17.18; Mt 10,2-3), che vengono comunemente distinti con gli appellativi di Giacomo il Maggiore e Giacomo il Minore. Queste designazioni non vogliono certo misurare la loro santità, ma soltanto prendere atto del diverso rilievo che essi ricevono negli scritti del Nuovo Testamento e, in particolare, nel quadro della vita terrena di Gesù. Oggi dedichiamo la nostra attenzione al primo di questi due personaggi omonimi.
Il nome Giacomo è la traduzione di Iákobos, forma grecizzata del nome del celebre patriarca Giacobbe. L’apostolo così chiamato è fratello di Giovanni, e negli elenchi suddetti occupa il secondo posto subito dopo Pietro, come in Marco (3,17), o il terzo posto dopo Pietro e Andrea nel Vangeli di Matteo (10,2) e di Luca (6,14), mentre negli Atti viene dopo Pietro e Giovanni (1,13). Questo Giacomo appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita.
Poiché fa molto caldo, vorrei abbreviare e menzionare qui solo due di queste occasioni. Egli ha potuto partecipare, insieme con Pietro e Giovanni, al momento dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani e all’evento della Trasfigurazione di Gesù. Si tratta quindi di situazioni molto diverse e l’una dall’altra: in un caso, Giacomo con gli altri due Apostoli sperimenta la gloria del Signore, lo vede nel colloquio con Mosé ed Elia, vede trasparire lo splendore divino in Gesù; nell’altro si trova di fronte alla sofferenza e all’umiliazione, vede con i propri occhi come il Figlio di Dio si umilia facendosi obbediente fino alla morte. Certamente la seconda esperienza costituì per lui l’occasione di una maturazione nella fede, per correggere l’interpretazione unilaterale, trionfalista della prima: egli dovette intravedere che il Messia, atteso dal popolo giudaico come un trionfatore, in realtà non era soltanto circonfuso di onore e di gloria, ma anche di patimenti e di debolezza. La gloria di Cristo si realizza proprio nella Croce, nella partecipazione alle nostre sofferenze.
Questa maturazione della fede fu portata a compimento dallo Spirito Santo nella Pentecoste, così che Giacomo, quando venne il momento della suprema testimonianza, non si tirò indietro. All’inizio degli anni 40 del I secolo il re Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande, come ci informa Luca, “cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni” (At 12,1-2). La stringatezza della notizia, priva di ogni dettaglio narrativo, rivela, da una parte, quanto fosse normale per i cristiani testimoniare il Signore con la propria vita e, dall’altra, quanto Giacomo avesse una posizione di spicco nella Chiesa di Gerusalemme, anche a motivo del ruolo svolto durante l’esistenza terrena di Gesù. Una tradizione successiva, risalente almeno a Isidoro di Siviglia, racconta di un suo soggiorno in Spagna per evangelizzare quella importante regione dell’impero romano. Secondo un’altra tradizione, sarebbe invece stato il suo corpo ad essere trasportato in Spagna, nella città di Santiago di Compostella. Come tutti sappiamo, quel luogo divenne oggetto di grande venerazione ed è tuttora mèta di numerosi pellegrinaggi, non solo dall’Europa ma da tutto il mondo. E’ così che si spiega la rappresentazione iconografica di san Giacomo con in mano il bastone del pellegrino e il rotolo del Vangelo, caratteristiche dell’apostolo itinerante e dedito all’annuncio della “buona notizia”, caratteristiche del pellegrinaggio della vita cristiana.
Da san Giacomo, dunque, possiamo imparare molte cose: la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore anche quando ci chiede di lasciare la “barca” delle nostre sicurezze umane, l’entusiasmo nel seguirlo sulle strade che Egli ci indica al di là di ogni nostra illusoria presunzione, la disponibilità a testimoniarlo con coraggio, se necessario, fino al sacrificio supremo della vita. Così Giacomo il Maggiore si pone davanti a noi come esempio eloquente di generosa adesione a Cristo. Egli, che inizialmente aveva chiesto, tramite sua madre, di sedere con il fratello accanto al Maestro nel suo Regno, fu proprio il primo a bere il calice della passione, a condividere con gli Apostoli il martirio.
E alla fine, riassumendo tutto, possiamo dire che il cammino non solo esteriore ma soprattutto interiore, dal monte della Trasfigurazione al monte dell’agonia, simbolizza tutto il pellegrinaggio della vita cristiana, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, come dice il Concilio Vaticano II. Seguendo Gesù come san Giacomo, sappiamo, anche nelle difficoltà, che andiamo sulla strada giusta.

 

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